25 giugno

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Stellina788
00venerdì 24 giugno 2011 10:41

Sant' Adalberto di Egmond Diacono ed abate

25 giugno

sec. VIII

Etimologia: Adalberto = di illustre nobiltà, dal tedesco

Martirologio Romano: A Egmond in Frisia, nell’odierna Olanda, sant’Adalberto, diacono e abate, che aiutò san Villibrordo nell’evangelizzazione.


È noto da fonti assai tardive e poco attendibili. Se­condo la Vita, composta per ordine di Egberto, vescovo di Treviri (977-993), da Ruoperto, monaco di Mettlach, Adalberto si trasferì dal­l'Inghilterra, sua patria, in Olanda, al seguito di s. Willibrordo, di cui fu discepolo e zelante colla­boratore nella evangelizzazione dei Frisoni. Si è parlato di una sua origine reale e lo si è voluto identificare con Adalberto di Echternach (+ 739), successore di s. Willibrordo nel governo di quel­l'abbazia, o addirittura con s. Ethelberto, re del Kent. Ma si tratta soltanto di ipotesi gratuite. Non è invece improbabile che il nostro Adalberto si debba identificare con l'Adalberto che sottoscrisse, con altri aba­ti, un diploma di Pipino a s. Willibrordo nel 714. Sembra certo che sia stato diacono (levita Christi) e abbia fon­dato una chiesa ad Egmond, presso Alkmaer, nel­l'Olanda del nord. Si ignora l'anno della sua morte, che, se è giusta l'identificazione con l'Adalberto del diplo­ma di Pipino, dovette avvenire dopo il 714.
Gli furono attribuiti molti miracoli sia nella Vita già citata, sia in un altro scritto composto ad Egmond nei secc. XII e XIV. Le più antiche memorie del culto ri­salgono al sec. X. Risulta venerato sia ad Egmond, dove la tradizione localizza il suo sepolcro e dove, al tempo di Carlo il Semplice, nel 923, il conte Teodorico II eresse un monastero che portava il suo nome; sia anche nelle diocesi di Treviri e di Colonia. Il nome di Adalberto ricorre anche, nel sec. X, nelle litanie di Utrecht premesse al Salterio di Wolbodone, e nel Breviario delle reliquie di s. Bavone di Gand. Le reliquie di Adalberto, agli inizi del sec. X, furono racchiuse in una artistica cassa da Teodo­rico I, conte d'Olanda. Rimasero custodite nel­l'abbazia di Egmond fino al 1573, quando l'abbazia fu devastata e le reliquie si credettero perdute. Fu­rono ritrovate alla metà del sec. XIX nella chiesa di S. Bernardo di Haarlem, donde poi, nel 1890, furono trasferite nella chiesa parrocchiale di Egmond. Il santo è festeggiato il 25 giug. nel Mar­tirologio Romano e in quello benedettino : è ono­rato specialmente nelle diocesi di Haarlem, di Utrecht e di Treviri. Adalberto è raffigurato come dia­cono, con la dalmatica e una corona ai piedi. Re­centemente è stata restaurata la vita benedettina a Egmond dalla congregazione di Francia o di Solesmes, che vi ha fondato un priorato dedica­to ad Adalberto.



Stellina788
00venerdì 24 giugno 2011 10:42

Santi Domenico Henares e Francesco Do Minh Chieu Vescovo e laico, martiri

25 giugno

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+ Nam Dinh, Vietnam, 25 giugno 1838

Francesco Do Minh Chieu, nato da famiglia cristiana in Vietnam, era fedele catechista e collaboratore del suo vescovo, s. Domenico Henares O.R, quando, nel 1838, scoppiò la persecuzione anticristiana. I persecutori stendevano sulle strade dei crocifissi e riconoscevano i cristiani dal fatto che essi non solo evitavano di calpestare la croce, ma anzi la veneravano. Francesco, attraversando una di queste strade, si affrettò a togliere tutti i crocifissi perché non venissero calpestati dai passanti, e se li strinse al petto con profonda venerazione. Fu violentemente percosso, arrestato e condannato alla decapitazione "per aver rifiutato di calpestare la croce".
 

Martirologio Romano: Nella città di Nam Định nel Tonchino, ora Viet Nam, santi Domenico Henares, vescovo dell’Ordine dei Predicatori, e Francesco Đỗ Minh Chiểu, martiri, dei quali il primo propagò per quarantanove anni la fede cristiana, il secondo, catechista, operò assiduamente con lui: entrambi furono decapitati insieme per Cristo sotto l’imperatore Minh Mạng.


