23 settembre

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scri789
00giovedì 23 settembre 2010 08:28

San Pio da Pietrelcina (Francesco Forgione)

23 settembre

Pietrelcina, Benevento, 25 maggio 1887 - San Giovanni Rotondo, Foggia, 23 settembre 1968

Francesco Forgione nasce a Pietrelcina, provincia di Benevento, il 25 maggio 1887. Il 22 gennaio 1903, a sedici anni, entra in convento e da francescano cappuccino prende il nome di fra Pio da Pietrelcina. Diventa sacerdote sette anni dopo, il 10 agosto 1910. Nel 1916 i superiori pensano di trasferirlo a San Giovanni Rotondo, sul Gargano, e qui, nel convento di S. Maria delle Grazie, ha inizio per Padre Pio una straordinaria avventura di taumaturgo e apostolo del confessionale. Il 20 settembre 1918 il cappuccino riceve le stimmate della Passione di Cristo che resteranno aperte, dolorose e sanguinanti per ben cinquant’anni. Muore il 23 settembre 1968, a 81 anni. Dichiarato venerabile nel 1997 e beatificato nel 1999, è canonizzato nel 2002.

Etimologia: Pio = devoto, religioso, pietoso (signif. Intuitivo)

Martirologio Romano: San Pio da Pietrelcina (Francesco) Forgione, sacerdote dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini, che nel convento di San Giovanni Rotondo in Puglia si impegnò molto nella direzione spirituale dei fedeli e nella riconciliazione dei penitenti ed ebbe tanta provvidente cura verso i bisognosi e i poveri da concludere in questo giorno il suo pellegrinaggio terreno pienamente configurato a Cristo crocifisso.

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Quando muore, il 23 settembre 1968, a 81 anni, le stimmate scompaiono dal suo corpo e, davanti alle circa centomila persone venute da ogni dove ai suoi funerali, ha inizio quel processo di santificazione che ben prima che la Chiesa lo elevasse alla gloria degli altari lo colloca nella devozione dei fedeli di tutto il mondo come uno dei santi più amati dell’ultimo secolo.
Francesco Forgione era nato a Pietrelcina, provincia di Benevento, il 25 maggio 1887. I suoi genitori, Grazio e Giuseppa, erano poveri contadini, ma assai devoti: in famiglia il rosario si pregava ogni sera in casa tutti insieme, in un clima di grande e filiale fiducia in Dio e nella Madonna. Il soprannaturale irrompe assai presto nella vita del futuro santo: fin da bambino egli riceveva visite frequenti di Gesù e Maria, vedeva demoni e angeli, ma poiché pensava che tutti avessero queste facoltà non ne faceva parola con nessuno. Il 22 gennaio 1903, a sedici anni, entra in convento e da francescano cappuccino prende il nome di fra Pio da Pietrelcina. Diventa sacerdote sette anni dopo, il 10 agosto 1910. Vuole partire missionario per terre lontane, ma Dio ha su di lui altri disegni, specialissimi.
I primi anni di sacerdozio sono compromessi e resi amari dalle sue pessime condizioni di salute, tanto che i superiori lo rimandano più volte a Pietrelcina, nella casa paterna, dove il clima gli è più congeniale. Padre Pio è malato assai gravemente ai polmoni. I medici gli danno poco da vivere. Come se non bastasse, alla malattia si vanno ad aggiungere le terribili vessazioni a cui il demonio lo sottopone, che non lasciano mai in pace il povero frate, torturato nel corpo e nello spirito.
Nel 1916 i superiori pensano di trasferirlo a San Giovanni Rotondo, sul Gargano, e qui, nel convento di S. Maria delle Grazie, ha inizio per Padre Pio una straordinaria avventura di taumaturgo e apostolo del confessionale. Un numero incalcolabile di uomini e donne, dal Gargano e da altre parti dell’Italia, cominciano ad accorrere al suo confessionale, dove egli trascorre anche quattordici-sedici ore al giorno, per lavare i peccati e ricondurre le anime a Dio. È il suo ministero, che attinge la propria forza dalla preghiera e dall’altare, e che Padre Pio realizza non senza grandi sofferenze fisiche e morali.
Il 20 settembre 1918, infatti, il cappuccino riceve le stimmate della Passione di Cristo che resteranno aperte, dolorose e sanguinanti per ben cinquant’anni. Padre Pio viene visitato da un gran numero di medici, subendo incomprensioni e calunnie per le quali deve sottostare a infamanti ispezioni canoniche; il frate delle stimmate si dichiara “figlio dell’obbedienza” e sopporta tutto con serafica pazienza. Infine, viene anche sospeso a divinis e solo dopo diversi anni, prosciolto dalle accuse calunniose, può essere reintegrato nel suo ministero sacerdotale.
La sua celletta, la numero 5, portava appeso alla porta un cartello con una celebre frase di S. Bernardo: “Maria è tutta la ragione della mia speranza”. Maria è il segreto della grandezza di Padre Pio, il segreto della sua santità. A Lei, nel maggio 1956, dedica la “Casa Sollievo della Sofferenza”, una delle strutture sanitarie oggi più qualificate a livello nazionale e internazionale, con 70.000 ricoveri l’anno, attrezzature modernissime e collegamenti con i principali istituti di ricerca nel mondo.
Negli anni ‘40, per combattere con l’arma della preghiera la tremenda realtà della seconda guerra mondiale, Padre Pio diede avvio ai Gruppi di Preghiera, una delle realtà ecclesiali più diffuse attualmente nel mondo, con oltre duecentomila devoti sparsi in tutta la terra. Con la “Casa Sollievo della Sofferenza” essi costituiscono la sua eredità spirituale, il segno di una vita tutta dedicata alla preghiera e contrassegnata da una devozione ardente alla Vergine.
Da Lei il frate si sentiva protetto nella sua lotta quotidiana col demonio, il “cosaccio” come lo chiamava, e per ben due volte la Vergine lo guarisce miracolosamente, nel 1911 e nel 1959. In quest’ultimo caso i medici lo avevano dato proprio per spacciato quando, dopo l’arrivo della Madonna pellegrina di Fatima a San Giovanni Rotondo, il 6 agosto 1959, Padre Pio fu risanato improvvisamente, tra lo stupore e la gioia dei suoi devoti.
“Esiste una scorciatoia per il Paradiso?”, gli fu domandato una volta. “Sì”, lui rispose, “è la Madonna”. “Essa – diceva il frate di Pietrelcina – è il mare attraverso cui si raggiungono i lidi degli splendori eterni”. Esortava sempre i suoi figli spirituali a pregare il Rosario e a imitare la Madonna nelle sue virtù quotidiane quali l’umiltà,la pazienza, il silenzio,la purezza,la carità.“Vorrei avere una voce così forte – diceva - per invitare i peccatori di tutto il mondo ad amare la Madonna”.
Lui stesso aveva sempre la corona del rosario in mano. Lo recitava incessantemente per intero, soprattutto nelle ore notturne. “Questa preghiera – diceva Padre Pio – è la nostra fede, il sostegno della nostra speranza, l’esplosione della nostra carità”.
Il suo testamento spirituale, alla fine della sua vita, fu: “Amate la Madonna e fatela amare. Recitate sempre il Rosario”.
Intorno alla sua figura in questi anni si sono scritti molti fiumi di inchiostro. Un incalcolabile numero di articoli e tantissimi libri; si conta che approssimativamente sono più di 200 le biografie a lui dedicate soltanto in italiano. “Farò più rumore da morto che da vivo”, aveva pronosticato lui con la sua solita arguzia. Quella di Padre Pio è veramente una “clientela” mondiale. Perché tanta devozione per questo san Francesco del sud?
Padre Raniero Cantalamessa lo spiega così:“Se tutto il mondo corre dietro a Padre Pio – come un giorno correva dietro a Francesco d’Assisi - è perché intuisce vagamente che non sarà la tecnica con tutte le sue risorse, né la scienza con tutte le sue promesse a salvarci, ma solo la santità. Che è poi come dire l’amore”.





