27 giugno

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Stellina788
00giovedì 24 giugno 2010 11:56

Sant' Adeodato di Napoli Vescovo

27 giugno

m. 671

Etimologia: Adeodato = dato da Dio, dal latino

S. Adeodato fu il 33° vescovo di Napoli. Il suo episcopato va dal 653 al 671. Fu S. Adeodato a far costruire l’oratorio di S. Restituta, la chiesa accanto al duomo di Napoli, dove fece trasferire le reliquie della santa martire africana da Ischia. Verso il 670, S. Adeodato diede solennemente sepoltura a S. Patrizia a Napoli. I resti mortali del santo vescovo napoletano sono venerati nell’abbazia di Montevergine (AV). Insieme a S. Costanzo vescovo, il patrono di Capri. gli è dedicato un altare della cripta della celebre abbazia. La festa del santo ricorre il 27 giugno.


Stellina788
00giovedì 24 giugno 2010 11:57

Sant' Arialdo di Milano Diacono e martire

27 giugno

Nacque probabilmente a Cucciago, poco dopo l’anno 1000 da una famiglia di valvassori, originaria del vicino villaggio di Alzate Brianza o forse di Carimate. Fu ordinato diacono dall’arcivescovo di Milano Guido di Velate nel 1050, facendosi ben presto apprezzare per la sua capacità oratoria e la preparazione. Dopo la metà del XI secolo fondò insieme ad alcuni compagni tra cui Anselmo di Baggio e Landolfo Cotta un movimento contro la simonìa e per la riforma dei costumi del clero, detto dai suoi avversari pataria, termine tratto dal dialettale patée per identificare gli straccioni. Divenuto Pontefice Anselmo di Baggio con il nome di Alessandro II, si fece più aspro il conflitto con l’arcivescovo Guido che ribellandosi alla scomunica papale ricevuta, fece scacciare Arialdo e i suoi seguaci dalla città. Il 27 giugno 1066 Arialdo venne ucciso da alcuni avversari nel castello di Angera sul Lago Maggiore. (Avvenire)

Emblema: Palma

Martirologio Romano: A Milano, sant’Arialdo, diacono e martire, che combatté con forza gli insani costumi del clero simoniaco e depravato e per la premura verso la casa di Dio fu ucciso da due chierici tra atroci sofferenze.


Arialdo nacque a Cucciago (Como), poco dopo l'anno 1000, sembra da una famiglia di valvassori, originaria, secondo alcuni, del vicino villaggio di Alzate Brianza, secondo altri di Carimate, paese ugualmente nei dintorni di Cucciago, donde l'appellativo "da Carimate" aggiunto al nome del santo. Ben presto avviato dai genitori alla vita ecclesiastica, Arialdo fu dapprima istruito da maestri locali nelle arti del Trivio e del Quadrivio, e successivamente perfezionò i suoi studi presso scuole superiori, di tipo universitario. Non si sa con certezza quali centri di studio egli abbia frequentato (forse anche Parigi): è certo, però, che in quel tempo venne a contatto col moto della riforma, di ispirazione cluniacense, detta poi Gregoriana, per l'impulso datovi da Gregorio VII.
Ritornato a Milano in età già matura poco prima del 1050, venne ordinato diacono dall'arcivescovo Guido da Velate (1045-1071), aggregato alla cappella arcivescovile ed incaricato dell'insegnamento delle arti liberali nella scuola per i giovani aspiranti alla vita ecclesiastica, aperta presso la cattedrale iemale di S. Maria.
Fu allora che Arialdo prese a colpire. con la sua ardente parola, non solo la simoniá ma soprattutto il grave abuso di ammettere agli ordini sacri persone già sposate e di permettere loro la continuazione della vita coniugale. L'abuso della clerogamia, definita polemicamente dai propugnatori della riforma "concubinato del clero", era così radicato nell'Italia settentrionale (probabilmente sotto l'influsso di costumanze orientali), da costituire una prassi generale, e, successivamente, negli anni più cruciali della lotta per la riforma gregoriana, esso venne difeso ufficialmente come una libertà della Chiesa ambrosiana.
Visto lo scarso successo della predicazione riformatrice fatta in mezzo al clero, Anselmo da Baggio, A., i fratelli Landolfo Cotta ed Erlembaldo ed altri, gettarono le basi di una associazione vera e propria di buoni popolani, che si impegnavano a favorire la riforma. La nuova società venne detta con disprezzo dagli avversari Pataria (dal vocabolo dialettale milanese patée adoperato per designare i venditori di cianfrusaglie usate, e sinonimo perciò di straccioni). La Pataria, oltre a quello religioso, perseguiva anche altri fini: e cioè l'indipendenza dalla tutela degli imperatori germanici e la lotta contro il feudalismo. Così si spiegano sia certe asprezze della lotta, sia anche gesti ingiusti compiuti da qualche elemento torbido che talora riusciva ad infiltrarsi anche nei movimenti migliori, per compiere vendette personali o per sfruttare situazioni a proprio vantaggio.
I seguaci della Pataria, sotto la guida di A., divenuto capo del movimento, assieme a Landolfo Cotta, dopo la nomina di Anselmo da Baggio a vescovo di Lucca (1057), fecero approvare un proclama de castitate servarlda, da far sottoscrivere a tutti i membri del clero.
Arialdo e Landolfo Cotta, scomunicati dai vescovi della provincia lombarda, ricorsero a Roma che li assolse ed inviò i suoi legati per ben due volte: alla fine del 1057, Anselmo da Lucca ed il monaco Ildebrando, nel 1059 Pier Damiani e ancora Anselmo da Lucca, i quali ottennero dall'arcivescovo Guido promessa formale d i attuare anche a Milano la riforma.
Arialdo, dal canto suo, aveva organizzato una comunità di chierici esemplari con la forma giuridica dei canonici regolari, costruendo per loro un'abitazione comune, detta "la Canonica", accanto ad una chiesa dedicata alla Vergine Maria, situata nella zona dell'attuale piazza Cavour. Profondamente imbevuto di senso liturgico, A. biasimò con una certa vivacità sia l'uso di anticipare al mattino del sabato santo le funzioni della notte santa di Pasqua, sia anche l'uso di celebrare le Litanie Minori, in quanto in contrasto con lo spirito di letizia proprio del tempo pasquale.
Nel frattempo, nel 1061 era divenuto papa, col nome di Alessandro II, Anselmo da Baggio, uno dei fondatori della Pataria, il quale aveva nominato Erlembaldo gonfaloniere di Santa Romana Chiesa. La lotta a Milano si riaccese furibonda e culminò nella festa di Pentecoste del 1066 (4 giug.), quando in Duomo l'arcivescovo Guido, pubblicamente ribellatosi alla scomunica papale, recapitatagli da Erlembaldo, si scagliò contro A. e i suoi seguaci e, sfruttando abilmente il campanilismo milanese, riuscì a farli scacciare dalla città. A. si mise in viaggio segretamente per Roma, accompagnato da Erlembaldo: fermato e tradito dai partigiani di Guido, venne condotto nel castello di Angera, dominato da Oliva, nipote dell'arcivescovo. L'empia donna fece condurre A. in uno degli isolotti del Lago Maggiore, e il 27 giug. 1066, dietro suo ordine, Arialdo venne assassinato da due preti scellerati che fecero scempio del suo cadavere.
Erlembaldo in seguito riportò a Milano il corpo del suo amico e, la festa di Pentecoste del 1067, lo fece seppellire nella chiesa milanese di S. Célso. Nello stesso anno papa Alessandro II, che a quanto pare già annoverava Arialdo tra i martiri, moderò gli eccessi di zelo dei Patarini inviando a Milano una legazione che assolse Guido dalla scomunica, avendo egli promesso di attuare la riforma.
Le reliquie di s. Arialdo, trasferite nel 1099 dall'arcivescovo Anselmo da Bovisio nella chiesa di S. Dionigi, accanto a quelle di Erlembaldo, e poi, nel 1528, nel Duomo, furono ritrovate e solennemente ricomposte nel 1940 dal cardinale Ildefonso Schuster.
Il culto locale di s. Arialdo è stato approvato con la formula "sanctus vel beatus nuncupatus dalla S. Congregazione dei Riti, con decreto del 12 lugl. 1904 (approvato da Pio X il giorno successivo), e successivamente il 25 nov. dello stesso anno furono approvati l'Ufficio e la Messa propri del santo.



