28 gennaio

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00giovedì 28 gennaio 2010 14:06

San Tommaso d'Aquino Sacerdote e dottore della Chiesa

28 gennaio (e 7 marzo)

Roccasecca, Frosinone, 1225 circa – Fossanova, Latina, 7 marzo 1274

Domenicano (1244), formatosi nel monastero di Montecassino e nelle grandi scuole del tempo, e divenuto maestro negli studi di Parigi, Orvieto, Roma, Viterbo e Napoli, impresse al suo insegnamento un orientamento originale e sapientemente innovatore. Affidò a molti scritti impegnati e specialmente alla celebre ‘Summa’ la sistemazione geniale della dottrina filosofica e teologica raccolta dalla tradizione. Ha esercitato un influsso determinante sull’indirizzo del pensiero filosofico e della ricerca teologica nelle scuole dei secoli seguenti. (Mess. Rom.)

Patronato: Teologi, Accademici, Librai, Scolari, Studenti

Etimologia: Tommaso = gemello, dall'ebraico

Emblema: Bue, Stella

Martirologio Romano: Memoria di san Tommaso d’Aquino, sacerdote dell’Ordine dei Predicatori e dottore della Chiesa, che, dotato di grandissimi doni d’intelletto, trasmise agli altri con discorsi e scritti la sua straordinaria sapienza. Invitato dal beato papa Gregorio X a partecipare al secondo Concilio Ecumenico di Lione, morì il 7 marzo lungo il viaggio nel monastero di Fossanova nel Lazio e dopo molti anni il suo corpo fu in questo giorno traslato a Tolosa.
(7 marzo: Nel monastero cistercense di Fossanova nel Lazio, transito di san Tommaso d’Aquino, la cui memoria si celebra il 28 gennaio).

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Quando papa Giovanni XXII nel 1323, iscrisse Tommaso d’Aquino nell’Albo dei Santi, a quanti obiettavano che egli non aveva compiuto grandi prodigi, né in vita né dopo morto, il papa rispose con una famosa frase: “Quante preposizioni teologiche scrisse, tanti miracoli fece”.
E questo, è il riconoscimento più grande che si potesse dare al grande teologo e Dottore della Chiesa, che con la sua “Summa teologica”, diede sistematicamente un fondamento scientifico, filosofico e teologico alla dottrina cristiana.

Origini, oblato a Montecassino, studente a Napoli
Tommaso, nacque all’incirca nel 1225 nel castello di Roccasecca (Frosinone) nel Basso Lazio, che faceva parte del feudo dei conti d’Aquino; il padre Landolfo, era di origine longobarda e vedovo con tre figli, aveva sposato in seconde nozze Teodora, napoletana di origine normanna; dalla loro unione nacquero nove figli, quattro maschi e cinque femmine, dei quali Tommaso era l’ultimo dei maschi.
Secondo il costume dell’epoca, il bimbo a cinque anni, fu mandato come “oblato” nell’Abbazia di Montecassino; l’oblatura non contemplava che il ragazzo, giunto alla maggiore età, diventasse necessariamente un monaco, ma era semplicemente una preparazione, che rendeva i candidati idonei a tale scelta.
Verso i 14 anni, Tommaso che si trovava molto bene nell’abbazia, fu costretto a lasciarla, perché nel 1239 fu occupata militarmente dall’imperatore Federico II, allora in contrasto con il papa Gregorio IX, e che mandò via tutti i monaci, tranne otto di origine locale, riducendone così la funzionalità; l’abate accompagnò personalmente l’adolescente Tommaso dai genitori, raccomandando loro di farlo studiare presso l’Università di Napoli, allora sotto la giurisdizione dell’imperatore.
A Napoli frequentò il corso delle Arti liberali, ed ebbe l’opportunità di conoscere alcuni scritti di Aristotele, allora proibiti nelle Facoltà ecclesiastiche, intuendone il grande valore.