scri789
00giovedì 23 settembre 2010 08:29

Sant' Adamnano Abate

23 settembre

Martirologio Romano: Nell’isola di Iona in Scozia, san Adamnano, sacerdote e abate: ottimo conoscitore delle Scritture e instancabile amante dell’unità e della pace, con la sua predicazione persuase molti sia in Scozia sia in Irlanda a celebrare la Pasqua secondo la consuetudine romana.



scri789
00giovedì 23 settembre 2010 08:31

Beato Alfonso da Burgos Mercedario

23settembre

+ 1381

Mercedario di nota santità, il Beato Alfonso da Burgos, si distinse nel convento di Santa Caterina in Toledo (Spagna).Inviato in terra d'Africa come redentore, liberò 159 schiavi dalle prigioni e tirannie mussulmane portando la parola di Cristo. Ritornato in patria e con le mani cariche di meriti andò lietamente in paradiso nell'anno 1381.
L'Ordine lo fosteggia il 23 settembre.

Etimologia: Alfonso = valoroso e nobile, dal gotico




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00giovedì 23 settembre 2010 08:32

Sant' Alfwold Re di Northumbria, martire

23 settembre

+ Scytlecester, Inghilterra, 23 settembre 788/789


Figlio di Oswulf, Alfwold succedette sul trono di Northumbria a Aethelred, figlio di Moll Aetchwald, cacciato in esilio nel 779, probabilmente per aver fatto assas­sinare alcuni nobili della sua corte. Dopo aver assi­stito nel 787 al concilio di Northumbria, Alfwold il 23 sett. 788 o 789 fu ucciso a Scytlecester, vittima di una congiura ordita dal nobile Sicgan. Il suo corpo, trasportato ad Hexham (Northumberland), fu se­polto con grandi onori nella chiesa di S. Andrea apostolo, e sul luogo della sua morte, indicato se­condo la leggenda da una luce miracolosa, fu eretta una chiesa in onore di s. Cutberto, vescovo e di s. Oswald, re e martire. Il Ferrari, sulla scorta della prima edizione del Martirologio Anglicano, celebrò Alfwold come martire il 6 apr., sotto il nome di Ethelwold. Ma nella seconda edizione del citato Martirologio, la festa di Alfwold passò al 23 sett., data della sua morte. Questa trasposizione, apparente­mente ingiustificata, denota una qualche incertezza circa il culto di Alfwold, di cui, tra l'altro, non esiste alcuna prova sicura : infatti la chiesa che sorse sul luogo dove Alfwold fu ucciso, non fu dedicata a lui, ma ad altri. I Bollandisti sono piuttosto propensi a non accettare il culto di Alfwold.




scri789
00giovedì 23 settembre 2010 08:33

Santi Andrea, Giovanni, Pietro e Antonio Martiri

23 settembre

Martirologio Romano: In Africa, santi Andrea, Giovanni, Pietro e Antonio, martiri, che, catturati a Siracusa, furono deportati dai Mori e sottoposti a supplizi.





scri789
00giovedì 23 settembre 2010 08:34

Beata Bernardina Maria Jablonska Fondatrice

23 settembre

Pizuny, Polonia, 5 agosto 1878 - Cracovia, Polonia, 23 settembre 1940

Suor Bernardina, al secolo Maria Jablonska, nacque il 5 agosto 1878 a Pizuny – parrocchia Lipsko, nella diocesi di Zamosc – Lubaczow.All’età di 18 anni entrò nella Congregazione fondata dal Santo Fratel Alberto Chmielowski con lo scopo di servire i più bisognosi ed abbandonati. Riassicurò la stabilità legale alla Congregazione delle Suore Alberatine Serve dei Poveri di cui è Confondatrice. La sua vita fu ricca di amore verso Dio ed il prossimo. Ebbe una particolare bontà di cuore verso tutti i più poveri. Morì il 23 settembre 1940 a Cracovia, lasciando alle suore la raccomandazione «fate del bene a tutti». Il 6 giugno 1997, il Santo Padre Giovanni Paolo II la proclamò Beata a Zakopane durante il suo Viaggio Apostolico in Polonia.

