27 gennaio

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scri789
00giovedì 27 gennaio 2011 13:22

Sant' Angela Merici Vergine, fondatrice

27 gennaio - Memoria Facoltativa

Desenzano sul Garda (Brescia), 21 marzo 1474 – Brescia, 27 gennaio 1540

Angela Merici fondò nel 1535 la Compagnia di Sant'Orsola, congregazione le cui suore sono ovunque note come Orsoline. Le sua idea di aprire scuole per le ragazze era rivoluzionaria per un'epoca in cui l'educazione era privilegio quasi solo maschile. Nata nel 1474 a Desenzano del Garda (Brescia) in una povera famiglia contadina, entrò giovanissima tra le Terziarie francescane. Rimasta orfana di entrambi i genitori a 15 anni, partì per la Terra Santa. Qui avvenne un fatto insolito. Giunta per vedere i luoghi di Gesù, rimase colpita da cecità temporanea. Dentro di sé, però, vide una luce e una scala che saliva in cielo, dove la attendevano schiere di fanciulle. Capì allora la sua missione. Tornata in patria, diede vita alla nuova congregazione, le cui prime aderenti vestivano come le altre ragazze di campagna. La regola venne stampata dopo la morte, avvenuta a Brescia il 27 gennaio del 1540. E' santa dal 1807. (Avvenire)

Etimologia: Angela = messaggero, nunzio, dal greco

Emblema: Giglio

Martirologio Romano: Sant’Angela Merici, vergine, che dapprima prese l’abito del Terz’Ordine di San Francesco e radunò delle giovani da formare alle opere di carità; quindi, istituì sotto il nome di sant’Orsola un Ordine femminile, cui affidò il compito di cercare la perfezione di vita nel mondo e di educare le adolescenti nelle vie del Signore; infine, a Brescia rese l’anima a Dio.

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Il suo tempo
Sant’Angela Merici visse in quel sofferto e nel contempo magnifico periodo storico, conosciuto come “Rinascimento”; periodo che va dalla fine del XIV a tutto il XVI secolo, e che fu l’inizio della civiltà moderna.
E se da un lato vi erano agitazioni e guerre, come quelle dell’imperatore Carlo V (1500-1568), che squassavano l’Europa e che portarono al tristemente famoso ‘Sacco di Roma’ del 6-17 maggio 1527, ad opera dei Lanzichenecchi, soldataglia agli ordini di Carlo V; dall’altro vi era tutto un fiorire di arte, con i più grandi artisti delle varie specialità, come Michelangelo, Raffaello Sanzio, Masaccio, Donatello, Brunelleschi, ecc.
Ma in quel felice periodo, in cui si manifestava l’umanesimo con la necessità della scoperta del mondo e dell’uomo, in seno alla cristianità ci fu un desiderio di riforma interiore e di rinascita, con il sorgere di numerose congregazioni religiose.
Come i Gesuiti nel 1534 ad opera di s. Ignazio di Loyola; i Fatebenefratelli fondati nel 1540 da s. Giovanni di Dio; i Somaschi nel 1528 fondati da s. Girolamo Emiliani; i Filippini o Preti dell’Oratorio di s. Filippo Neri (1515-1595), ecc. e sfociando, dopo lo sconquasso creato dalla Riforma Protestante di Martin Lutero († 1545), nel grande e basilare Concilio Ecumenico di Trento (1545-1563).
In questo quadro di grande movimento educativo e spirituale, per lo più rivolto però alla formazione della parte maschile della società del tempo, s’inserì l’opera di Angela Merici, che si prefiggeva un impegno particolare per la formazione sistematica delle ragazze; nel campo morale, integrando l’educazione ricevuta nelle famiglie, nel campo spirituale, alimentando quella già ricevuta nei monasteri, ma specialmente in campo intellettuale.

Origini, adolescenza
Angela Merici nacque il 21 marzo 1474 a Desenzano sul Garda (Brescia), allora territorio della Repubblica di Venezia, suo padre Giovanni Merici e la madre, appartenente alla distinta famiglia dei Biancosi di Salò, ricavavano il necessario per il sostentamento della famiglia, che comprendeva oltre Angela, una sorella più grande e sembra uno o più fratelli, dall’allevamento del bestiame e dalla coltivazione di qualche terreno.
Il padre Giovanni, “cittadino bresciano”, alquanto istruito, amava leggere alla moglie ed ai figli i primi libri di devozione stampati a Venezia; probabilmente la “Legenda aurea”, celebre raccolta di vite di santi e martiri, scritta dal domenicano Jacopo da Varazze (1220-1298).
E fu in quelle serate, trascorse ad ascoltare la detta lettura, che Angela conobbe e cominciò ad amare due sante martiri, che divennero i suoi punti di riferimento, santa Caterina d’Alessandria e sant’Orsola con le compagne.
Verso i 15 anni, dopo aver perso prematuramente la sorella, le morirono entrambi i genitori, pertanto Angela si trasferì nella vicina Salò, accolta nella casa di uno zio materno, uomo di un certo prestigio.
Gli anni trascorsi a Salò furono preziosi per Angela, perse quell’aria di contadinella ritrosa incantata dalla visione del lago di Garda, ma frequentando le giovani della città, acquistò la naturalezza nell’agire, che le consentirà in futuro di stare alla pari con le dame della borghesia e della nobiltà.
Disapprovava la rilassatezza dei costumi esistente anche a Salò e fu forse in questo periodo che divenne Terziaria Francescana, per avere una vita più austera e penitenziale, secondo i suoi desideri.
A 20 anni, dopo una permanenza di circa cinque anni a Salò, le morì lo zio e quindi ritornò a Desenzano sul Garda, alla cascina delle “Grezze”, impegnata nelle faccende domestiche, dedicandosi alle opere di misericordia spirituali e corporali secondo le necessità e circostanze e vivendo la sua spiritualità evangelica.