Questo vescovo missionario domenicano e il suo catechista, Francesco Chiéu, fanno parte della gloriosa schiera dei 77 martiri annamiti e cinesi beatificati da Leone XIII il 7-5-1900. Domenico nacque a Baena, nella diocesi di Córdoba (Spagna) il 19-12-1765 da poveri genitori. Ancora giovanotto il Signore lo chiamò a servirlo nell'Ordine dei Frati Predicatori di cui vestì l'abito nel convento di Santa Croce in Granada (1783). Sentendo crescere in sé il desiderio di consacrare la sua vita alle missioni, appena fece la professione religiosa, ottenne di essere affiliato alla provincia domenicana delle Filippine, alla quale era stata affidata l'evangelizzazione del Tonchino orientale (Vietnam). Dopo essersi preparato all'apostolato nel celebre convento di Ocana, Domenico salpò da Cadice il 29-9-1785 per quelle isole con altri confratelli, tra cui S. Ignazio Delgado y Cebriàn (112-7-1838), e vi giunse il 9-7-1786, dopo un lungo e faticoso viaggio. A Manila, mentre frequentava i corsi di teologia, fu incaricato d'insegnare lettere nel collegio di San Tommaso. Poco dopo l'ordinazione sacerdotale (1789), fu mandato come missionario apostolico nel Tonchino orientale. Partì perciò per Macao, dove, all'inizio del 1790 si unì con il P. Delgado e altri due sacerdoti, anch'essi in viaggio per il medesimo Vicariato Apostolico.
Poiché il santo conosceva la lingua annamita, appena approdò nel Tonchino potè iniziare il ministero pastorale. I superiori della missione non tardarono ad apprezzare la pietà, la prudenza, la purezza di vita e la singolare pazienza di lui. Gli affidarono difatti la dirczione del seminario eretto a Tién-Chu per la preparazione dei preti indigeni. Nel delicato ufficio dovette dare ottima prova se il capitolo del 1798 lo nominò pro-vicario provinciale e, l'anno dopo, Vicario generale di Mons. Delgado, eletto Vicario Apostolico del Tonchino orientale dopo la morte di Mons. Feliciano Alonso. Pio VII nel 1800 lo nominò vescovo di Fez e coadiutore di Mons. Delgado.
Mons. Henares fu ordinato vescovo a Phunhay nel 1803, ma la nuova dignità non lo indusse a mutare il suo umilissimo genere di vita. Anzi, da quel giorno si sentì acceso da un più ardente zelo per le anime e da una più viva brama di martirio. Un giorno gli giunse dalla Spagna la notizia che gli era nata una nipotina. Allora egli compose la seguente preghiera, e la mandò al fratello perché la insegnasse alla fìgliuoletta appena fosse stata in grado di balbettarla: "Dolcissimo Gesù mio, padre della mia anima e del mio cuore, per la tua santa passione, per i meriti e l'intercessione della Vergine Maria, tua SS. Madre, ti prego di guardare con occhio misericordioso e liberare da ogni male il vescovo Fra Domenico, mio zio. Concedigli il tuo divino amore, di modo che, da esso acceso, tutte le opere sue siano di tuo servizio e, se sarà a maggiore onore e gloria tua, concedigli la grazia di spargere il suo sangue e di dare la vita per amor tuo, in testimonianza della tua fede. Amen".
Ogni anno lo zelante pastore visitava tutte le cristianità del suo Vicariato per amministrare i santi sacramenti e confermare nella fede i battezzati ancora tanto proclivi a coltivare superstizioni. L'evangelizzazione dell'Indocina (Tonchino e Cocincina), oggi Vietnam, iniziata nel secolo XVI da qualche francescano, ebbe il suo metodico organizzatore nel P. Gesuita Alessandro de Rhodes (+1660). Ci furono delle persecuzioni ma, verso il 1653, circa 300.000 annamiti avevano già abbracciato la fede cattolica. Dal 1820 al 1840 il re Minh-Manh, intelligente, ma crudele e xenofobo, cercò di estinguere la fede nel suo regno. In principio fu tenuto a freno dal viceré della Cocincina, il vecchio Thuong-Cong, favorevole ai cristiani, ma dopo la sua morte, avvenuta nel 1833, il re diede ordine che i nuovi missionari fossero cacciati, che i cristiani rinnegassero pubblicamente la loro religione calpestando il crocifisso, che le chiese fossero distrutte e soppresso l'insegnamento religioso.
Nel 1836 furono chiusi i porti agli europei e i sacerdoti ricercati attivamente. I cristiani perirono a migliaia benché di pochi sia stato possibile raccogliere notizie sufficientemente sicure da introdurre il loro processo di beatificazione. Tra le vittime più illustri figurano Mons. Ignazio Delgado y Cebriàn e il suo coadiutore, S. Domenico Henares, entrambi domenicani spagnuoli che lavoravano nelle missioni da quasi cinquant'anni. La persecuzione riprese più violenta nel 1838 motivo per cui, i due presuli, furono costretti a nascondersi ora in questo ora in quel villaggio per sfuggire alla caccia dei soldati. Il 29 maggio Mons. Delgado fu sorpreso a carcerato a Kién-Lao. Mons. Henares, che si trovava con lui, riuscì a sottrarsi alle ricerche dei soldati rifugiandosi nella casetta di una cristiana. La pia donna lo nascose dietro un graticcio di canne, che serviva per l'allevamento dei bachi da seta. Appena però i soldati si furono ritirati, per non esporre la sua ospite alla vendetta dei persecutori, nel cuore della notte egli, non potendo camminare per l'età e gli strapazzi sofferti, si fece trasportare sopra una lettiga nella vicina cristianità di Dàt-Vuot, seguito dall'inseparabile suo catechista, S. Francesco Chiéu, al quale aveva insegnato latino e teologia nel seminario di Tién-Chu. Al momento della persecuzione non aveva voluto separarsi dal vescovo fuggiasco e ricercato dai soldati quasi fosse un bandito. Francesco era riuscito a raggiungere Xuong-Dién, sul mare, con Mons. Henares, nella speranza di potere trasferirsi con lui in un'altra provincia. Vedendosi ricercati, presero a noleggio una barchetta ma, per il vento contrario, non riuscirono a prendere il largo. Il prefetto del villaggio, fingendosi loro amico, esortò i cristiani della riva a fare loro segno di ritornare a terra perché intendeva offrire loro ospitalità. I due missionari furono albergati in casa di un pescatore di nome Nghiém, ma il 9-6-1838 il prefetto del villaggio li denunciò al mandarino e costui li fece arrestare dai soldati.
Gli sgherri rinchiusero il vescovo in una gabbia di bambù, e posero una pesante canga al collo del catechista e del padrone della capanna in cui i missionari avevano trovato rifugio. Costoro furono condotti a Nam-Dinh, capitale della provincia. Davanti alla porta della città, Francesco, che camminava alla testa del corteo, a piedi, vide con orrore che erano state distese per terra delle croci perché fossero calpestate dai viandanti. Accelerò il passo, raccolse quelle croci, se le strinse al seno, e non se le lasciò strappare di mano nonostante le battiture dei soldati finché non passò la gabbia che racchiudeva Mons. Henares. I mandarini, furenti per quel gesto, lo fecero imprigionare in un luogo separato dal carcere in cui rinchiusero il vescovo.
Il processo fu istruito la notte stessa dai magistrati della città. Alla loro presenza Mons. Henares fece pubblica professione di fede. Con le loro subdole domande non riuscirono a carpirgli nessuna indiscrezione riguardo ai suoi confratelli, ed allora risolsero di convocare simultaneamente alla loro presenza anche i missionari che erano già riusciti ad arrestare. La gioia dei confessori di rivedersi fu grande, ma troppo breve. Il Vicario Apostolico, Mons. Delgado, e il suo coadiutore, Mons. Henares, attraverso i fori delle loro gabbie ebbero modo di scambiarsi le loro impressioni in spagnuolo e animarsi vicendevolmente al martirio. Si separarono con la certezza che si sarebbero visti di nuovo tra breve in cielo. L'infelice Nghiém, atterrito dalle minacce dei tormenti, rinnegò la fede calpestando e bestemmiando la croce. Anche Francesco fu invitato, in ossequio al re, a quel gesto sacrilego, ma egli rispose: "Dio è il vero sovrano, principio di tutte le cose e veramente da adorarsi; non vilipenderò mai la croce". In ricompensa, prima di rimandarlo in prigione, i giudici inviperiti lo fecero flagellare fino al sangue. Nell'attesa della sentenza reale fecero altri tentativi per salvare dalla morte il loro connazionale, ma Francesco spiegò loro le principali verità della fede e concluse il suo sermone dicendo: "Il governatore permetterebbe che un figlio camminasse sopra il corpo del proprio padre disteso per terra? E quanto meno sarà lecito a me camminare sull'immagine del Signore del cielo e della terra che tutto il mondo deve amare e adorare? Eppure il governatore vorrebbe che io calpestassi la croce!... Quand'anche mi strappasse le viscere, non oserei commettere così grande delitto!".
Accecati dal furore, i magistrati lo consegnarono ai soldati perché lo flagellassero un'altra volta. Essi lo percossero con tanta violenza da strappargli brandelli di carne. Perché si ostinava a non calpestare la croce lo posero persino a sedere sopra una tavola irta di chiodi. I due missionari furono condannati alla decapitazione perché maestri di una falsa religione. Appena ne ebbero notizia, essi si mostrarono pervasi da così grande letizia da destare ammirazione negli stessi pagani. I soldati li condussero al luogo dell'esecuzione capitale tra due fitte ale di popolo portando, inalberate sopra una picca, le sentenze di morte. Mons. Henares ogni tanto leggeva un libretto di preghiere, ogni tanto confortava i cristiani accorsi a rendergli l'estremo tributo di affetto. Francesco, benché carico della canga e ridotto tutto una piaga, diceva a coloro che vedeva in lacrime: "Perché piangete? Oggi, maestro e discepolo, entreremo insieme nella vera patria; tornatevene tranquilli alle vostre case". I mandarini avevano costretto tre soldati cristiani ad essere presenti a quella scena ferale per indurii all'apostasia, ma il vescovo, appena li vide, disse loro: Figli miei, sopportate da forti ancora per poco tempo i patimenti e conquisterete il regno dei cieli". I tre coraggiosi atleti gli risposero ad una voce: "Tu, o padre, quando entrerai in quel beato regno, ricordati di pregare per noi". Giunti al luogo del supplizio Francesco s'inginocchiò per raccomandare l'anima propria a Dio, ma il carnefice gli mozzò la testa al terzo colpo sotto gli occhi del vescovo. La stessa fine fu riservata subito dopo a costui, che tutti chiamavano il padre dei poveri. Non disponendo di grandi ricchezze , per soccorrerli rammendava con le proprie mani le loro vesti, abbreviando le ore di sonno.
Appena i due martiri furono decapitati, i fedeli e i pagani si precipitarono sui loro corpi per astergerne con pannilini il sangue e appropriarsi di brandelli delle loro vesti. I mandarini, pieni di confusione per quegli attestati di venerazione, comandarono che i giustiziati fossero immediatamente seppelliti, e comminarono pene severe a coloro che, in casi simili, fossero stati sorpresi a raccogliere sangue. La testa di Mons. Henares fu esposta dentro una cesta per sette giorni lungo la via che conduceva alla vicina città, poi fu gettata nel fiume Vi-Hoàng, legata a grosse pietre perché non fosse ritrovata. Provvidenza volle, invece, che andasse a finire nella rete di un pescatore cristiano.
I resti dei due martiri sono conservati, con quelli di altri nove, vittime del re Minh-Manh, nella città di Bùi-Chu. Essi furono canonizzati da Giovanni Paolo II il 19-6-1988.