Martirologio Romano: A Cracovia in Polonia, beata Bernardina Jablonska, vergine, che, fondatrice della Congregazione delle Suore Serve dei Poveri, fu sempre disponibile per i poveri e i malati.


Suor Bernardina Maria Jabloñska nacque il 5 agosto 1878 nel piccolo villaggio di Pizuny, presso Narol, nell’odierna diocesi di ZamoœæLubaczów. La bellezza del paesaggio natio ebbe una grande influenza sul suo animo sensibile e contribuì a formare una personalità gentile e predisposta all’attività della grazia di Dio. Vivace, intelligente, piena di gioia, cresceva circondata dall’amore dei genitori, rimanendo per molto tempo figlia unica. I suoi genitori erano piccoli possidenti terrieri rispettati e stimati dai loro vicini. Poiché la scuola si trovava lontano dalla loro casa, i genitori l’affidarono ad un insegnante privato, il quale — però — essendo poco esperto non riuscì a «domare» la piccola Marynia e dopo alcuni mesi dovette lasciare l’insegnamento; la piccola fu perciò mandata a casa di lontani parenti dove un altro insegnante dava lezioni private ai bambini.
A 15 anni la sua felice infanzia fu bruscamente interrotta dalla morte della madre. La ragazza cambiò completamente, si sentì sola e perduta, evitava la compagnia dei coetanei, si appartava in cerca di solitudine.
La madre, profondamente religiosa, ebbe molta influenza sulla figlia, trasmettendole in modo particolare la venerazione del Santissimo Sacramento e l’attaccamento filiale alla Madre di Dio.
Morta la madre terrena, la giovane con tutto l’ardore del suo giovane cuore si attaccò alla Madre celeste. Una piccola cappellina sul bordo della foresta con la figurina dell’Immacolata, dove la ragazza aveva sempre portato mazzi di fiori di campo, divenne il luogo prediletto delle sue meditazioni. Lì affidava a Maria i problemi della sua giovane esistenza.
Dedicava inoltre molto tempo all’adorazione del Santissimo Sacramento nella chiesa di Lipsk, dove era stata battezzata.
Leggeva molto, soprattutto le vite dei Santi. Sempre di più si avvicinava a Dio il cui richiamo lei sentiva nel profondo della sua anima e Lo ritrovava facilmente nella bellezza della natura, nella solitudine, nel suo cuore. Sorgeva in lei il desiderio di una vita dedicata completamente a Dio nel silenzio del convento, per cui cominciò a praticare varie mortificazioni apprese dai libri.
Il momento decisivo fu il suo incontro con Frate Alberto alla sagra di Horyniec il 13 giugno 1896. Decise di entrare nella sua Congregazione fondata da poco, pensando che si trattasse di un ordine monastico. Il padre si oppose alla decisione della figlia, perciò Bernardina, una volta maggiorenne, lasciò di nascosto la casa e si recò a Brusno, dove si trovava l’eremo delle Suore Albertine. Alla domanda del Frate Alberto sul motivo della sua decisione, rispose di voler appartenere a Gesù Cristo e amarlo tanto.
Bisognava dare dimostrazione di questo amore, perciò la giovane venne mandata per la prima prova nell’ospizio dei senzatetto a Cracovia. Si trovò in un ambiente a lei completamente sconosciuto; fino a quel momento il povero era per lei un vecchietto vagabondo al quale si offriva un piatto caldo e una buona parola in cambio dei suoi racconti su un mondo lontano. Non sapeva assolutamente nulla della miseria fisica e morale della grande città. Lei che desiderava il silenzio e la preghiera si era trovata all’improvviso in una casa piena di lamenti di malati, di urla di malati mentali, di insulti volgari della gente emarginata che con insistenza chiedeva aiuto.Rimase talmente sconvolta da voler subito abbandonare tutto. Frate Alberto vegliava, spiegava e soprattutto insegnava con il suo esempio che queste persone abbisognavano non soltanto di essere servite, ma soprattutto di essere amate come Cristo sofferente e disprezzato.Questo era un amore molto difficile ma affascinante che prospettava i culmini della santità. Soltanto il Signore sa quanto ebbe a soffrire, quanti combattimenti interiori, quante rinunce dovette affrontare.Il momento critico arrivò il Sabato Santo 1899 quando credette di non poter resistere più nemmeno per un momento.
Allora Frate Alberto scrisse per lei l’atto dell’eroico affidamento a Dio, che Bernardina firmò dopo aver pregato a lungo.
«Dono a Gesù Cristo la mia anima, la mia mente e tutto ciò che possiedo. Offro la mia persona a tutti i dubbi, alle asprezze interiori, ai tormenti e alle sofferenze spirituali, a tutte le umiliazioni e disprezzi, a tutti i dolori del corpo e alle malattie. In cambio non voglio niente né ora né dopo la mia morte, perché faccio tutto questo per amore di Gesù Cristo».
Da quel momento cessarono i dubbi e seppe mantenere la parola data mentre il Signore magnanimemente la conduceva attraverso il misticismo verso le altezze della contemplazione.
Frate Alberto, apprezzando le sue grandi doti, nel 1902 la nominò a soli 24 anni prima superiora generale della Congregazione delle Suore Albertine.
Svolse questo ministero fino alla morte, acclamata ogni volta ai capitoli generali.
Fu una vera madre per le suore e per i poveri. Dopo una lunga vita, piena di sofferenze morì (in aura di santità) il 23 settembre 1940 e fu sepolta nel cimitero Rakowicki di Cracovia. Nel suo testamento lasciò scritto alle suore: «Fate bene a tutti». Il suo culto cominciò a diffondersi fin dall’inizio, chi la conosceva si rivolgeva nel bisogno a lei anche dopo la sua morte, con la profonda convinzione che essa potesse fare molto con la sua intercessione presso il Signore. Le grazie ricevute allargavano il cerchio dei suoi veneratori.
Il 23 maggio 1984 la Congregazione delle Suore Albertine presentò alla Curia arcidiocesana di Cracovia, nelle mani del card. Franciszek Macharski, la richiesta di iniziare il processo d’informazione sulla Suora Bernardina Jabloñska.
Contemporaneamente i suoi resti terreni furono trasferiti dal cimitero nella chiesa Ecce Homo di Cracovia in via Woronicza 10, dove si trovano anche le reliquie di Frate Alberto. Il 25 aprile 1986 la documentazione fu inviata a Roma e già il 3 maggio 1986 fu formalmente aperto il processo di canonizzazione presso la Congregazione per le Cause dei Santi a Roma. L’altra tappa del processo è stata la proclamazione del decreto sull’eroismo della vita e delle virtù della Serva di Dio Suor Bernardina, il 17 dicembre 1996. Attualmente il processo è stato completato, aspettiamo la solenne beatificazione.