Stellina788
00giovedì 24 giugno 2010 11:57

Beato Benvenuto da Gubbio

27 giugno

m. a Corneto nella Puglia (Capitanata) verso il 1232

Etimologia: Benvenuto = significato evidente (italiano)

Martirologio Romano: A Corneto vicino a Bovino in Puglia, beato Benvenuto da Gubbio, religioso dell’Ordine dei Minori, che nell’umile servizio ai malati si conformò alla vita di Cristo povero.

Nobile cavaliere eugubino, Benvenuto, ricevuto nell'Ordine da s. Francesco nel 1222 in qualità di fratello laico, fu destinato al servizio dei lebbrosi negli ospedali, giungendo in questo umile e laborioso ministero alle vette della santità. Si distinse, inoltre, per la contemplazione, per l'amore alla Eucaristia e per la pazienza nelle lunghe e gravi malattie. Morì a Corneto nella Puglia (Capitanata) verso il 1232.
Tanto si divulgò la fama dei suoi strepitosi prodigi, registrati dagli antichi annalisti dell'Ordine, che Gregorio IX, nel 1236, diede ai vescovi di Melfi, Molfetta e Venosa l'incarico di raccogliere le informazioni per la canonizzazione. Il processo non ebbe seguito nella Curia Romana, ma Benvenuto fu oggetto di culto in quelle diocesi e nella cittadina di Deliceto (diocesi di Bovino), dove le sue reliquie furono trasferite dopo la distruzione di Corneto, avvenuta intorno al 1243. Nel 1697 Innocenzo XII confermò il culto ed estese all'intero Ordine francescano la festa liturgica, che viene celebrata il 27 giugno.


Stellina788
00giovedì 24 giugno 2010 11:58

San Cirillo d'Alessandria Vescovo e dottore della Chiesa

27 giugno - Memoria Facoltativa

370-444

Nato nel 370, dal 412 al 444 guidò con coraggio la Chiesa d'Egitto, impegnandosi in particolare nella lotta per l'ortodossia, in una delle epoche più difficili nella storia della Chiesa d'Oriente. Per la difesa dell'ortodossia, si oppose con vigore a Nestorio, che discuteva la maternità divina di Maria, e per questo sperimentò per qualche mese l'umiliazione del carcere. Al concilio di Efeso però le tesi di Nestorio furono sconfitte, grazie soprattutto agli sforzi di Cirillo che elaborò in quell'occasione una convincente teologia dell'Incarnazione. Il vescovo di Alessandria è anche ricordato come uno dei padri del culto mariano. Teologo profondo, egli fu al tempo stesso un vigile pastore d'anime come dimostrano numerose sue omelie di carattere pratico. Il culto della sua santità venne esteso a tutta la Chiesa latina sotto il pontificato di Leone XIII che gli accordò il titolo di «dottore». (Avvenire)

Etimologia: Cirillo = che ha forza, signore, dal greco

Emblema: Bastone pastorale

Martirologio Romano: San Cirillo, vescovo e dottore della Chiesa, che, eletto alla sede di Alessandria d’Egitto, mosso da singolare sollecitudine per l’integrità della fede cattolica, sostenne nel Concilio di Efeso i dogmi dell’unità e unicità della persona in Cristo e della divina maternità della Vergine Maria.

