24 gennaio

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Stellina788
00lunedì 24 gennaio 2011 14:03

Santi Babila, Timoteo e Agapio di Antiochia

24 gennaio

Martirologio Romano: Ad Antiochia di Siria, ora in Turchia, passione di san Bábila, vescovo, che, durante la persecuzione dell’imperatore Decio, dopo aver tante volte dato gloria a Dio tra sofferenze e tormenti, ottenne di morire gloriosamente legato a ceppi di ferro, con i quali dispose che il suo corpo fosse anche sepolto. Insieme a lui si tramanda che subirono la passione anche i tre fanciulli, Urbano, Prilidano ed Epolono, che egli aveva istruito nella fede cristiana.


Santi BABILA, vescovo, TIMOTEO E AGAPIO, martiri di Antiochia

I Sinassari riferiscono che Babila, nato ad Antiochia da nobile famiglia, dopo aver atteso agli studi ed essere stato ordinato sacerdote, distribuì ai poveri le sue sostanze e si diede alla predicazione della fede cristiana, che alternava con periodi di penitenza insieme con Agapio e Timoteo. Trovatisi a Roma durante una persecuzione, i tre compagni cercarono rifugio in Sicilia, dove ripresero a diffondere la religione, ma furono denunziati al governatore dell'isola e condannati a morte non avendo voluto a nessun patto rinnegare la fede. La Chiesa greca li ricorda il 24 gennaio, il giorno in cui la Chiesa latina festeggia Babila, il noto vescovo di Antiochia. Si tratta, però, di un gruppo fittizio: Babila è, appunto, il vescovo di Antiochia ricordato dalla Chiesa latina il 24 gennaio. Timoteo e Agapio due martiri palestinesi, commemorati nei sinassari il 19 agosto e il 19 settembre e ritenuti compagni di Babila nel viaggio a Roma e nel martirio in Sicilia, in realtà mai avvenuti.
Il Delehaye, nel commento al Martirologio Geronimiano, avverte che alcune fonti «promunt historiam plane commenticiam Babylae cuiusdam Siculi cum sociis duobus Timotheo et Agapio, qui sunt reapse martyres Palaestinenses». Lo stesso autore, nelle note al Sinassario Costantino politano, dice apertamente che un Babila siciliano non è mai esistito.


Stellina788
00lunedì 24 gennaio 2011 14:04

Sant' Essuperanzio Vescovo di Cingoli

24 gennaio

Essuperanzio, patrono di Cingoli, nacque, stando alla tradizione tramandataci, in Africa nel V secolo e fin dall'infanzia manifestò il desiderio di convertirsi; finché a dodici anni, dopo vive insistenze, riuscì a convincere il padre, ariano o manicheo, a dargli il permesso di ricevere il battesimo secondo il rito cattolico. Una volta cresciuto, non volle sposarsi e lasciò la famiglia per andare a predicare il Vangelo. Percorse così buona parte dell'Africa del Nord, conducendo vita monastica. Imbarcatosi per l'Italia, durante la traversata convertì l'equipaggio della nave e sedò con la preghiera una violenta tempesta. Toccata terra a Numana, nei pressi di Ancona, si incamminò alla volta di Roma, dove riprese la sua predicazione e fu imprigionato. Il papa lo fece rimettere il libertà, lo consacrò vescovo e lo mandò a reggere la diocesi di Cingoli, la cui sede era rimasta vacante. Fu ricevuto in trionfo e ricambiò quell'accoglienza con le sue virtù e il suo zelo pastorale. Dopo quindici anni di episcopato, nei quali compì numerosi miracoli, sentendosi vicino a morire indicò egli stesso il luogo dove voleva essere sepolto, fuori della città. (Avv.)

Martirologio Romano: A Cingoli nelle Marche, sant’Esuperanzio, vescovo.


Tre dei quattro santi di questo nome furono vescovi, vissuti più o meno negli stessi anni: uno, di origine greca, fu vescovo di Como negli anni a cavallo tra il V e il VI secolo, ed è festeggiato il 22 giugno; un altro, che si ricorda il 30 maggio, resse la gloriosa diocesi di Ravenna nella seconda metà del V secolo cioè nel tristissimo periodo della caduta dell’Impero d’Occidente e della conquista di Ravenna da parte di Odoacre; il terzo fu vescovo di Cingoli nel V secolo, ed è quello che si festeggia oggi. A loro si aggiunge il diacono Essuperanzio, che morì martire a Spoleto nel 303 (festa il 30 dicembre). Essuperanzio patrono di Cingoli nacque, stando alla tradizione tramandataci, in Africa e fin dall’infanzia manifestò il desiderio di convertirsi; finché a dodici anni, dopo vive insistenze, riuscì a convincere il padre, ariano o manicheo, a dargli il permesso di ricevere il battesimo secondo il rito cattolico. Una volta cresciuto, non volle sposarsi e lasciò la famiglia per andare a predicare il Vangelo. Percorse così buona parte dell’Africa del Nord, conducendo vita monastica. Imbarcatosi per l’Italia, durante la traversata convertì l’equipaggio della nave e sedò con la preghiera una violenta tempesta. Toccata terra a Numana, nei pressi di Ancona, si incamminò alla volta di Roma, dove riprese la sua predicazione e fu imprigionato. Il papa lo fece rimettere il libertà, lo consacrò vescovo e lo mandò a reggere la diocesi di Cingoli, la cui sede era rimasta vacante. Fu ricevuto in trionfo e ricambiò quell’accoglienza con le sue virtù e il suo zelo pastorale. Dopo quindici anni di proficuo episcopato, illustrato da numerosi miracoli, sentendosi vicino a morire indicò il luogo dove voleva essere sepolto, fuori della città. Gli furono fatti solenni funerali. Queste notizie biografiche sono incerte e basate in gran parte su tradizioni non controllabili e supposizioni; ma il culto che risulta prestato al santo nella città marchigiana è antichissimo, e assai pregevoli le opere d’arte eseguite in suo onore. Negli statuti comunali del 1307 sant’Essuperanzio è invocato come "capo e guida del popolo di Cingoli" e in quelli del 1325 la chiesa a lui dedicata era posta sotto la protezione del Comune.