La giovinezza – Le visioni della “scala celeste”
Nella cascina partecipò anche ai lavori dei campi, e fu in questa occupazione solitaria, che Angela ebbe la consolazione di una visione celestiale.
Il primo a raccontarla, fu padre Francesco Landini in una sua lettera del 1566; era il primo pomeriggio di un caldo giorno d’estate, ed Angela, che come al solito durante l’intervallo che si faceva in attesa di una calura più sopportabile, si ritirava in disparte a pregare; si sentì improvvisamente rapita in Dio e vide il cielo aprirsi con una processione di angeli e vergini a coppie alternate, gli angeli suonavano, le vergini cantavano; nella sfilata vide la sorella defunta, che le preannunciava che sarebbe stata la fondatrice di una Compagnia di vergini.
L’iconografia della santa, ha rappresentato la visione come una scala fra terra e cielo, simile a quella di Giacobbe, con la processione delle vergini e degli angeli che la percorreva.
Nel 1516 i superiori francescani da cui Angela dipendeva come Terziaria, le proposero di trasferirsi a Brescia, per assistere la vedova Caterina Patendola, rimasta anche senza figli. Angela Merici obbedì docilmente, certa che il Signore in qualche modo le avrebbe indicato la sua futura strada.
Intanto la tradizione popolare indica, che una seconda visione avvenne in località Brudazzo, sulle colline fra Desenzano e Padenghe, e anche qui vi fu una lunga teoria di angeli e vergini, fra le quali Angela riconobbe una sua amica da poco morta in giovane età. La voce misteriosa questa volta precisava che la Compagnia sarebbe dovuta sorgere a Brescia, ordinandole di farlo “prima di morire”; infatti Angela Merici indugerà fino ai sessant’anni prima di fondare la Compagnia, impresa di cui avvertiva tutte le difficoltà.
Nella casa ospitale di Caterina Patendola, in cui portò la sua parola calda, vibrante, confortevole, riuscì a placare l’immenso dolore della vedova che aveva perso anche i due figli; qui conobbe anche Girolamo, nipote dei Patendola, che sarà il futuro fondatore dell’Ospedale degli Incurabili di Brescia, inoltre Giacomo Chizzola e Agostino Gallo, anch’essi impegnati nell’organizzazione dello stesso ospedale.
Angela instaurò con loro un’amicizia che durerà tutta la vita; diventando l’animatrice spirituale di un laicato impegnato in opere e iniziative di carità, a cui lei apporterà il contributo della sensibilità femminile.

I primi gruppi femminili - I suoi viaggi e pellegrinaggi
Suor Angela, come si faceva chiamare indossando l’abito del Terz’Ordine francescano, dopo qualche mese lasciò la casa dei Patendola e man mano fu ospitata in altre case private di Brescia, fra cui quella di Antonio Romano in via S. Agata.
Si guadagnava da vivere con il proprio lavoro di cucito e di filatura e con i servizi domestici; lavori umili tali da non essere stati annotati da testimoni diretti, perché usuali per le donne di modesta condizione del tempo.
A Brescia poteva frequentare più assiduamente le chiese, accostarsi di più ai Sacramenti, coltivare il numero sempre crescente di amicizie femminili; intorno a lei ormai si radunavano gentildonne e popolane, attratte dalla sua saggezza e disposte a collaborare alle opere di bene, specie a favore della gioventù femminile.
È di questo periodo, la parentesi dei suoi viaggi e dei pellegrinaggi fatti a piedi o con i mezzi precari del tempo, l’iconografia più diffusa la ritrae infatti con l’abito e il bastone da pellegrina.
Il primo fu quello compiuto a Mantova nel 1522, per venerare la tomba della beata Osanna Andreasi da lei molto ammirata; poi salì una prima volta al Sacro Monte di Varallo; nel 1524 in compagnia del signor Romano che l’ospitava e di un cugino, raggiunse Venezia e qui s’imbarcò per la Terra Santa, meta indispensabile per quanti, desiderosi d’intraprendere una strada di perfezione e carità, volevano attingere forza ed emozioni, alle sorgenti del Cristianesimo.
Ma in quell’occasione si verificò un fatto straordinario, Angela Merici mentre la nave si approssimava alla meta, fu colpita da una malattia agli occhi che le fece perdere improvvisamente la vista.
Poté vedere il Paese di Gesù solo con gli occhi dell’anima, infatti riacquisterà la vista soltanto nel viaggio di ritorno, davanti ad un crocifisso a Creta; Angela prese questa malattia che l’aveva impedita di vedere i Luoghi Santi, per i quali aveva intrapreso il lungo e disagevole viaggio, come un segno della Provvidenza che conduce le anime per vie imperscrutabili.
Sbarcata a Venezia preceduta dalla sua fama, si voleva trattenerla per il bene degli ospedali e orfanotrofi della Serenissima, ma lei intenzionata più che mai a realizzare a Brescia il comando celeste ricevuto nelle visioni, quasi se ne scappò per ritornare nella città d’origine.
Anche nel 1525, quando si recò a Roma per il Giubileo e fu ricevuta da papa Clemente VII che voleva trattenerla a Roma, suor Angela dovette ritornarsene in tutta fretta per evitare l’ordine del pontefice.
Nel 1529 si trasferì momentaneamente a Cremona, ospite della famiglia Gallo, che l’aveva invitata per sfuggire all’eventuale assedio delle truppe di Carlo V, che due anni prima avevano devastato Roma; nel 1533, ritornata a Brescia, trovò ospitalità in una casetta di proprietà dei Canonici Lateranensi, presso la Chiesa di Sant’Afra; nello stesso 1533 compì un secondo pellegrinaggio al Sacro Monte di Varallo, concludendo la serie dei suoi viaggi.