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Cirillo, ricordato nella liturgia siriaca e maronita come «una torre di verità e interprete del Verbo di Dio fatto carne», si fece baluardo contro ogni dottrina che non derivasse dai Padri della Chiesa, divenendo campione dell'ortodossia.
Difese la dottrina dell'unità della persona di Cristo, secondo la formula del concilio di Nicea, contro Nestorio, patriarca di Costantinopoli, rifacendosi alle opere di autorevolissimi Padri quali Atanasio, Basilio Magno , Gregorio Nazianzeno.
Teofilo, patriarca d'Alessandria e zio di Cirillo, fu responsabile della deposizione e dell'esilio di Giovanni Crisostomo dal patriarcato costantinopolitano: nonostante la teologia del Crisostomo fosse sempre ortodossa, egli era creativo e innovatore, potente e franco riformatore, e finì per attirarsi l'inimicizia dell'imperatore Arcadio e dello stesso Teofilo con i suoi attacchi sull'uso delle ricchezze e altri abusi.
Il patriarca d'Alessandria, eccitato dalla crescente rivalità tra la sua sede e quella costantinopolitana e desideroso di accaparrarsi il favore imperiale, riuscì a gettare il discredito sul Crisostomo con accuse che ci appaiono oggi frivole e inconsistenti. Cirillo sembra abbia appoggiato lo zio in queste manovre.
Cirillo succedette allo zio nella sede patriarcale nel 412 e secondo lo storico Socrate acquistò «molto più potere di quanto ne avesse avuto lo zio» e il suo episcopato «andò oltre i limiti delle sue funzioni sacerdotali».
Le sue gesta da patriarca sembrano essersi ispirate al criterio della difesa dell'ortodossia a ogni costo: scacciò gli ebrei dalla città; chiuse le chiese dei novaziani, gruppo scismatico, confiscando il vasellame sacro e spogliando il loro vescovo Teopempto di tutti i suoi possedimenti; entrò in grave conflitto con il prefetto imperiale Oreste.
Una celebre filosofa neoplatonica, Ipazia, assai legata al prefetto Oreste, fu crudelmente linciata da una folla di seguaci di Cirillo sulla scalinata di una chiesa; benché quasi certamente egli non abbia avuto alcuna responsabilità in questo efferato crimine, la vicenda è indicativa dell'atmosfera d'intolleranza e violenza che regnava in città.
Nestorio, monaco e prete di Antiochia, arcivescovo di Costantinopoli nel 428, sosteneva che in Cristo ci sono due nature, umana e divina, congiunte da una "unione morale": Dio ha assunto la forma di uomo, ma il corpo era solo il tempio dello spirito divino.
La Vergine Maria ha generato Gesù, ma non il Logos (che esiste dall'eternità); ella è Christotokos, Madre di Cristo, e non Theotokos, Madre di Dio. Cirillo sosteneva che questa formula rendeva l'Incarnazione un'illusione e scardinava la dottrina della redenzione.
La controversia fu rimessa a Roma, dove papa Celestino I condannò l'insegnamento di Nestorio, lo depose da patriarca e lo minacciò di scomunica se non avesse ritrattato. Cirillo fu incaricato di comunicare a Nestorio la delibera papale, e lo fece inviando a Nestorio una lettera con dodici anatemi.
Nestorio rifiutò di ritrattare. Allora Cirillo ottenne la convocazione del concilio di Efeso del 431, al quale parteciparono almeno duecento vescovi, iniziando i lavori prima dell'arrivo dell'arcivescovo di Antiochia, di quarantun vescovi di quella regione (molti dei quali simpatizzanti di Nestorio), e anche dei legati papali.
In quel clima Nestorio si rifiutò di presentarsi davanti ai padri conciliari e fu di nuovo condannato; sei giorni dopo sopraggiunsero i vescovi antiocheni che accusarono Cirillo di eresia e pubblicarono un decreto di deposizione del patriarca d'Alessandria.
Entrambi i contendenti si appellarono all'imperatore, che per un certo periodo fece mettere in carcere sia Cirillo che Nestorio; da parte sua papa Celestino confermava la condanna di Nestorio e approvava la condotta del patriarca d'Alessandria.
Ne risultò uno scisma, e una Chiesa che accolse l'insegnamento di Nestorio fece un intenso lavoro missionario fino in India e Cina, prima di essere quasi cancellata dall'invasione mongola del XIV secolo.
Gli studiosi hanno a lungo discusso sul punto se si debba considerare Cirillo uno strenuo campione dell'ortodossia, che difese le verità essenziali, o se lo scisma nestoriano poteva essere evitato da discussioni e da mutua tolleranza; certamente la polemica raggiunse livelli estremi da entrambi i lati.
Cirillo ha scritto molto su questo tema.
Nel 1882 papa Leone XIII l'ha proclamato dottore della Chiesa.
Un suo ritratto, opera del Domenichino, è nella chiesa di Grottaferrata, vicino a Roma; spesso viene ritratto mentre contempla una visione della Vergine Maria, per ricordare la sua difesa del titolo di Madre di Dio.



Stellina788
00giovedì 24 giugno 2010 11:59

Beato Davanzato da Poggibonsi Vescovo

27 giugno

+ 7 Luglio 1295

Il beato vescovo Davanzato da Poggibonsi morì in tarda età. Si narra che sul suo sepolcro siano avvenuti vari prodigi. Attualmente il corpo del beato è venerato nella Chiesa di San Bartolomeo a Barberino Val d'Elsa ed è stato eletto patrono del paese.

Patronato: Barberino Val d'Elsa



Stellina788
00giovedì 24 giugno 2010 11:59

San Ferdinando d'Aragona Vescovo di Caiazzo

27 giugno

Aragona, 1030 - Alvignano, 27 giugno 1082

Fernando d'Aragona, nato dal re di Navarra Sancio III e da Elvisa, contessa di Castiglia, si diede alla vita spirituale solitaria e contemplativa. Arrivò in Italia e si fermò nei boschi nei pressi di Caiazzo la "fama di santità" che gli era attribuita spinse i fedeli di Caiazzo a elevarlo alla cattedra di Vescovo che era vacante sin dalla morte del vescovo Argisio nel anno 1070.Mentre si trovava in pellegrinaggio nel territorio di Alvignano venne colto da forte febbre e dopo tre giorni, il 27 giugno 1082, morì. Il suo corpo fu seppellito presso la chiesa di Santa Maria di Cubulteria. Attualmente le sue reliquie sono custodite nella chiesa Arcipretale di San Sebastiano M. ad Alvignano.