Stellina788
00lunedì 24 gennaio 2011 14:05

San Feliciano di Foligno Vescovo e martire

24 gennaio

Sec. III

Nato intorno al 160 presso «Forum Flaminii», oggi San Giovanni Profiamma, frazione di Foligno, il patrono Feliciano fu l'evangelizzatore di vaste zone dell'attuale Umbria: da Foligno a Spello, Bevagna, Assisi, Perugia, Norcia, Plestia, Trevi, Spoleto. Dopo un periodo a Roma era tornato in patria, dove era stato acclamato vescovo. Ricevuto dal Papa il privilegio del pallio, poté ordinare il diacono Valentino vescovo di Terni. L'episcopato di Feliciano durò 56 anni. Morì 94enne martire, sotto Decio (249-251). A lui è dedicata la cattedrale di Foligno. (Avvenire)

Emblema: Bastone pastorale, Palma

Martirologio Romano: A Foligno in Umbria, san Feliciano, che si ritiene sia stato il primo vescovo di questa regione.

Ascolta da RadioVaticana:
  

S. Feliciano nacque a ‘Forum Flaminii’ odierna San Giovanni Profiamma, da una famiglia cristiana, intorno al 160, si recò a Roma al tempo di papa Eleuterio (174-189) e raccolto e istruito da un arcidiacono.
Tornato nella sua zona d’origine cioè la Tuscia, dove erano ancora tutti pagani e il sacerdozio ancora ignoto, dopo un periodo di evangelizzazione viene eletto vescovo dai suoi concittadini e riceve l’ordinazione a Roma da papa Vittore I.
Prende a predicare in vaste zone dell’attuale Umbria, per prima Foligno, poi Spello, Bevagna, Assisi, Perugia, Norcia, Plestia, Trevi, Spoleto, non tutte queste città corrisposero alle sue predicazioni evangeliche.
Riceve dal papa il privilegio del pallio e così può consacrare vescovo di Terni il diacono Valentino; egli è il primo dei vescovi di tutta la provincia Appenninica.
Feliciano, secondo un’antica ‘Passio’ e secondo gli studi di vari autorevoli agiografi, è considerato vescovo di Foligno oltre che di ‘Forum Flaminii’ dove nacque, di cui viene considerato il primo vescovo; il suo episcopato durò 56 anni e morì alla veneranda età di 94 anni, durante la persecuzione di Decio (249-251), il testo dice che morì ‘poena laceratus’ il 24 gennaio, a tre miglia dalla sua città, cioè a Monte Rotondo - Foligno, dove fu sepolto e di cui è il venerato patrono, celebrato alla stessa data.
Il duomo di questa città si può considerare, con i suoi affreschi, il più ricco e veritiero centro iconografico del santo vescovo, egli è raffigurato nelle varie epoche con sontuosi abiti vescovili e spesso con mani e piedi trafitti.
Nel 965 alcune reliquie furono traslate a Minden in Germania, per cui è stato considerato vescovo di quella città con festa al 20 ottobre, errore che sdoppia la persona e che è passato anche nel ‘Martirologio Romano’.



Stellina788
00lunedì 24 gennaio 2011 14:05

San Francesco di Sales Vescovo e dottore della Chiesa

24 gennaio

Thorens, Savoia, 21 agosto 1567 - Lione, Francia, 28 dicembre 1622

Vescovo di Ginevra, fu uno dei grandi maestri di spiritualità degli ultimi secoli. Scrisse l’Introduzione alla vita devota (Filotea) e altre opere ascetico-mistiche, dove propone una via di santità accessibile a tutte le condizioni sociali, fondata interamente sull’amore di Dio, compendio di ogni perfezione (Teotimo). Fondò con santa Giovanna Fremyot de Chantal l’Ordine della Visitazione. Con la sua saggezza pastorale e la sua dolcezza seppe attirare all’unità della Chiesa molti calvinisti. (Mess. Rom.)

Patronato: Giornalisti, Autori, Scrittori, Sordomuti

Etimologia: Francesco = libero, dall'antico tedesco

Emblema: Bastone pastorale

Martirologio Romano: Memoria di san Francesco di Sales, vescovo di Ginevra e dottore della Chiesa: vero pastore di anime, ricondusse alla comunione cattolica moltissimi fratelli da essa separati, insegnò ai cristiani con i suoi scritti la devozione e l’amore di Dio e istituì, insieme a santa Giovanna di Chantal, l’Ordine della Visitazione; vivendo poi a Lione in umiltà, rese l’anima a Dio il 28 dicembre e fu sepolto in questo giorno ad Annecy.
(28 dicembre: A Lione in Francia, anniversario della morte di san Francesco di Sales, vescovo di Ginevra, la cui memoria si celebra il 24 gennaio nel giorno della sua deposizione ad Annecy).

Ascolta da RadioVaticana:
  
Ascolta da RadioRai:
  
Ascolta da RadioMaria:
  