La fondazione della ‘Compagnia’
Dopo tante riflessioni, ormai era giunto per lei il tempo di operare, già nel 1532 Angela di Salò, come si firmava, chiedeva alla Santa Sede di essere esonerata dalla sepoltura in una chiesa francescana come tutte le Terziarie, optando per quella di Sant’Afra martire.
Non era un rinnegare l’appartenenza al Terz’Ordine francescano, tanto che ne porterà l’abito fino alla morte e con esso verrà sepolta, ma volle prendere per sé e soprattutto per le sue figlie spirituali che l’affiancavano, una certa distanza, in prospettiva di una futura vita consacrata organizzata autonomamente, che sentiva ormai di costituire per il gruppo.
Angela aveva colto nei suoi tanti incontri, un’esigenza particolare delle giovani, che aspiravano ad una totale consacrazione, ma fuori dello schema del tradizionale chiostro, e il Terz’Ordine Francescano, non contemplava l’impegno della verginità a vita, né poteva tutelarle dalle pressioni dei parenti che volevano maritarle, né dei padroni presso i quali molte di loro lavoravano.
Occorreva allora una “Compagnia”, nome in uso a quel tempo, indicante qualsiasi associazione religiosa di laici o laiche e anche di sacerdoti, che senza entrare in un Ordine religioso, si univano tra loro, impegnandosi a vivere integralmente il Vangelo e a servire il prossimo in particolari opere di carità.
Così nello stesso anno 1533, Angela Merici a quasi 60 anni, costituì la “Compagnia delle dimesse di Sant’Orsola”; si dicevano “dimesse” perché non vestivano l’antico e nobile abito delle monache; e “di Sant’Orsola”, perché, non avendo esse la protezione delle mura di un convento, dovevano vivere nel mondo e restare fedeli a Cristo, proprio come la giovane principessa della Britannia, uccisa dai pagani insieme alle numerose compagne e il cui culto era molto vivo anche a Brescia.
Così Angela e le prime dodici collaboratrici, Simona, Laura, Peregrina, Barbara, Chiara, ecc. presero a riunirsi nell’oratorio fatto restaurare e messo a disposizione da Elisabetta Prato, nella sua casa vicino al Duomo di Brescia.
Angela dal canto suo continuò a condurre una vita di penitenza, dormiva per terra su una stuoia, che di giorno conservava arrotolata in un angolo, usando un pezzo di legno per guanciale; si nutriva di legumi e frutta, mangiava il pane due volte la settimana, mai la carne, beveva un po’ di vino solo a Natale e Pasqua.
La sua fama di santità cresceva enormemente e a lei per consigli e spiegazioni sul Vecchio e Nuovo Testamento, si rivolgevano sacerdoti, religiosi, predicatori e teologi.
Il 25 novembre 1535, festa di un’altra santa da lei amata fin dall’infanzia, s. Caterina d’Alessandria, le prime 28 giovani, furono ammesse nella “Compagnia delle dimesse di Sant’Orsola”, la cui Regola scritta da Angela Merici, fu approvata dal vicario generale del vescovo di Verona l’8 agosto 1536.
Successivamente nel 1544 papa Paolo III ne approvava la Regola, elevando la Compagnia a Istituto di diritto pontificio, permettendola così di uscire dai confini diocesani.
Nel 1537, la Compagnia aveva eletto, prima superiora a vita, maestra e tesoriera, la fondatrice Angela Merici, la quale oltre la Regola, aveva dettato al fedele Gabriele Cozzano, cancelliere della Compagnia, altre due brevi opere, i “Ricordi” per le ‘colonnelle’ cioè per le superiore di quartiere e il “Testamento” per le nobili matrone, dette anche ‘governatrici’, che avevano la funzione di amministrare e proteggere l’Istituto.

La sua morte – L’eredità spirituale
Nel 1539 Angela fu colpita da una malattia, che fra alti e bassi la condusse alla morte il 27 gennaio 1540; per trenta giorni, i canonici di Sant’Afra e quelli del Duomo, si contesero l’onore di seppellire nella propria chiesa, l’ex contadinella di Desenzano; la spuntarono quelli di sant’Afra e oggi la chiesa, dove riposano le sue spoglie, si chiama Santuario di Sant’Angela, meta di continui pellegrinaggi provenienti specialmente dal mondo orsolinico; la chiesa, distrutta in gran parte dai bombardamenti del 1945, è stata ricostruita nel 1953.
Nel testamento spirituale, Angela tratteggiò le linee essenziali del suo metodo educativo, basato tutto nel rapporto di sincero amore tra educatore ed educando e sul pieno rispetto delle libertà altrui.
Così lasciò scritto alle sue Orsoline: “Vi supplico di voler ricordare e tenere scolpite nella mente e nel cuore, tutte le vostre figliole ad una ad una; e non solo i loro nomi, ma ancora la condizione e indole e stato e ogni cosa loro. Il che non vi sarà difficile, se le abbracciate con viva carità… Impegnatevi a tirarle su con amore e con mano soave e dolce, è non imperiosamente e con asprezza, ma in tutto vogliate essere piacevoli.
Soprattutto guardatevi dal voler ottenere alcuna cosa per forza; perché Dio ha dato a ognuno il libero arbitrio e non vuole costringere nessuno, ma solamente propone, invita e consiglia…”.

Sugli altari
Nel 1568 furono raccolte le deposizioni di quattro testimoni che avevano conosciuto Angela, ma dovettero trascorrere altri due secoli, prima che un’orsolina claustrale di Roma, si facesse postulatrice della causa di beatificazione, ottenendo il decreto di conferma del culto come Beata, il 30 aprile 1768, da parte di papa Clemente XIII.
Il 24 maggio 1807, Angela Merici fu proclamata Santa da papa Pio VII e papa Pio IX nel 1861, ne estese il culto a tutta la Chiesa universale.
Una statua scolpita nel 1866 dallo scultore Pietro Galli, la ricorda nella Basilica di S. Pietro in Vaticano. Nella liturgia ebbe varie date di celebrazione, prima il 31 maggio, poi dal 1955 il 10 giugno e infine il 27 gennaio, giorno della sua morte.

La Congregazione delle Orsoline
La “Compagnia delle dimesse di sant’Orsola”, prima congregazione secolare femminile sorta nella Chiesa, con la sua Regola fu l’origine di varie congregazioni religiose.
Già in vita, Angela vedendo aumentare attorno a sé una famiglia così numerosa e avendo un desiderio grande di servire Cristo in ogni bisognoso, fondò ben 24 rami di Orsoline, dette poi anche ‘Angeline’, che dopo la sua morte furono raggruppate in tre soli settori: le “Orsoline secolari” che vivono nelle famiglie proprie e si dedicano ad ogni opera di misericordia nelle parrocchie in cui vivono; le “Orsoline collegiali” che conducono vita comune e si dedicano all’istruzione della gioventù, gestendo appunto dei collegi; le “Orsoline claustrali” che sono di vita contemplativa.
Tra le Congregazioni sorte sull’esempio della Compagnia di Sant’Orsola, ma con abiti e costumi diversi, ne ricordiamo alcune: Orsoline di San Carlo, sorte a Milano nel 1566; Orsoline di Sant’Orsola, più rami fondati in Francia tra il 1612 e 1632; Orsoline di Maria Immacolata, fondate a Piacenza nel 1649; Orsoline di Gesù o Figlie dell’Incarnazione, fondate in Vandea nel 1802; Orsoline Gerosolimitane di Maria Immacolata, sorte a Bergamo nel 1818; Orsoline Figlie di Maria Immacolata, sorte presso Acqui nel 1854; Orsoline del Sacro Cuore di Gesù Agonizzante fondate nel 1920; Orsoline del Sacro Cuore fondate a Parma nel 1575; Orsoline dell’Unione Romana sorte nel 1878; e tante altre anche di più recente fondazione.