Stellina788
00venerdì 24 giugno 2011 10:42

Beata Dorotea da Montau Vedova

25 giugno

+ 1394

Martirologio Romano: A Marienwerder nella Prussia polacca, beata Dorotea da Montau, che, vedova, visse reclusa in una cella costruita accanto alla cattedrale, dandosi senza sosta ad una vita di orazione continua e di penitenza.


Dorotea nacque il 6 febbraio 1347 in Prussia, nella cittadina di Montau, sulla Vistola. Le antiche biografie raccontano che fin da giovanissima mortificava il proprio corpo e che ricevette le stimmate invisibili, i cui dolori tenne nascosti. Andò sposa a sedici anni, nella cittadina di Danzica (Polonia), ad un maturo armaiolo, Adalberto, benestante e buon cristiano, ma dal carattere difficile. Ebbero nove figli che morirono tutti in giovane età, eccezion fatta per una che vestirà l’abito benedettino a Kulm. A lei la santa dedicherà un piccolo trattato di vita spirituale.
A trentuno anni Dorotea ebbe le prime estasi, lo stato di amore languente per il Signore. Inizialmente ricevette dal marito solo rimproveri, in seguito però si impegnarono di comune accordo alla continenza e andarono pellegrini ad Aquisgrana. Durante un successivo viaggio a Roma di Dorotea, per venerare le tombe degli apostoli, Adalberto morì (1390) e Dorotea, profondamente trasformata, si trasferì a Marienwerder. Qui incontrò il suo direttore spirituale, Giovanni da Marienwerder (1343-1417), dell’Ordine Teutonico, professore a Praga. Era un saggio teologo e, accortosi della grandezza spirituale della penitente, iniziò nel 1392 a trascrivere le sue visioni e il suo insegnamento. Nel 1393 Dorotea si ritirò da reclusa in un locale nei pressi della cattedrale, facendo ogni giorno la comunione, cosa a quei tempi eccezionale. Con l’esempio edificava quanti andavano a trovarla e le vennero attribuite diverse conversioni. Non frequentò mai una scuola, ma aveva un discreto bagaglio culturale, grazie ai suoi viaggi e ai contatti con eminenti ecclesiastici. Oltre all’Ordine Teutonico, fu vicina alla spiritualità domenicana ed ebbe come modello s. Brigida, le cui reliquie passarono per Danzica nel 1374 e di cui conobbe la vita e le rivelazioni.
Grazie all’intuito del confessore, tra il 1395 e il 1404, vennero alla luce diverse opere. Furono edite due “vitae” dai Bollandisti (una rimase inedita) e il “Septililium”, in cui i carismi della mistica sono presentati come effusioni straordinarie dello Spirito Santo. Sono sette le grazie ricevute da Dio: “de caritate”, “de Spiritus Sanctus missione”, “de Eucharistia”, “de contemplatione”, “de raptu”, “de perfectione vitae christianae”, “de confessione” . C’è poi il “Liber de festis” in cui le visioni sono riferite secondo le ricorrenze liturgiche. La dottrina di Dorotea si propone di rinnovare l’uomo attraverso tre percorsi: rimuovere il peccato che toglie all’uomo la somiglianza a Dio, rendendolo simile alle bestie, purificarsi attraverso l’umiltà e le penitenze che fanno crescere le virtù teologali e morali, partecipazione alla Passione di Cristo, dedizione ai poveri, desiderio dell’Eucaristia. Attraverso un lungo percorso di rinnegamento di sé l’anima è successivamente, in modo graduale, trasformata dallo Spirito Santo. Lo stadio ultimo è quello “unitivo”, che inizia col rinnovamento del cuore. Gesù parla a Dorotea, contrapponendo i suoi peccati alla beatitudine celeste, portandola al matrimonio spirituale con Dio. L’anima sente la presenza e la volontà divina, vivendo in sua costante uniformità, come in una dimora, ricevendo virtù, doni, beatitudini, frutti. È la perfezione cristiana, che si può raggiungere solo con la grazia del Signore.
Dorotea morì a Marienwerder il 25 giugno 1394 e fu subito venerata come santa e patrona della Prussia. È rappresentata con in mano il libro delle rivelazioni, la corona del rosario e cinque frecce, le stimmate. La sua spiritualità è stata paragonata a quella di S. Brigida e S. Caterina da Siena.



Stellina788
00venerdì 24 giugno 2011 10:43

Sant' Eurosia di Jaca Martire

25 giugno

m. 714

Emblema: Palma

Martirologio Romano: A Jaca nella Spagna settentrionale, santa Eurosia, vergine e martire.


Secondo la tradizione Santa Eurosia nacque nell’anno 864 dalla nobile famiglia del duca di Boemia, il suo nome era Dobroslava il cui equivalente greco è Eurosia; rimasta quasi subito orfana di entrambi i genitori, venne accolta dal nuovo duca Boriboy e dalla sua giovane moglie Ludmilla, questi la trattarono come vera figlia e si prodigarono per il diffondersi della religione cristiana in tutta quella regione, così anche Dobroslava venne battezzata ed assunse il nome greco di Eurosia. Furono quelli anni di pace e di fede e la giovane Eurosia si distinse per bontà ed altruismo, ma purtroppo un gruppo di cechi-boeri pagani presero il potere e costrinsero la famiglia ducale all’esilio, esilio che durò ben poco grazie soprattutto all’opera del grande San Metodio, il duca e la sua famiglia poterono rientrare trionfalmente in Boemia. Nell’anno 880 San Metodio si recò a Roma da Papa Giovanni VII, questi era impegnato in un difficile caso, trovare una degna sposa per il figlio del conte spagnolo d’Aragona, Fortun Jimenez, era questi erede al trono di Aragona e Navarra impegnato nella lotta contro gli invasori arabi saraceni; Il Papa chiese aiuto a San Metodio, il quale senza dubbio alcuno indicò la giovane principessa Eurosia, quindi ritornò in Boemia con una ambasciata aragonese e raccolse l’accettazione del duca e di Santa Eurosia, la quale lasciò il proposito di dedicarsi totalmente a Cristo, vedendo nell’intervento del Papa un supremo disegno della volontà di Dio. Iniziò così il viaggio verso la Spagna, era l’anno 880, arrivati però ai Pirenei, era necessario valicarli per incontrare il suo sposo nella cittadina di Jaca, tuttavia tutta questa zona subì improvvisamente una feroce invasione di saraceni capitanati dal rinnegato Aben Lupo, questi ucciso l’ambasciatore che doveva annunziare l’arrivo di Eurosia, e saputo del matrimonio col principe aragonese, si mese in animo di catturarla e trattenerla con sé.

