26 giugno

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Stellina788
00giovedì 24 giugno 2010 11:40

Beato Andrea (Andrij) Iscak Sacerdote e martire

26 giugno

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Mykolayiv, Ucraina, 23 settembre 1887 – Sykhiv, Ucraina, 26 giugno 1941

Il beato Andrea Iscak, al tempo del regime avverso a Dio fu ucciso per la fede di Cristo nel villaggio di Sykhiv, sempre presso Leopoli. Fu beatificato da Giovanni Paolo II il 27 giugno 2001.

Martirologio Romano: Nel villaggio di Sykhiv sempre nel territorio di Leopoli, beato Andrea Iščak, sacerdote e martire, che nello stesso periodo venne fucilato per la fede in Cristo.


Andrij Iscak nacque il 23 settembre 1887 a Mykolayiv, nella regione ucraina di Lviv (Leopoli). Compì i suoi studi teologigi nelle università di Lviv e di Innsbruck. Qui nel 1914 conseguì il dottorato in teologia e poté così ricevere l’ordinazione presbiterale, divenendo sacerdote diocesano di rito bizantino dell’Arcieparchia di Lviv degli Ucraini. Dal 1928 divenne insegnante all’università di Lviv e parroco del villaggio di Sykhiv, nei pressi di Lviv.
La parrocchia del suo apostolato divenne anche il luogo in cui si consumò il suo martirio, il 26 giugno 1941, per mano dei soldati dell’armata sovietica ormai in ritirata. Andrij Iscak fu beatificato da Giovanni Paolo II il 27 giugno 2001, insieme con altre 24 vittime del regime sovietico di nazionalità ucraina.



Stellina788
00giovedì 24 giugno 2010 11:41

Beato Andrea Giacinto Longhin Vescovo cappuccino

26 giugno

Fiumicello di Campodarsego, Padova, 23 novembre 1863 - 26 giugno 1936

Nasce il 23 novembre 1863 a Fiumicello di Campodarsego (PD) da una famiglia di contadini affittuari. Seguendo la sua vocazione al sacerdozio nel 1879 inizia il noviziato nell'Ordine dei Cappuccini, compiendo gli studi tra Padova e Venezia. Dopo aver svolto per 18 anni l'incarico di direttore spirituale dei giovani religiosi, nel 1902 viene eletto ministro provinciale dei Cappuccini veneti. Il 13 aprile 1904 Pio X lo nomina vescovo di Treviso. Nel proporre le riforme indicate dal Pontefice sceglie di curare personalmente i rapporti con il clero ed i laici della popolosa diocesi veneta, diventando così presto una guida saggia e coraggiosa. Compie tre visite pastorali, la seconda delle quali è interrotta dalla prima guerra mondiale che lo vede però sempre accanto alla sua gente. Colpito da una grave malattia muore il 26 giugno 1936.

Martirologio Romano: A Treviso, beato Andrea Giacinto Longhin, vescovo, che in tempo di guerra sovvenne con ogni mezzo alle necessità dei profughi e dei prigionieri e nelle difficoltà del suo tempo difese con straordinaria sollecitudine i diritti degli operai, dei contadini e di tutti i deboli della società.


Andrea Giacinto Longhin è il Vescovo che San Pio X ha donato a Treviso, sua diocesi di origine; religioso cappuccino, di profonda spiritualità e di solida dottrina. Insieme alla sua Chiesa ha vissuto eroicamente una stagione tra le più difficili ed esaltanti del cattolicesimo italiano tra il XIX e il XX secolo.

È nato il 23 novembre 1863 a Fiumicello di Campodarsego (provincia e diocesi di Padova) da Matteo e Giuditta Marin, contadini in affitto, poveri e molto religiosi; il giorno seguente fu battezzato con i nomi di Giacinto Bonaventura. Rivelò presto la vocazione al sacerdozio e alla vita religiosa; a sedici anni iniziò il noviziato nell'Ordine dei Cappuccini con il nome di Andrea da Campodarsego; compiuti gli studi umanistici a Padova e quelli teologici a Venezia, venne ordinato sacerdote a 23 anni il 19 giugno 1886. Per 18 anni svolse l'incarico di direttore spirituale e di insegnante dei giovani religiosi, rivelandosi guida sicura e maestro illuminato. Nel 1902 fu eletto ministro provinciale dei Cappuccini veneti. In quest'epoca a Venezia venne «scoperto» dal Patriarca Sarto, che lo impegnò nella predicazione e in molteplici delicati ministeri diocesani.

Pio X era Papa solo da alcuni mesi, quando il 13 aprile 1904 personalmente nominò fra Andrea Vescovo di Treviso e volle che fosse consacrato a Roma, pochi giorni dopo nella chiesa della Santissima Trinità dei Monti dal Card. Merry del Val.

Il nuovo pastore entrò in diocesi il 6 agosto successivo, facendosi precedere da due lettere pastorali che indicavano il suo programma di riforma. L'anno successivo iniziò la prima visita pastorale, che durò quasi cinque anni: voleva conoscere la sua Chiesa, fra le più vaste e popolose del Veneto; voleva stabilire un contatto personale con il suo clero, al quale dedicherà le sue premure pastorali; intendeva anche farsi vicino al laicato organizzato, che proprio allora era sottoposto a dure prove nell'ambito del movimento cattolico sociale. Concluse la visita con la celebrazione del Sinodo, che voleva attuare in diocesi le riforme avviate da Pio X, attrezzare la Chiesa locale per essere «militante» e chiamare tutti, preti e laici, alla santità della vita.

Riformò il Seminario diocesano, qualificandone gli studi e la formazione spirituale; promosse gli Esercizi Spirituali del Clero e in un programma di formazione permanente da lui stesso tracciato annualmente, guidò la loro azione pastorale con indirizzi precisi che verificò nelle tre visite pastorali successive.

Quando scoppiò la I guerra mondiale (1915-1918), Treviso era sulla linea del fronte: subì invasioni e i primi bombardamenti aerei, che distrussero la città e oltre 50 parrocchie. Il Vescovo Longhin restò al suo posto anche quando le autorità civili se ne andarono e volle che altrettanto facessero i suoi preti, a meno che non dovessero accompagnare le loro popolazioni profughe. Resse le sorti della città con coraggio eroico; fu riferimento religioso, morale e civile per tutte le comunità travolte dal conflitto; provvide all'assistenza dei soldati, dei malati e dei poveri. Tutti rincuorando, mai cedette alle partigianerie o alla retorica bellica; eppure fu accusato di disfattismo e alcuni suoi preti furono processati e condannati.

Negli anni laboriosi della ricostruzione materiale e spirituale, riprese la seconda visita pastorale che aveva interrotto. Nelle gravi tensioni sociali che dividevano gli stessi cattolici, il Vescovo fu guida sicura: con fortezza evangelica indicò che la giustizia e la pace sociale esigevano la via stretta della non violenza e dell'unione dei cattolici. Si andava rafforzando il movimento fascista, che a Treviso ebbe episodi di violenza, specialmente contro le organizzazioni cattoliche. Il Vescovo Longhin dal 1926 al 1934 compì la terza visita pastorale per rafforzare la fede delle comunità parrocchiali: la Chiesa militante nella sua concezione era una Chiesa tutta protesa alla santità e preparata al martirio.

Papa Pio XI lo ebbe in grande considerazione e gli affidò l'incarico delicato di Visitatore Apostolico, prima a Padova, poi a Udine, per riportare la pace in quelle diocesi travagliate da divisioni del clero col Vescovo.

Dio volle purificare il suo servo fedele con una malattia che lo privò progressivamente delle facoltà mentali e che egli patì con straordinaria fede e totale abbandono alla volontà di Dio. Morì il 26 giugno 1936.

Già in vita lo aveva accompagnato la fama di santità, per l'eroica carità e per la saggia guida evangelica. Con la sua morte la devozione al santo pastore si rafforzò e si diffuse rapidamente, specialmente nelle diocesi di Treviso e di Padova, e nell'Ordine Cappuccino, esaltandone le virtù e invocando la sua intercessione. Nel 1964 fu introdotta la causa di beatificazione. Nel medesimo anno il giovane Dino Stella fu guarito da peritonite diffusa per intercessione del Longhin; miracolo che venne riconosciuto per la sua beatificazione.