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00giovedì 27 gennaio 2011 13:23

Santa Devota Martire in Corsica

27 gennaio

Lucciana (Haute-Corse), 283 - Mariana (Corsica), 304

Nacque nel 283, in un luogo detto Quercio in Corsica. Giovane vergine, aveva deciso di votare la propria vita al completo servizio di Dio. Vittima della delazione, verso l'inizio del 304 d.C. fu arrestata, imprigionata e torturata. Dopo la sua morte, il governatore della provincia ordinò di bruciare il suo corpo, ma alcuni cristiani lo salvarono dalle fiamme e lo deposero su una barca, condotta dal pilota Graziano e dal prete Benenato, in partenza per l'Africa dove, pensarono, qualcuno le avrebbe donato una sepoltura cristiana. Ma nelle prime ore della traversata si levò una tempesta. Dalla bocca del cadavere inanimato di Devota uscì una colomba, che guidò la barca alla piccola valle di Les Gaumates, oggi parte del Principato di Monaco, dove secondo la leggenda sorgeva già una cappella dedicata a San Giorgio. Qui s'incaglio secondo la tradizione il 27 gennaio su un cespuglio di fiori assai precoce per la fredda stagione. Il corpo mutilato della giovane martire venne dunque scoperto dai pescatori ed in suo onore fu eretta una cappella dove ancora oggi sorge la chiesa parrocchiale a lei dedicata, vicino al porto monegasco. (Avvenire)

Patronato: Corsica, Mariana (Corsica), Principato di Monaco e Famiglia Grimaldi

Emblema: Palma, Corona di rose, Colomba, Barca, Stemma del Principato di Monaco

Martirologio Romano: A Biguglia in Corsica, commemorazione di santa Devota, vergine e martire.


All’inizio del III secolo alcuni cristiani, cacciati da Roma da Settimio Severo e da Caracalla, giunsero in Corsica dove, nel I secolo a.C., i Romani avevano fondato la città di Mariana, all’imbocco di Golo, nei pressi dello stagno di Biguglia.
Effettivamente, nel 93 a.C., Marius aveva stabilito, dandovi il suo nome, una colonia di veterani delle sue campagne contro i pirati. Fu Augusto, creandovi un porto, a far divenire Mariana un punto di accesso importante per l’espansione romana nella parte settentrionale dell’isola.
Adiacenti alla cattedrale romana, chiamata la “Canonica”, sono venuti alla luce i resti di una basilica paleocristiana del IV secolo ed un battistero della medesima epoca, testimonianti i primi tempi del cristianesimo in Corsica e confermanti l’importanza rilevante conferita alla celebrazione battesimale nella Chiesa primitiva.
La vita terrena di Devota si svolse in Corsica, a quei tempi provincia dell’Impero Romano,
all’epoca della grande persecuzione dei cristiani ordinata da Diocleziano. Vide la luce nel 283, in un luogo detto Quercio, sui primi pendii che collegano il porto romano di Mariana al borgo posto un po’ più in alto, nel territorio dell’attuale comune di Lucciana, dipartimento dell’Haute-Corse.
La giovane vergine aveva deciso di votare la propria vita al completo servizio di Dio. Vittima della delazione, verso l’inizio del 304 d.C. fu arrestata, imprigionata e torturata. Il cranio fu lapidato. Dopo la sua morte, il governatore della provincia ordinò di bruciare il suo corpo, ma alcuni cristiani lo salvarono dalle fiamme e lo deposero su una barca, condotta dal pilota Graziano e dal prete Benenato, in partenza per l’Africa dove, pensarono, qualcuno le avrebbe donato una sepoltura cristiana. Ma nelle prime ore della traversata si levò una tempesta. Dalla bocca del cadavere inanimato di Devota fuoriuscì miracolosamente una colomba, che guidò la barca alla piccola valle di Les Gaumates, oggi parte del Principato di Monaco, dove secondo la leggenda sorgeva già una cappella dedicata a San Giorgio, anch’egli martire delle persecuzioni ordinate da Diocleziano. Qui s’incaglio secondo la tradizione sei giorni prima delle calende di febbraio, cioè all’incirca il 27 gennaio, su un cespuglio di fiori assai precoce per la fredda stagione. Il corpo mutilato della giovane martire venne dunque scoperto dai pescatori ed in suo onore fu eretta una cappella dove ancora oggi sorge la chiesa parrocchiale a lei dedicata, vicino al porto monegasco. I fedeli, abitanti di Monaco o navigatori di passaggio, iniziarono a raccogliersi numerosi sulla sua tomba ed iniziarono così a verificarsi i primi miracoli.
In occasione delle invasioni dei Saraceni, i resti della martire furono portati in salvo nel monastero di Cimiez. Scampato il pericolo di profanazione, furono ricollocate nella sua chiesa, fatta restaurare per l’occasione dal principe monegasco Antonio I.
Tuttavia nel 1070, una notte, un capitano navale di nome Antinope rubò la cassa contenente le reliquie della santa con l’intenzione di negoziare il pagamento di un riscatto. Il sacrilegio fortunatamente ebbe breve durata, poiché secondo la leggenda un violento vento improvviso impedì al malfattore di mettere le vele ed un gruppo di pescatori riuscì ad inseguirlo e ad acciuffarlo. Arrestato, fu condotto al palazzo, dove Ugo Grimaldi lo condannò all’amputazione delle orecchie e del naso. La sua barca fu in seguito bruciata sulla spiaggia in sacrificio espiatorio.
Si racconta inoltre di come nel XVI secolo, nel corso di una guerra contro i genovesi ed i pisani, la santa abbia protetto Monaco qualora i nemici assediarono la fortezza del principato. Per un periodo di oltre sei mesi i loro attacchi furono ripetutamente repressi dai monegaschi, ai quali era apparsa Santa Devota rassicurandoli circa la protezione divina e la vittoria. Il 15 marzo 1507, infatti, i genovesi si ritirarono. Fu così scelta come patrona del principato e della famiglia regnante Grimaldi.
A partire dalla sera del 26 gennaio 1924, sotto il regno del principe Luigi II, fu introdotta l’usanza annuale di incendiare una piccola imbarcazione al termine di una breve funzione religiosa, in ricordo del furto delle reliquie sventato nel lontano 1070.
Le reliquie della martire sono oggi custodite nella chiesa parrocchiale suddetta. Una loro piccola parte, però, è invece conservata nella nuova cattedrale, in cima alla rocca. In tutte le chiese site nel territorio del principato è comunque quantomeno raffigurata con alcuni dei suoi attributi tipici: la palma del martirio, la corona di rose simbolo della verginità, la colomba simbolo di pace, la barca che la portò dalla Corsica alla Costa Azzurra e lo stemma del Principato di Monaco, che con la famiglia regnate Grimaldi la venera quale celeste patrona.
Come abbiamo visto, il martirio di Devoto costituì un fattore identitario anzitutto per i cristiani monegaschi. Per assistere al debutto del suo culto nella sua isola natale, occorrerà invece attendere il XVII secolo, quando vi furono traslate alcune reliquie, provenienti dal principato di Monaco, nel 1637, esposte nella chiesa gesuita di Sant’Ignazio, e nel 1728.
Tra il 1727 ed il 1751, per ben tre volte si tentò di ottenere da Roma il riconoscimento ufficiale del titolo di “Patrona del Regno di Corsica” per Santa Devota. Ma nel 1731 la giovane martire fu già scelta quale protettrice dell’isola.
Nel 1820, il primo vescovo della Chiesa di Corsica, raggruppante le sei antiche diocesi dell’isola, proclamò le sante martiri Devota e Giulia “patrone principali della Corsica”. A ciò fece seguito un decreto della Congregazione dei Riti datato al 14 marzo.
Nel 1893, per la prima volta fu dedicata a Santa Devota una chiesa, ridenominando quella preesistente a Pietranera, che fino al 1936 restò l’unico luogo di culto a lei intitolato sull’isola.I testi ufficiali della Messa in suo onore furono approvati il 18 marzo 1984 dal vescovo di Ajaccio e, l’11 agosto seguente, dalla Congregazione per il Culto Divino.
Il nuovo Martyrologium Romanum la commemora così il 27 gennaio, tradizionale data del ritrovamento delle reliquie: “A Mariana, nell’isola di Corsica, ricordo di Santa Devota, vergine e martire”. La solennità esterna per la Corsica è invece fissata alla prima domenica seguente la data del martirologio.