Emblema: Bastone pastorale


Il suo episcopato è posto dai diversi autori in un periodo che si estende dalla metà del sec. X alla fine del XII. Senonché i vescovi documentati di quel tempo sono Urso (ca. 967), s. Stefano (1° novembre 979 - 29 ottobre 1021), Costantino (tra il 1088 e il 25 agosto 1100), Stazio (tra il 1133 e il 1154-59), Guglielmo (tra il 1168-69 e il 12 agosto 1180). Ciò fa nascere il sospetto che il Ferdinando, discendente da regale prosapia, che sarebbe giunto a Caiazzo dalla Spagna, non sia in realtà un vescovo, ma S. Ferdinando, re di Castiglia e di León (1199-1252), venerato nella diocesi campana, dove, forse, erano state portate sue reliquie e dall'errore popolare trasformato, come in tanti altri casi si è verificato, in un vescovo locale. E' festeggiato il 27 giugno.


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00giovedì 24 giugno 2010 12:00

San Giovanni di Chinon Recluso

27 giugno

sec. VI

Martirologio Romano: Nel castello di Chinon nel territorio di Tours in Francia, san Giovanni, sacerdote, che, di origine britannica, volle per amore di Dio sottrarsi allo sguardo degli uomini e visse di preghiera in una piccola cella costruita davanti alla chiesa del paese.


Stellina788
00giovedì 24 giugno 2010 12:01

Santa Guddene Martire

27 giugno

Martirologio Romano: A Cartagine, nell’odierna Tunisia, santa Guddene, martire, che, per ordine del proconsole Rufino, torturata quattro diverse volte sul cavalletto e con il supplizio delle unghie, fu poi per lungo tempo gettata in un sordido carcere e infine trafitta con la spada.


Stellina788
00giovedì 24 giugno 2010 12:01

Beata Luisa Teresa de Montaignac de Chauvance Fondatrice

27 giugno

Le Havre, 14 maggio 1820 – Montluç0n (Francia), 27 giugno 1885

Martirologio Romano: A Moulins in Francia, beata Luisa Teresa Montaignac de Chauvance, vergine, che fondò la Pia Unione delle Oblate del Sacro Cuore di Gesù.

Luisa Teresa de Montaignac de Chauvance, nacque il 14 maggio 1820 a Le Havre in Francia da Raimondo Amato e Anna de Raffin, quinta dei loro sei figli; la famiglia era di nobili origini, imparentata con i reali di Francia e nei suoi avi ci furono numerosi Crociati e il santo abate Amabile.
Ricevé l’educazione in famiglia e poi a sette anni dalle suore “Fedeli Compagne di Gesù”. Proseguì passando al celebre pensionato “Les Oiseaux” di Parigi, dove ebbe inizio quella sua devozione al Sacro Cuore di Gesù a cui consacrò tutta la sua vita; in quella Casa nel 1833 mons. De Quelen autorizzò la celebrazione del primo mese dedicato al Sacro Cuore.
Lasciato il pensionato per motivi di salute, fu affidata dalla madre inferma alla zia Madame de Raffin, che era anche sua madrina; da lei Luisa ricevette un’educazione spirituale e dottrinale molto profonda, leggendo con passione il Vangelo e gli scritti di s. Teresa d’Avila; a 13 anni ricevette la Prima Comunione, che costituì l’esperienza più bella della sua vita.
Visse con prudenza gli impegni di società della sua famiglia; intelligente, portata alla musica e alla pittura, coltivò comunque il desiderio di una maggiore intimità con Dio.
Nel 1837 a 17 anni ritornò a “Les Oiseaux” di Parigi, dove approfondì la sua devozione al Sacro Cuore entrando in rapporto con il gesuita Rousin, uno dei propagatori di quella devozione.
L’8 settembre 1843 pronunciò il voto di consacrazione al Sacro Cuore e seguì la zia nel suo progetto di fondare un’Associazione per diffonderne il culto; ma il 4 dicembre 1845 la zia morì improvvisamente e Luisa si trovò erede del suo progetto e anche dei suoi beni.
Seguì la famiglia che si era trasferita nel 1848 a Montluçon, qui fu nominata direttrice della locale Associazione delle “Figlie di Maria” sostenendo il peso principale del lavoro di accudire gli orfani, arredare le chiese povere, dare istruzione alle fanciulle bisognose.
Commossa soprattutto dalla miseria delle chiese rurali della regione, nel 1848 fondò l’Opera dei Tabernacoli, per aiutare il loro mantenimento; nel 1850 accolse anche alcune bambine rimaste orfane, in un locale attiguo alla casa paterna, ponendo le basi per un orfanotrofio, che nel 1852 fondò a Moulins.
Nel 1854 fondò l’Opera dell’Adorazione riparatrice; dopo il 1854 a 34 anni, fu colpita da una malattia grave alle gambe che la costrinse a stare più a letto che in piedi per sette anni, sarà una malattia che l’accompagnerà per tutta la vita, ma Luisa de Montaignac non si stancò mai dal continuare la devozione al Sacro Cuore.
Dopo vari tentativi di aggregare il suo gruppo come Terz’Ordine a delle Congregazioni votate al Sacro Cuore, alla fine su consiglio del gesuita Gautrelet (1807-1886), fondatore dell’Apostolato della Preghiera e suo direttore spirituale, Luisa Teresa diede vita nel marzo 1874 alla “Pia Unione delle Oblate del Sacro Cuore” approvata dal vescovo di Moulins; l’Istituzione era divisa in due gruppi, le “Oblate Religiose” che potevano vivere in comune e le “Oblate Secolari” che avevano per scopo le opere di carità per i bisognosi.
Nel dicembre 1875 Luisa Teresa fu nominata segretaria generale dell’Apostolato della Preghiera, diretto allora dal gesuita Enrico Ramière; pur essendo quasi immobile per la sua malattia, poté allargare le sue relazioni e seguire specie per corrispondenza le sue Oblate.
Nel 1880 le Oblate decisero di unire i due rami, le Religiose e quelle dette delle ‘Riunioni’ in unica Congregazione, eleggendo Luisa Teresa superiora generale.
Nonostante la rottura con padre Ramière, la Congregazione ottenne il 4 ottobre 1881 l’approvazione della Santa Sede. Un anno dopo Luisa fondò l’opera dei “Piccoli Samueli” per preparare i ragazzi a scegliere la vita sacerdotale o religiosa.
Purtroppo in seguito, nel 1888, quando l’Istituzione fu approvata dalla Congregazione romana, solo le Oblate religiose vennero riconosciute, le Oblate Secolari o delle ‘Riunioni’ e le Dame aggregate, vennero soppresse.
Ma la fondatrice Luisa Teresa de Montaignac non ebbe questo dispiacere, perché era morta il 27 giugno 1885 a Montluçon a 65 anni.
La causa per la sua beatificazione fu introdotta a Roma il 15 dicembre 1914 e papa Giovanni Paolo II l’ha proclamata beata il 4 novembre 1990.