La sua ereditB spirituale

Il singolare legame del vescovo Andrea Giacinto Longhin con il Papa San Pio X è stato fondamentalmente spirituale: la santità dell'uno richiama e quasi genera quella dell'altro; ambedue sono vissuti per la Chiesa e con la Chiesa, concependo il ministero pastorale quale formazione alla santità e tutta la vita della Chiesa quale testimonianza ad essere «santa e immacolata». Ambedue erano spinti a farsi «modelli del gregge» sulle orme di Cristo buon pastore. Il Vescovo Longhin si è identificato nella sua Chiesa fino a farsi carico di tutte le sue vicende storiche, vivendole in prima persona e pagando anche per essa. La spiritualità francescana, nel rigore dell'Ordine Cappuccino, ha guidato sempre il Vescovo Longhin non solo in una vita ascetica, esigente e fedelissima (preghiera e penitenza), ma in una tensione evangelica senza cedimenti: l'assoluto di Dio, l'obbedienza «religiosa» alla Chiesa, la povertà quale libertà rispetto a tutte le cose del mondo. La sua opera di riforma gli procurò anche croci e sofferenze, sia da quel clero che non era disposto a seguirlo sulla strada del rinnovamento, sia dai laici, o ancorati agli interessi materiali o schierati su posizioni partigiane. Fu osteggiato dal fascismo, che preferì vendicarsi sui preti e sui laici organizzati, procurando al Pastore un dolore più grande che se avesse ferito la sua persona. Fino all'ultimo restò guida di una Chiesa militante che non cedeva alle violenze né alle lusinghe. Nella carità che esercitò con dedizione straordinaria non ebbe alcuna debolezza, convinto che essa esigeva sempre la verità. In lui fortezza e umiltà risultarono mirabilmente unite. Il frutto della sua testimonianza di santità e della sua coraggiosa guida pastorale è che la Chiesa di Treviso, in quella stagione della sua storia, ha dato numerosi santi, tra i preti, i religiosi e i laici.



Stellina788
00giovedì 24 giugno 2010 11:42

Sant' Antelmo di Chignin Monaco e vescovo di Belley

26 giugno

Chignin (Francia), 1107 - Belley (Francia), 26 giugno 1178

Nacque nel 1107 nel Castello di Chignin, in Savoia. Segretario prima della chiesa di Ginevra, poi del vescovo di Belley, da questo fu ordinato sacerdote. Affascinato dalla vita certosina nel 1136 prese l'abito di San Bruno nel monastero di Portes. Alla Grande Chartreuse, terminato il noviziato, fu nominato procuratore ed amministratore dei beni. Nel 1139 ne divenne il settimo priore. Nel 1142 nel capitolo generale gli otto priori della Certosa stabilirono che il priore della «Grande Certosa» fosse anche il Generale dell'Ordine. Antelmo divenne il primo generale dei Certosini. Nel 1152 Bernardo di Varey, fondatore di Portes, ottenne che Antelmo fosse designato a succedergli. Nel 1163 divenne vescovo di Belley. Nel 1175 il Barbarossa gli conferì la sovranità su Belley e dintorni, creandolo principe del Sacro Romano Impero. Morì il 26 giugno 1178. (Avvenire)

Emblema: Bastone pastorale, Libro, Flagello

Martirologio Romano: A Belley in Savoia, sant’Antelmo, vescovo, che, da monaco, ricostruì l’edificio della Grande Certosa distrutto da una abbondante nevicata; divenuto poi priore, convocò il Capitolo generale e, elevato alla sede episcopale, rifulse nell’opera di correzione dei costumi di chierici e nobili svolta con instancabile impegno e intrepida fermezza.


Sant’Antelmo di Chignin, Vescovo di Belley, rappresenta una delle più importanti figure del movimento certosino.
Nacque nel 1107, da nobile famiglia, nel Castello di Chignin, in Savoia, a dodici chilometri da Chambéry.
Sin da giovane preferì la solitudine della preghiera alla vita mondana e dissipatrice dei grandi signori.
Segretario prima della chiesa di Ginevra, poi del vescovo di Belley, da quest’ultimo fu ordinato sacerdote.
Si recava molto spesso a Portes, dove un suo parente era certosino. La conoscenza della vita monastica cambiò radicalmente l’esistenza di Antelmo, che nel 1136 prese l’abito di San Bruno nel monastero di Portes.
La sua fama di valente amministratore lo portò alla Grande Chartreuse, dove, terminato il noviziato, fu nominato procuratore ed amministratore dei beni. La Grande Chartreuse, che nel 1132 era stata gravemente danneggiata da una valanga, attraversava allora un periodo molto difficile. Antelmo si occupò con tutte le sue energie della ricostruzione materiale e morale della comunità, di cui nel 1139, alle dimissioni di Ugo I, divenne il settimo priore. Dopo aver riedificata la “Grande Certosa” e fatto costruire un acquedotto, A. si adoperò a ricondurre in suoi monaci al rispetto della primitiva semplicità della Regola e, nello stesso tempo, tentò di rendere più stretti i legami tra le varie case dell’Ordine. Nel 1142, infatti, nel capitolo generale gli otto priori della Certosa, allora esistenti, stabilirono che il priore della “Grande Certosa” fosse anche il Generale dell’Ordine, cui tutti dovessero obbedienza: fin da allora infatti i vari priori erano sottoposti solo al vescovo della loro diocesi. La fama di Antelio, divenuto primo generale dei Certosini, crebbe enormemente ed attirò alla Grande Chartreuse molti nobili che desideravano seguirne l’esempio.
Nel 1149, quando un monaco di Portes fu eletto vescovo di Grenoble, sorsero degli aspri conflitti ed alcuni certosini uscirono dal monastero per sostenere le loro ragioni di fronte ai tribunali. Antelmo, fortemente amareggiato da questa grave infrazione, dopo che papa Eugenio III compose la vertenza, impose ai certosini una penitenza: ma il Papa reintegrò i monaci nell’Ordine senza alcuna formalità. Per questo Antelmo, pur non opponendosi alle decisioni del Papa, diede le dimissioni, che tuttavia ritirò momentaneamente a seguito di un intervento di San Bernardo, per farle poi accettare di nuovo nel 1151 e ritirarsi a vita contemplativa.
Nel 1152, però, Bernardo di Varey, fondatore di Portes, ottenne che Antelmo fosse designato a succedergli e questi, pur mantenendo la sua carica solo per breve tempo, con la sua grande carità si guadagnò l’appellativo di “padre dei poveri”. Per questo Antelio nelle immagini che ci sono pervenute, viene effigiato nell’atto di accogliere gente di ogni età, aiutandola moralmente e materialmente nei suoi bisogni, con sullo sfondo la sua Certosa, di cui ebbe sempre nostalgia e che andava spesso a visitare.
Quando nel 1159 la cristianità fu divisa in due parti che sostenevano, l’una Alessandro III, papa legittimamente eletto, e l’altra l’antipapa Vittore IV, designato da Federico Barbarossa, Antelmo si schierò dalla parte di Alessandro e gli portò il sostegno della Francia, della Spagna e dell’Inghilterra.
Molto probabilmente, in ringraziamento di questa azione, il Papa obbligò Antelmo ad accettare la carica di vescovo di Belley, alla quale era stato eletto all’unanimità il 7 settembre 1163. La consacrazione avvenne nella cattedrale di Bourges.
Anche nell’esercizio del suo ministero Antelmo conservò intatti quei caratteri di grande umiltà e carità, che lo avevano reso famoso e si guadagnò tanto l’affetto del popolo che la città di Belley, dopo la sua morte, fu chiamata per un certo tempo Antelmopoli.
Nello stesso tempo, per la sua sagacia fu scelto dal papa per una delicata missione in Inghilterra: il tentativo di riconciliazione tra Enrico II e San Tommaso Becket.
Tuttavia il Barbarossa impedì la partenza di Antelmo, forse per vendicarsi della posizione ostile da questi avuta nei confronti di Vittore IV.
In seguito però l’imperatore mutò condotta nei riguardi di Antelmo e nel 1175 gli conferì la sovranità su Belley e dintorni, creandolo inoltre principe del Sacro Romano Impero.
Il titolo di principe di Belley procurò ad Antelmo non poche difficoltà, che amareggiarono gli ultimi anni della sua vita.
Umberto III, conte di Maurienne, non si rassegnò a perdere i diritti su Belley ed iniziò una politica di provocazione nei confronti di Antelmo, facendo dapprima arrestare, in violazione del diritto di giurisdizione della Chiesa sul clero, e poi uccidere un sacerdote.
Antelmo scomunicò il conte, ma questi ottenne dal papa Alessandro III, cui era ricorso, l’annullamento della scomunica.
Allora Antelmo, indignato, si ritirò nella Grande Charteuse ma il popolo ed il clero ricorsero al papa, che gli ordinò formalmente di riprendere il suo posto e, nel contempo, ingiunse ad Umberto di fare penitenza.
Antelmo tornò quindi a Belley, continuando tuttavia ad essere osteggiato da Umberto, che continuò a tramare contro di lui giungendo perfino a progettare di assassinarlo.
Il 26 giugno 1178, colpito da grave malattia, Antelmo morì, dopo aver ricevuto l’omaggio del Conte di Mourienne, che al suo capezzale fece sincera ammenda dei suoi torti.
I funerali di Antelmo furono veramente trionfali ed il suo culto si diffuse immediatamente.
Nel 1630 le sue spoglie furono esumate e traslate in una cappella a lui dedicata.
Durante al Rivoluzione Francese questa fu profanata, ma le reliquie di Antalmo non andarono disperse e il 30 giugno 1829 il vescovo di Belley le depose in un bellissimo reliquiario, che alla fine del secolo fu sostituito da un altro in bronzo offerto dalla Grande Charteuse.
Nell’iconografia Antelmo è rappresentato con una lampada accesa sopra il capo, mentre una mano dal cielo tende un dito verso la fiamma. Ai suoi piedi è raffigurato il Conte Umberto e Antelmo tiene in mano un libro perché, secondo la leggenda, egli ricevette da San Pietro l’ordine di recitare l’Ufficio della Vergine.
Gli Acta Sanctorum pubblicano una Vita di Antelmo, scritta da un autore coevo, ed il Martirologio Romano celebra la sua festa il 26 giugno.