Domenicano; incomprensioni della famiglia
Inoltre conobbe nel vicino convento di San Domenico, i frati Predicatori e ne restò conquistato per il loro stile di vita e per la loro profonda predicazione; aveva quasi 20 anni, quando decise di entrare nel 1244 nell’Ordine Domenicano; i suoi superiori intuito il talento del giovane, decisero di mandarlo a Parigi per completare gli studi.
Intanto i suoi familiari, specie la madre Teodora rimasta vedova, che sperava in lui per condurre gli affari del casato, rimasero di stucco per questa scelta; pertanto la castellana di Roccasecca, chiese all’imperatore che si trovava in Toscana, di dare una scorta ai figli, che erano allora al suo servizio, affinché questi potessero bloccare Tommaso, già in viaggio verso Parigi.
I fratelli poterono così fermarlo e riportarlo verso casa, sostando prima nel castello paterno di Monte San Giovanni, dove Tommaso fu chiuso in una cella; il sequestro durò complessivamente un anno; i familiari nel contempo, cercarono in tutti i modi di farlo desistere da quella scelta, ritenuta non consona alla dignità della casata.
Arrivarono perfino ad introdurre una sera, una bellissima ragazza nella cella, per tentarlo nella castità; ma Tommaso di solito pacifico, perse la pazienza e con un tizzone ardente in mano, la fece fuggire via. La castità del giovane domenicano era proverbiale, tanto da meritare in seguito il titolo di “Dottore Angelico”.
Su questa situazione i racconti della ‘Vita’, divergono, si dice che papa Innocenzo IV, informato dai preoccupati Domenicani, chiese all’imperatore di liberarlo e così tornò a casa; altri dicono che Tommaso riuscì a fuggire; altri che Tommaso ricondotto a casa della madre, la quale non riusciva ad accettare che un suo figlio facesse parte di un Ordine ‘mendicante’, resistette a tutti i tentativi fatti per distoglierlo, tanto che dopo un po’ anche la sorella Marotta, passò dalla sua parte e in seguito diventò monaca e badessa nel monastero di Santa Maria a Capua; infine anche la madre si convinse, permettendo ai domenicani di far visita al figlio e dopo un anno di quella situazione. lo lasciò finalmente partire.

Studente a Colonia con s. Alberto Magno
Ritornato a Napoli, il Superiore Generale, Giovanni il Teutonico, ritenne opportuno anche questa volta, di trasferirlo all’estero per approfondire gli studi; dopo una sosta a Roma, Tommaso fu mandato a Colonia dove insegnava sant’Alberto Magno (1193-1280), domenicano, filosofo e teologo, vero iniziatore dell’aristotelismo medioevale nel mondo latino e uomo di cultura enciclopedica.
Tommaso divenne suo discepolo per quasi cinque anni, dal 1248 al 1252; si instaurò così una feconda convivenza tra due geni della cultura; risale a questo periodo l’offerta fattagli da papa Innocenzo IV di rivestire la carica di abate di Montecassino, succedendo al defunto abate Stefano II, ma Tommaso che nei suoi principi rifuggiva da ogni carica nella Chiesa, che potesse coinvolgerlo in affari temporali, rifiutò decisamente, anche perché amava oltremodo restare nell’Ordine Domenicano.
A Colonia per il suo atteggiamento silenzioso, fu soprannominato dai compagni di studi “il bue muto”, riferendosi anche alla sua corpulenza; s. Alberto Magno venuto in possesso di alcuni appunti di Tommaso, su una difficile questione teologica discussa in una lezione, dopo averli letti, decise di far sostenere allo studente italiano una disputa, che Tommaso seppe affrontare e svolgere con intelligenza.
Stupito, il Maestro davanti a tutti esclamò: “Noi lo chiamiamo bue muto, ma egli con la sua dottrina emetterà un muggito che risuonerà in tutto il mondo”.

Sacerdote; Insegnante all’Università di Parigi; Dottore in Teologia
Nel 1252, da poco ordinato sacerdote, Tommaso d’Aquino, fu indicato dal suo grande maestro ed estimatore s. Alberto, quale candidato alla Cattedra di “baccalarius biblicus” all’Università di Parigi, rispondendo così ad una richiesta del Generale dell’Ordine, Giovanni di Wildeshauen.
Tommaso aveva appena 27 anni e si ritrovò ad insegnare a Parigi sotto il Maestro Elia Brunet, preparandosi nel contempo al dottorato in Teologia.
Ogni Ordine religioso aveva diritto a due cattedre, una per gli studenti della provincia francese e l’altra per quelli di tutte le altre province europee; Tommaso fu destinato ad essere “maestro degli stranieri”.
Ma la situazione all’Università parigina non era tranquilla in quel tempo; i professori parigini del clero secolare, erano in lotta contro i colleghi degli Ordini mendicanti, scientificamente più preparati, ma considerati degli intrusi nel mondo universitario; e quando nel 1255-56, Tommaso divenne Dottore in Teologia a 31 anni, gli scontri fra Domenicani e clero secolare, impedirono che potesse salire in cattedra per insegnare; in questo periodo Tommaso difese i diritti degli Ordini religiosi all’insegnamento, con un celebre e polemico scritto: “Contra impugnantes”; ma furono necessari vari interventi del papa Alessandro IV, affinché la situazione si sbloccasse in suo favore.
Nell’ottobre 1256 poté tenere la sua prima lezione, grazie al cancelliere di Notre-Dame, Americo da Veire, ma passò ancora altro tempo, affinché il professore italiano fosse formalmente accettato nel Corpo Accademico dell’Università.
Già con il commento alle “Sentenze” di Pietro Lombardo, si era guadagnato il favore e l’ammirazione degli studenti; l’insegnamento di Tommaso era nuovo; professore in Sacra Scrittura, organizzava in modo insolito l’argomento con nuovi metodi di prova, nuovi esempi per arrivare alla conclusione; egli era uno spirito aperto e libero, fedele alla dottrina della Chiesa e innovatore allo stesso tempo.
“Già sin d’allora, egli divideva il suo insegnamento secondo un suo schema fondamentale, che contemplava tutta la creazione, che, uscita dalle mani di Dio, vi faceva ora ritorno per rituffarsi nel suo amore” (Enrico Pepe, Martiri e Santi, Città Nuova, 2002).
A Parigi, Tommaso d’Aquino, dietro invito di s. Raimondo di Peñafort, già Generale dell’Ordine Domenicano, iniziò a scrivere un trattato teologico, intitolato “Summa contra Gentiles”, per dare un valido ausilio ai missionari, che si preparavano per predicare in quei luoghi, dove vi era una forte presenza di ebrei e musulmani.