San Francesco di Sales, vescovo di Ginevra e dottore della Chiesa, è sicuramente il più importante e celebre fiore di santità sbocciato in Savoia, sul versante alpino francese.
Figlio primogenito, Francois nacque il 21 agosto 1567 in Savoia nel castello di Sales presso Thorens, appartenente alla sua antica nobile famiglia. Ricevette sin dalla più tenera età un’accurata educazione, coronata dagli studi universitari di giurisprudenza a Parigi e a Padova. Qui ricevette con grande lode il berretto dottorale e ritornato in patria fu nominato avvocato del Senato di Chambéry. Ma sin dalla sua frequentazione accademica erano iniziati ad emergere i suoi preminenti interessi teologici, culminati poi nelle scoperta della vocazione sacerdotale, che deluse però le aspettative paterne. Nel 1593 ricevette l’ordinazione presbiterale ed il 21 dicembre celebrò la sua prima Messa.
Fu sacerdote zelante ed instancabile lavoratore nella vigna del Signore. Visti gli scarsi frutti che ottenuti dal pulpito, si diede alla pubblicazione di fogli volanti, che egli stesso faceva scivolare sotto gli usci delle case o affiggeva ai muri, meritandosi per questa originale attività pubblicitaria il titolo di patrono dei giornalisti e di quanti diffondono la verità cristiana servendosi dei mezzi di comunicazione sociale. Ma anche quei foglietti, che egli cacciava sotto le porte delle case, ebbero scarsa efficacia.
Spinto da un enorme desiderio di salvaguardare l’ortodossia cristiana, mentre imperversava la Riforma calvinista, Francois chiese volontariamente udienza al vescovo di Ginevra affinché lo destinasse a quella città, simbolo supremo del calvinismo e massima sede dei riformatori, per la difficile missione di predicatore cattolico. Stabilitosi a Ginevra, non si fece remore a discutere di teologia con i protestanti, ardendo dal desiderio di recuperare quante più anime possibili alla Chiesa, ma soprattutto alla causa di Cristo da lui ritenuta più genuina. Il suo costante pensiero era rivolto inoltre alla condizione dei laici, preoccupato di sviluppare una predicazione e un modello di vita cristiana alla portata anche delle persone comuni, immerse nella difficile vita quotidiana. Proverbiali divennero i suoi insegnamenti, pervasi di comprensione e di dolcezza, permeati dalla ferma convinzione che a supporto delle azioni umane vi fosse sempre la provvidenziale presenza divina. Molti dei suoi insegnamenti sono infatti intrisi di misticismo e di nobile elevazione spirituale.I suoi enormi sforzi ed i grandi successi ottenuti in termini pastorali gli meritarono la nomina a vescovo coadiutore di Ginevra già nel 1599, a trentadue anni di età e dopo soli sei anni di sacerdozio. Dopo altri tre anni divenne vescovo a pieno titolo e si spese per l’introduzione nella sua diocesi delle riforme promulgate dal Concilio di Trento. La città rimase comunque nel suo complesso in mano ai riformati ed il novello vescovo dovette trasferire la sua sede nella cittadina savoiarda di Annecy, “Venezia delle Alpi”, sulle rive del lago omonimo.
Fu direttore spirituale di San Vincenzo de’ Paoli. Nel corso della sua missione di predicatore, nel 1604 conobbe poi a Dijon la nobildonna Giovanna Francesca Frèmiot, vedova del barone de Chantal, con cui iniziò una corrispondenza epistolare ed una profonda amicizia che sfociarono nella fondazione dell’Ordine della Visitazione.
“Se sbaglio, voglio sbagliare piuttosto per troppa bontà che per troppo rigore”: in questa affermazione di Francois de Sales sta il segreto della simpatia che egli seppe suscitare tra i suoi contemporanei.
Il duca di Savoia, dal quale Francesco dipendeva politicamente, sostenne l’opera dell’inascoltato apostolo con la maniera forte, ma non addicendosi l’intolleranza al temperamento del santo, quest’ultimo preferì portare avanti la sua battaglia per l’ortodossia con il metodo della carità, illuminando le coscienze con gli scritti, per i quali ha avuto il titolo di dottore della Chiesa. Le sue principali opere furono dunque “Introduzione alla vita devota” e “Trattato dell'amore di Dio”, testi fondamentali della letteratura religiosa di tutti i tempi. Quello dell’amore di Dio fu l’argomento con il quale convinse i recalcitranti ugonotti a tornare in seno alla Chiesa Cattolica.
L’11 dicembre 1622 a Lione ebbe l’ultimo colloquio con la sua penitente e qui morì per un attacco di apoplessia il 28 dello stesso mese nella stanzetta del cappellano delle Suore della Visitazione presso il monastero. Il 24 gennaio 1623 il corpo mortale del santo fu traslato ad Annecy, nella chiesa oggi a lui dedicata, ma in seguito fu posto alla venerazione dei fedeli nella basilica della Visitation, sulla collina adiacente alla città, accanto a Santa Giovanna Francesca di Chantal.Francesco di Sales fu presto beatificato il 8 gennaio 1662 e già tre anni dopo venne canonizzato il 19 aprile 1665 dal pontefice Alessandro VII. Successivamente fu proclamato Dottore della Chiesa nel 1877, nonché patrono dei giornalisti nel 1923.
Il Martyrologium Romanum riporta la sua commemorazione nell’anniversario della morte, cioè al 28 dicembre, ma per l’inopportuna coincidenza con il tempo di Natale, il calendario liturgico della Chiesa universale ha fissato la sua memoria obbligatoria al 24 gennaio, anniversario della traslazione delle reliquie.
San Francesco di Sales, considerato quale padre della spiritualità moderna, ha avuto il merito di influenzare le maggiori figure non solo del “grand siècle” francese, ma anche di tutto il Seicento europeo, riuscendo a convertire al cattolicesimo addirittura alcuni esponenti del calvinismo. Francesco di Sales a ragione può essere considerato uno dei principali rappresentanti dell’umanesimo devoto di tipica marca francese. Fu un vescovo santo, innamorato della bellezza e della bontà di Dio.
E’ infine doveroso ricordare come al suo nome si siano ispirate parecchie congregazioni, tra le quali la più celebre è indubbiamente la Famiglia Salesiana fondata da San Giovanni Bosco, la cui attenzione si rivolge più che altro alla crescita ed all’educazione delle giovani generazioni, con un’attenzione tutta particolare alla cura dei figli delle classi meno abbienti.


DALLA “INTRODUZIONE ALLA VITA DEVOTA”
Nella creazione Dio comandò alle piante di produrre i loro frutti, ognuna “secondo la propria specie” (Gn 1, 11). Lo stesso comando rivolge ai cristiani, che sono le piante vive della sua Chiesa, perché producano frutti di devozione, ognuno secondo il suo stato e la sua condizione.
La devozione deve essere praticata in modo diverso dal gentiluomo, dall’artigiano, dal domestico, dal principe, dalla vedova, dalla donna non sposata e da quella coniugata. Ciò non basta, bisogna anche accordare la pratica della devozione alle forze, agli impegni e ai doveri di ogni persona.
Dimmi, Filotea, sarebbe conveniente se il vescovo volesse vivere in una solitudine simile a quella dei certosini? E se le donne sposate non volessero possedere nulla come i cappuccini? Se l’artigiano passasse tutto il giorno in chiesa come il religioso, e il religioso si esponesse a qualsiasi incontro per servire il prossimo come è dovere del vescovo? Questa devozione non sarebbe ridicola, disordinata e inammissibile? Questo errore si verifica tuttavia molto spesso. No, Filotea, la devozione non distrugge nulla quando è sincera, ma anzi perfeziona tutto e, quando contrasta con gli impegni di qualcuno, è senza dubbio falsa.
L’ape trae il miele dai fiori senza sciuparli, lasciandoli intatti e freschi come li ha trovati. La vera devozione fa ancora meglio, perché non solo non reca pregiudizio ad alcun tipo di vocazione o di occupazione, ma al contrario vi aggiunge bellezza e prestigio.
Tutte le pietre preziose, gettate nel miele, diventano più splendenti, ognuna secondo il proprio colore, così ogni persona si perfeziona nella sua vocazione, se l’unisce alla devozione. La cura della famiglia è rèsa più leggera, l’amore fra marito e moglie più sincero, il servizio del principe più fedele, e tutte le altre occupazioni più soavi e amabili.
E’ un errore, anzi un’eresia, voler escludere l’esercizio della devozione dall’ambiente militare, dalla bottega degli artigiani, dalla corte dei principi, dalle case dei coniugati. E’ vero, Filotea, che la devozione puramente contemplativa, monastica e religiosa può essere vissuta solo in questi stati, ma oltre a questi tre tipi di devozione, ve ne sono molti altri capaci di rendere perfetti coloro che vivono in condizioni secolari. Perciò dovunque ci troviamo, possiamo e dobbiamo aspirare alla vita perfetta.