La spiritualità e la santità di Suor Bernardina
Suor Bernardina aveva ereditato dai suoi genitori due doti di carattere molto importanti che sviluppate nell’arco della vita raggiunsero una dimensione rara.
Dalla madre aveva ereditato una bontà delicata e dal padre una volontà forte e decisa. Quando il Signore predestina qualcuno ad una missione straordinaria di solito lo fornisce di capacità innate, che lo predispongono meravigliosamente al compito. La vita dei santi si esprime in due direzioni: della vita interiore e dell’attività esterna, le proporzioni vengono mantenute.
Alla base della vita interiore di Suor Bernardina come anche della sua attività si trovano amore e sofferenza. Si può dire che soffriva molto, oltre ogni limite, e sapeva sopportare. Agli inizi della sua vita religiosa, quando stava per cedere, perché desiderava rimanere con Dio nella solitudine e nel silenzio, sottoscrisse l’atto eroico di una completa rinuncia alle sue aspirazioni per donarsi a Dio, accettando tutte le sofferenze dell’anima e del corpo disinteressatamente, non aspettandosi premi né in vita né dopo la morte. Il Signore la provava ma essa manteneva l’impegno preso. In compenso di questo immenso sacrificio le dette la capacità di amare con amore misericordioso tutta la miseria umana a misura del Suo cuore divino. Le insegnò a ritrovare Cristo sofferente e umiliato in ogni uomo, soprattutto in quello depravato, umiliato e rifiutato da tutti. La sua bontà immensa meravigliava tutti quelli che l’avvicinavano. Nei propri ricordi, ogni suora sottolinea questa dote di suor Bernardina.
Pregava intensamente, soprattutto di notte, poiché durante la giornata era impegnata nelle attività della Congregazione e con i poveri. Passava molte ore davanti al SS. Sacramento: l’Eucaristia era l’oggetto del suo amore costante da cui traeva la sua forza.
Stimolava le suore a fare frequenti visite alla cappella dicendo che «il prigioniero divino non può rimanere solo». Nei suoi diari scriveva così: «Gesù — Ostia Santissima: Quanta felicità per me! Oh! Se potessi rimanere ai suoi piedi interi secoli. Vorrei rimanere con il Signore qui, in questa valle di lacrime, fino al giorno del giudizio — rimanere ai piedi dell’altare, amarlo, non lasciarlo solo, compensarlo e vivere la sua vita. Mi dispiace che Lui rimarrà qui solo quando io non ci sarò più».
Il Signore le aveva donato un animo molto sensibile alle bellezze della natura, nella quale con facilità essa ritrovava le sue tracce, perciò le piaceva tanto stare nell’eremo di Zakopane. Lì riversava sulla carta le sue meditazioni rivelando i segreti della sua anima. Scriveva tra l’altro: «Mi ha impressionato moltissimo la bellezza di Dio che attirava la mia anima verso mondi sconosciuti... Dio e Dio, soltanto Dio, per sempre! Amo la preghiera; le notti silenziose all’aperto sotto il cielo sono la mia felicità. Amo la natura che innalza la mia mente e il mio cuore a Dio. Ti adoro, Signore, nelle folate del vento, nelle brumose nebbie mattutine e nel calante crepuscolo. Ti adorerò fino alla fine dei nostri giorni, che sono anche tua. Oh, come è bello il Signore nostro in una giornata di sole, come è bello nell’azzurro del cielo, come è meraviglioso nel turbinare del vento, come è potente nel mormorio del ruscello, come è grande Dio nelle sue opere».
Il Signore non si fa superare nell’elargire l’abbondanza dei suoi doni, accetta il sacrificio eroico di suor Bernardina ed esaudisce i desideri più ardenti del suo cuore; attraverso le esperienze dolorose della notte mistica la innalza fino agli altipiani della contemplazione e alla stretta unione con Lui. Le poche sue annotazioni rimaste ci rivelano cosa lei provava: «Deserto sacro, deserto profondo, immenso — bellezze e meraviglie si trovano in esso. Ho la sensazione che Dio mi abbia qui lasciata per bruciare in sacrificio, mi sto consumando.
«L’anima vola verso Dio come in un abisso senza fondo; tutto si azzittisce: la natura, il creato e le azioni. Dio versa sopra la mia anima fuoco e ghiaccio.
Vuol dire che così dev’essere, mi dono a te, Dio creatore... al di sopra di me Dio, come le nuvole sulla terra, e tutto cade sull’anima passiva».
Per quanto riguarda l’attività di Suor Bernardina bisogna dire che i poveri erano il suo secondo amore, vedeva in loro Gesù Cristo stesso e serviva Lui in loro. A loro dedicò la propria vita. La preoccupazione continua che mancasse il pane per i poveri faceva sprigionare le sue energie che le suggerivano le idee per procurare loro i mezzi di sussistenza.
Non dubitava mai della provvidenza divina; ordinava di dare anche l’ultima farina rimasta a quelli che la chiedevano, fiduciosa sempre nell’aiuto di Dio.
Sperimentava i miracoli della provvidenza.
Diceva alle suore: «Quale onore per noi che il Signore Gesù ci dona i poveri e ci lascia lavorare per quelli che ama tanto. Non è forse una fortuna servire Gesù Cristo stesso nelle persone dei poveri?».
Alla cura dei poveri dedicava tutta la sua anima.
Era particolarmente sensibile alle sofferenze altrui e quando non riusciva in un altro modo ad alleviare le loro sofferenze chiedeva al Signore di poter soffrire al loro posto. E così avvenne, infatti morì con il corpo tutto coperto di ulcere purulente, così profonde che si intravedevano le ossa. Una volta le sfuggì la confessione che aveva pregato per ottenere quelle stesse piaghe che le avevano provocato tanta ripugnanza.
Nel diario degli esercizi spirituali scrisse: «Vorrei esaudire ogni richiesta, asciugare ogni lacrima, consolare con la parola ogni anima sofferente, essere sempre buona per tutti e la migliore per i più infelici. Il dolore del prossimo è mio dolore. Gesù, fa' che non viva per me stessa, spargi la mia anima su tutti i campi della miseria umana. Riempila con la Tua bontà e misericordia e dammi la grazia di poterti sostituire qui in questa valle di lacrime, facendo bene a tutti».