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00giovedì 27 gennaio 2011 13:23

San Domiziano di Melitene Monaco

27 gennaio

m. 27 gennaio 473


Ancora giovane si mise sotto la direzione di sant'Eutimio il Grande. Lo seguì anche quando si ritirò nel deserto a fare vita eremitica. In seguito evangelizzarono la regione di Caphar Baricha e fondarono la laura di Sahel. Nel 429 fu ordinato diacono da Giovenale, vescovo di Gerusalemme. Più tardi fu incaricato della prima formazione di Saba,il futuro e celebre monaco. Dopo la morte di Eutimio, presentendo prossima la sua fine non volle allontanarsi dal sepolcro del suo grande maestro.
Morì il 27 gennaio 473.


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00giovedì 27 gennaio 2011 13:24

Sant' Enrico de Osso y Cervello Sacerdote

27 gennaio

Vinebre, Tarragona, Spagna, 16 ottobre 1840 - Gilet, Valencia, 27 gennaio 1896

Sacerdote catalano canonizzato da Giovanni Paolo II il 16 giugno 1993 a Madrid. Nato a Vinebre (diocesi di Tortosa, provincia di Tarragona) il 16 ottobre 1840), sin dagli anni del seminario si dimostrò «catechista geniale». Promosse in tutta la Spagna la devozione a Santa Teresa d'Avila, fondando l'Arciconfraternita Teresiana. Pubblicò diversi libri di pietà e di pedagogia, subito diventati celebri, fra cui «Il quarto d'ora d'orazione» e la «Guida pratica del Catechista». Fu il fondatore, inoltre, della rivista Santa Teresa di Gesù , periodico che si diffuse rapidamente non solo in Spagna, ma anche in Europa e in America. A Tarragona, nella Catalogna, fondò la Compagnia di Santa Teresa di Gesù, congregazione religiosa femminile dedita alla preghiera ed all'educazione e oggi estesa in tutta la Spagna, in Portogallo, in Italia, in Francia, nelle Americhe e in alcuni luoghi dell'Africa e dell'Asia. Morì nel convento francescano di Santo Spirito, a Gilet (Valencia), nel 1896. (Avvenire)

Martirologio Romano: Nella cittadina di Gilet nella provincia di Valencia in Spagna, sant’Enrico de Ossó y Cervelló, sacerdote, che per provvedere alla formazione delle fanciulle fondò la Società di Santa Teresa di Gesù; rimosso in seguito da essa, trascorse i restanti anni della sua vita in un convento dei Frati Minori.


Sant’Enrico de Ossó, sacerdote catalano canonizzato da Giovanni Paolo II il 16 giugno 1993 a Madrid, sin dai suoi anni di seminarista si dimostrò “catechista geniale”. Attraverso i bambini riuscì a trasformare l’ambiente della città di Tortosa. Promosse in tutta la Spagna la devozione a Santa Teresa d’Avila, fondando l’Arciconfraternita Teresiana, che già in quel periodo dell’Ottocento raggiunse il numero di 140.000 iscritte. Pubblicò diversi libri di pietà e di pedagogia, subito diventati celebri, fra cui Il quarto d’ora d’orazione e la Guida pratica del Catechista. Fu il fondatore, inoltre, della rivista Santa Teresa di Gesù , periodico che si diffuse rapidamente non solo nella Spagna, ma anche in Europa ed in America.

A Tarragona, nella Catalogna, fondò la Compagnia di Santa Teresa di Gesù, congregazione religiosa femminile dedita alla preghiera ed all’educazione ed oggi estesa in tutta la Spagna, in Portogallo, in Italia, in Francia, nelle Americhe e in alcuni luoghi dell’Africa e dell’Asia.

Si è pubblicata recentemente la seconda edizione in italiano del libro del card. Marcelo González, La fuerza del sacerdocio, stampato per la prima volta in Spagna nel 1953; è molto utile per avvicinare i lettori alla figura di questo grande sacerdote dell’ottocento che, per la sua penetrante azione nei vari ambienti della società del suo tempo, possiamo certamente considerare come “ il precursore dell’Azione Cattolica”.

La Congregazione per il Culto Divino, con le facoltà concesse dal Papa Giovanni Paolo II, in data 6 novembre 1998, ha dichiarato Sant’Enrico de Ossó y Cervelló, Patrono dei Catechisti Spagnoli.