ORAZIONE DAL MESSALE
O Dio, tu hai voluto che il santo vescovo Francesco di Sales
si facesse tutto a tutti nella carità apostolica:
concedi anche a noi di testimoniare sempre,
nel servizio dei fratelli, la dolcezza del tuo amore.
Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio,
e vive e regna con Te, nell’unità dello Spirito Santo,
per tutti i secoli dei secoli.
Amen.

Stellina788
00lunedì 24 gennaio 2011 14:06

Beati Guglielmo Ireland e Giovanni Grove Martiri

24 gennaio

+ Tyburn, Londra, Inghilterra, 24 gennaio 1679

Il sacerdote gesuita William Ireland ed il suo servitore John Grove furono beatificati nel 1929.

Martirologio Romano: A Londra in Inghilterra, beati martiri Guglielmo Ireland, sacerdote della Compagnia di Gesù, e Giovanni Grove, suo domestico, che, sotto il re Carlo II, falsamente accusati di tradimento, a Tyburn subirono il martirio per Cristo.


Stellina788
00lunedì 24 gennaio 2011 14:07

Beata Maria Poussepin Domenicana

24 gennaio

Dourdan, 1653 – Sainville, 1744

Nata a Dourdan, nell'Ile-de-France, il 24 gennaio 1653 da una famiglia profondamente cristiana e impegnata nelle opere di carità, in seguito al fallimento del padre Maria Poussepin rilevò con coraggio la fabbrica paterna, trasformandola in uno stabilimento pilota, finalizzato più al bene sociale che al profitto. Nel 1691 entrò nel Terz'Ordine domenicano, di cui apprezzava lo spirito di contemplazione e le finalità apostoliche. Richiamata da uno stile di vita diverso, lasciò la fabbrica al fratello e si trasferì a Jainville, dove la povertà era maggiore. Qui fondò una comunità femminile di tipo domenicano, non claustrale e aperta alle opere di carità, le Suore domenicane della carità della presentazione della santa Vergine e realizzò, nei paesi del circondario, scuole primarie e centri di assistenza infermieristica. Morì il 24 gennaio 1744 ed è stata proclamata beata il 20 novembre 1994 da Giovanni Paolo II.

Martirologio Romano: Nel villaggio di Sainville vicino a Chartres in Francia, beata Maria Poussepin, vergine, che fondò l’Istituto delle Suore Domenicane di Carità della Presentazione della Santa Vergine per offrire sostegno ai pastori d’anime, istruzione alle ragazze e assistenza ai bisognosi e ai malati.


Tutto l’operato di questa donna è proclamato dalle parole incise sulla lapide tombale: “Vide e fece ciò che era buono dinanzi al Signore; vigilò e pregò, il nemico quindi non seminò la zizzania in casa sua”. Carità e prudenza, virtù regine tra quelle teologali e morali, furono le coordinate portanti del suo vivere. Ella si diceva “umile figlia della Provvidenza”. A Dourdan, sua città natale, nella prima metà dei suoi anni fu Dama, diremmo oggi, della Carità di San Vincenzo di Paoli. Abile amministratrice della fabbrica paterna di calze, da manifattura la elevò a livello tecnico, riconoscendo anche per gli apprendisti i diritti sociali. Nel 1696 si trasferì a Sainville. Divenuta terziaria domenicana e guidata da Padre Francesco Mespolié, del Convento parigino dell’Annunciazione, dedicò il suo grande cuore e la sua fortuna finanziaria al bene cristiano e sociale delle popolazioni rurali, istituendo in piccoli paesi, fino allora sprovvisti, scuole di insegnamento primario e di catechesi, e centri di assistenza infermieristica. Andava così incontro al programma del Re Luigi XIV per riorganizzare il sistema scolastico e ospedaliero in Francia. Il raggio della sua beneficenza si prolungò grazie alla prima comunità di terziarie Domenicane da lei radunate a Sainville: nucleo germinale della Congregazione delle Suore di Carità Domenicane della Presentazione della S. Vergine che, dalla seconda metà del secolo XIX si diffusero in molte terre, soprattutto dell’America Meridionale e Centrale. Questa fondazione sta alla radice di quella forma di vita consacrata che in seguito si sviluppò fiorentissima con le varie Congregazioni di Suore appartenenti alla Famiglia Domenicana. Maria morì il 24 gennaio 1744, ma la sua memoria liturgica cade oggi, data di nascita e di battesimo. La sua tomba è nella casa madre di Thurs. Papa Giovanni Paolo II l’ha proclamata Beata il 20 novembre 1994.



Stellina788
00lunedì 24 gennaio 2011 14:07

Beata Paola Gambara Costa Terziaria francescana

24 gennaio (29 marzo)

Data in sposa appena dodicenne al signore di Bene Vagienna, nel Cuneese, madre un anno dopo, la beata Paola Gambara Costa continuò a vivere le virtù cristiane in un ambiente dissoluto. Il marito per questo la angheriò e tra le crudeltà che le fece subire ci fu anche la convivenza con la sua amante. Paola era nata nel 1463 in una nobile famiglia di Verola Alghise (oggi Verolanuova), nel Bresciano, dove era ammirata per la devozione e la bellezza. Dopo le principesche nozze (gli sposi furono ricevuti a Torino dal Duca di Savoia), iniziò il calvario, durante il quale ebbe un atteggiamento caritatevole verso chi la maltrattava (a Verolanuova c'è il detto «è stata provata come la beata Paola»). Fu sotto la direzione spirituale del beato Angelo di Chivasso e divenne terziaria francescana, spendendosi per i poveri. Morì nel 1515 e il suo culto è stato confermato nel 1845. Nelle immagini: la tela che ricorda il «miracolo delle rose»; si narra che, mentre dava pane ai poveri, il marito la scoprì, ma il cibo si trasformò in fiori. (Avvenire)

Etimologia: Paola = piccola di statura, dal latino

Martirologio Romano: A Binaco vicino a Milano, beata Paola Gambara Costa, vedova, che, ascritta al Terz’Ordine di San Francesco, sopportò con tale pazienza il marito violento da indurlo a conversione ed esercitò sempre in modo egregio la carità verso i poveri.