Stellina788
00giovedì 24 giugno 2010 11:42

San Davide di Salonicco Eremita

26 giugno

L’eremita San Davide visse per circa 80 anni recluso in una cella fuori delle mura della città di Salonicco, odierna Tessalonica in Macedonia.

Martirologio Romano: A Salonicco in Grecia, san Davide, eremita, che passò circa ottant’anni chiuso in una piccola cella fuori dalle mura della città.




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00giovedì 24 giugno 2010 11:43

San Deodato di Nola Vescovo

26 giugno

m. 405

Martirologio Romano: A Nola in Campania, san Deodato, vescovo, succeduto a san Paolino.



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00giovedì 24 giugno 2010 11:44

Beato Giacomo da Ghazir (Khalil Al-Haddad) Sacerdote cappuccino, Fondatore

26 giugno

Ghazir, Libano, 1° febbraio 1875 – Beirut, Libano, 26 giugno 1954

Abuna Yaaqub El-Haddad, terzo di cinque fratelli, è nato in Libano il 1 febbraio 1875. Nel 1892, mentre era in Egitto dove lavorava come insegnante, sentì la vocazione sacerdotale. Decise quindi di entrare nel convento cappuccino di Khashbau l'anno seguente. Yaaqub prese i voti perpetui nel 1898 e divenne prete nel 1901.
Venne assegnato al monastero di Bab Idriss a Beirut. Da lì, lavorò con dedizione per costruire scuole elementary per I bambini delle campagne. Inolte, dette vita al terz'ordine per uomini e donne.
Sulle orme di San Francesco d'Assisi, il beato libanese è stato un instancabile apostolo della carità, plasmata nella sua sollecitudine per le necessità fisiche e morali del prossimo.
Subito dopo la prima guerra mondiale, padre Yaaqub acquistò la collina di Jall-Eddib dove voleva costruire una chiesa ed erigere una croce, e che divenne presto un luogo di raccolta di sacerdoti malati, e di altri poveri che chiedevano assistenza.
Per dare continuità al suo lavoro, in questo luogo, fondò nel 1930 la congregazione religiosa delle Suore Francescane della Croce del Libano, che da allora si dedicano alla cura dei disabili, degli handicappati mentali, delle persone anziane e incurabili abbandonate dai loro familiari e dagli ospedali, e all'educazione degli orfani.
Il postulatore della Causa di beatificazione, padre Florio Tessari, in una intervista alla Radio Vaticana ha parlato della sua instancabile opera di predicazione in Libano, Palestina, Iran e Siria.
“I suoi 24 volumi manoscritti di discorsi in arabo – ha aggiunto – testimoniano l’impegno della sua vita nell’evangelizzazione. Poi la sua attività sociale. Fondò scuole, ospedali, orfanotrofi”.
“É stato definito 'un altro san Vincenzo de’ Paoli', nonché 'il Don Bosco' e 'il San Giuseppe Cottolengo del Libano' per le sue opere di beneficenza che scaturivano dal suo cristocentrismo francescano”.
“La sua immensa carità, espressa in molteplici iniziative, nasceva dalla vitale incorporazione al Cristo sofferente in sé e nelle sue membra, la cui Croce tanto amata fu la teologia e la prassi della sua lunga vita sacerdotale”, ha sottolineato.
“Niente cielo senza croce – scriveva padre Yaaqub –. Chi vuole il cielo senza sofferenza, è come chi vuole comprare merci senza pagare”.
Morì il 26 giugno del 1954, stringendo a sé una croce.
E’ stato beatificato il 22 giugno 2008.



Stellina788
00giovedì 24 giugno 2010 11:45

Santi Giovanni e Paolo Martiri di Roma

26 giugno

† Roma, 26 giugno 362

I santi Giovanni e Paolo, vissuti nel IV secolo, furono fratelli di fede oltre che di fatto. Le informazioni su di loro sono discordanti e risalgono soprattutto ad una "Passio" in parte leggendaria: Essi sarebbero stati due cristiani ricchi e particolarmente caritatevoli, che Giuliano l'Apostata avrebbe condannato ad essere decapitati e sepolti sotto la loro abitazione. Sembra però che il martirio di Giovanni e Paolo potrebbe essere avvenuto almeno 50 anni prima, all'epoca di Diocleziano, perché le persecuzioni di Giuliano avvenendo in Oriente. Ad ogni modo, sotto la basilica Celimontana a loro dedicata sono stati ritrovati resti di una villa romana abitata da cristiani, con il piccolo vano della "confessio" che reca affreschi di scene di martirio, sotto cui c'è una fossa per il seppellimento di due corpi.

Etimologia: Giovanni = il Signore è benefico, dono del Signore, dall'ebraico
Paolo = picc

Emblema: Palma

Martirologio Romano: A Roma commemorazione dei santi Giovanni e Paolo, al cui nome è dedicata la basilica sul monte Celio lungo il clivo di Scauro nella proprietà del senatore Pammachio.

Ascolta da RadioVaticana:
  