( Enrico de Ossò nacque a Vinebre ( diocesi di Tortosa, provincia di Tarragona) il 16 ottobre 1840. Morì improvissamente nel convento francescano di Santo Spirito, a Gilet (Valencia), il 27 gennaio 1896)



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00giovedì 27 gennaio 2011 13:25

San Gilduino Diacono di Dol

27 gennaio

Martirologio Romano: A Chartres in Francia, transito di san Gilduino, diacono di Dôle in Bretagna: eletto vescovo ancora molto giovane, rifiutò al cospetto del papa san Gregorio VII un così grande onore ritenendosene indegno e, nel far ritorno da Roma, assalito dalle febbri pose termine in questa regione al suo pellegrinaggio terreno.



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00giovedì 27 gennaio 2011 13:26

Beato Giorgio Matulaitis (o Matulewicz) Arcivescovo

27 gennaio

Lugine (Lituania), 13 aprile 1871 - Kaunas, 27 gennaio 1927

Martirologio Romano: A Kaunas in Lituania, beato Giorgio Matulewicz, vescovo di Vilnius e poi Nunzio apostolico in Lituania, fondatore della Congregazione dei Chierici Mariani e della Congregazione delle Suore Povere dell’Immacolata Concezione della Beata Maria Vergine.


Il beato Giorgio Matulaitis o Matulewicz fu un fine tessitore delle sorti della Chiesa nella piccola Lituania, in un periodo storico dove la Lituania conobbe l’appartenenza alla Polonia, alla Russia e anche l’indipendenza.
Giorgio Matulaitis nacque nel villaggio lituano di Lugine il 13 aprile 1971, ultimo degli otto figli di Andrea e Orsola Matulaitis.
A dieci anni era già orfano di entrambi i genitori ed ebbe come tutore il fratello maggiore Giovanni, il quale dopo gli studi elementari lo pose ai lavori di campagna. A 18 anni nel 1889 seguì il cognato Giovanni Matulewicz in Polonia, dove cambiò il cognome da Matulaitis in Matulewicz.
Compì gli studi superiori nel seminario di Kielce e poi in quello di Varsavia, perfezionandosi poi all’Accademia Romana Cattolica di Pietroburgo, dove fu ordinato sacerdote il 20 novembre 1898.
Nel giugno 1899 divenne Maestro in Teologia, a dicembre si iscrisse all’Università di Friburgo in Svizzera, dove nel 1903 ottenne la laurea in Teologia, con una brillante tesi sul tema “Doctrina Russorum de statu iustitiae originalis”, che fu poi pubblicata a Cracovia.
Intraprese subito l’insegnamento; dal 1902 al 1904 tenne la cattedra di Lettere latine e Diritto Canonico nel Seminario di Kielce da poco riaperto e dal 1907 al 1909 quella di Teologia Dommatica e Sociologia all’Accademia Ecclesiastica Cattolica di Pietroburgo.
Nel 1904 si manifestò il male della tubercolosi, che lo costrinse a farsi ricoverare all’Ospedale dei Poveri di Varsavia, da dove fu poi trasferito presso le Ancelle del Sacratissimo Cuore di Gesù che lo curarono; pieno di gratitudine per la loro opera, nel 1907 ritoccò le Costituzioni della loro Congregazione.
In quegli anni fu precursore dell’Azione Cattolica in Polonia, organizzando a Varsavia la prima Associazione per giovani universitari denominata ‘Rinascita’.
Inoltre in collaborazione con il sociologo sac. Marcello Godlewski di Varsavia, istituì un’Associazione Cattolica di Lavoratori, con una pubblicazione periodica “Socio di Lavoro”.
Nel periodo del suo insegnamento a Pietroburgo, poté constatare che gli Istituti religiosi venivano soppressi dal governo russo e memore della vita quasi clandestina delle Ancelle del S. Cuore, volle salvare alla stessa maniera anche l’antico Ordine dei Chierici Regolari Mariani, del quale era rimasto solo il convento di Marijampolé.
Quindi nel 1908 recatosi dall’anziano Preposito Generale dell’Ordine, gli prospettò il suo piano di riforma delle Costituzioni, ricevendo la sua piena approvazione e l’autorizzazione ad agire presso la Santa Sede. In linea con le sue aspirazioni, si recò a Roma nel 1909 ottenendo di emettere i voti religiosi senza fare il noviziato.
Ritornato a Varsavia, il 29 agosto 1909 emise i voti nelle mani del Preposito Generale; subito dopo s’impegnò nella riforma delle Costituzioni dell’Ordine, che prevedeva l’abolizione dell’abito bianco senza sostituirlo con altro abito religioso, abolizione dell’obbligo del coro e la professione dei voti semplici e non più solenni.
Dette Costituzioni furono approvate da s. Pio X il 15 settembre 1910 e padre Giorgio Matulaitis-Matulewicz divenne il primo professo della nuova Congregazione dei Chierici Regolari Mariani; nel contempo in clandestinità, aveva formato presso l’Accademia di Pietroburgo un primo noviziato clandestino con tre novizi.
Nel 1911 il 14 luglio venne eletto Superiore Generale, essendo deceduto il vecchio Preposito, allora padre Giorgio rinunciò a tutte le cariche dell’Accademia e per evitare di essere scoperto dalla polizia dello zar, si recò in Svizzera dove aprì un noviziato a Friburgo, denominato “Casa di Studio” per dare l’opportunità ai religiosi di rientrare in Russia senza problemi da parte delle autorità zariste.
A Friburgo affluirono parecchi sacerdoti dalla Lituania e dalla Polonia, poi fu tutto un crescendo, nel 1913 si recò negli Stati Uniti aprendo a Chicago una Casa religiosa e un Noviziato, nel 1915 altre Case in Polonia; ripristinò nel 1918 la vita religiosa e il noviziato nell’antica Casa di Marijampolé in Lituania.
Il suo ardente amore per il prossimo bisognoso lo portò, dopo la fine della Prima Guerra Mondiale, a fondare la Congregazione delle “Sorelle dei Poveri dell’Immacolata Concezione della B. V. Maria”, le cui Costituzioni furono approvate il 15 ottobre 1918.
Mentre era impegnato a consolidare le sue Istituzioni, gli giunse il 23 ottobre del 1918 la nomina pontificia di papa Benedetto XV a vescovo di Vilna in Lituania. Gli anni che seguirono non furono facili per il nuovo vescovo, perché il territorio di Vilna nei tre anni seguenti, conobbe ben otto governi diversi, tedesco, russo-bolscevico, polacco, lituano.
Anche i fedeli della diocesi erano di nazionalità diverse e ciò costituiva un grosso problema, perché le varie etnie lottavano affinché nelle chiese si parlasse le propria lingua; dal 1920 con il nuovo governo polacco, cominciò una grande ostilità contro il vescovo perché non era polacco.
Mons. Giorgio Malulaitis usò con tutti una grande carità e pazienza, infatti fondò nel 1924 la Congregazione delle “Ancelle di Gesù nell’Eucaristia” con lo scopo di aiutare i poveri di lingua bielorussa.
Nel 1925 dopo il Concordato stipulato tra la S. Sede e la Polonia, la diocesi di Vilna fu smembrata e il vescovo Matulaitis il 3 agosto 1925 lasciò Vilna e si recò a Roma, dove fondò un Collegio internazionale per gli studenti Mariani e trasferì qui la Casa Generalizia.
Papa Benedetto XV, riconoscente per la sua opera, lo elevò alla dignità di arcivescovo titolare di Aduli, nominandolo Visitatore Apostolico della Lituania, ricostituita in nuova Repubblica.
Lavorò alacremente per la costituzione delle cinque diocesi lituane in una Provincia Ecclesiatica Lituana, con sede metropolitana a Kaunas; il progetto fu approvato dalla S. Sede, la quale il 4 aprile 1929 emanò la Costituzione Apostolica “Lituanorum gente”, che riordinava tutta l’organizzazione della Chiesa in Lituania e confluita alla fine nel Concordato fra la S. Sede e la Repubblica Lituana, del quale mons. Giorgio Matulaitis riuscì a gettarne le basi.
Come Visitatore Apostolico intraprese un viaggio nel Nord America, dove visitò 92 parrocchie di emigrati lituani, sparse un po’ dovunque. Aveva 56 anni quando un’appendicite acuta perforata lo portò rapidamente alla morte il 27 gennaio 1927 a Kaunas; fu sepolto nella cripta della locale cattedrale, da dove nel 1934 le sue spoglie furono traslate nella chiesa parrocchiale di Marijampolé.
Mons Giorgio Matulaitis - Matulewicz vero apostolo della sua terra lituana, è stato beatificato a Roma il 28 giugno 1987 da papa Giovanni Paolo II.