Stellina788
00giovedì 24 giugno 2010 12:02

San Maggiorino di Acqui Vescovo

27 giugno

Acqui Terme (Piemonte), IV secolo

Tutte le più antiche diocesi del Piemonte venerano come santi i loro rispettivi primi vescovi. I più celebri sono sicuramente Sant’Eusebio di Vercelli e San Massimo di Torino, nonché San Gaudenzio di Novara. E’ invece purtroppo completamente scomparso il culto di Sant’Eulogio di Ivrea e di San’Eustasio di Aosta. Accantonato per secoli, ma oggi rinvigorito è invece il proto-vescovo dell’antica Chiesa acquese San Maggiorino o Maiorano, o Malerino. Questi visse nel IV secolo e l’antica tradizione che lo vuole primo vescovo della città di Acqui Terme era attestata da una pergamena risalente all’XI secolo, prezioso cimelio del Capitolo della Cattedrale oggi scomparso. Fortunatamente il vescovo Pedroca ne inserì una copia nel suo capolavoro “Solatia chronologica Sanctae Ecclesiae Aquensis”, le cui prime righe nella traduzione italiana suonano così: “Qui si indicano i nomi di alcuni vescovi della Chiesa di Acqui che è situata in quella parte d’Italia detta delle Alpi Cozie: Maggiorino che resse la sede vescovile per 34 anni e 8 mesi; morì il 27 giugno; sepolto a S. Pietro...”. In queste due scarne righe sono così stati espressi gli unici presunti dati storici sul santo vescovo. Ma un’antichissima tradizione vuole Maggiorino uno dei 65 vescovi ordinati dal papa San Silvestro I nella prima metà del IV secolo e da lui inviati, in seguito al celebre Editto di Costantino a reggere nuove Chiese nella cristianità, che finalmente entro i confini dell’Impero Romano poté essere esente da persecuzioni.
Confrontando questi dati che indicano i quasi 35 anni dell’episcopato di San Maggiorino con le affermazioni dello storico Coiro, secondo il quale il terzo vescovo acquese avrebbe presenziato al Sinodo di Milano del 390, si ha così ulteriore conferma della tradizione che vuole Maggiorino inviato dal Papa quale primo vescovo di Acqui Terme.
Il Pedroca volle ricordarlo “quale intrepido emulatore nel predicare la fede cattolica e cultore fedele della verità cristiana”. Similmente si pronunciò l’antico Martyrologium della Chiesa acquese: “il 27 giugno da lungo tempo si venera San Maggiorino, che altri chiamano Maliorino, vescovo della Diocesi acquese. Il suo corpo dapprima sepolto in S. Pietro, l’antica cattedrale, fu da San Guido traslato nella nuova cattedrale, come risulta da antica scrittura”.
Riferì ancora il Pedroca: “Esiste presso l’Archivio vescovile una pergamena antichissima portante l’elenco dei vescovi che parteciparono al Sinodo romano del 324, presieduto da Papa Silvestro, dove si leggono i nomi di Maiorinus e Meliorinus: forse uno di quei due fu il Maggiorino (o Meliorino) di Acqui”.
Dal punto di vista storico sembra però più probabile la presenza di Maggiorino fra i 300 vescovi occidentali che parteciparono al Concilio di Milano convocato dall’imperatore Costanzo nel 355 contro Sant’Atanasio.
Nel 1628 la Congregazione dei Riti abolì il culto liturgico di San Maggiorino, ma oggi la sua memoria è nuovamente celebrata dalla diocesi di Acqui al 27 giugno, anche se in realtà non gode della popolarità di uno dei suoi successori, San Guido.

ORAZIONE
O Dio, che hai dato alla tua Chiesa come maestro e pastore
il santo Vescovo Maggiorino,
concedi che, per sua intercessione,
essa cresca mediante il Vangelo e l’Eucaristia
e sia segno e strumento della presenza di Cristo nel mondo.
Per Cristo nostro Signore. Amen.