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Sui due santi martiri romani, che è bene chiarire non sono gli omonimi apostoli, si è aperta da parte degli studiosi una controversia sulla data del loro martirio, effettivamente avvenuto a Roma. Giacché la questione è rimasta irrisolta, non resta altro da fare che seguire la “passio” antica, giunta fino a noi e poi alla fine segnalare le contraddizioni riscontrate da alcuni studiosi.
Giovanni e Paolo, fratelli di sangue e di fede cristiana, sono presentati in tre recensioni consecutive della ‘passio’, che risale al IV secolo, prima come maggiordomo e primicerio di Costantina, figlia di Costantino imperatore; poi come soldati del generale Gallicano, al quale suggerirono un voto, che ottenne la vittoria dell’esercito sugli Sciti infine sono citati come privati cittadini, nella loro casa al Celio, molto munifici di elemosine ed aiuti, con i beni ricevuti da Costantina.
Quando nel 361 salì al trono imperiale Giuliano, detto poi l’Apostata (331-363), questi avendo deciso di ripristinare il culto pagano, dopo aver rinnegato il cristianesimo, cercò di convincerli alle sue idee restauratrici, invitandoli a tornare a corte, per collaborare al progetto.
I due fratelli (che dovevano godere di molta considerazione a Roma) rifiutarono l’invito e Giuliano mandò loro il capo delle guardie Terenziano, con l’intimazione di adorare l’idolo di Giove; persistendo il loro rifiuto, essi vennero sequestrati in casa per una decina di giorni, affinché riflettessero sulle conseguenze del loro rifiuto.
Continua la ‘passio’: il prete Crispo informato del fatto, si recò con due cristiani Crispiniano e Benedetta, a visitarli, portando loro la S. Comunione e il loro conforto. Trascorsi i dieci giorni, il comandante Terenziano, ritornò nella loro casa e dopo tre ore di inutili minacce e lusinghe, li fece decapitare e seppellire in una fossa scavata nella stessa casa, spargendo la voce che erano stati esiliati; era il 26 giugno 362.
Il prete Crispo ed i suoi compagni Crispiniano e Benedetta, avvertiti da una visione si recarono sulla loro tomba a pregare, ma qui vennero sorpresi e uccisi anche loro. Dopo la loro morte il figlio di Terenziano, cadde in preda ad un’ossessione e urlava che Giovanni e Paolo lo tormentavano, il padre con grande preoccupazione, lo condusse sulla tomba dei due martiri, dove il ragazzo ottenne la guarigione.
Il prodigio fece si che si convertissero entrambi e poi vennero anch’essi in seguito martirizzati. Il successore di Giuliano l’Apostata, l’imperatore Gioviano (363-364), abrogò la persecuzione contro i cristiani e diede incarico al senatore Bizante, di ricercare i corpi dei due fratelli e una volta trovati, fece erigere dallo stesso senatore e dal figlio Pannachio, una basilica sopra la loro casa.
Fin qui il racconto della ‘passio’; sul sepolcro costituito da una tomba a “due piazze”, venne eretto il piccolo vano della ‘confessio’ che ancora conserva antichi affreschi narranti il martirio; il tutto conglobato in una basilica detta Celimontana, che si affaccia tra archi medioevali e contrafforti, sul famoso Clivio di Scauro.
Essa fu più volte ristrutturata e modificata e dove le reliquie nel 1588, furono traslate dalla primitiva sepoltura; nel 1677 esse furono collocate sotto l’altare maggiore e infine nel 1725 il cardinale Paolucci le fece racchiudere in un’urna di porfido, ricavata da un’antica vasca termale, che ancora oggi forma la base dell’altare.
Effettivamente sotto la chiesa si è scoperta nel 1887 una casa romana a due piani con affreschi e fregi; il loro culto antichissimo è testimoniato da innumerevoli citazioni in Canoni sia romani che ambrosiani; in vari ‘Martirologi’ e Sacramentari; orazioni e prefazi a loro dedicati; epigrafi marmoree; un monastero fondato da s. Gregorio I Magno (535-604) e intitolato ai due martiri; un’altra chiesa eretta sul Gianicolo era pure a loro dedicata; a Ravenna sono raffigurati nel mosaico di S. Apollinare Nuovo.
È indubbio il culto ufficiale che sempre ricevettero nei secoli; come pure, secondo il racconto della ‘passio’, si giustifica la presenza di un sepolcro in una casa al centro di Roma, quando i luoghi delle esecuzioni ed i cimiteri, erano posti alla periferia della città.
Le opposizioni degli studiosi si basano sul fatto storico che la persecuzione di Giuliano l’Apostata, non fece vittime a Roma, ma solo in Oriente dove risiedeva; quindi si è propensi a spostare la loro vicenda sotto l’impero di Diocleziano (243-313); a volte sono stati confusi con altri santi martiri come Gioventino e Massimino.
A conclusione si può comunque ipotizzare che l’antica ‘passio’, che è quasi contemporanea, non narri il falso, perché se è vero, che non vi furono vittime ufficiali romane, durante la persecuzione di Giuliano l’Apostata, nulla toglie che qualche martire ci sia stato a Roma ma tenuto nascosto, come nel caso di Giovanni e Paolo, che furono sotterrati nella loro stessa casa, senza far sapere ai romani la loro sorte.
Non bisogna dimenticare che i cristiani con Costantino, avevano ottenuto libertà di culto, lo stesso Giuliano aveva inizialmente emanato un “Editto di tolleranza”, e quindi il popolo non era disposto a ritornare indietro sulla pace e libertà raggiunta.
I lavori archeologici effettuati e gli studi pubblicati, sugli scavi sotto la Basilica Celimontana dei santi Giovanni e Paolo, dal valente studioso ed archeologo il passionista padre Germano di S. Stanislao (Vincenzo Ruoppolo) morto nel 1909 e completati da altri studiosi, in effetti confermano il racconto della ‘passio’ con la scoperta della casa romana, di cui probabilmente i due fratelli martiri erano proprietari e sulla quale fu eretta la basilica posta nell’omonima piazza.



Stellina788
00giovedì 24 giugno 2010 11:45

San Giuseppe Ma Taishun Martire

26 giugno

Martirologio Romano: Nel territorio di Qianshengzhuang presso la città di Liushuitao nella provincia dello Hebei in Cina, san Giuseppe Ma Taishun, martire, che, medico e catechista, sebbene nella persecuzione scatenata dalla setta dei Boxer gli altri membri della sua famiglia avessero rinnegato la fede, preferì testimoniare Cristo con il suo sangue.


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00giovedì 24 giugno 2010 11:46

San Jose Maria Robles Hurtado Martire Messicano

26 giugno

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Mascota, Jalisco (Tepic), 3 maggio 1888 – Quila, Jalisco, (Messico) 26 giugno 1927

Naque a Mascota, Jalisco (Diocesi di Tepic) il 3 maggio 1888. Parroco di Tecolotlán, Jalisco e fondatore della Congregazione religiosa Sorelle del Cuore di Gesù Sacramentato. Fervido apostolo della devozione al Sacro Cuore di Gesù, scrisse piccole opere divulgative. Poco prima di uscire dal carcere per essere ucciso. Nella sierra di Quila, Jalisco (Diocesi di Autlán), venne appeso ad un albero il 26 giugno 1927.

Emblema: Palma

Martirologio Romano: Nei pressi di Guadalajara nello Stato di Jalisco in Messico, san Giuseppe Maria Robles, sacerdote e martire, che, nel corso della persecuzione contro la Chiesa durante la rivoluzione messicana, morì appeso ad un albero.


Dopo le grandi persecuzioni contro la Chiesa nel periodo della Rivoluzione Francese, delle leggi anticlericali dei governi italiani e francesi della seconda metà dell’Ottocento, delle sanguinose persecuzioni contro i missionari e fedeli cattolici in Cina, negli anni a cavallo fra il XIX e XX secolo; della Rivoluzione Bolscevica in Russia del 1918 e prima di arrivare negli anni 1934-1939 alla grande carneficina della Guerra Civile Spagnola, si ebbe la persecuzione in Messico dal 1915 al 1929.
Dopo la dittatura di Porfirio Diaz (1876-1911) si ebbe un periodo di rivoluzioni e di guerre civili; in quest’arco di anni, le condizioni della Chiesa nel Messico furono estremamente difficili, specialmente dopo l’entrata in vigore, il 5 febbraio 1917, della nuova Costituzione anticlericale e antireligiosa.
Il clero cattolico fu oggetto di minacce, soprusi e vessazioni da parte dei governi massonici, che si spinsero fino alla più bruta violenza e all’assassinio; in fondo si perseguitarono i preti solo perché sacerdoti.
In un continuo succedersi di presidenti chiamati a guidare il Paese, alcuni uccisi, in preda a costanti conflitti interni, si giunse alla nomina di Plutarco Elias Calles nel 1924, questi lavorò per il risanamento economico, il rafforzamento del movimento operaio, favorì la distribuzione della terra ai contadini, ma inasprì anche la lotta contro la Chiesa, che in varie occasioni e situazioni si tramutò in una vera e propria persecuzione; i sacerdoti ed i laici cattolici vennero a scontrarsi con il più acerrimo ateismo.
Papa Giovanni Paolo II il 22 novembre 1992, beatificò nella Basilica di S. Pietro, 25 di questi perseguitati, che da sacerdoti, parroci o laici, donarono con il martirio la loro vita per la difesa della Fede e per l’affermazione della presenza della Chiesa Cattolica in Messico.
Il 21 maggio del 2000 lo stesso pontefice li ha canonizzati tutti i 25 in Piazza S. Pietro, indicando alla Chiesa Universale l’esempio della loro santità, operata in vita e coronata dal martirio finale.
Si riportano i 25 nomi, per ognuno esiste una scheda biografica:
Parroco Cristóbal Magallanes Jara - parroco Román Adame Rosales - parroco Rodrigo Aguilar Alemán - parroco Julio Alvarez Mendoza - parroco Luis Batis Sainz - sacerdote Agustín Caloca Cortés - parroco Mateo Correa Magallanes - sacerdote Atilano Cruz Alvarado - sacerdote Miguel de la Mora de la Mora - sacerdote Pedro Esqueda Ramírez - sacerdote Margarito Flores García - sacerdote José Isabel Flores Varela - sacerdote Pedro de Jesús Maldonado Lucero - sacerdote David Galván Bermudez - ragazzo Salvador Lara Puente - sacerdote Jesús Méndez Montoya - laico Manuel Morales - parroco Justino Orona Madrigal - sacerdote Sabás Reyes Salazar - parroco José María Robles Hurtado - ragazzo David Roldan Lara - sacerdote Toribio Romo Gonzáles - sacerdote Jenaro Sánchez Delgadillo - parroco David Uribe Velasco - viceparroco Tranquilino Ubiarco Robles. (La loro celebrazione collettiva è al 21 maggio).