scri789
00giovedì 27 gennaio 2011 13:27

Beato Giovanni di Warneton Vescovo

27 gennaio

Martirologio Romano: A Thérouanne sempre in Francia, beato Giovanni, vescovo: canonico regolare, occupò la sede episcopale di Maurienne, nella quale per oltre trent’anni lottò contro i simoniaci e fondò otto monasteri sia di canonici sia di monaci.




scri789
00giovedì 27 gennaio 2011 13:28

San Giovanni Maria, detto Muzei Martire

27 gennaio

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† Mengo, Uganda, 27 gennaio 1887

Martirologio Romano: Vicino a Mengo in Uganda, passione di san Giovanni Maria, detto per la maturità d’animo Muzei, l’Anziano: domestico del re, una volta divenuto cristiano non volle sottrarsi alla persecuzione, ma professò spontaneamente davanti al primo ministro del re Mwenga la sua fede in Cristo e fu perciò decapitato, ultima vittima di quella persecuzione.


Fece un certo scalpore, nel 1920, la beatificazione da parte di Papa Benedetto XV di ventidue martiri di origine ugandese, forse perché allora, sicuramente più di ora, la gloria degli altari era legata a determinati canoni di razza, lingua e cultura. In effetti, si trattava dei primi sub-sahariani (dell’”Africa nera”, tanto per intenderci) ad essere riconosciuti martiri e, in quanto tali, venerati dalla Chiesa cattolica.
La loro vicenda terrena si svolge sotto il regno di Mwanga, un giovane re che, pur avendo frequentato la scuola dei missionari (i cosiddetti “Padri Bianchi” del Cardinal Lavigerie) non è riuscito ad imparare né a leggere né a scrivere perché “testardo, indocile e incapace di concentrazione”. Certi suoi atteggiamenti fanno dubitare che sia nel pieno possesso delle sue facoltà mentali ed inoltre, da mercanti bianchi venuti dal nord, ha imparato quanto di peggio questi abitualmente facevano: fumare hascisc, bere alcool in gran quantità e abbandonarsi a pratiche omosessuali. Per queste ultime, si costruisce un fornitissimo harem costituito da paggi, servi e figli dei nobili della sua corte.
Sostenuto all’inizio del suo regno dai cristiani (cattolici e anglicani) che fanno insieme a lui fronte comune contro la tirannia del re musulmano Kalema, ben presto re Mwanga vede nel cristianesimo il maggior pericolo per le tradizioni tribali ed il maggior ostacolo per le sue dissolutezze. A sobillarlo contro i cristiani sono soprattutto gli stregoni e i feticisti, che vedono compromesso il loro ruolo ed il loro potere e così, nel 1885, ha inizio un’accesa persecuzione, la cui prima illustre vittima è il vescovo anglicano Hannington, ma che annovera almeno altri 200 giovani uccisi per la fede.
Il 15 novembre 1885 Mwanga fa decapitare il maestro dei paggi e prefetto della sala reale. La sua colpa maggiore? Essere cattolico e per di più catechista, aver rimproverato al re l’uccisione del vescovo anglicano e aver difeso a più riprese i giovani paggi dalle “avances” sessuali del re. Giuseppe Mkasa Balikuddembè apparteneva al clan Kayozi ed ha appena 25 anni.
Viene sostituito nel prestigioso incarico da Carlo Lwanga, del clan Ngabi, sul quale si concentrano subito le attenzioni morbose del re. Anche Lwanga, però, ha il “difetto” di essere cattolico; per di più, in quel periodo burrascoso in cui i missionari sono messi al bando, assume una funzione di “leader” e sostiene la fede dei neoconvertiti.
Il 25 maggio 1886 viene condannato a morte insieme ad un gruppo di cristiani e quattro catecumeni, che nella notte riesce a battezzare segretamente; il più giovane, Kizito, del clan Mmamba, ha appena 14 anni. Il 26 maggio vemgono uccisi Andrea Kaggwa, capo dei suonatori del re e suo familiare, che si era dimostrato particolarmente generoso e coraggioso durante un’epidemia, e Dionigi Ssebuggwawo.
Si dispone il trasferimento degli altri da Munyonyo, dove c’era il palazzo reale in cui erano stati condannati, a Namugongo, luogo delle esecuzioni capitali: una “via crucis” di 27 miglia, percorsa in otto giorni, tra le pressioni dei parenti che li spingono ad abiurare la fede e le violenze dei soldati. Qualcuno viene ucciso lungo la strada: il 26 maggio viene trafitto da un colpo di lancia Ponziano Ngondwe, del clan Nnyonyi Nnyange, paggio reale, che aveva ricevuto il battesimo mentre già infuriava la persecuzione e per questo era stato immediatamente arrestato; il paggio reale Atanasio Bazzekuketta, del clan Nkima, viene martirizzato il 27 maggio.
Alcune ore dopo cade trafitto dalle lance dei soldati il servo del re Gonzaga Gonga del clan Mpologoma, seguito poco dopo da Mattia Mulumba del clan Lugane, elevato al rango di “giudice”, cinquantenne, da appena tre anni convertito al cattolicesimo.
Il 31 maggio viene inchiodato ad un albero con le lance dei soldati e quindi impiccato Noè Mawaggali, un altro servo del re, del clan Ngabi.
Il 3 giugno, sulla collina di Namugongo, vengono arsi vivi 31 cristiani: oltre ad alcuni anglicani, il gruppo di tredici cattolici che fa capo a Carlo Lwanga, il quale aveva promesso al giovanissimo Kizito: “Io ti prenderò per mano, se dobbiamo morire per Gesù moriremo insieme, mano nella mano”. Il gruppo di questi martiri è costituito inoltre da: Luca Baanabakintu, Gyaviira Musoke e Mbaga Tuzinde, tutti del clan Mmamba; Giacomo Buuzabalyawo, figlio del tessitore reale e appartenente al clan Ngeye; Ambrogio Kibuuka, del clan Lugane e Anatolio Kiriggwajjo, guardiano delle mandrie del re; dal cameriere del re, Mukasa Kiriwawanvu e dal guardiano delle mandrie del re, Adolofo Mukasa Ludico, del clan Ba’Toro; dal sarto reale Mugagga Lubowa, del clan Ngo, da Achilleo Kiwanuka (clan Lugave) e da Bruno Sserunkuuma (clan Ndiga).
Chi assiste all’esecuzione è impressionato dal sentirli pregare fino alla fine, senza un gemito. E’ un martirio che non spegne la fede in Uganda, anzi diventa seme di tantissime conversioni, come profeticamente aveva intuito Bruno Sserunkuuma poco prima di subire il martirio “Una fonte che ha molte sorgenti non si inaridirà mai; quando noi non ci saremo più altri verranno dopo di noi”.
La serie dei martiri cattolici elevati alla gloria degli altari si chiude il 27 gennaio 1887 con l’uccisione del servitore del re, Giovanni Maria Musei, che spontaneamente confessò la sua fede davanti al primo ministro di re Mwanga e per questo motivo venne immediatamente decapitato.
Carlo Lwanga con i suoi 21 giovani compagni è stato canonizzato da Paolo VI nel 1964 e sul luogo del suo martirio oggi è stato edificato un magnifico santuario; a poca distanza, un altro santuario protestante ricorda i cristiani dell’altra confessione, martirizzati insieme a Carlo Lwanga. Da ricordare che insieme ai cristiani furono martirizzati anche alcuni musulmani: gli uni e gli altri avevano riconosciuto e testimoniato con il sangue che “Katonda” (cioè il Dio supremo dei loro antenati) era lo stesso Dio al quale si riferiscono sia la Bibbia che il Corano.