Figlia dei nobili Giampaolo Gambara e Caterina Bevilacqua, nacque a Brescia il 3 marzo 1463. Ammiratissima nell’adolescenza per la sua bellezza, ma soprattutto per le virtù cristiane da lei vissute, nonostante la sua inclinazione ad una vita di solitudine e preghiera, i genitori la diedero in sposa al conte Ludovico Costa di BeneVagienna (Cuneo); un matrimoniofastoso, un ingresso in Piemonte chepiù solenne non avrebbe potuto essere:li ha accolti in Torino personalmenteil capo dello Stato, il giovanissimoCarlo I duca di Savoia. Hanno combinatoqueste nozze i suoi nobiligenitori, Giampaolo Gambarae Caterina Bevilacqua,secondo l’uso del tempo. Eprobabilmente forzando unpo’ la sua volontà: Paola, infatti– come dicono i biografi–, conduceva una vita riservatae austera, tanto dafar supporre un suo ingressoin monastero.
Invece, le nozze, la nuovacasa, la vita brillante. Qualcosa di moltodiverso dal modo di vivere della sua famiglia.E va a finire che il nuovo mododi vivere le piace, e lo adotta anche lei.«Dovendo partecipare alla vita di società,ne assume per qualche tempo leusanze, non sempre lodevoli e conformiai princìpi cristiani» (G.D. Gordini).
Dopo qualche tempo, tuttavia, c’è l’incontroche la orienta in una nuova direzione:abbandonate le “usanze” dei primitempi da sposa, non si limita a riprendereil comportamento riservato e piodella sua adolescenza, ma fa molto dipiù. L’autore di questa trasformazione èun francescano piemontese, Angelo Carlettida Chivasso, figura eminente nelsuo Ordine, predicatore ricercato in tuttaItalia. Lei l’ha ascoltato predicare inPiemonte (dove ha fondato i monasteridi Saluzzo, Mondovì e Pinerolo)e si è poi affidata a luiper un orientamento.
I consigli del francescanola pilotano non già versouna “fuga dal mondo” in cercadi penitenze espiatorie;al contrario: padre Angelola aiuta a restare in quelmondo, tra la gente del suoceto, per dimostrare che sipuò vivere anche lì in coerenzacon la fede. Per dare un esempio.Ecco infatti l’unico gesto pubblico diPaola, l’unico segno del suo ravvedimento:è entrata in un sodalizio laicale,il Terz’Ordine francescano. Per il resto,è sempre la contessa Costa, con in piùun figlio, e con la forza tranquilla di resistere,di continuare così anche di fronteall’infedeltà del marito.
Anzi, un giorno riceve da lui la peggioredelle offese: Ludovico non solo haun’amante, ma un giorno gliela fa trovarein casa, installata lì. Lei non esplode enon si rassegna. Reagisce, ma non da nemicao da vittima: reagisce da mogliepreoccupata di salvare suo marito da séstesso col proprio comportamento. E ciriesce: Ludovico abbandona a sua voltale “usanze non sempre lodevoli”, perchéfinalmente ha capito che donna e chemoglie è Paola. Gli accade poi di ammalarsigravemente: e lei, oltre a fargli da infermiera,si rivolge ancora a padre Angeloda Chivasso: ma con la preghiera, perchéil francescano è morto nel conventodel suo Ordine a Cuneo. Ludovico guariscee subito va in pellegrinaggio alla suatomba; sulla malattia e sulla guarigionescrive una testimonianza, che sarà poiinserita negli atti per la beatificazione dipadre Angelo.
Paola, rimasta vedova col figlio, si dedicaad attività benefiche come spessoaccade. Ma il culto popolare che la circondasubito dopo morta è ispirato soprattuttoal suo modo di vivere il matrimonio,con quel marito. Un culto spontaneo,senza processi canonici, che saràpoi ratificato da papa Gregorio XVI nel1845. Il corpo è custodito nel conventofrancescano di Bene Vagienna.



Stellina788
00lunedì 24 gennaio 2011 14:08

Beato Paolo De Ambrosis da Cropani Religioso del T.O.R.

24 gennaio

Cropani, Catanzaro, 24 gennaio 1432 - 1489


Il Beato Paolo nacque a Cropani (CZ) il 24 gennaio 1432 da un’antica famiglia. Il 20 marzo del 1450 decise di entrare nel Convento del Terzo Ordine Regolare di San Francesco d’Assisi, fondato poco tempo prima fuori le mura di Cropani.
Paolo de Ambrosis fu, innanzitutto, un uomo di preghiera. Anche da ragazzo si distingueva per il particolare fervore tanto che i suoi compaesani lo chiamavano "l’Angelo".
Per la sua saggezza, fu nominato Guardiano del Convento. Nel frattempo, a causa della fama della sua santità, tantissime persone accorrevano da lui per ascoltare i suoi consigli e ricevere conforto. Ben presto, però, Paolo volle tornare alla condizione di più completa solitudine. Scelse, perciò, di ritirarsi nell’eremo di S. Maria dello Spirito, in contrada Scavigna, tra Cropani e Belcastro. Come il Santo d’Assisi, non volle per umiltà essere ordinato sacerdote, ma per obbedienza, Paolo, nel 1485, divenne "sacerdote in eterno".
La vita del Beato Paolo è segnato dal legame profondo con la sua famiglia, definita "autenticamente cristiana". Si narra che la madre aiutava il figlio dell’assistenza dei poveri. Ma l’episodio più suggestivo è quello che è avvenuto in occasione della morte del padre. Mentre celebrava la messa nella chiesa di Santa Maria della Consolazione a Roma, Paolo fu avvolto da una nube, rendendosi invisibile ai presenti. Quando, dopo poco, riapparve, al Superiore, che gli domandò cosa fosse avvenuto, rispose, con semplicità, che era stato a Cropani per dare l’ultimo bacio al padre defunto. Il Beato Paolo morì nel 1489. Le sante reliquie del beato sono oggetto di grande culto nella parrocchiale di Cropani. Memoria liturgica il 24 gennaio.



Stellina788
00lunedì 24 gennaio 2011 14:09

San Sabiniano Martire

24 gennaio

Martirologio Romano: Nel territorio di Troyes in Gallia Lugdunense, nell’odierna Francia, san Sabiniano, martire.



Stellina788
00lunedì 24 gennaio 2011 14:09

Beato Timoteo Giaccardo

24 gennaio

Narzole, Cuneo, 13 giugno 1896 - 24 gennaio 1948

Etimologia: Timoteo = colui che onora Dio, dal greco

Martirologio Romano: A Roma, beato Timoteo (Giuseppe) Giaccardo, sacerdote, che nella Pia Società di San Paolo formò molti discepoli per annunciare al mondo il Vangelo con un appropriato uso dei mezzi di comunicazione sociale.