La comitiva con Eurosia, avvertita dell’accaduto, fu costretta a nascondersi sui monti, ma il feroce bandito saraceno riuscì a trovarli, questi cercò con buoni modi di ottenere i favori della giovane Eurosia, voleva che essa rinnegasse Gesù Cristo, rinunciasse al principe aragonese per divenire sua sposa; Eurosia però si oppose decisamente a tali diabolici progetti, provocando in tal modo l’ira del bandito che diede l’ordine di uccidere tutti. Grazie all’eroismo di alcuni ambasciatori spagnoli appartenenti alla comitiva, Eurosia riuscì a fuggire ma inseguita e raggiunta subì un tragico martirio, le vennero amputate le mani e recisi i piedi, tuttavia Santa Eurosia in ginocchio col volto fisso al cielo pregava con fierezza, nel contempo nebbie e nuvole minacciose salivano dalle valli e un lampo improvviso scese vicino ad Eurosia, senza provocarle danni, tutti i saraceni ebbero gran paura ma il capo bandito preso da rabbia mista a terrore diede l’ordine di decapitarla, Eurosia alzando i sanguinanti moncherini al cielo chinò il capo pregando è così venne uccisa decapitata, aveva solo sedici anni. Contemporaneamente si scatenò un grandinare furibondo, uno scrosciare spaventoso di acque, folgori e tuoni assordanti, venti fortissimi, i saraceni fuggirono terrorizzati mentre da cielo una voce più potente della tempesta diceva: “Sia dato a Lei il dono di sedare le tempeste, ovunque sia invocato il suo nome!”.

Trovati miracolosamente le sue spoglie due anni dopo venne canonizzata a Jaca il 25 giugno, la sua festa ricorre ancora oggi il 25 giugno,è invocata contro le tempeste, i fulmini, le grandinate e anche per i frutti della terra. Il suo culto si diffuse in tutta la Spagna e grazie ai soldati spagnoli anche nel Nord Italia, soprattutto nelle zone collinari vinicole, da qui la spiegazione del culto di questa santa nel nostro paese.



Stellina788
00venerdì 24 giugno 2011 10:44

Santa Febronia Martire in Persia

25 giugno


Il Martirologio Romano commemora il 25 giugno a Sibapoli (ossia Nisibi) il martirio di Febronia al tempo dell'imperatore Diocleziano e del prefetto Lisimaco. Dopo i lunghi tormenti che le furono inflitti a causa della sua ostinazione nell'attaccamento alla fede, ella sarebbe stata decapitata.

L'origine della notizia del Martirologio Romano va ricercata nei sinassari bizantini, i quali, infatti, dedicano ad Febronia, nello stesso giorno, una lunga notizia secondo cui costei era monaca e, nonostante i pericoli della persecuzione, aveva rifiutato di seguire le sue compagne nella fuga. La notizia dei sinassari bizantini è a sua volta un sunto di una passio greca che il Papebroch ha pubblicato con una traduzione latina; esiste anche di Febronia una passio siriaca pubblicata da P. Bedjan in base a due mss. del British Muscum, uno dei quali risale al sec. VII.

Già il Tillemont (V, pp. 178-79, 654) aveva negato ogni autenticità alla passio greca, sebbene essa si presenti come scritta da Artemide, una monaca testimone degli avvenimenti narrati; altrettanto si deve dire di quella siriaca da cui la greca dipende, come ha provato recentemente J. Simon.

Non si nota alcuna traccia di culto verso s. Febronia prima del sec. VII, quando il suo nome appare nei Miracula Artemii (BHG, 1, p. 65, n. 173) condividendo con questo santo il ruolo di taumaturga. Va notato che in questo testo è fatta menzione dell'imperatore Eraclio che aveva, appunto, una figlia di nome Febronia: ci si è quindi chiesti se questo fatto non debba porsi in relazione con l'improvviso culto reso alla supposta martire. L'ipotesi è ammissibile per ciò che riguarda la diffusione della popolarità di Febronia nell'impero bizantino, ma difficilmente spiega la sua origine nel confini estremi dell'impero, in ambiente nestoriano, dove J. Simon pone la nascita della leggenda. Corredando di diversi esempi la sua affermazione, TI sapiente agiografo conclude così il suo studio: «Per reazione contro il monofisismo, gli agiografi nestoriani della regione di Nisibi cercarono di mantenere vive le tradizioni dell'epoca anteriore alla rottura con Bisanzio e all'occorrenza non si esimevano dall'inventarne. Scritta in siriaco per la gloria dell'ellenismo, la passio di Febronia mira a mostrare agli abitanti di Nisibi che il passato della loro città si ricollega alla Chiesa greca. Come Edessa, divenuta la città santa dei monofisiti, Nisibi doveva possedere dei martiri anteriori alla persecuzione di Sapore. F. è una di queste figure create sul modello delle figure epiche dell'agiografia bizantina» (J. Simon, op. cit., p. 76).

Resterebbe tuttavia da spiegare un punto: il trasferimento, cioè, del culto di Febronia dal suo ambiente di origine (nestoriano), alla chiesa monofisita. Dei martirologi siriaci pubblicati da Nau, quattro almeno fanno menzione del martirio di Febronia al 25 hazirán (= 25 giugno) né la sua menzione manca nel Martirologio di Rabbán Slibà.

Una chiesa di Trani (Puglia) ha preteso, ad un certo punto, di possedere il corpo di Febronia e numerose chiese e monasteri d'Italia e di Francia le tributano un culto particolare.



Stellina788
00venerdì 24 giugno 2011 10:44

Beato Fulgenzio de Lara Mercedario

25 giugno

+ 1287

Inviato più volte in redenzione dall’Ordine Mercenario, il Beato Fulgenzio de Lara, nel 1280 fu in Andalusia (Spagna), poi passò in Africa. In Marocco convertì molti infedeli a Cristo e liberò dalla tirannia dei mussulmani più di 200 schiavi e lì morì in pace nell’anno 1287.
L’Ordine lo festeggia il 25 giugno.




Stellina788
00venerdì 24 giugno 2011 10:45

Beato Giovanni di Spagna Monaco

25 giugno

m. 1160

Nato in Spagna, fu fondatore e primo priore della Certosa di Le Reposoir in Svizzera. Su richiesta di Sant'Anselmo, superiore generale, iniziò il ramo femminile.

Martirologio Romano: Nella Certosa de Le Réposoir nella Savoia, beato Giovanni di Spagna, monaco, che scrisse gli statuti per le monache dell’Ordine Certosino.


Nato ad Almansa (Leon), venne, all'età di tredici anni, in Francia per dedicarsi agli studi, soggiornando dapprima ad Arles, ritirandosi poi in solitudine sotto la direzione di un monaco basiliano. Dopo trenta mesi, ottenne di entrare nella certosa di Montreux, allora nella diocesi di Tolone. Eletto priore, si dedicò alla costruzione ed al restauro della sua casa; compose e corresse dei mss. e su preghiera di s. Anselmo, redasse le costituzioni per le religiose Cesarine di Prata-Bajone, le quali avevano chiesto l'affiliazione all'Ordine Certosino.
Fu costretto a lasciare la casa due anni dopo l'inizio del priorato e si rifugiò con alcuni membri della sua comunità alla Gran Certosa. Fu quindi inviato a fondare, presso il lago di Ginevra, una nuova Certosa (Le Reposoir). Dopo nove anni di priorato, morí trentasettenne il 25 giugno 1160.
Un oratorio fu elevato sulle sue reliquie, che Carlo Augusto, nipote e successore di s. Francesco di Sales, l'8 settembre 1649, fece trasferire nella sacrestia della chiesa: un'altra traslazione veniva effettuata il 6 ottobre 1650. Da questa data al 1926 la storia delle reliquie di Giovanni è particolarmente movimentata, a causa degli avvenimenti politici, succedutisi in Francia ed in Italia e l'espulsione dei religiosi dalla Francia nel 1901. Dal 19 dicembre 1926 esse sono in possesso delle monache certosine di Beauregard. Il culto fu riconosciuto nel 1864. Nell'Ordine Certosino e nella diocesi di Frejus la sua festa si celebra il 25 giugno, mentre nella diocesi di Annecy il 9 luglio.