scri789
00giovedì 27 gennaio 2011 13:29

San Giuliano Venerato a Sora e Atina

27 gennaio

Etimologia: Giuliano = appartenente alla 'gens Julia', illustre famiglia romana, dal latino

Martirologio Romano: A Sora nel Lazio, commemorazione di san Giuliano, martire, che si tramanda abbia subito il martirio al tempo dell’imperatore Antonino.


Giuliano, giovane oriundo della Dalmazia, durante la persecuzione di Antonino Pio, in Italia, presso Anagni, fu riconosciuto come cristiano. Condotto ad Atina, fu quivi assoggettato da Flaviano, prefetto della provincia di Campania, a diversi tormenti. Mentre subiva la pena dell'eculeo, crollò il tempio di Serapide e cadde in frantumi la statua del dio. Accusato perciò di magia fu decapitato tra le rovine del tempio medesimo.
Tale la leggenda riportata negli Acia SS. da un manoscritto italiano del Chioccarelli.
Il Baronio, negli Annales, assegna il martirio di Giuliano all'anno 175, sotto l'imperatore Marco Aurelio, durante il pontificato di papa Sotere. Ma nel Martirologio Romano colloca il martirio sotto Antonino Pio (138-161). Riferendosi inoltre al Martirologio della Basilica Vaticana, ritiene che Sora sia stata la sede del martirio ed aggiunge che in questa città si conservano gli Atti manoscritti del martire.
La leggenda sorana e quella atinate differiscono soltanto per la indicazione della sede del martirio e delle circostanze relative. Entrambe sono certamente tarde, ed è da rilevare che il martirio del santo viene assegnato allo stesso giorno, 27 gennaio, in cui è ricordato s. Giuliano di Le Mans.
Le reliquie del martire furono rinvenute nel luogo preciso ove se ne celebrava la memoria, in una antica chiesa dedicata al santo, presso Sora, come risulta dal processo autentico dell'invenzione redatto con atto autografo del vescovo Giovannelli (1609-32) e trasmesso alla Congregazione dei Riti il 15 aprile 1614. Le reliquie furono rinvenute il 2 ottobre 1612 e traslate per desiderio di Costanza Sforza Boncompagni nella chiesa di S. Spirito il 6 aprile 1614. Il vescovo Agostino Colaianni (1797-1814) le fece traslare nuovamente portandole nella chiesa cattedrale, ove sono tuttora venerate sotto l'altare dedicato al santo, mentre in alto campeggia una statua in legno che lo rappresenta con la palma del martirio.





scri789
00giovedì 27 gennaio 2011 13:30

27 gennaio


38850 > San Giuliano di Le Mans Vescovo 27 gennaio MR

93939 >
Beato Gonzalo Diaz di Amarante Mercedario 27 gennaio

38820 >
Beato Manfredo Settala Sacerdote ed eremita 27 gennaio MR

38770 >
San Marino (Mario) Abate di Bodon 27 gennaio MR

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Beato Michele Pini Monaco 27 gennaio

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Beato Paolo Giuseppe Nardini Sacerdote, fondatore 27 gennaio

38830 >
Beata Rosalia du Verdier de la Soriniere Vergine e martire 27 gennaio MR

38780 >
San Teodorico di Orleans Vescovo 27 gennaio MR

38750 >
San Vitaliano Papa 27 gennaio MR


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