Padre José Maria Robles Hurtado nacque a Mascota (Jalisco), diocesi di Tepic il 3 maggio 1888. Parroco di Tecolotlán (Jalisco) fu un fervido apostolo della devozione al Sacro Cuore di Gesù, scrisse piccole opere divulgative del culto.
Fondatore della Congregazione religiosa delle “Sorelle del Cuore di Gesù Sacramentato”. Nel mese consacrato al culto del S. Cuore di Gesù, nel giugno del 1927, la bufera della persecuzione si abbatté sulla sua parrocchia di Tecolotlán, e il parroco fu arrestato e imprigionato. Qualche giorno prima di uscire dalla prigione per essere ucciso, scrisse una poesia con i suoi ultimi desideri:
Desidero amare il tuo Cuore,
Gesù mio, con partecipazione totale,
desidero amarlo con passione,
desidero amarlo fino al martirio.
Con l`anima ti benedico,
mio Sacro Cuore;
dimmi: Si arriva all`attimo
della felice ed eterna unione?

Il 26 giugno 1927, padre José Maria, proprio per il suo grande amore a Cristo, venne appeso ad un albero nella “sierra” di Quila, Jalisco (diocesi di Autlan) e lì lasciato morire.
Aveva concluso la sua poesia con una domanda ed un desiderio “Si arriva all’attimo della felice ed eterna unione?” essa esprime il grande desiderio di fede nell’Eucaristia, di questo esemplare uomo di Dio: seppe vivere ogni giorno il dono ricevuto da Cristo del sacerdozio, arrivando preparato e desideroso al supremo eroico momento di quella eterna unione.



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00giovedì 24 giugno 2010 11:47

San Josemaria Escrivá de Balaguer Sacerdote, Fondatore dell'Opus Dei

26 giugno

Barbastro, Spagna, 9 gennaio 1902 - Roma, 26 giugno 1975

Josemaría Escrivá nacque a Barbastro (Spagna) il 9 gennaio 1902. Fu ordinato sacerdote nel 1925. Nel 1927 iniziò a Madrid un instancabile lavoro sacerdotale dedicato in particolare ai poveri e ai malati nelle borgate e negli ospedali. Il 2 ottobre del 1928 ricevette una speciale illuminazione divina e fondò l'Opus Dei, un'istituzione della Chiesa che promuove fra cristiani di tutte le condizioni sociali una vita coerente con la fede in mezzo al mondo attraverso la santificazione delle opere quotidiane: il lavoro, la cultura, la vita familiare... Alla sua morte, nel 1975, la sua fama di santità si è diffusa in tutto il mondo, come dimostrano le molte testimonianze di favori spirituali e materiali attribuiti all'intercessione del fondatore dell'Opus Dei, fra cui anche guarigioni clinicamente inesplicabili. Il 6 ottobre 2002 è stato canonizzato nel corso di una solenne cerimonia presieduta dal Santo Padre Giovanni Paolo II alla presenza di oltre 300 mila fedeli. (Avvenire)

Etimologia: Josemaría = composto di Giuseppe e Maria

Martirologio Romano: A Roma, san Giuseppe Maria Escrivà de Balaguer, sacerdote, fondatore dell’Opus Dei e della Società sacerdotale della Santa Croce.


Josemaría Escrivá nacque a Barbastro (Spagna) il 9 gennaio 1902. Fra i 15 e i 16 anni cominciò ad avvertire i primi presentimenti di una chiamata divina, e decise di farsi sacerdote. Nel 1918 iniziò gli studi ecclesiastici nel Seminario di Logroño, e dal 1920 li proseguì nel Seminario S. Francesco di Paola, a Saragozza, dove dal 1922 svolse mansioni di "Superiore". Nel 1923 iniziò gli studi di Legge nell’Università di Saragozza, col permesso dell’Autorità ecclesiastica, senza che ciò ostacolasse gli studi teologici. Ricevette il diaconato il 20 dicembre 1924, e fu ordinato sacerdote il 28 marzo 1925.
Nella primavera del 1927, sempre col permesso dell’Arcivescovo, si trasferì a Madrid, dove si prodigò in un instancabile lavoro sacerdotale in tutti gli ambienti, dedicandosi anche ai poveri e ai malati delle borgate, specie agli incurabili e ai moribondi degli ospedali. Divenne cappellano del “Patronato per i malati”, iniziativa assistenziale delle Dame Apostoliche del Sacro Cuore, e fu docente in un’Accademia universitaria. Frattanto continuava gli studi e i corsi di dottorato in Legge, che a quell’epoca si tenevano solo nell’Università di Madrid.
Il 2 ottobre del 1928 il Signore gli fece vedere con chiarezza l’Opus Dei. Da quel giorno il fondatore dell’Opus Dei si dedicò, con grande zelo apostolico per tutte le anime, a compiere la missione che Dio gli aveva affidato. Il 14 febbraio del 1930 iniziò l’apostolato dell’Opus Dei con le donne. Nel 1934 fu nominato Rettore del Patronato di Santa Elisabetta.
Il 14 febbraio 1943 fondò la Società sacerdotale della Santa Croce, inseparabilmente unita all’Opus Dei, che, oltre a permettere l’ordinazione sacerdotale di membri laici dell’Opus Dei e la loro incardinazione al servizio dell’Opera, avrebbe più tardi consentito pure ai sacerdoti incardinati nelle diocesi di condividere la spiritualità e l’ascetica dell’Opus Dei, cercando la santità nell’esercizio dei doveri ministeriali, pur restando alle esclusive dipendenze del rispettivo Ordinario diocesano.
Nel 1946 si trasferì a Roma, dove rimase fino alla fine della vita. Da Roma stimolò e guidò la diffusione dell’Opus Dei in tutto il mondo, prodigando tutte le sue energie nel dare agli uomini e alle donne dell’Opera una solida formazione dottrinale, ascetica e apostolica. Alla morte del fondatore l’Opus Dei contava più di 60.000 membri, di 80 nazionalità.
Monsignor Escrivá fu Consultore della Pontificia Commissione per l’interpretazione autentica del Codice di Diritto canonico e della Sacra Congregazione per i Seminari e le Università; Prelato onorario di Sua Santità e membro onorario della Pontificia Accademia teologica romana, è stato anche Gran Cancelliere delle Università di Navarra (Spagna) e Piura (Perù) .
San Josemaría Escrivá è morto il 26 giugno 1975. Da anni offriva la sua vita per la Chiesa e per il Papa. Fu sepolto nella Cripta della chiesa di S. Maria della Pace, a Roma.
La fama di santità che già ebbe in vita si è diffusa, dopo la sua morte, in tutti gli angoli della terra, come dimostrano le molte testimonianze di favori spirituali e materiali attribuiti all’intercessione del fondatore dell’Opus Dei; fra di essi si registrano anche guarigioni clinicamente inesplicabili. Numerosissime sono anche state le lettere provenienti dai cinque continenti, fra le quali si annoverano quelle di 69 cardinali e di circa 1.300 vescovi - più di un terzo dell’episcopato mondiale - che chiedevano al Papa l’apertura della Causa di Beatificazione e Canonizzazione di Josemaría Escrivá. La causa si è aperta nel febbraio del 1981. Conclusi tutti i necessari tramiti giuridici, la beatificazione del fondatore dell'Opus Dei è stata celebrata il 17 maggio 1992. Il 6 ottobre 2002 è stato canonizzato nel corso di una solenne cerimonia presieduta dal Santo Padre Giovanni Paolo II, in piazza San Pietro alla presenza di oltre 300 mila fedeli provenienti da tutto il mondo.