Stellina788
00giovedì 24 giugno 2010 12:03

Beata Margherita Bays Terziaria Francescana

27 giugno

La Pierraz, Friburgo, Svizzera, 8 settembre 1815 – Siviriez, Friburgo, 27 giugno 1879

Nata nel 1815 a La Pierraz, frazione di Siviriez, vicino Friburgo, la suora laica svizzera Margherita Bays visse da sarta, casalinga e catechista. Esistenza semplice, non estranea al mondo: sostenne la stampa cattolica durante il Kulturkampf. Ma l'evento che la cambiò radicalmente fu il dono delle stimmate. Guarì anche, miracolosamente, da un cancro all'intestino l'8 dicembre 1854, proprio mentre Pio IX proclamava il dogma dell'Immacolata. Morta nel 1878, è stata beatificata nel 1995 con due religiose elvetiche, Maria Teresa Scherer e Maria Bernarda Butler. Riposa nella chiesa di Siviriez. (Avvenire)

Martirologio Romano: Nel territorio di Friburgo in Svizzera, beata Margherita Bays, vergine, che, esercitando in famiglia il mestiere di sarta, si adoperò con tutta se stessa per i molteplici bisogni del prossimo senza mai trascurare la preghiera.


Prodigiosamente si fusero in questa laica terziaria francescana, alcune caratteristiche, che sono state il distintivo di altre sante donne dell’Ottocento cattolico.
Fu in effetti una cosiddetta ‘monaca di casa’, come s. Maria Francesca delle Cinque Piaghe (Anna Maria Gallo, Napoli 1715-1791) e le Serve di Dio Teresa e Giuseppina Comoglio (Torino, †1891 e †1899); inoltre stigmatizzata come la beata Anna Caterina Emmerick (Germania, 1774-1824) e soprattutto come s. Gemma Galgani (Lucca, 1878-1903), laica, mistica della Passione e stigmatizzata, sua giovane contemporanea.
Margherita Bays nacque l’8 settembre 1815 a La Pierraz, paesello della parrocchia di Siviriez nel Cantone di Friburgo (Svizzera), seconda dei sette figli di Giuseppe Bays e Maria Giuseppina Morel, modesti agricoltori e buoni cristiani.
Dotata di vivacità e di un’intelligenza eccezionale, frequentò per tre-quattro anni la scuola di Chavennes-les-Forts; imparando a leggere e scrivere; sin da bambina dimostrò particolare inclinazione alla preghiera, per cui smetteva di giocare con le compagne e si ritirava nel silenzio dell’orazione.
Ad otto anni ricevé la Cresima ed a 11 anni fu ammessa alla Prima Comunione nella parrocchia di Siviriez. Verso i 15 anni fece un periodo di apprendistato come sarta, mestiere che esercitò per tutta la vita sia a domicilio, sia presso famiglie del vicinato, retribuita a giornata.
Margherita scartò la possibilità, da più parti sollecitata, di diventare una religiosa, preferendo rimanere nubile e santificarsi in seno alla sua famiglia e presso la sua parrocchia, dove praticamente rimase per tutta la vita.
I tre fratelli e le tre sorelle, le erano profondamente affezionate, e lei cucendo e facendo i lavori di casa, creò con loro un’atmosfera di buon umore e di pace.
Ma dopo il matrimonio del fratello maggiore con una loro domestica, dovette sopportare l’ostilità e l’incomprensione della cognata, divenuta padrona di casa al suo posto.
All’atteggiamento scontroso e villano della cognata Josette, che fra l’altro le rimproverava il tempo passato in preghiera o a lavorare in tranquillità col cucito, mentre lei sgobbava duro nei lavori dei campi, Margherita per lunghi 15 anni oppose un silenzio e una pazienza, frutto di una carità, che suscitava l’ammirazione di quanti la circondavano.
Il suo agire servizievole e il sopportare le ingiurie ricevute, portò alla fine la cognata a riconoscere i propri torti e Margherita con grande carità cristiana, l’assistette anche sul letto di morte.
Sia nella propria casa sia in quelle dove si recava per lavoro, invitava i presenti a recitare con lei una o due poste di rosario.
Assisteva alla celebrazione della Messa ogni giorno e ciò costituiva “il sommo della sua giornata”; la domenica giorno di festa e preghiera, dopo la Messa, rimaneva in chiesa in preghiera davanti al SS. Sacramento, faceva la Via Crucis per un’ora e recitava il rosario.
Le piaceva fare a piedi lunghi e faticosi pellegrinaggi ai Santuari Mariani, sia sola che con amici; viveva costantemente nella presenza di Dio e alimentava questo sentimento con una costante preghiera.
Da laica piena di zelo, dedicò il suo tempo libero ad un apostolato attivo fra i bambini, insegnando loro il catechismo e formandoli ad una vita morale e religiosa, nel contempo preparava con sollecitudine le giovani alla futura condizione di spose e madri.
Visitava gli ammalati ed i morenti; aiutava i poveri da lei definiti “i preferiti di Dio”; introdusse nella parrocchia le opere missionarie e contribuì alla diffusione della stampa cattolica.
Nei rapporti con gli altri non tollerava la maldicenza e la calunnia, mettendo in pratica la regola d’oro: “Quando non hai visto una cosa, non devi parlarne; se l’hai vista, taci”.
A 35 anni, nel 1853, fu operata all’intestino per un cancro; sconcertata dal tipo di cure che richiedeva, supplicò la Santa Vergine di guarirla, ma di soffrire diversamente, con altri dolori che la facessero partecipare più direttamente alla Passione di Gesù.
Fu pienamente esaudita l’8 dicembre 1854, nello stesso momento che a Roma papa Pio IX proclamava il dogma dell’Immacolata Concezione.
Ma da quel giorno la sua vita fu tutta trasformata e per sempre legata a Cristo sofferente; una ‘misteriosa malattia’ l’immobilizzava in estasi ogni venerdì alle 15 e per tutta la Settimana Santa, rivivendo nel corpo e nello spirito le sofferenze di Gesù, dal Getsemani al Calvario.
Le apparvero nel corpo le cinque stimmate della crocifissione, che le procuravano un grande dolore, ma che accortamente nascondeva ai curiosi.
Il vescovo di Friburgo, mons. Marilly, volle un consulto medico per verificare le estasi e le stimmate, che autenticò ufficialmente l’origine mistica dei fenomeni.
Negli ultimi anni della sua vita, il dolore si fece sempre più intenso, ma sopportò tutto senza un lamento, in totale abbandono alla volontà di Dio; e in questo clima compose la bellissima preghiera: “O santa vittima, chiamami a Te, è giusto. Non tenere conto della mia repulsione; che io completi nel mio corpo ciò che manca alle tue sofferenze.Abbraccio la croce, voglio morire con Te. È nella piaga del tuo Sacro Cuore che desidero esalare l’ultimo sospiro”.
Secondo il suo desiderio morì nella festa del Sacro Cuore il 27 giugno 1879; i parrocchiani di Siviriez e dintorni, all’annuncio della sua morte, dicevano fra loro: “La nostra santa è morta”.
I funerali si svolsero il 30 successivo, con la partecipazione di numerosi sacerdoti e una gran folla di fedeli; fu sepolta nel cimitero di Siviriez; in seguito fu traslata nella chiesa parrocchiale, dove riposano nella Cappella di San Giuseppe.
La fama di santità di cui godeva in vita, proseguì e si ampliò dopo la sua morte, per cui prima nel 1929 poi nel 1953 si iniziarono i processi canonici per la sua beatificazione, che dopo lungo iter, hanno portato alla proclamazione come Beata di Margherita Bays, da parte di papa Giovanni Paolo II, il 29 ottobre 1995.