La Confondatrice e il carisma della Congregazione
A 24 anni Suor Bernardina fu nominata da Frate Alberto la prima superiora generale della Congregazione delle Suore Albertine e rimase superiora fino alla sua morte. Per 14 anni guidò la Congregazione a fianco del Frate Alberto seguendo il suo esempio ed imparando a servire Cristo nei più poveri. Dopo la morte del Frate, essa prese sulle sue spalle tutto il peso della cura della Congregazione e delle masse dei bisognosi che affollavano i ricoveri albertini.
Erano tempi difficili, la società era impoverita a causa delle guerre, c’erano molte persone senza tetto, tanti invalidi ed orfani. Ci volevano capacità non comuni per poter adempiere a questo compito difficile. Inoltre Frate Alberto era morto lasciando la Congregazione senza stabilità legale, senza Costituzioni scritte e senza l’approvazione scritta da parte delle autorità ecclesiali. Anche se aveva abbozzato il progetto delle Costituzioni secondo la prima Regola francescana, si era fermato, deluso dalle nuove norme della Congregazione per i Religiosi che non ammettevano la possibilità di approvare l’esistenza di Congregazioni senza basi materiali e con voti semplici. Quindi il problema fondamentale riguardava la radicale povertà alla quale Frate Alberto non voleva assolutamente rinunciare, considerandola il tesoro più prezioso.
Dopo la sua morte avvenuta nel 1916, questo compito difficile passò a Suor Bernardina, che si mise a lavorare con impegno e con senso di responsabilità, obbligata dalle autorità ecclesiastiche.
Doveva riassumere nei paragrafi delle Costituzioni tutta la spiritualità di Frate Alberto senza travisare in nessun modo i suoi ideali. L’aiutò in questo compito P. Czeslaw Lewandowski, amico fedele della Congregazione. Lavorava durante la notte, pregava molto e scriveva in ginocchio, di giorno si occupava delle suore e dei poveri. Il Signore approvava quest’opera perché le Costituzioni da lei redatte rispecchiano fedelmente l’ideale di Frate Alberto, dimostrano chiaramente il carisma del servizio ai più poveri.
Le autorità ecclesiali dopo un lungo tergiversare le approvarono senza cambiare il paragrafo riguardante la povertà.
Ciò accadde nel 1926, 10 anni dopo la morte di Frate Alberto e dopo un lungo periodo di preghiere e di varie intense attività di suor Bernardina che fedelmente proteggeva questa eredità preziosa.Che la decisione della Chiesa fosse giusta lo si è constatato molto presto: la povertà estrema moltiplicava le vocazioni per la Congregazione che cresceva numericamente. Giunti gli anni dell’espropriazione, le suore non temettero niente, perché i sistemi politici cambiano ma i poveri restano sempre e sempre sarà attuale il carisma albertino dei servizi ai più poveri.
La Congregazione deve a suor Bernardina la stabilità giuridica, le Costituzioni e il suo sviluppo dinamico e perciò viene considerata come con fondatrice della Congregazione delle suore Albertine.