Ascolta da RadioRai:
  

Il Beato Giuseppe Timoteo Giaccardo è nato a Narzole (Cn), Diocesi di Alba, il 13 giugno 1896, in giorno di sabato, da Stefano e da Maria Gagna ed è battezzato lo stesso giorno, ricevendo i nomi di Giuseppe, Domenico e Vincenzo.
Dal 1903 al 1907 frequenta le scuole elementari e in questo periodo riceve la Prima Comunione. Nella primavera del 1908 il giovane sacerdote Giacomo Alberione, inviato come coadiutore a Narzole, incontra il piccolo Pinotu, ne conquista l'amicizia e si offre di aiutarlo per poter diventare prete.
Il 12 settembre 1908 Giuseppe riceve il Sacramento della Cresima e il 17 ottobre entra in Seminario ad Alba con don Alberione il quale, nominato Direttore Spirituale, assume la guida di questo giovinetto che già da segni di non ordinaria virtù. Nel 1909, a soli tredici anni, emette il voto di castità con il consenso del suo Padre spirituale. L'8 dicembre 1912, all'inizio del corso liceale, riceve l'abito clericale, offrendosi quale esempio di vita umana e cristiana a tutti i seminaristi.
Frattanto - sotto la direzione del Fondatore della Famiglia Paolina, don Alberione, che il 20 agosto 1914 ha già dato vita alla Società San Paolo - egli matura la sua vocazione specifica, quella di essere apostolo della comunicazione sociale, come forma di evangelizzazione più consona ai nuovi bisogni dei tempi. Con il consenso del suo Vescovo, il 4 luglio 1917 passa dal Seminario alla nascente Società San Paolo e viene presentato come Maestro dei primi ragazzi e "Maestro" fu chiamato e fu effettivamente e costantemente nell'Istituto, quale guida e formatore di anime.
Il 19 ottobre 1919 è ordinato sacerdote dal Vescovo di Alba e il giorno seguente celebra la prima Messa a Narzole, tra la sua gente e svolge a doloroso compito di assistere la madre morente e di portarle il Santo Viatico.
E' il primo sacerdote paolino. Il 30 giugno 1920 emette i voti religiosi perpetui e riceve dal Fondatore il nome di Timoteo (che fu il discepolo prediletto di San Paolo). Nel gennaio del 1926, per il suo grande amore al Papa, don Alberione lo manda a Roma per fondare la prima Casa filiale della Congregazione. Acquista la "Vigna San Paolo", vicina alla Basilica omonima e vi costruisce una prima Casa-vocazionario.
Nel 1936 ritorna in Alba come Superiore di Casa Madre e vi resta fino al 1946, abbellendo di tanti capolavori il Tempio San Paolo e cooperando attivamente con la stampa e con il servizio pastorale alla Diocesi. Nel 1946 è di nuovo a Roma, in qualità di Vicario generale della Società San Paolo. Collaboratore fedelissimo del Fondatore, si prodiga per le Congregazioni paoline, che egli portò sulle braccia nel loro nascere, avviandole a una profonda vita interiore e ai rispettivi specifici apostolati.
Con un costante e durissimo esercizio di vita interiore, di progresso spirituale, raggiunge in breve la perfetta carità, fino a offrire la propria vita affinché fosse riconosciuta nella Chiesa la Congregazione paolina delle Pie Discepole del Divin Maestro. Il Signore ne gradì l'offerta.
Morì di leucemia fulminante il sabato 24 gennaio 1948, nel giorno del suo onomastico e alla vigilia della festa della Conversione di San Paolo.
Il 26 gennaio seguente furono celebrate le solenni esequie nella Basilica di San Paolo in Roma, con un concorso immenso di autorità e di fedeli. I suoi resti mortali sono tumulati a Roma nelle sottocripta del Santuario di Maria Regina Apostolorum, presso la Casa da lui fondata.
Virtù
La vita del Beato G. Timoteo Giaccardo si è consumata in un costante combattimento spirituale e nell'anelito di praticare le virtù umane, cristiane, religiose, sacerdotali e apostoliche. Suo proposito fu costantemente quello di "soprannaturalizzare il naturale". Egli ebbe una personalità fortissima, una pulsione tesa a realizzare in sé il motto paolino "per me vivere è Cristo", con la dedizione totale all'apostolato paolino.
Segreto originale della sua "santità" è il rapporto unico e irripetibile con don Alberione, Fondatore della Famiglia Paolina, rapporto meraviglioso che si potrebbe definire una "sinergia", o meglio una "sinfonia". La sua vita è un esempio attuale di come si possa conciliare la contemplazione e lo spirito di preghiera con la più intensa vita apostolica.
Don Alberione che lo ebbe carissimo, definì questo suo figlio e fratello "fedelissimo tra i fedeli". "E' opinione comune - scrive - che è passato tra noi un santo, un vergine, un'anima che portò alla tomba, intemerata, la stola battesimale. Fu il maestro che tutti precedeva con l'esempio, che tutto insegnava, che tutti consigliava, che tutto costruiva con la sua preghiera illuminata e calda. Tutti comprendeva e a tutti la sua anima si comunicava, fatto sempre tutto a tutti; il primo, reputandosi l'ultimo; sensibilissimo, dolcissimo, delicatissimo".
La sua memoria è fissata dal Martyrologium Romanum al 24 gennaio mentre nel calendario della Società San Paolo è ricordato il 22 ottobre, data della sua beatificazione.



Stellina788
00lunedì 24 gennaio 2011 14:10

Sante Vera e Supporina Vergini

24 gennaio

 

La sola notizia pervenutaci su queste due sante vergini è l'indicazione d'un testo databile, forse, al sec. X. Le loro reliquie erano conservate a Clermont nella chiesa di S. Artemio. La loro festa è indicata lo stesso giorno di quella di s. Artemio, il 24 gennaio. Si tratta probabilmente, se confrontiamo il loro caso con quello di altri personaggi venerati in Francia, di sante donne inumate all'epoca merovingia o, piuttosto, alla fine dell'epoca romana, in una basilica situata in un cimitero suburbano in cui era sepolto anche un altro santo ivi venerato; v'erano sepolti anche i vescovi degli Alverni, Venerando ed Artemio.