Stellina788
00giovedì 24 giugno 2010 12:04

San Sansone Sacerdote

27 giugno

m. Costantinopoli, 530 circa

San Sansone, sacerdote, offrì ospitalità a molti poveri in Costantinopoli. Costruì anche un ospedale, spinto dall’imperatore San Giustiniano I, che egli aveva guarito da una malattia.

Martirologio Romano: A Costantinopoli, san Sansone, sacerdote, che fu rifugio dei poveri e si dice abbia allestito un ospedale su invito dell’imperatore Giustiniano, che egli aveva guarito da una malattia.




Stellina788
00giovedì 24 giugno 2010 12:05

San Tommaso Toan Martire

27 giugno

Martirologio Romano: Nella città di Nam Định nel Tonchino, ora Viet Nam, san Tommaso Toán, martire, che, catechista e responsabile della missione di Trung Linh, patì per Cristo inaudite e crudeli torture in carcere, dove morì di fame e di sete sotto l’imperatore Minh Mạng.


Stellina788
00giovedì 24 giugno 2010 12:06

San Walhero (Walhère) Martire

27 giugno

 

Belga della provincia vallone di Namur, nacque nella seconda metà del secolo XII. I suoi genitori erano ricchi possidenti per cui poté studiare per diventare prete, una volta consacrato sacerdote divenne curato di Flavion, cappellano di Hastières e di Onhaye e decano rurale di Florennes.
Viene citato in documenti del 1187 e 1199, durante il suo ministero fu molto impegnato nel correggere il comportamento disdicevole dei preti della zona, in particolare di suo nipote Norberto, cappellano di Hastières.
Venne il giorno in cui si era soliti sostituire i cappellani ed i vicari, alternandoli negli incarichi e mentre attraversava la Mosa in barca, venne in diverbio con il nipote, che evidentemente aveva rimproverato ancora una volta, minacciandolo di allontanarlo dall’incarico.
Lo scontro prese una brutta piega e in preda ad una collera violenta, il nipote l’ammazzò a colpi di remo. Il corpo finì nell’acqua del fiume rimanendo a galla; alcuni contadini lo recuperarono e cercarono di trasportarlo a Bouvignes per seppellirlo, ma nonostante i loro sforzi non riuscirono a sollevarlo, il corpo alla fine fu trasportato con un carro trainato da due bianche giovenche da sole e senza guida ne difficoltà, fino ad Onhaye, qui venne tumulato.
Questo villaggio divenne meta di numerosi pellegrinaggi, il santuario locale già nel 1522 aveva sul suo sepolcro, posto all’ingresso della chiesa, una bella pietra tombale in marmo nero scolpito ad alto rilievo; nel 1860 questo santuario venne ingrandito a seguito del gran numero di pellegrini che affluivano.
Walhero è patrono della diocesi di Namur e la sua festa è celebrata il 27 giugno; santo molto popolare e venerato, viene invocato per guarire dal mal di testa e contro le malattie del bestiame.
Sulla sua persona esiste una vasta bibliografia prevalentemente in lingua belga.


Stellina788
00giovedì 24 giugno 2010 12:07

San Zoilo di Cordova Martire

27 giugno

Martirologio Romano: A Córdova nell’Andalusia in Spagna, san Zóilo, martire.