La Congregazione oggi
La Congregazione delle Suore Alberatine è stata fondata nel 1891 a Cracovia da Frate Alberto. La caratteristica principale della sua attività erano i ricoveri per i senzatetto, sorti al fine di salvare le persone estremamente bisognose, sia dal punto di vista morale che materiale.
Erano aperti giorno e notte. Secondo le indicazioni di Frate Alberto, a chi arrivava si dava da mangiare, lo si vestiva, lo si ricoverava secondo la disponibilità del momento. I primi ricoveri sorsero a Cracovia, gli altri su tutto il territorio del paese. Gradualmente l'attività della Congregazione cresceva: nascevano case per invalidi, per malati incurabili, per bambini e giovani abbandonati e durante le epidemie si attivava la cura dei malati contagiosi.
La sede dell’amministrazione era in via Krakowska 47, a Cracovia, dove si trovava anche il noviziato e il ricovero per le donne. Molta importanza avevano gli eremi dove le suore, stanche di un continuo pesante lavoro, potevano ritemprare le loro forze fisiche e rinnovarsi anche spiritualmente. Il primo eremo sorse già nel 1891 a Bruœno trasferito poi a Prusie (nella regione di Przemýœl), e il secondo nel 1902 a Zakopane.
Nei tempi del totalitarismo, la Congregazione fu costretta a limitare la sua attività presso gli ospizi statali e nei centri per malati non curabili e mentali, per adulti e bambini. Inoltre le suore, per ordine della Chiesa, lavoravano anche come catechiste.
Attualmente la Congregazione ritorna gradualmente al servizio dei più poveri e dei più bisognosi. Si ramifica in tre province: Cracovia, Varsavia e Poznañ.
A Cracovia, oltre alla sede della casa generalizia, in via Woronicza 10, si trova anche il noviziato. Le suore sono circa 700 e vivono in 73 case, in Polonia e all’estero.
L’attività della Congregazione riguarda case di accoglienza per le donne, case per i sacerdoti pensionati, case per l’aiuto sociale, centri per bambini, persone disabili e malati terminali, una casa per ragazze madri intitolata a Emilia Wojtyla, mense per i bisognosi, centri parrocchiali con servizio infermieristico, catechesi, aiuto alle famiglie numerose in condizioni precarie. Fuori del paese la Congregazione si trova nelle seguenti sedi:
Roma: dal 1972 sette suore gestiscono una casa internazionale per pensionate (circa 20 persone);
U.S.A., Hammond nello stato Indiana: dal 1974 dieci suore gestiscono una casa per pensionati (circa 50 persone);
Argentina, Martin Coronado: dal 1982 cinque suore gestiscono una casa per ex combattenti polacchi (circa 42 persone);
Bolivia, Montero: dal 1991 sei suore svolgono attività strettamente missionaria: curano i malati di tutto il quartiere; lavorano nell’ambulatorio 24 ore su 24; si impegnano per la catechesi che coinvolge circa mille bambini; preparano bambini e adulti ai sacramenti; organizzano funzioni religiose nel centro pastorale; accompagnano periodicamente i missionari nei loro viaggi ai villaggi lontani, aiutandoli nella catechesi e nel servizio sanitario; danno aiuto materiale e spirituale ai più poveri e ai malati;
Bolivia, Cochabamba: dal 1997 tre suore lavorano in una clinica per poveri e missionari;
Ucraina, Plebanówka presso Szarogród: dall'agosto 1992 tre suore aiutano i poveri e svolgono la catechesi per bambini e adulti.
Slovacchia, Brezno: dall’agosto 1995 tre suore nella parrocchia aiutano i poveri e svolgono la catechesi.

Il miracolo
Suor Lidia Gurgul delle Albertine ebbe una guarigione miracolosa da tubercolosi contagiosa, grazie all’intercessione della Serva di Dio Suor Bernardina. Dopo il ricovero in ospedale e la resezione di alcune vertebre per aumentare la pressione sul polmone sinistro interessato, lo stato della malata peggiorò ancora, si temeva una emorragia. Come malata grave e contagiosa fu sistemata nella casa della Congregazione a Zakopane.
Persistevano la febbre alta e una tosse insistente con sangue e pus.Le superiore informarono Suor Lidia, ancora in periodo di noviziato, che a causa della malattia non avrebbe potuto pronunciare i primi voti. Le consorelle invitarono Lidia, che era disperata, a cominciare una novena per chiedere una guarigione mediante l'intercessione di Suor Bernardina. La malata quindi incominciò le preghiere e contemporaneamente ingoiò un pezzettino di legno proveniente dalla bara di Suor Bernardina, e ne attaccò un altro sul lato sinistro della camicia che toccava la parte del corpo operata. Lo stesso giorno verso le ore 17 suor Lidia si sentì meglio, scomparvero la tosse e la febbre alta. Il giorno seguente la dottoressa curante constatava il miglioramento della suora e ordinò alcuni esami che confermarono la totale guarigione. Suor Lidia poté partecipare agli esercizi spirituali di 8 giorni a Cracovia e poté pronunciare i primi voti.
La guarigione ebbe luogo nell'agosto del 1950 e ancora oggi la suora sta bene e lavora in varie case della Congregazione, la tubercolosi non è ritornata mai più. Questo miracolo è stato riconosciuto durante il processo di beatificazione della Serva di Dio Suor Bernardina.


Preghiera
per la canonizzazione della Beata Suor Bernardina

Onnipotente ed Eterno Dio,
fonte di santità e di bontà,
Ti supplichiamo per la canonizzazione della Beata Suor Bernardina,
perché sul suo esempio e per sua intercessione,
crescendo sempre più nel Tuo amore,
non cessiamo mai di fare del bene ai nostri fratelli.
Per Cristo nostro Signore.
Amen.


Novena
per l’intercessione della Beata Suor Bernardina

Signore Gesù Cristo
che hai voluto formare il cuore della Beata Suor Bernardina
sull’esempio del Tuo Sacratissimo Cuore
pieno d’amore e di bontà e l’hai reso sensibile verso i bisognosi,
affamati e sofferenti, per sua intercessione ottienimi,
Signore, la grazia … che con umiltà e fiducia Ti domando.