Stellina788
00lunedì 24 gennaio 2011 14:11

Beato Vincenzo (Wincenty) Lewoniuk e 12 compagni Martiri di Pratulin

24 gennaio

m. Pratulin (Polonia), 24 gennaio 1874

Nel villaggio di Pratulin, nella diocesi di Siedlce, in Polonia, i Beati Wincenty Lewoniuk e dodici compagni martiri, che, non turbati né da minacce né da promesse, non vollero allontanarsi dalla Chiesa Cattolica, ed infine, rifiutando di consegnare le chiavi della loro parrocchia, furono massacrati inermi il 24 gennaio 1874. Giovanni Paolo II li beatificò il 6 ottobre 1996 a Roma.

Martirologio Romano: Nel villaggio di Pratulin nei pressi di Siedlce in Polonia, beati Vincenzo Lewoniuk e dodici compagni, martiri: irremovibili di fronte a minacce e lusinghe, non vollero separarsi dalla Chiesa cattolica e inermi furono uccisi o feriti a morte per essersi rifiutati di consegnare le chiavi della loro parrocchia.


I tredici beati martiri polacchi commemorati in data odierna dal Martyrologium Romanum erano fedeli laici cattolici della Chiesa cosiddetta uniate, nata nel 1596 dall’Unione di Brest. Questa unione porto all’unita della Chiesa ortodossa in Polonia con la Chiesa Cattolica ed il Romano Pontefice. Wincenty Lewoniuk ed i suoi compagni erano semplici contadini come tanti altri, divenuti inaspettatamente famosi a motivo della fede coraggiosa dimostrata durante la persecuzione della Chiesa Cattolica da parte della Russia, particolarmente sanguinosa e ben organizzata, al tempo della spartizione della Polonia. Gli zar russi iniziarono gradualmente l’abolizione del cattolicesimo proprio dalla distruzione della Chiesa uniate. Nel 1794 Caterina II abolì la Chiesa uniate ucraina. Nel 1839 poi fu ufficialmente abolita dallo zar Nicola I la Chiesa uniate nella Bielorussia e nella Lituania. Questo fu l’attuazione del vecchio principio “cuius regio eius religio”, in base al quale i sudditi dovevano professare la medesima religione del loro sovrano. La Russia temette che la Chiesa Cattolica si rivelasse di ostacolo alla russificazione ed alla degradazione dell’uomo così significativi per il suo governo.
Già nella seconda meta del XIX secolo, sul territorio occupato dalla Russia, la Chiesa uniate rimaneva solo più nella diocesi polacca di Chelm. L’amministrazione dello zar progettò l’abolizione di questa Chiesa ed Alessandro II diede l’autorizzazione a procedere. Nel gennaio 1874 avrebbe quindi dovuto entrare in vigore la liturgia ortodossa nelle chiese uniate. L’accettazione di essa da parte degli uniati era stata giudicata dal governo russo come l’ingresso della parrocchia a far parte dell’ortodossia. Il governo aveva infatti rimosso il vescovo ed i sacerdoti che non avevano accettato le riforme finalizzate alla rottura dell’unità della Chiesa universale. Per la loro fedeltà essi pagarono con la deportazione in Siberia, l’incarcerazione o la rimozione dalla parrocchia. Molti laici, privati dei loro parroci, scelsero di difendere da soli la loro chiesa, la liturgia e la fedeltà al Santo Padre, spesso anche a costo della propria vita.
Il 24 gennaio 1874 arrivarono a Pratulin le truppe zariste e gli uniati erano ben consci che la difesa della chiesa avrebbe potuto costare loro la vita. Nonostante ciò andarono in chiesa pronti a tutto per difendere la loro fede. Congedatisi dalle loro famiglie, si vestirono in modo festivo come di consuetudine per occuparsi delle cose sacre.
Non riuscendo a persuadere gli uniati a lasciare la chiesa né con le minacce, né con le lusinghe delle grazie dello zar, il comandante ordinò di sparare sulla gente. Avendo udito che l’esercito aveva ricevuto l’ordine di uccidere coloro che avessero opposto resistenza, gli uniati si inginocchiarono nel cimitero presso la chiesa e con il canto si prepararono a spargere il loro sangue per la fede. Morirono ricolmi di pace con preghiere sulle labbra, senza rivoltarsi contro i persecutori in quanto, come dicevano, “dolce è la morte per la fede”.
I tredici martiri di Pratulin erano tutti uomini di età compresa tra 19 e 50 anni, dei quali però non sono state tramandate molte notizie sulla loro vita personale. Alla luce delle testimonianze paiono però uomini caratterizzati da una fede matura. La difesa della chiesa circondata dalle truppe armate non fu dunque un effetto dello zelo momentaneo o della temerarietà irresponsabile, ma la logica conseguenza della loro profonda fede. Essi credettero che il dare la vita per Cristo non significhi perderla, bensì conquistarne la pienezza. I martiri di Pratulin per molti aspetti ricordano i primi martiri del cristianesimo, quando molti semplici fedeli vennero uccisi per il solo fatto di confessare coraggiosamente la loro fede in Gesù Cristo.
I tredici martiri furono sepolti dai soldati russi senza rispetto, senza la partecipazione neppure dei più stretti familiari e senza lasciare alcun segno sulla loro tomba. I parrocchiani di Pratulin fortunatamente non dimenticarono i loro fratelli martiri ed a partire dal 1918, quando la Polonia riconquistò la libertà, la tomba cominciò ad essere oggetto di venerazione. Le spoglie dei martiri vennero poi infine traslate nella chiesa parrocchiale il 18 maggio 1990.
Il caso verificatosi a Pratulin non fu in realtà un atto sporadico. Particolarmente dal gennaio 1874 ogni parrocchia uniate in Polonia scrisse la sua storia di martirio. Lo zar abolì ufficialmente la diocesi uniate di Chelm nel 1875 e gli uniati, contro la loro volontà, vennero unificati alla Chiesa Ortodossa Russa. Gli uniati però non accettarono ciò e per la loro fedeltà alla Chiesa cattolica pagarono molte volte con la morte o con varie pene. Rimasti senza pastori sotto il potere russo, talvolta gli uniati ricevettero l’aiuto pastorale dei sacerdoti cattolici delle zone polacche rimaste sotto il potere austriaco e tedesco. La grande fede degli uniati e l’aiuto solidale ricevuto dalla Chiesa Cattolica permisero di superare le persecuzioni e di giungere finalmente alla liberta religiosa, ufficializzata il 30 aprile 1905 dal santo zar Nicola II. Proprio in tale occasione molti uniati in Podlachia e nella diocesi di Lublino si aggregarono alle parrocchie romano-cattoliche, essendo ormai smantellate le strutture della Chiesa uniate.
Essendo i martiri di Pratulin quelli relativamente ai quali si sono conservate un maggior numero di testimonianze, nonché la tomba, il vescovo della diocesi di Podlachia Enrico Przeździecki scelse proprio essi nel 1938 come candidati alla beatificazione in rappresentanza di tutti quei martiri che diedero la vita per la fede e per l’unità della Chiesa. Al loro martirio resero omaggio quasi tutti i papi a partire dal beato Pio IX, ma fu con il loro connazionale Giovanni Paolo II che si giunse alla beatificazione il 6 ottobre 1996 in San Pietro. Egli giudicò i martiri di Podlachia quale grande capitolo della storia della Polonia e rivelò perciò di portare la loro memoria nel suo cuore.
Questi beati potrebbero essere anche considerati oggi quali patroni dell’apostolato dei laici, esempi pratici di impegno nella vita della Chiesa e di responsabilità per la costruzione di una società fondata sulla legge di Dio.
Si riportano di seguito alcune brevi informazioni su ciascuno dei tredici martiri di Pratulin, dei quali è disponibile anche una buona iconografia sia dei singoli che dell’intero gruppo.