Dal 21 maggio 1992 il corpo del beato Josemaría Escrivá riposa nell‚altare della chiesa prelatizia di S. Maria della Pace, nella sede centrale della Prelatura dell'Opus Dei, costantemente accompagnato dalla preghiera e dalla gratitudine delle tante persone di tutto il mondo che si sono avvicinate a Dio attratte dall‚esempio e dagli insegnamenti del fondatore dell'Opus Dei e dalla devozione di quanti ricorrono alla sua intercessione.

Fra gli scritti pubblicati del beato Josemaría Escrivá si annoverano, oltre al saggio teologico-giuridico La Abadesa de las Huelgas, libri di spiritualità tradotti in molte lingue: Cammino (Ares, 39ª ed., Milano 2000), Il santo Rosario (Ares, 6ª ed., Milano 1996), E' Gesù che passa (Ares, 6ª ed., Milano 2000), Amici di Dio (Ares, 6ª ed., Milano 1999), Via Crucis (Ares, 4ª ed., Milano 2001), La Chiesa nostra Madre (Ares, 2ª ed., Milano 1993), Solco (Ares, 10ª ed., Milano 2000), Forgia (Ares, 8ª ed., Milano 2000), fra i quali gli ultimi cinque pubblicati postumi. Una raccolta di interviste concesse alla stampa interna-zionale ha dato luogo al volume Colloqui con monsignor Escrivá (Ares, 5ª ed., Milano 1987). Tra le raccolte di scritti Amare il mondo, scritti scelti a cura di Luciano Santarelli (Città Nuova, Roma 1990), Il lavoro rende santi. Antologia a cura di Saverio Gaeta (San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 1997) e Tra le braccia del Padre. Antologia a cura di Andrea Mardegan, (Ed. I Rombi Marietti, Genova, 2000).



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00giovedì 24 giugno 2010 11:47

Beata Maria Giuseppina di Gesù Crocifisso Carmelitana

26 giugno

Napoli, 18 febbraio 1894 – Napoli, 14 marzo 1948

Giuseppina Catanea, detta Pinella, nasce a Napoli il 18 febbraio 1896. Dopo gli studi commerciali, nel 1918 entra nella Comunità carmelitana di Santa Maria ai Ponti Rossi, sorta per volontà della sorella Antonietta. Malaticcia, nel 1912 viene colpita da tubercolosi, paresi e meningismo spinale. Ma dieci anni dopo guarisce dopo avere toccato una reliquia di san Francesco Saverio. È l'inizio di un apostolato che la «monaca bianca», come viene chiamata, porterà avanti per tutta la vita, accogliendo al Monastero ogni tipo di ammalati. La sua abnegazione continua ininterrottamente anche quando, a 50 anni, viene costretta alla sedia a rotelle. Nel settembre del 1945 viene eletta Priora della Comunità, incarico che tiene sino alla morte che sopraggiunge il 14 marzo 1948. Viene beatificata nella Cattedrale di Napoli il 1 giugno 2008 dal cardinale Crescenzio Sepe. <I> (Avv.)</

Giuseppina Catanea, nacque a Napoli il 18 febbraio 1896 e in famiglia fu sempre chiamata Pinella. Dopo aver compiuto gli studi commerciali, il 10 marzo 1918 entrò nella Comunità carmelitana di S. Maria ai Ponti Rossi, che era sorta per volontà della sorella Antonietta, divenuta nel Terz’Ordine Carmelitano suor Maria Teresa, con l’appoggio del padre Romualdo di S. Antonio, carmelitano.
Non era il ritratto della salute, piuttosto fragile e malaticcia, nel 1912 fu colpita da attacchi d’angina, poi da tubercolosi alla spina dorsale con lesioni alle vertebre, paresi completa e da meningismo spinale.
Ma dieci anni dopo a 28 anni, il 26 giugno 1922 ne fu miracolosamente guarita in modo istantaneo, dopo il contatto col braccio di s. Francesco Saverio, che era stato portato a Napoli.
Fu l’inizio di un apostolato, che la “monaca santa”, com’era chiamata, portò avanti per tutta la vita, accogliendo al monastero ogni tipo di ammalati e bisognosi di grazie, sia materiali che spirituali, cui dava il suo conforto e consiglio, per trovare l’amore di Dio, spesso operando prodigi.
La sua abnegazione continuò ininterrottamente, specie nei giorni festivi, anche quando altre malattie la colpiranno ed a 50 anni nel 1944 con la vista indebolita, fu inchiodata alla sedia a rotelle, dava di sé l’immagine di una crocifissa con Gesù, per la Chiesa ed i fratelli, così come il suo nome di religiosa era tutta una predestinazione. Volle essere vittima per le sofferenze dell’umanità, ripiena di una sensibilità nuova donatale dallo Spirito Santo; nel 1932 la Santa Sede riconobbe come monastero del Secondo Ordine dei Carmelitani Scalzi, la Casa dei Ponti Rossi di Napoli e Giuseppina Catanea ricevé l’abito di s. Teresa in forma ufficiale, con il nuovo nome di Maria Giuseppina di Gesù Crocifisso e il 6 agosto dello stesso anno professava solennemente secondo la Regola, che già seguiva dal 1918.
Dal 1934 il cardinale Alessio Ascalesi, arcivescovo di Napoli, la nominò sottopriora, poi nel 1945 vicaria e il 29 settembre 1945 nel Primo Capitolo Elettivo, venne eletta Priora della Comunità, incarico che tenne fino alla morte.
La sua spiritualità, la docilità amorosa, l’umiltà e semplicità, ebbero grande applicazione durante gli anni della Seconda Guerra Mondiale; pregava in continuazione, ciò alimentava quella confidenza in Dio, di cui contagiava quanti si recavano in pellegrinaggio fino ai Ponti Rossi, per ascoltare un suo incoraggiamento per riprendere a sperare nella vita, superando le prove ed i dolori.
Il giorno della sua vestizione aveva detto: “Mi sono offerta a Gesù Crocifisso per essere crocifissa con Lui”.
Il Signore l’aveva presa in parola, rendendola partecipe del Suo patire, che cercò di vivere silenziosamente e gioiosamente, amalgamandosi al Cuore di Maria Vergine; la sua esistenza, da una certa epoca, fu ripiena di carismi mistici straordinari, sopportò per lunghi anni dure prove e persecuzioni sopportate nell’abbandonarsi alla volontà di Dio.
Per ubbidienza e per consiglio del padre Romualdo di s. Antonio, scrisse l’”Autobiografia” (1894-1932) e il “Diario” (1925-45), inoltre lettere ed esortazioni per le religiose. Dal 1943 cominciò a soffrire di labirintite auricolare, parestesie varie, dolorosa sclerosi a placche, perdita progressiva della vista e altri disturbi; convinta che la sua era la ‘malattia della volontà di Dio’, la riteneva ‘un dono magnifico’ che la univa maggiormente a Gesù sulla croce; e sorridendo offriva il suo corpo, in sfacelo per la gangrena diffusa, quale altare del suo sacrificio per le anime.
Madre Maria Giuseppina morì il 14 marzo 1948 con il cuore rivolto a Dio ed alle anime; il suo corpo disfatto si conservò pienamente incorrotto fino al 27 marzo, data della sepoltura, per dare possibilità alle folle che in continuazione, venivano a dare l’ultimo saluto alla “monaca santa”.
Nel dicembre 1948, cioè lo stesso anno della morte, il cardinale Ascalesi, diede avvio al Processo Ordinario per la causa di beatificazione. Il 3 gennaio 1987 si ebbe il decreto sulle virtù ed il titolo di venerabile.
E' stata beatificata nella Cattedrale di Napoli dal Cardinale Crescenzio Sepe il 1 giugno 2008. La sua memoria liturgica è celebrata il 26 giugno.



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00giovedì 24 giugno 2010 11:48

Beate Maria Maddalena Fontaine e 3 compagne Vergini e martiri

26 giugno

m. Cambrai (Francia), 26 giugno 1794

Martirologio Romano: A Cambrai in Francia, beate Maddalena Fontaine, Francesca Lanel, Teresa Fantou e Giovanna Gérard, vergini e martiri, che, Figlie della Carità, durante la rivoluzione francese furono condannate a morte in odio alla Chiesa e condotte al supplizio incoronate per scherno con il Rosario.