Stellina788
00venerdì 24 giugno 2011 10:46

Beata Maria Lhuilier Vergine e martire

25 giugno

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Arquenay, Francia, 18 novembre 1744 – Laval, Francia, 25 giugno 1794

Prestò giuramento con le suore ospitaliere della Misericordia di Gesù. Perseguitata dopo lo scoppio della rivoluzione francese, morì martire per aver rifiutato il giuramento agli ideali rivoluzionari.

Martirologio Romano: A Laval in Francia, beata Maria Lhuillier, vergine e martire, che, accolta tra le Ospedaliere della Misericordia, durante la rivoluzione francese, strenuamente fedele alla Chiesa nei voti religiosi, morì decapitata.


Marie Lhuilier, Canonichessa Regolare Ospitaliera della Misericordia di Gesù, fa parte del gruppo di 19 martiri di Laval beatificati il 19 giugno 1955. Era nata Arquenay, in Francia, il 18 novembre 1744 e, cresciuta analfabeta, rimase ben presto orfana. Dopo aver prestato servizio presso una signora del luogo, andò a bussare alla porta del convento di San Giuliano delle Suore Ospitaliere della Misericordia di Gesù. Fu posta al servizio dell’ospedale di Chàteau Gontier e, dopo molte sofferenze e umiliazioni, nel 1778 fu ammessa alla professione religiosa presso lo stesso istituto in qualità di suora conversa assumendo il nome di Suor Maria di Santa Monica.
Allo scoppio della Rivoluzione Francese, nel febbraio del 1794 le religiose furono costrette ad abbandonare l’ospedale ed a rifugiarsi presso Laval nell’ex-convento dello Orsoline. Accusata di aver distribuito a persone bisognose parte della biancheria già corredo delle suore presso l’ospedale, Marie Lhuilier fu arrestata e condotta davanti alla commissione. Il giudice dichiarò che avrebbe ignorato quella infrazione se solo la religiosa avesse prestato il giuramento di “libertà ed uguaglianza”, ma ella non ne volle proprio sapere. Il giudice minacciò allora la ghigliottina a lei ed a quante avessero seguito il suo esempio, ma ella imperterrita rispose: “Tanto meglio per me e per le mie consorelle. Se avremo la gioia di morire per la nostra fede, più presto avremo quella di vedere Dio”. Le insinuò il giudice: “Vedi bene che vogliamo salvarti e te ne offriamo il mezzo”. Ma la suora gli rispose: “Tutti i mezzi che mi proponete sono solo per ingannarmi: ma, grazie a Dio, voi non ci riuscirete. Io non voglio perdermi per tutta l’eternità”.
All’udire la sentenza di morte, la futura beata s’inginocchiò ed esclamò: “Mio Dio, quale grazia mi fate annoverandomi nel numero dei vostri martiri, mentre io sono una grande peccatrice”. Poi da sola si tagliò i capelli, allora un aiutante del boia l’afferrò e con un colpo di sciabola le squarciò le vesti. La martire impallidì per l’oltraggio subito e svenne. Appena riprese i sensi si limitò a commentare: “La morte non mi fa paura, ma avreste potuto risparmiarmi questo dolore”. Fu nuovamente invitata a prestare giuramento, ma ella sospirò: “O Dio! Preferire una vita passeggera e caduca ad una vita gloriosa ed immortale! No, no, preferisco la morte”. Prima di salire sul palco esclamò: “Mio Dio, io devo morire di una morte così dolce, mentre tu hai tanto sofferto per me!”. L’eccidio si consumò il 25 giugno 1794 presso Laval.



Stellina788
00venerdì 24 giugno 2011 10:46

San Massimo di Torino Vescovo

25 giugno

Metà IV secolo - 423 circa

Massimo guidò la diocesi di Torino, di cui è considerato il fondatore, nel travagliato periodo delle invasioni barbariche. Nato verso la metà del IV secolo, fu discepolo di sant'Ambrogio e di sant'Eusebio di Vercelli. Nonostante il suo carattere mite, che traspare dalle «Omelie» e dai «Sermoni» che ci sono pervenuti, propose ai sui fedeli un esempio di fermezza. «È figlio ingiusto ed empio - così li spronava a non lasciare la città - colui che abbandona la madre in pericolo. Dolce madre è in qualche modo la patria». Li esortava a anche a mantenersi irreprensibili nei costumi e a non confidare in superstizioni come l'invocazione della luna: «Veramente presso di voi la luna è in travaglio - scriveva con ironia -, quando una copiosa cena vi distende il ventre e il capo vi ciondola per troppe libagioni». La data della sua morte non è certa: avvenne tra il 408 e il 423. (Avvenire)

Etimologia: Massimo = grandissimo, dal latino

Emblema: Bastone pastorale, Mitra, Casula, Pallio

Martirologio Romano: A Torino, san Massimo, primo vescovo di questa sede, che con la sua parola di padre chiamò folle di pagani alla fede di Cristo e le guidò con la celeste dottrina al premio della salvezza.

Ascolta da RadioMaria:
  