Vincenzo (Wincenty) Lewoniuk, nato a Krzyczew (Polonia) nel 1849, sposato, di anni 25. Uomo pio e di buona reputazione. Fu il primo a dare la vita per la difesa della chiesa e ciò gli meritò di essere posto a capo del presente gruppo.

Daniele (Daniel) Karmasz, nato a Przedmiecie Pratulin (Polonia) il 22 dicembre 1826, sposato, di 48 anni. Dalla testimonianza di suo figlio sappiamo che era un uomo di sentimenti religiosi e timorato di Dio. Presidente della confraternita parrocchiale, durante la difesa della chiesa si mise a capo fila della gente portando una croce che ancora oggi viene conservata a Pratulin.

Luca (Lukasz) Bojko, nato a Zaczopki (Polonia) il 29 ottobre 1852, celibe, di 22 anni. Suo fratello testimoniò che fu un uomo onesto, religioso e di buona reputazione. Durante la difesa della chiesa suonava le campane.

Costantino (Konstanty) Bojko, nato a Derlo (Polonia) il 25 agosto 1825, sposato, di 45 anni. Uomo buono e pio. Ferito gravemente durante la difesa della chiesa, morì a casa il giorno successivo, lasciando la moglie Irene e sette figli.

Costantino (Konstanty) Lukaszuk, nato a Zaczopki (Polonia) nel 1829, sposato, di 45 anni. Fu ferito nella difesa della chiesa e ciò comportò per lui la morte.

Aniceto (Anicet) Hryciuk, nato a Zaczopki (Polonia) nel 1855, celibe, di 19 anni. Giovane buono, religioso ed educato all’amore verso la chiesa. Uscendo da casa con il cibo per i difensori della chiesa a Pratulin, disse a sua madre: “Forse anch’io sarò degno di dare la vita per la fede”. Fu infatti ucciso presso la chiesa il 24 gennaio nelle ore pomeridiane.

Filippo (Filip) Geryluk, nato a Zaczopki (Polonia) il 26 novembre 1830, sposato, di 44 anni. Dalla testimonianza di suo nipote risultò essere un buon padre di famiglia, pio ed onesto. Presso la chiesa incoraggiò gli altri alla perseveranza e lui stesso diede la vita per la fede.

Onofrio (Onufry) Wasyluk, nato a Zaczopki (Polonia) nel 1853, di 21 anni. Buon cattolico ed uomo giusto, stimato da tutti.

Bartolomeo (Bartlomiej) Osypiuk, nato a Bohukaly (Polonia) il 3 settembre 1843, di 30 anni. Sposato con Natalia, aveva due figli. Rispettato da tutti nel villaggio per la sua onestà, avvedutezza e religiosità. Gravemente ferito, fu trasportato a casa, ove morì pregando per i persecutori.

Ignazio (Ignacy) Franczuk, nato a Derlo (Polonia) nel 1824, di 50 anni. Sposato con Elena da cui ebbe sette figli. Da suo figlio sappiamo che educò i figli nel timore di Dio. La fedeltà a Dio fu per lui il valore più importante. Preparandosi ad andare a Pratulin per difendere la chiesa, indossò un abito pulito affermando che tutto avrebbe potuto succedere, anche che egli non fosse più tornato. Dopo la morte di Daniel Karmasz prese la sua croce e si mise in prima fila con i difensori.

Giovanni (Jan) Andrzejuk, nato a Drelów (Polonia) il 9 aprile 1848, di 26 anni. Sposato con Marina da cui ebbe due figli. Stimato da tutti quale uomo buono e prudente. Mentre si avviò a Pratulin per difendere la chiesa, si congedò da tutti presupponendo che potesse essere l’ultima volta. Gravemente ferito fu trasportato a casa, dove morì durante la notte.

Massimo (Maksym) Hawryluk, nato a Bohukaly (Polonia) il 2 maggio 1840, di 34 anni. Sposato con Domenica, stimato dalla gente quale uomo buono e onesto. Gravemente ferito presso la chiesa, morì il giorno seguante.

Michele (Michal) Wawryszuk, nato a Derlo (Polonia) nel 1853, celibe, di 21 anni. Lavorava nella tenuta di Paolo Pikula a Derło. Godeva buona fama. Gravemente ferito presso la chiesa, morì il giorno dopo a Derło.



Stellina788
00lunedì 24 gennaio 2011 14:11

Santa Xenia (Eusebia di Milasa) Vergine

24 gennaio

 

Di s. Eusebia di Milasa vi sono poche notizie e la sua ‘Vita’ è piena di elementi leggendari, provenienti anche da fonti mitologiche.
Nacque a Roma, nel secolo V, cristiana convinta, volle dedicare la sua verginità a Dio, pertanto rifiutò le nozze che gli venivano proposte. Trascorse la sua vita a Milasa in Caria, antica regione sud-orientale dell’Asia Minore, abitata da popolazioni di stirpe asiatica, colonia greca, specie sulla costa dove fiorirono città come Mileto, Alicarnasso, Magnesia, Cnido.
A Milasa visse con il nome di Xenia e un miracolo operato da lei confermò la sua santità fra la popolazione. Ulteriori notizie sia pure leggendarie sono riportate nella “Bibliotheca Hagiographica Graeca”, 3 voll. edita in 3a edizione a Bruxelles 1957, in lingua greca o francese.
La sua festa si celebra il 24 gennaio. I due nomi Eusebia e Xenia sono di origine greca, Eusebia significa ‘pia, religiosa’ dal greco Eysèbios, comunque è un nome ormai poco usato al femminile, mentre Xenia nell’Oriente cristiano e nei Paesi ortodossi ha avuto più fortuna.



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