MARIA MADDALENA FONTAINE
Nacque ad Etrepagny (Francia) il 22 aprile 1723 ed entrò nella congregazione il 9 luglio 1748.

MARIA FRANCESCA LANEL
Nacque ad Eu (Francia) il 24 agosto 1745 ed entrò nella congregazione il 10 aprile 1764.

TERESA MADDALENA FANTOU
Nacque a Miniac-Morvan (Francia) il 29 luglio 1747 ed entrò nella congregazione il28 novembre 1771.

GIOVANNA GERARD
Nacque a Cumieres (Francia) il 23 ottobre 1752 ed entrò nella congregazione il17 Settembre 1776.

Queste quattro religiose, appartenenti alla congregazione delle Figlie della Carità di San Vincenzo de' Paoli, subirono il martirio in testimonianza della loro fede cristiana durante la Rivoluzione Francese nel periodo conosciuto come “Grande Terrore”, cioè tra il settembre 1793 e l'agossto 1794. In tale frangente storico Austria, Prussia, Inghilterra e Spagna attaccarono le armate rivoluzionarie francesi e conseguentemente la politica di cristianizzazione non poté che raggiungere il suo apice: fu proibito ogni culto pubblico e privato, mentre preti e suori, accusati di essere “nemici dello stato”, furono processati e condannati a morte.
La piccola comunità vincenziana di Arras era formata da sette suore, dedite alla cura degli ammalati del paese ed alla gestione di una scuola per ragazze. Il loro operare si fece rischioso dal 1793, quando Giuseppe Lebon, noto sacerdote apostata, confiscò i beni delta comunità e pose un laico alla direzione della scuola. Le suore poterono continuare a curare i malati ancora per qualche tempo, ma indossando abiti civili. Presagendo che il peggio dovesse ancora verificarsi, la superiora settantunenne Madre Maria Maddalena Fontaine pensò bene di far fuggire in Belgio le due suore più giovani, camuffate da contadine. Un'altra dovette invece raggiungere i suoi familiari.
La superiora rimase così con le rimanenti tre consorelle: Maria Francesca Lanel, Teresa Maddalena Fantou e Giovanna Gerard. Rifiutandosi di prestare il giuramento di Libertà ed Eguaglianza, prescritto dai rivoluzionari al clero ed ai religiosi, vennero tutte e quattro arrestate il 14 febbraio 1974, quali sospettate di “attività controrivoluzionaria” sulla base di prove quantomeno discutibili.
Furono allora trasferite a Cambrai, ove Giuseppe Lebon era il magistrato inquirente. Il 26 giugno furono condotte in tribunale e condannate a morte. Le quattro suore, salite al patibolo incoronate da un Rosario, non esitarono a cantare l'Ave Maris Stella e suor Maddalena, ultima ad essere ghigliottinata, rivolse alla folla un breve discorso rivelatosi profetico: “Ascoltate cristiani! Saremo le ultime vittime, la persecuzione sta per finire, i patiboli saranno distrutti e gli altari di Gesù saranno ricostruiti in tutta la loro gloria”.
La Francia era infatti ormai stanca di persecuzioni e Robespierre, l'artefice del “Terrore”, fu ghigliottinato nel luglio successivo. Anche Giuseppe Lebon subì la medesima sorte poche settimane dopo.
Le quattro martiri di Arras, Maria Maddalena Fontaine, Maria Francesca Lanel, Teresa Maddalena Fantou e Giovanna Gerard, furono dichiarate “venerabili” il 6 luglio 1919 e beatificate il 13 giugno 1920 dal pontefice Benedetto XV.
Il Martytologium ROmanum le commemora al 26 giugno nell'anniversario del loro glorioso martirio.



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00giovedì 24 giugno 2010 11:49

San Masenzio (Massenzio) Abate

26 giugno

m. 515 circa

Martirologio Romano: Nel territorio di Poitiers in Aquitania, nell’odierna Francia, san Massenzio, abate, insigne per le sue virtù.


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00giovedì 24 giugno 2010 11:49

San Medico Martire venerato a Otricoli

26 giugno

Patronato: Otricoli (TR)

Emblema: Palma



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00giovedì 24 giugno 2010 11:50

Beati Nicola (Mycola) Konrad e Vladimiro (Volodymyr) Pryjma Martiri ucraini

26 giugno

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+ Stradch, Ucraina, 26 giugno 1941

Martirologio Romano: Nella selva di Birok vicino alla città di Stradch nel territorio di Leopoli in Ucraina, beati Nicola Konrad, sacerdote, e Vladimiro Pryjma, che, sotto un regime ateo, testimoniarono con un’impavida morte la speranza nella resurrezione di Cristo.


Mykola Konrad sacerdote
Strusiv, Ucraina, 16 maggio 1876 – Stradch, Ucraina, 26 giugno 1941

Mykola Konrad nacque il 16 maggio 1876 nel villaggio ucraino di Strusiv, nella regione di Ternopil. Compì i suoi studi teologici e filosofici a Roma. Nel 1899 ricevette l’ordinazione presbiterale, quale sacerdote diocesano dell’Arcieparchia di Lviv degli Ucraini, e conseguì il dottorato. Iniziò allora ad insegnare nelle scuole superiori di Berezhany e Terebovlia, finchè nel 1930 il metropolita André Sheptytsky non lo invitò ad insegnare all’Accademia teologica di Lviv. In seguito il vescovo affidò alle sue cure pastorali la parrocchia del villaggio di Stradch.

Volodymyr Pryjma laico, padre di famiglia
Stradch, Ucraina, 17 luglio 1906 - Stradch, Ucraina, 26 giugno 1941

Unico laico tra i nuovi beati martiri ucraini, Volodymyr Pryjma nacque il 17 luglio 1906 nel villaggio di Stradch, nella regione ucraina di Yavoriv. Padre di famiglia, dopo aver ottenuto un diploma in una scuola di canto patrocinata dal metropolita Sheptytsky, divenne cantore e poi direttore del coro della parrocchia di Stradch, ove era appunto parroco Mykola Konrad.

Il 26 giugno 1941 i due si recarono in visita ad un parrocchiano gravemente malato, che aveva richiesto gli ultimi racramenti. Erano ormai di ritorno quando, di passaggio nel vicino bosco di Birok, furono torturati senza pietà e messi a morte da alcuni agenti del NKVD.
Mykola Konrad e Volodymyr Pryjma fu rono beatificati da Giovanni Paolo II il 27 giugno 2001, insieme con altre 23 vittime del regime sovietico di nazionalità ucraina.



Stellina788
00giovedì 24 giugno 2010 11:51

San Pelagio di Cordova Martire

26 giugno

m. 925

Martirologio Romano: A Córdova nell’Andalusia in Spagna, san Pelagio, martire, che, all’età di tredici anni, per aver conservato la fede in Cristo e la castità contro le lascive lusinghe del re dei Mori ‘Abdul ar-Rahman III, per ordine di costui fu fatto a pezzi con delle tenaglie di ferro, portando così a termine il suo glorioso martirio.



Stellina788
00giovedì 24 giugno 2010 11:52

Beato Raimondo Petiniaud de Jourgnac Martire

26 giugno

Martirologio Romano: In una nave da carico ancorata al porto di Rochefort in Francia, beato Raimondo Petiniaud de Jourgnac, sacerdote e martire, che, arcidiacono di Limoges, durante la rivoluzione francese a causa del suo sacerdozio fu tenuto in condizioni disumane in carcere, dove portò a termine il proprio martirio, corroso dalle piaghe e dai pidocchi.


Stellina788
00giovedì 24 giugno 2010 11:52

San Rodolfo Vescovo

26 giugno

Gubbio (Perugia), 1034 - 26 giugno 1064

Rodolfo appare fra i partecipanti al Concilio romano del 1059 come vescovo di Gubbio. È il primo di tre vescovi santi della cittadina umbra in un secolo: dopo di lui c'è san Giovanni da Lodi, e terzo è sant'Ubaldo. Conosciamo Rodolfo soprattutto per quello che ne scrive il suo maestro san Pier Damianim, che aveva guidato l'eremo marchigiano di Fonte Avellana. Tra gli asceti l'aveva colpito il giovane Rodolfo, che da Fonte Avellana diventò vescovo della sua Gubbio. Qui avviò il risanamento, bloccando anche il giro di moneta intorno ai Sacramenti. La morte a trent'anni, nel 1064, ne interrompe però l'opera. (Avvenire)

Etimologia: Rodolfo = lupo glorioso, dall'antico tedesco

Martirologio Romano: A Gubbio in Umbria, san Rodolfo, vescovo, che si adoperò nella predicazione e distribuì con prodigalità ai poveri tutto quel che riusciva a sottrarre alle spese legate alla sua persona.