Nella lista dei vescovi torinesi figura al primo posto San Massimo, semplicemente in quanto non è storicamente accertata la presenza di suoi eventuali predecessori. Alcune improbabili leggende vorrebbero invece che Massimo sia succeduto ad un certo San Vittore.
Massimo nacque in un imprecisato paese dell’Italia settentrionale nella seconda metà del IV secolo e fu chiamato a reggere la nuova cattedra episcopale di Julia Augusta Taurnorum appena eretta dal suo maestra Sant’Eusebio di Vercelli. Il sacerdote marsigliese Gennaio, storico cristiano, nella sua opera “De viris illustribus” ci presenta Massimo quale profondo conoscitore delle Sacre Scritture, forbito predicatore ed autore di parecchie preziose opere che gli hanno meritato di essere considerato uno dei padri minori della Chiesa universale. La citazione di Gennaio termina precisando che Massimo visse regnati Onorio e Teodosio il Giovane. Soppravisse però ad entrambi e prese parte al Sinodo di Milano nel 451, comparendo tra i firmatari di una lettera inviata in tale occasione al papa San Leone Magno. Presenziò inoltre al Concilio di Roma nel 465. In un documento di quest’ultimo la firma di Massimo segue immediatamente la firma del papa Ilario ed essendo la precedenza determinata dall’età si può supporre che fosse già parecchio anziano e si morto non molto tempo dopo. Molti storici collocano però la sua morte assai prima, solitamente verso il 423.
La poderosa mole di scritti tradizionalmente attribuiti a San Massimo costituisce indubbiamente un tesoro di inestimabile interesse per gli storici della teologia. L’edizione del 1784 curata da Bruno Bruni comprendeva ben 116 sermoni, 118 omelie e 6 trattati, oggi oggetto di un attento esame di autenticità, in quanto alcuni di essi potrebbero essere in realtà attribuibili ad altri autori, anche se non mette in dubbio che il corpus principale di tali opere sia innegabilmente di Massimo e ciò permetta di ricavarne alcuni dati storici e spirituali circa la sua vita terrena. Nel 397 fu testimone del martirio dei Santi Alessandro, Sisinnio e Martirio, vescovi missionari in Rezia. I suoi testi ci danno l’opportunità di scoprire i costumi e le condizioni di vita della popolazione lombarda ai tempi delle invasioni gotiche, in un’omelia è contenuta la descrizione della distruzione di Milano operata da Attila. Tramandò così la memoria dei primi martiri torinesi: “Tutti i martiri devono essere onorati con grandissima devozione, ma devono essere onorati da noi in modo speciale questi di cui possediamo le reliquie […] dimorarono con noi, sia che ci custodiscano mentre viviamo nel corpo sia che ci accolgano quando lo abbandoniamo”. Purtroppo si limitò però a citarne nel titolo i loro nomi, Ottavio, Avventore e Solutore, senza specificare nulla di più sul loro conto.
Approfittò di due omelie di ringraziamento per rammentare ai cristiani il dovere di lodare Dio quotidianamente in particolar modo con l’ausilio dei Salmi, mattino e sera, prima e dopo i pasti. Famose inoltre le sue esortazioni a fare il segno della croce prima di compiere qualsiasi azione, per assicurarsi sempre una benedizione. Condannò infine coloro che vendevano in cambio di denaro il perdono dei peccati anziché prescrivere adeguate penitenze.
Indubbiamente una grande fama di santità circondò il vescovo Massimo già in vita e la venerazione nei suoi confronti fu perpetuata dai fedeli dopo la sua morte. Il suo culto non incontrò però purtroppo particolare fortune nei secoli successivi, forse anche a causa della mancanza dei suoi resti mortali, solitamente centro della devozione popolare nei confronti di un santo. A Collegno ancora oggi sorge un’antica chiesa e ciò ha portato a supporre che essa avesse accolto per motivi ignoti la tomba di San Massimo, anche se dopo vari scavi archeologici nulla è mai venuto alla luce. A Torino solo nel XIX secolo gli furono dedicati un edificio sacro e la strada ad esso adiacente e sempre in tale secolo si tentò un processo per attribuirgli il prestigioso titolo di “Dottore della Chiesa”. Solo dal 2004 nella Basilica Cattedrale Metropolitana di San Giovanni Battista, in occasione del rinnovo degli arredi liturgici del presbiterio voluto dall’arcivescovo cardinal Severino Poletto, San Massimo è stato raffigurato sulla nuova cattedra episcopale destinata ai suoi successori. Recentemente anche la nuova parrocchia ortodossa russa di Torino è stata a lui dedicata. L’intera Regione Pastorale Piemontese, comprendente le diocesi di Valle d’Aosta e Piemonte tranne Tortona, commemora il protovescovo torinese al 25 giugno nel suo calendario liturgico.

PREGHIERA

O Dio, che in San Massimo, vescovo e servitore del tuo popolo,
hai dato alla Chiesa un’immagine viva del Cristo, buon pastore,
per la sua preghiera concedi a noi di giungere ai pascoli della vita eterna.
Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio,
e vive e regna con Te, nell’unità dello Spirito Santo,
per tutti i secoli dei secoli. Amen.
(nella diocesi di Torino:)
Proteggi, o Signore, questa Chiesa
Che san Massimo ha fondato con la parola di verità e i sacramenti della vita.
Con la sua predicazione ci hai dato di conoscere il Cristo salvatore:
per la sua intercessione fa che viviamo con coerenza la nostra vocazione di cristiani.
Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio,
e vive e regna con Te, nell’unità dello Spirito Santo,
per tutti i secoli dei secoli. Amen.



Stellina788
00venerdì 24 giugno 2011 10:47

San Moloc (o Luano) Venerato in Scozia

25 giugno

m. 592 circa

Martirologio Romano: A Rosemarkie in Scozia, san Moloc o Luano, vescovo.


Stellina788
00venerdì 24 giugno 2011 10:48

Beato Paolo Giustiniani Eremita camaldolese

25 giugno

Venezia, 15 Giugno 1476 – Monte Soratte, Roma, 25 giugno 1528

Era figlio della nobile famiglia Giustiniani di Venezia. Vi nacque il 15 Giugno 1476. Dopo essere diventato superiore maggiore nell'eremo di Camaldoli fino al 1520, ottenne da Leone X il permesso di fondare un nuovo istituto eremitico, il quale da principio fu chiamato la "Compagnia di San Romualdo".Più tardi ebbe il nome canonico di "Congregazione degli eremiti camaldolesi di Monte Corona" anche detti più brevemente "Montecoronesi". Tra gli eremi cui dette vita, dopo quello di Monte Cucco, che fu il primo eremo ad accoglierlo, vanno ricordati tra gli altri quello delle grotte di Cupramontana e quello di San Silvestro sul Monte Soratte. A Macerata fu imprigionato per amore e difesa degli eremiti. Trovandosi a Roma nel 1527, cadde prigioniero dei Lanzichenecchi, in quel terribile sacco. Fu torturato insieme a San Gaetani da Thiene, ma ne scampo riacquistando la libertà. Nella primavera del 1528 contrasse la peste a Viterbo. Non perfettamente guarito si rimise in viaggio alla volta di Roma per ricevere in donazione l'eremo del Monte Soratte. Ma proprio in quell'eremo morì di peste ancora giovane di 52 anni, il 25 Giugno 1528.



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00venerdì 24 giugno 2011 10:49

Santi Pietro (David) e Febronia (Eufrosina) Sposi e monaci

25 giugno

+ 1228


Di questi personaggi manca una biografia e le brevi notizie che se ne possono raccogliere derivano da sinassari ruteni e da menologi russi, riportati negli “Acta Sanctorum” e da memorie slave riassunte dal Martinov.
Pietr, principe russo, nato a Murom nella Vladimiria, regione a Nord-Est di Mosca, da Giorgio Vladimiride, sposà Febronia, anch’ella di famiglia principesca. Dopo lunghi anni di vita improntata ad ascetica severità di costumi e a generosa carità, ormai vecchi, decisero di abbracciare la vita religiosa. Entrarono pertanto in due monasteri diversi, Pietro professando col nome di David, Febronia con quello di Eufrosina. Morirono ambedue nel 1228 a distanza di pochi mesi l’uno dall’altra e furono sepolti in un unico sepolcro nella cattedrale di Murom, dove furono oggetto di intensa venerazione.
Il concilio di Mosca del 1547 ne fissò la festa al 25 giugno, e, in questa data, sono iscritti nei sinassari ruteni e nei menologi russi riportati dai Bollandisti. In merito alla posizione religiosa dei due santi in ordine allo scisma, questi ultimi credono di poterli considerare estranei ad esso e perciò li hanno accolti negli “Acta Sanctorum”: “securum extimamus Sanctorum titulum ipsis concedere, atque in hoc opere locum dare”.