È ancora controversa la questione del numero e dei nomi dei martiri che subirono il martirio con il famoso santo di Cordova, Zoilo. Alcuni sono giunti ad enu­merarne diciannove, altri ventuno; vi sono altri, infine, che si riferiscono unicamente a Zoilo. Perciò, i riferimenti che seguono si limitano esclusiva­mente a lui, giacché fu il meglio studiato e quegli che ricevette il maggior culto.
Il poeta Prudenzio, trattando desìi antichi mar­tiri di Spagna, chiama Zoilo una delle glorie della Chiesa di Cordova: « Corduba Acisclum dabit et Zoellum, tresque coronas ».
Il suo nome figura al 27 giug. nel Martirologio Geronimiano, ma delle circostanze relative al mar­tirio siamo poco informati; l'unico testo letterario giunto fino a noi, la passio, è una documentazione piuttosto artificiosa e di poco valore. Secondo quan­to essa narra, Zoilo discendeva da nobile stirpe di Cordova; nel fior degli anni, durante la persecu­zione saracena soffrì, prima dell'a. 590 (sic!), un crudele martirio per essere cristiano: il suo corpo fu dilaniato con ganci di ferro.
Più degna di fede è la relazione della inven­zione e traslazione delle sue reliquie ad opera del vescovo Agapio. Essa è testimoniata soprattutto da tre documenti. Usuardo, dopo aver ricordato la festa di Zoilo al 27 giug. aggiunge: « Cuius corous (Zoilii) cum longo tempore ubinam sepultum fuerit latuisset, venerabili episcopo eiusdem loci, nomine Agapio, ex divina revelatione manifestatimi est ». Il calendario di Cordova, compilato nel 961 da Recemundo, reca: « In ipso est festum sancti Zoili et sepultura eius est in ecclesia vici Tiraciorum ». Il 4 nov. fa menzione di una festa cele­brata annualmente in Cordova in commemorazione della invenzione delle reliquie: « In ipso est Latinis festum translationis Zoili ex sepulcro eius in vico Cris ad sepulcrum ipsius in ecclesia vici Tiraciorum in Corduba ». Un testo, infine, pubblicato la prima volta nel 1938 dal de Gaiffier, accenna ai dettagli che portarono alla invenzione del corpo di Zoilo. Questo testo è stato soltanto conservato in un manoscritto, il Passionano di S, Fedro di Gardena (British Museum, ms. Add. 25.600) datato al se­condo quarto del sec. X. Secondo una caratteristica delle Vite dei santi, fu trascritto in appendice di mano della fine del sec. X. Fino a quel momento la narrazione della traslazione delle reliquie di Zoilo era nota soltanto attraverso alcuni compendi, e, cioè, la notizia di Lucio Marineo Siculo, le lezioni del breviario di Burgos del 1502, Passio, Inven­tio, Translatio et Miracula di Rodriguez de Cerrato e il testo pubblicato da Tamayo de Salazar. Queste testimonianze provengono tutte da una fonte co­mune, la relazione del Passionano di S. Pedro di Gardena. Siculo riprese la Inventio da una redazio­ne assai simile al testo pubblicato dal de Gaiffier. La sua nota corrisponde ai paragrafi dal 2 ad 4. Il breviario di Burgos ha attinto a una fonte che presenta assai poche varianti rispetto a quella del Siculo, ma le lezioni comprendono soltanto il para­grafo 2 e una parte del 3 del testo pubblicato dal de Gaiffier. Rodrigo de Cerrato, cui si debbono varie Vitae di santi, ha riassunto il testo della Inventio. Il p. Villada scriveva nel 1929: « Da questo sommario esame risulta che gli Atti dei martiri prima nominati non offrono alcuna garan­zia di autenticità e bisogna utilizzarli con molta cautela. La fine della narrazione può essere accet­tata come veritiera, purché la si spogli delle esage­razioni e inverosimiglianze... ». Vi sono soltanto pochi altri documenti che escono da questa regola. Uno di questi è l'epitome del Cerratense su Zoilo. La notizia è redatta nello stile dei martirologi e non si deve allontanare troppo dalla realtà.
Esso così dice: « Zoilo, nato a Cordova, di illu­stre lignaggio, fu fin da bambino educato alla reli­gione cristiana. Confessando pubblicamente il Cri­sto, nella sua giovinezza, fu condotto dinanzi al prefetto che, non potendo convincerlo a sacrifi­care agli idoli, lo condannò alla pena capitale. Il suo corpo fu seppellito fra i gentili, nel cimitero di detta città, perché i cristiani non lo riconosces­sero e lo raccogliessero ».
Il riassunto del Cerratense non ha il valore che gli è stato attribuito dal p. Villada: non è altro che un riassunto della biografia posta a fronte della relazione dall'autore della Inventio. Questi, nella redazione del martirio di Zoilo, si è ispirato alla misera composizione della Passio s. Zoilii. La Vita, pubblicata da Tamayo de Salazar nel suo martiro­logio, presenta spesso, punto per punto, il testo del Siculo. Dove trovò costui le narrazioni che cita? non lo sappiamo.
Il testo offertoci dal de Gaiffier non supera il livello ordinario delle invenzioni di reliquie. Nelle sue notizie, spesso si è spinti ad estrarre, da tanto materiale leggendario, la sostanza dei fatti. Per contestare le affermazioni del nostro agiografo, di­sponiamo di ben poche fonti storiche. Se dobbiamo stare a quanto dice, fu il vescovo Agapio, durante il regno del re Sisebuto, che procedette alla trasla­zione delle reliquie di Zoilo. Fino alla fine del sec. VI il corpo del santo rimase nel cimitero degli stranieri. Questo cimitero, secondo il calendario di Cordova, stava in Vico Cris. Il luogo esatto del vicus non è stato però identificato, ma è chiaro che stava fuori della cinta della città. Il citato calen­dario di Cordova dichiara in varie occasioni che il corpo di Zoilo riposa nella basilica del Vicus Tara-ceorum. Questa corrisponde alla basilica parvula, dedicata al martire s. Felice — sicuramente il diacono di Siviglia celebrato il giorno 2 di magg. — sostituita da un'altra nuova che prese il nome di S. Zoilo.
Durante la persecuzione araba del sec. IX, vari martiri furono seppelliti nella basilica di S. Zoilo: i santi Cristoforo e Ovigildo, Paolo e Teodomiro e Teocrizia. Al termine dell'a. 883, Lucidio, inviato da Alfonso III, portò a Oviedo le reliquie di questi ultimi. Nel sec. XI il corpo di Zoilo fu trasla­to nel monastero benedettino di Carrión de los Condes nella diocesi di Palencia. Quivi ricevette il culto dei monaci fino alla soppressione del monaste­ro di Mendizàbal del 1835, durante la quale il mo­nastero, che prendeva il suo nome, fu abbandonato. Ricuperato alla fine del sec. XIX dalla Compagnia di Gesù, è divenuto oggi seminario diocesano. In un'epoca non nota, la basilica edificata dal vescovo Agapio in onore di Zoilo fu distrutta ed oggi non rimane traccia di essa. Il culto al martire cordovese, tuttavia, continuò nella sua città e si diffuse per tutta la penisola, specialmente a Toledo e Pamplona, dove fino ai giorni nostri esistono chiese dedicate alla sua memoria.



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