Trent’anni di vita, e almeno cinque di episcopato. Lo troviamo infatti al Concilio Romano del 1059, come vescovo di Gubbio. Ha 25 anni ed è il primo di tre vescovi santi della cittadina umbra in un secolo: dopo di lui c’è san Giovanni da Lodi, e terzo è il popolare sant’Ubaldo. Conosciamo Rodolfo soprattutto per quello che ne scrive il suo maestro san Pier Damiani, una delle più forti personalità dell’XI secolo.
Pier Damiani aveva guidato l’eremo marchigiano di Fonte Avellana: un vivaio di asceti. E tra questi l’aveva colpito il giovane Rodolfo (che aveva con sé il fratello maggiore Pietro. Poi entreranno in monastero anche la madre Ratia e l’altro fratello Giovanni). Da monasteri ed eremi vengono gli uomini del rinnovamento. Rodolfo, da Fonte Avellana, diventa vescovo della sua Gubbio. Qui avvia il risanamento, bloccando intanto il giro di moneta intorno ai Sacramenti. C’è chi chiede denaro anche per assolvere dai peccati, e chi vuole la tangente per l’ordinazione di un chierico. La morte a trent’anni interrompe troppo presto l’opera: ma la riprenderà dopo di lui Giovanni da Lodi. Pier Damiani comunica la morte di Rodolfo al papa Alessandro II con una lettera che racconta la vita del giovane vescovo, tra grandi lodi al suo spirito di preghiera e di penitenza; ciò gli procura subito fama di santo. Pier Damiani ha grande stima anche della cultura teologica e biblica del discepolo. Con una lettera egli aveva chiesto infatti a Rodolfo (e al vescovo Teodosio di Senigallia) "di rivedere i suoi scritti e correggere quanto vi potessero trovare di difforme dalla dottrina cattolica e dalla retta interpretazione della S. Scrittura" (Giovanni Lucchesi). Insomma, Pier Damiani, dottore della Chiesa, sembra un alunno insicuro che parla ai professori, tanto è elevato il prestigio dei discepoli Rodolfo e Teodosio.
Del corpo di Rodolfo, sepolto nella cattedrale di Gubbio, non si ha più traccia dopo i lavori eseguiti nel 1670.


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00giovedì 24 giugno 2010 11:53

Santi Salvio e Superio Martiri

26 giugno

sec. VIII

Martirologio Romano: Presso Valencienne in Austrasia, nel territorio dell’odierna Francia, santi Salvio, vescovo, e il suo discepolo, che giunsero dal territorio dell’Auvergne in questa regione e subirono il martirio sotto il tiranno del luogo Vinegardo.


Stellina788
00giovedì 24 giugno 2010 11:54

Beato Sebastiano de Burgherre Mercedario

26 giugno

Saldo deella fede, il religioso mercenario del convento di Montpellier (Francia), Beato Sebastiano de Burgherre, venne mandato in Africa per redimere. Ad Algeri rimase in ostaggio per 10 anni sopportando molte sofferenze ma gioiosamente come schiavo, mantenendosi fedele al suuo credo per la libertà dei cristiani. Tornato in Francia nel suo convento, morì nel bacio del Signore.
L’Ordine lo festeggia il 26 giugno.



Stellina788
00giovedì 24 giugno 2010 11:55

San Vigilio Vescovo e martire

26 giugno

Trento, secolo IV - Trento, anno 400 o 405

È un trentino di origine romana, vissuto tra la fine del IV e l'inizio del V secolo, terzo vescovo di Trento. Su suggerimento di Ambrogio, vescovo di Milano, Vigilio affida a tre presbiteri cappadoci - Sisinnio, Martirio e Alessandro - l'evangelizzazione dell'Anaunia, oggi Val di Non. I tre, che aveva personalmente formato, verranno poi martirizzati. Vigilio invia le reliquie dei tre a Costantinopoli e a Milano, dove vengono accolte rispettivamente da Giovanni Crisostomo e Simpliciano. Un'antica tradizione racconta che il martirio del vescovo, patrono di Trento, si sia consumato a colpi di zoccolo in Val Rendena. (Avvenire)

Patronato: Trento

Etimologia: Vigilio = vigilante, dal latino

Emblema: Bastone pastorale, Palma, Zoccolo

Martirologio Romano: A Trento, san Vigilio, vescovo, che, ricevute da sant’Ambrogio di Milano le insegne del suo mandato e una istruzione pastorale, si adoperò per consolidare nel suo territorio l’opera di evangelizzazione ed estirpare a fondo i residui di idolatria; si tramanda poi che abbia subito il martirio per la fede in Cristo, colpito a morte da rozzi pagani.

E’ un trentino, ma di origine romana, e nei documenti lo troviamo già vescovo di Trento. Ha avuto l’incarico da Ambrogio, vescovo di Milano, che all’epoca ha autorità su tutta l’Italia del Nord: al momento della sua nomina (nell’ultimo decennio del IV secolo) il Papa è Siricio, energico sostenitore del primato romano su tutta la comunità cristiana. (In quell’epoca, infatti, scrivendo al vescovo di Tarragona in Spagna, afferma deciso: "L’apostolo Pietro in persona sopravvive nel vescovo di Roma"). Però lascia che Ambrogio sovrintenda al NordItalia, dove la struttura cristiana è tutt’altro che consolidata. Vigilio, per esempio, è solo il terzo vescovo di Trento; e parti importanti del suo territorio non sono ancora evangelizzate. Gli manca il personale adatto, cosicché deve rivolgersi appunto ad Ambrogio per avere validi missionari. Ambrogio glieli trova e glieli manda. Sono orientali, della Cappadocia (regione dell’attuale Turchia), ossia di un’area che sta dando all’intera Chiesa apostoli e maestri. Così arrivano nel Trentino questi tre orientali: Sisinnio, Martirio e Alessandro suo fratello.
Il vescovo Vigilio affida loro la predicazione nell’Anaunia, ossia nella Val di Non. E certo li prepara al difficile compito secondo il suo personale stile di pastore, arricchito dalla conoscenza delle popolazioni da raggiungere. Non vuole farne dei travolgenti conquistatori, ma piuttosto dei veicoli della Parola con l’intera loro vita, attraverso l’esempio, l’amicizia e la carità senza distinzioni. E’ molto efficace la loro parola, perché i tre sono i soccorritori di tutti, gli amici di tutti, e accolgono tutti nella casa che si sono costruiti con le loro mani. Dopo dieci anni di annuncio attraverso l’esempio, ecco però una tragica crisi: una lite a Sanzeno, tra seguaci dei vecchi culti e un cristiano che rifiuta di venerare Saturno, scatena una parte degli abitanti contro i tre missionari, percossi a morte e poi bruciati.
Accorre Vigilio a raccogliere quanto rimane di loro; tuttavia, anche di fronte alla tragedia, il suo stile non muta. Onorati i martiri, egli si oppone risolutamente al castigo dei colpevoli: li perdona e poi chiede di persona la grazia per essi all’imperatore Onorio (che all’epoca è un ragazzo: in suo nome governa il generale Stilicone). Il gesto riassume tutta la linea pastorale del vescovo Vigilio: "Vincere soccombendo", come scrive in una lettera. Egli manda poi reliquie dei tre evangelizzatori a Costantinopoli, dove le accoglie san Giovanni Crisostomo; e a Milano, dove a riceverle c’è san Simpliciano, successore di Ambrogio. Nel XX secolo, Milano donerà parte di quei resti alla chiesa di Sanzeno. Non sappiamo come sia morto Vigilio: un tardo racconto, che parla di martirio, non convince gli studiosi. Una leggenda del suo martirio dice che venne ucciso a zoccolate in Val Rendena; altre versioni dicono che la sua lapidazione prese il via da una zoccolata datagli da una donna.
I suoi resti sono custoditi nella cattedrale di Trento.



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