Beata Suor Bernardina, prega per noi.

Padre nostro…
Ave maria…
Gloria…



scri789
00giovedì 23 settembre 2010 08:35

San Costanzo di Ancona

23 settembre

Etimologia: Costanzo = che ha fermezza, tenace, dal latino

Martirologio Romano: Ad Ancona, commemorazione di san Costanzo, che, mansionario della chiesa, rifulse più per l’umiltà che per il dono dei miracoli.


Di lui fornisce alcune notizie s. Gregorio Magno nei suoi Dialogi, mettendone in evidenza la profonda umiltà e la virtù taumaturgica.
Secondo la narrazione dell'insigne pontefice, basata sulla testimonianza cuiusdam coepiscopi mei (probabilmente il vescovo stesso della città) e di altre persone del luogo, Costanzo, in abito monacale, esercitava l'ufficio di mansionario, o di sacrista, nella chiesa di S. Stefano, prima cattedrale di Ancona e famoso santuario, in cui, al dire di s. Agostino, si venerava una reliquia del protomartire. S. Gregorio fa soprattutto rilevare come all'aspetto dimesso e quasi spregevole del semplice e piccolo sacrista corrispondesse un grande spirito di perfezione, che rifulgeva attraverso il dono dei miracoli.
Tra i fatti prodigiosi si ricorda che, per la virtù taumaturgica dell'umile sacrista, le lampade della chiesa ardevano pur essendo piene di acqua anziché di olio. Poiché si era diffusa la fama della santità e delle opere straordinarie del piccolo monaco molti accorrevano a lui per vederlo e per chiedergli favori spirituali. Un giorno capitò nel tempio un rude contadino che, vedendo l'esile sacrista su di una scala intento ad allestire le lampade, si rifiutò di credere alla sua santità e prese a deriderlo con parole offensive, trattandolo da bugiardo e presuntuoso. Costanzo, che aveva udito le ingiurie, corse ad abbracciarlo e a baciarlo, ringraziandolo di tale trattamento e dando così prova, come conclude s. Gregorio, che se era grande nei miracoli, era più grande per l'umiltà del cuore. Altro non si conosce di questo santo confessore.
Il suo corpo venne più tardi trasferito a Venezia e deposto prima nella chiesa di S. Basilio, poi in quella dei SS. Gervasio e Protasio, ove si venera attualmente e se ne celebra la festività il 23 settembre, come nella diocesi di Ancona. Non sono note le ragioni e l'epoca precisa di tale traslazione: qualche cronista locale ritiene che il corpo sia stato trafugato nel sec. XII in occasione di un assedio e a seguito di rapina compiuta da alcuni mercanti veneziani. Certo è che la figura di Costanzo non ha alcun rilievo nell'antica iconografia sacra locale (essa non appare nei plutei attribuiti ai secc. XI-XII) e, poiché il nome del santo è taciuto in alcune formule liturgiche della antica Chiesa anconetana, si può pensare che il trasferimento delle reliquie sia avvenuto anteriormente al Mille e forse nel sec. IX, dopo la distruzione operata dai saraceni alla quale seguì per Ancona un periodo di abbandono.
Oggi la chiesa cattedrale, come unico ricordo di Costanzo, possiede un frammento osseo che è stato donato, con autentica del patriarca di Venezia, nel 1760.


scri789
00giovedì 23 settembre 2010 08:37

Beati Cristoforo, Antonio e Giovanni Adolescenti, protomartiri del Messico

23 settembre

Tlaxcala (Messico), † 1527-1529

Martirologio Romano: A Tlaxcala in Messico, beati Cristoforo, Antonio e Giovanni, martiri, che, durante la prima evangelizzazione dell’America, aderirono lieti alla fede cristiana e furono per questo percossi a morte dai loro concittadini.


Il 6 maggio 1990 papa Giovanni Paolo II ha proclamati beati i tre adolescenti Cristoforo, Antonio e Giovanni, martiri per la fede cristiana, considerati dagli storici della Chiesa messicana i protomartiri non solo del Messico ma dell'intero Continente Americano; primizie dell'evangelizzazione del Nuovo Mondo.
I missionari Francescani arrivarono in Messico a Tenochtitlàn nel 1524, quindi tre-quattro anni prima della loro morte, dividendosi poi in quattro regioni, Mexico, Texcoco, Huetzingo e Tlaxcala.
In quest'ultima località, che nel 1526 divenne la prima diocesi, si svolse la breve vicenda terrena dei tre ragazzi; le cause dell'avversione ai missionari delle popolazioni indigene, fu che queste erano molto attaccate alle loro tradizioni; nel contempo i missionari basavano l'evangelizzazione sul concetto che la salvezza era un bene assoluto da conseguire, soprattutto eliminando gli idoli pagani.
Bisogna dire che al tempo della conquista spagnola nel 1519 con Cortés, esisteva nel Messico la religione azteca, il cui culto si esplicava con un gran numero di crudeli sacrifici umani e la vita religiosa era dominata dalla casta dei sacerdoti idolatri.
Questo crudele aspetto della religione pagana, favorì il diffondersi della nuova religione cristiana o per convinzione o per forza perché arrivata con i conquistatori spagnoli; ma i sacerdoti ed i pagani fedelissimi, naturalmente avversavano i missionari.
I Francescani e poi i Domenicani, lavorarono per la promozione degli Indios e per difenderli da questi sanguinari riti, furono drastici nell'evangelizzazione e presero a distruggere templi e idoli; oggi certamente ciò non sarebbe approvato, ma bisogna ragionare con il pensiero ed i fini di allora.
Tutto questo portò ad una reazione di buona parte degli Indios, che si sfogò anche sui tre catechisti locali, Cristoforo, Antonio e Giovanni, dei quali naturalmente si sa ben poco della loro vita prima del martirio; essi educati alla scuola francescana di Tlaxcala, furono uccisi in tempi e luoghi diversi dai loro conterranei, perché riprovavano l'idolatria, la poligamia e le orge pagane a cui si abbandonavano.
Si danno di seguito alcune notizie conosciute su ognuno di essi.