Stellina788
00venerdì 24 giugno 2011 10:49

San Prospero d'Aquitania Monaco e teologo

25 giugno

Limoges (Francia), fine IV secolo - Roma, dopo il 455

Ha studiato nella nativa Aquitania (Gallia romana) ed è buon letterato e teologo. Ma non sarà prete. Vive per molti anni, dal 426, nei monasteri di Marsiglia e della sua regione, come monaco laico. Non è martire e non ha fatto miracoli. La Chiesa lo venera come maestro di fede. Tra i monaci marsigliesi, Prospero vede diffondersi una dottrina secondo cui l’uomo è capace di volere il bene e di salvarsi con la sola sua volontà, sicché la grazia divina è preziosa, ma non indispensabile. Diffonde queste idee il monaco Pelagio, venuto dall’Inghilterra a Roma, e poi fuggito nel 410 verso il Nordafrica con molti Romani, quando l’Urbe è stata saccheggiata dai Goti di Alarico. Poi, dall’Africa alla Palestina, ha raccolto molti seguaci (specie tra gli anacoreti, volontari della penitenza) e ha disorientato fedeli e vescovi. Al “pelagianesimo” ha reagito subito con energia Agostino vescovo di Ippona, con i trattati De peccatorum meritis, De natura et gratia e De spiritu et littera (412-415). Poi papa Innocenzo I e il concilio di Cartagine hanno respinto la dottrina di Pelagio.
Ma nel Marsigliese i monaci ce l’hanno con Agostino: i suoi trattati non li convincono, anzi! Si affretta Prospero a informare Agostino e a spiegargli che questi vanno orientati, c’è bisogno ancora di spiegare, di chiarire... Agostino si rimette al lavoro, scrivendo un nuovo trattato con chiarimenti: è l’ultima sua opera prima di morire (a poca distanza da Pelagio). Ma ancora invano: quelli tengono duro; e come loro nel mondo cristiano ce ne sono molti... Così, Prospero si vota alla battaglia dottrinale e alla difesa di Agostino dalle accuse scaturenti a volte da incomprensione, da partito preso, da ignoranza, da certi modi agostiniani di esprimersi, certa sua passionalità. Prospero non è un polemista. È uno che vuol far capire. È quello che assicura "l’integrazione della dottrina agostiniana su grazia e predestinazione nel patrimonio teologico della Chiesa" (G. de Plinval). Nel 440 accompagna a Roma l’arcidiacono Leone, che al suo arrivo sarà eletto Papa, succedendo a Sisto III, e si servirà di lui come estensore di testi dottrinali. Gran lavoratore, Prospero scrive anche di storia romana; fra le ultime opere teologiche si ricorda il trattato De vocatione omnium gentium, che è il primo scritto cristiano dedicato alla salvezza dei non-cristiani. Muore in data incerta dopo il 455 e non si conosce il luogo della sua sepoltura.

Etimologia: Prospero = vegeto, florido, felice, significato chiaro

Martirologio Romano: Commemorazione di san Prospero d’Aquitania, che, versato nella filosofia e nelle lettere, condusse con la moglie una vita virtuosa e temperante e, fattosi monaco a Marsiglia, difese strenuamente contro i pelagiani la dottrina di sant’Agostino sulla grazia di Dio e sul dono della perseveranza, svolgendo anche a Roma la mansione di cancelliere del papa san Leone Magno.

Ascolta da RadioRai:
  

Fu il difensore della dottrina di s. Agostino sulla Grazia e sulla predestinazione e le sue opere sono quasi l’unica fonte da cui attingere notizie su di lui stesso e sull’attività di scrittore che occupò la maggior parte della sua vita.
Nacque intorno al 390 a Limoges in Aquitania, dalle sue opere si arguisce che abbia percorso tutto il consueto corso di studi classici, in una Gallia fiorente nell’istruzione, al punto che già nel I secolo Plinio la chiama “un’Italia, piuttosto che una provincia”.
Da un suo poema in 122 versi ‘Poema coniugis ad uxorem’ si capisce che da giovane doveva essere sposato. Non si sa perché dall’Aquitania si spostò a Marsiglia, dove passò gran parte della sua vita come monaco laico, senza alcuna carica e grado ecclesiastico.
Conobbe personalmente s. Agostino e prese le sue difese, cioè del suo pensiero sulla dottrina della grazia, quando vide le reazioni suscitate da questa dottrina nei vari monasteri di Marsiglia e della Provenza e lo informò con lettera dei commenti e del suo operato; fu affiancato in ciò da un altro laico Ilario.
Agostino rispose ai due difensori della Gallia indirizzando loro due libri: “De praedestinatione sanctorum” e “De dono perseverantiae” che allora formavano una sola opera, l’ultima scritta dal grande Dottore della Chiesa prima che morisse (28 agosto 430).
Ma neppure dopo la sua morte si attenuarono le critiche alla sua dottrina da parte degli oppositori che allora si chiamavano ‘Marsigliesi’; Prospero ed Ilario decisero allora di andare a Roma a chiedere l’intervento del papa Celestino I (431) il quale indirizzò una lettera ai vescovi della Gallia affinché smorzassero le critiche degli oppositori, ritenendo Agostino “uomo di tanto sapere, che anche i miei predecessori lo annoverarono fra i migliori maestri”.
Fino al 440 troviamo Prospero impegnato a comporre un gran numero di scritti teologici sempre rispondendo alle diverse calunnie e obiezioni contro s. Agostino, coinvolgendo anche i papi che si succedevano a Roma e fu proprio papa Leone I Magno, che trovandosi in Gallia, dispose che Prospero lo seguisse a Roma e lo impegnò nella cancelleria pontificia (440).
Qui ritrovò la tranquillità dello spirito, non si occupò più delle controversie sulla Grazia, anche perché morto nel 435 Cassiano, maggiore oppositore di Marsiglia, la disputa si acquietò alquanto; poté così dedicarsi alla diffusione del pensiero agostiniano e quindi sul polemista, prevalse l’esegeta, il compilatore, il cronista.
Autore in prosa, le sue opere si contano a centinaia, commenti, sentenze, epigramma, esposizione dottrinale in versi; compose a Roma anche l’unica opera che non parla di s. Agostino, il ‘Chronicum integrum’ cronaca universale dalle origini fino alla presa di Roma da parte di Gianserico (455).
Per difendere la dottrina della Grazia e della predestinazione elaborata da s. Agostino, Prospero diventa lui stesso teologo di rara grandezza, accentrando il suo pensiero essenzialmente su due argomenti: l’universalità della volontà salvifica di Dio e la predestinazione.
Dio concede a tutti gli uomini la grazia sufficiente per salvarsi; nega nel modo più assoluto la predestinazione al peccato e alla perdizione, Dio non ha colpa della dannazione, coloro che si perdono, lo fanno di loro volontà.
Prospero spiega con chiarezza, con morbidezza e si sforza di rendere accettabili i rigidi e fermi principi agostiniani, che per questo sono stati spesso fraintesi e non solo dagli eretici.
Prospero morì intorno all’anno 463, l’unico indizio di un culto resogli nell’antichità è un affresco nella basilica di S. Clemente a Roma, ben conservato, che lo raffigura con un aureola intorno alla testa, con i capelli tagliati a forma di corona dei monaci, con addosso una tunica a maniche larghe stretta ai fianchi da una cintura, è senz’altro l’aspetto di un monaco.
E’ fuor di dubbio che si tratta di Prospero, perché in quella basilica papa Zosimo nel 417, condannò il pelagianesimo e i semipelagiani, di cui il grande scrittore fu fiero confutatore.
Erroneamente confuso con s. Prospero vescovo di Reggio Emilia, che si festeggia il 25 giugno, fu inserito nel ‘Martirologio Romano’ da Cesare Baronio, alla stessa data.


Stellina788
00venerdì 24 giugno 2011 10:50

San Salomone Re di Bretagna

25 giugno

m. 25 giugno 874

San Salomone III, re di Bretagna, nonostante un grave crimine commesso in gioventù fu ricondotto da Dio sulla strada della santità. Dovette combattere contro i franche ed i normanni per conservare l’indipendenza della sua terra. Si prodigò nell’istituzione di sedi episcopali, nell’ampliamento di monasteri e nell’esercizio della giustizia. Fu aggredito e ucciso dai nemici della fede mentre si trovava in chiesa.

Emblema: Corona, Scettro, Palma

Martirologio Romano: In Bretagna, san Salomone, martire, che, per il tempo che governò come re, istituì sedi episcopali, ampliò monasteri e conservò la giustizia; lasciato poi il regno, fu accecato e ucciso in chiesa dai suoi avversari.


San Salomone III appartenne alla dinastia degli antichi principi bretoni, regnante dunque sulla Bretagna, odierna regione della Francia nord-occidentale. Egli era ancora molto giovane quando suo padre Rivallon morì e suo zio Nominoé manifestò nei suoi confronti particolare premura e bontà, di cui Salomone gli fu sempre riconoscente.
Dopo la morte dello zio, nell'851, egli non ebbe però i medesimi riguardi ne il medesimo attaccamento per Erispoé, suo successore. Sotto pretesto che discendeva dal fratello primogenito di Nominoé e che vantava maggiori diritti sulla Bretagna di suo cugino, Salomone si mise a complottare contro di lui ed ottenne dal re Carlo il Calvo, nel 853, la corona della Bretagna, sotto la sovranità di Erispoé.
Questa prima soddisfazione lo rese pacifico per qualche anno. Ma nell'857, temendo di veder passare la corona su un'altra testa, per il matrimonio della figlia del suo rivale, tramò una nera cospirazione e, inseguito Erispoé in una chiesa, lo assassinò sull'altare.
I bretoni, ignorando questo crimine, accettarono Salomone come re e lo aiutarono a respingere i franchi che cercavano di invadere la Bretagna. A parte il crimine citato, Salomone aveva tutte le qualità che si possono sognare per un principe: una statura maestosa, la scienza della guerra, un coraggio intrepido.
Ma Dio, che non lascia mai il crimine impunito, sottopose Salomone ad una serie di prove che gli servirono in espiazione per il suo peccato e per la santificazione della sua anima. Senza parlare delle guerre che egli dovette sostenere contro i franchi e contro i normanni e della questione dei vescovi deposti nell'847 da Nominoé. Quest'ultimo spinoso affare costituì per lui occasione di corrispondenza e di imbarazzo sia con i vescovi locali che con lo stesso papa di Roma.Senza contare le penitenze ch'egli compì, Salomone, per purificarsi sempre più, moltiplicò le buone opere, edificò il monastero di Plélan o di Saint-Maixent e lo riempì di magnifici doni.
Tuttavia, una cospirazione fu tramata anche contro Salomone, riservandogli così la legge del taglione. Sorpreso all'improvviso ed incapace di resistere, prese la via della fuga e si rifugiò in un piccolo monastero ai confini del Poher e del Léon, in una parrocchia che da tale episodio prese il nome di “Mezzer-Salün” (martirio di Salomone), oggi conosciuta come “La Martyre” (Finistère).I ribelli decisero di ritirarsi il 23 giugno 874, convinti a non intraprendere alcuna azione contro di lui il giorno seguente, festa della Natività di San Giovanni Battista. Gli fu inviato solamente un vescovo per invitarlo a terminare il suo asilo ed a consegnarsi volontariamente onde evitare la possibile profanazione del luogo sacro. Salomone, rassegnato a tutto, si munì del sacramento dell'Eucaristia e si presentò dinnanzi ai suoi nemici con un coraggio magnanimo. I bretoni, colpiti da rispetto, non osarono sguainare la spada contro di lui e lo consegnarono a Fulcoald ed alcuni altri francesi, che gli fecero cavare gli occhi dal suo figlioccio. Il vecchio re non potè sopravvivere a questo crudele supplizio e venne così trovato morto l'indomani, 25 giugno 874.
Questo è ancora oggi il giorno in cui viene onorata la sua memoria, non solo dalla Chiesa di Vannes, ma dall'intera Chiesa universale che lo ha voluto ricordare così nell'ultima edizione del Martyrologium Romanum: “In Bretagna, ricordo di San Salomone, martire, che per tutto il tempo in cui fu anche re, istituì sedi episcopali, ampliò monasteri e conservò la giustizia; abbandonato il regno, fu aggredito e ucciso dai nemici della fede mentre si trovava in chiesa.”Il corpo del santo re Salomone fu inumato nel monastero di Plélan, conformemente al desiderio che lui aveva espresso di riposare accanto alla regina Wembrit. In seguito, probabilmente durante le invasioni normanne in Bretagna, la salma fu trasportata sino a Pithiviers, nella diocesi di Orléans, ove fu eretta una chiesa in suo onore. Tuttavia una parte delle sue reliquie restò o fu comunque riportata in Bretagna, poiché è provato che sarebbero state custodite sino alla Rivoluzione Francese presso la chiesa Saint-Salomon di Vannes. Dopo la distruzione dell'edificio avvenuta nel 1793, le reliquie furono traslate nella cattedrale, dove ancora oggi sono oggetto di venerazione da parte dei fedeli.


Stellina788
00venerdì 24 giugno 2011 10:51

Santa Tigre (Tecla) di Maurienne Vergine ed eremita

25 giugno

VI secolo

Martirologio Romano: A Maurienne nella Savoia, santa Tigride, vergine, che promosse in questo luogo con grande zelo il culto di san Giovanni il Precursore.


La vallata francese della Maurienne (nome talvolta italianizzato come Moriana) è solitamente nota quale “berceu de la Maison de Savoia”, come recitano le iscrizioni della segnaletica autostradale, cioè “culla della Casa di Savoia”. Questa contea fu infatti il primo possedimento di Umberto Biancamano, capostipite sabaudo, le cui spoglie ancora oggi riposano nella cattedrale del capoluogo della vallata, Saint-Jean-de-Maurienne.
Nient’affatto casuale è il nome di tale città e qui entra in gioco la santa oggi festeggiata, Tigre, talvolta citata come Tecla. Nativa di Valloires, paesino della Mauirenne, con sua sorella Pigmenia intraprese un lungo pellegrinaggio in Terra Santa e presso Alessandria d’Egitto, dove venne a contatto con varie esperienze di vita eremitica. Tornando alla sua terra d’origine, non si limitò però ad importare il singolare stile di vita appreso per praticarlo fra le Alpi savoiarde, ma da Alessandria ottene in dono una preziosa reliqiua: tre dita del precursore del Cristo, San Giovanni Battista, che furono all’origine anche del simbolo della città, raffigurante una mano benedicente d’argento su sfondo azzurro.
L’antico borgo di Maurienne prese così il nome di Saint-Jean-de-Maurienne, fu promossa dal re San Gontrano al rango di vescovado e divenne la vera capitale di quello che fu in seguito il primo feudo sabaudo. La cattedrale, oltre a divenire custodia delle reliquie del Battista, come già detto fu alcuni secoli dopo la prima necropoli che accolse le spoglie degli esponenti di Casa Savoia.
Tornata dunque in valle, Santa Tigre prese a farsi promotrice del culto di San Giovanni in Savoia, dandosi alla vita eremitica ed abbandonando quei pochi beni terreni che le restavano. Pare fosse solita interrompere la sua solitudine esclusivamente per recarsi a Messa. Non ci è dato sapere purtroppo se visse a lungo, ma la sua esistenza pare comunque storicamente fondata e collocabile nel VI secolo. Il Martyrologium Romanum la commemora in data 25 giugno.
Il vescovo torinese Rufo invano tentò di ottenere le reliquie del Battista custodite a Saint-Jean-de-Maurienne, ma in ogni caso alcuni frammenti del santo sono ancora oggi venerati anche presso Torino, di cui è patrono, ed Aosta. In quest’ultima città, il suo colto fu promosso dal celebre vescovo San Grato.


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