Il primo di essi fu Cristoforo, chiamato anche col diminutivo 'Cristobalito', nacque ad Atlihuetzia (Tlaxcala) tra il 1514 e il 1515 ed era il figlio prediletto ed erede del principale cacicco Acxotecatl; ben presto seguì l'esempio degli altri tre fratelli, che nel 1524 avevano preso a frequentare la scuola aperta dai missionari francescani.
Si fece istruire nelle fede cristiana e chiese spontaneamente il Battesimo, ebbe il nome di Cristoforo, i testi non riportano il nome di nascita, certamente lungo e per noi difficile a pronunziare; diventò in breve tempo un apostolo del Vangelo tra i suoi familiari e conoscenti.
Anzi si propose di convertire il padre e prese ad esortarlo a cambiare le sue riprovevoli abitudini, soprattutto l'ubriachezza; il padre non gli diede importanza e allora Cristoforo prese a rompere gli idoli presenti in casa; fu ammonito e perdonato dal padre più volte, il quale visto il ripetersi del fatto, prese la decisione di ucciderlo.
La sua fede pagana era superiore all'affetto di genitore, quindi con un tranello fece tornare a casa i figli dalla scuola francescana, mentre i fratelli entravano in casa, Cristoforo fu afferrato per i capelli dal padre che lo buttò a terra, dandogli calci e bastonandolo fino a rompergli le braccia e le gambe; visto che Cristoforo pur nel dolore continuava a pregare, lo gettò su un rogo acceso.
Pochi giorni dopo fu uccisa anche la madre, che aveva invano tentato di difendere il figlio; la descrizione del martirio del giovane Cristoforo, fa venire alla mente i supplizi di tanti giovani, santi martiri al tempo dei primi cristiani nell'impero romano, uccisi proprio dai loro padri, funzionari potenti dell'imperatore.
Lo snaturato padre seppellì di nascosto il figlio in una stanza della casa; un testo dice che fu poi condannato a morte per i suoi delitti, probabilmente dagli spagnoli. Il fatto avvenne nel 1527 e Cristoforo aveva 13 anni.
Uno dei francescani Andrea da Cordoba, un anno dopo, conosciuto il luogo della sepoltura, lo esumò e fece trasportare il corpo incorrotto del giovane martire nel convento di Tlaxcala.
Molto tempo dopo un altro frate, Toribio da Benevento, che compose anche il racconto del martirio, lo seppellì nella chiesa di Santa Maria a Tlaxcala.

Antonio e Giovanni nacquero tra il 1516 e il 1517 a Tizatlán (Tlaxcala), Antonio era nipote ed erede del cacicco locale, mentre Giovanni di umile condizione, era il suo servitore e ambedue frequentavano la scuola dei Francescani.
Nel 1529 i missionari Domenicani decisero di fondare una missione ad Oaxaca, pertanto passando loro per Tlaxcala il domenicano Bernardino Minaya, chiese a fra Martin di Valencia francescano e direttore della scuola, di indicargli alcuni ragazzi che volontariamente potessero accompagnarli come interpreti presso gli Indios.
Riuniti i ragazzi della scuola, fra Martin formulò la richiesta del domenicano, avvisando comunque che si trattava di un compito con pericolo di morte; subito si fecero avanti i tredicenni Antonio e Giovanni e un altro nobile ragazzo di nome Diego (che non morì martire).
Il gruppo arrivò a Tepeaca, Puebla e i ragazzi aiutarono i missionari a raccogliere gli idoli, poi solo Antonio e Giovanni si spostarono a Cuauhtinchán, Puebla e continuarono la raccolta; Antonio entrava nella casa e Giovanni restava alla porta; in una di queste azioni gli Indios inferociti e armati di bastoni, si avvicinarono e colpirono Giovanni talmente forte che morì sul colpo.
Antonio accorso in suo aiuto si rivolse agli aggressori: “Perché battete il mio compagno che non ha nessuna colpa? Sono io che raccolgo gli idoli, perché sono diabolici e non divini”. Gli indigeni lo percossero con i bastoni finché morì.
I corpi di Antonio e Giovanni furono poi gettati in una scarpata vicino a Tecalco; il domenicano padre Bernardino li ricuperò e li trasferì a Tepeaca dove vennero sepolti in una cappella.

Il sangue dei tre ragazzi messicani, fu il primo seme della grandissima fioritura del cattolicesimo nel loro Paese; l'opera dei missionari si allargò ad aprire scuole, stamparono i primi testi catechistici in lingua locale, condivisero la vita e la povertà degli Indios, lavorando per la loro promozione umana e difendendoli dai soprusi degli “encomenderos”.
Il 7 gennaio 1982, la Congregazione dei Santi diede il nulla osta per l'introduzione della causa per la loro beatificazione e il 3 marzo 1990 fu riconosciuta la validità del martirio; come detto all'inizio, papa Giovanni Paolo II li ha proclamati beati il 6 maggio 1990 nella Basilica di Nostra Signora di Guadalupe a Città del Messico, insieme a Juan Diego, il Messaggero della Madonna di Guadalupe, loro contemporaneo.
La celebrazione liturgica dei tre adolescenti è al 23 settembre.





scri789
00giovedì 23 settembre 2010 08:38

23 settembre



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