Il ritorno in Italia; collaboratore di pontefici
All’Università di Parigi, Tommaso rimase per tre anni; nel 1259 fu richiamato in Italia dove continuò a predicare ed insegnare, prima a Napoli nel convento culla della sua vocazione, poi ad Anagni dov’era la curia pontificia (1259-1261), poi ad Orvieto (1261-1265), dove il papa Urbano IV fissò la sua residenza dal 1262 al 1264.
Il pontefice si avvalse dell’opera dell’ormai famoso teologo, residente nella stessa città umbra; Tommaso collaborò così alla compilazione della “Catena aurea” (commento continuo ai quattro Vangeli) e sempre su richiesta del papa, impegnato in trattative con la Chiesa Orientale, Tommaso approfondì la sua conoscenza della teologia greca, procurandosi le traduzioni in latino dei padri greci e quindi scrisse un trattato “Contra errores Graecorum”, che per molti secoli esercitò un influsso positivo nei rapporti ecumenici.
Sempre nel periodo trascorso ad Orvieto, Tommaso ebbe dal papa l’incarico di scrivere la liturgia e gli inni della festa del Corpus Domini, istituita l’8 settembre 1264, a seguito del miracolo eucaristico, avvenuto nella vicina Bolsena nel 1263, quando il sacerdote boemo Pietro da Praga, che nutriva dubbi sulla transustanziazione, vide stillare copioso sangue, dall’ostia consacrata che aveva fra le mani, bagnando il corporale, i lini e il pavimento.
Fra gli inni composti da Tommaso d’Aquino, dove il grande teologo profuse tutto il suo spirito poetico e mistico, da vero cantore dell’Eucaristia, c’è il famoso “Pange, lingua, gloriosi Corporis mysterium”, di cui due strofe inizianti con “Tantum ergo”, si cantano da allora ogni volta che si impartisce la benedizione col SS. Sacramento.
Nel 1265 fu trasferito a Roma, a dirigere lo “Studium generale” dell’Ordine Domenicano, che aveva sede nel convento di Santa Sabina; nei circa due anni trascorsi a Roma, Tommaso ebbe il compito di organizzare i corsi di teologia per gli studenti della Provincia Romana dei Domenicani.

La “Summa theologiae”; affiancato da p. Reginaldo
A Roma, si rese conto che non tutti gli allievi erano preparati per un corso teologico troppo impegnativo, quindi cominciò a scrivere per loro una “Summa theologiae”, per “presentare le cose che riguardano la religione cristiana, in un modo che sia adatto all’istruzione dei principianti”.
La grande opera teologica, che gli darà fama in tutti i secoli successivi, fu divisa in uno schema a lui caro, in tre parti: la prima tratta di Dio uno e trino e della “processione di tutte le creature da Lui”; la seconda parla del “movimento delle creature razionali verso Dio”; la terza presenta Gesù “che come uomo è la via attraverso cui torniamo a Dio”. L’opera iniziata a Roma nel 1267 e continuata per ben sette anni, fu interrotta improvvisamente il 6 dicembre 1273 a Napoli, tre mesi prima di morire.
Intanto Tommaso d’Aquino, per i suoi continui trasferimenti, non poteva più vivere una vita di comunità, secondo il carisma di s. Domenico di Guzman e ciò gli procurava difficoltà; i suoi superiori pensarono allora di affiancargli un frate di grande valore, sacerdote e lettore in teologia, fra Reginaldo da Piperno; questi ebbe l’incarico di assisterlo in ogni necessità, seguendolo ovunque, confessandolo, servendogli la Messa, ascoltandolo e consigliandolo; in altre parole i due domenicani vennero a costituire una piccola comunità, dove potevano quotidianamente confrontarsi.
Nel 1267, Tommaso dovette mettersi di nuovo in viaggio per raggiungere a Viterbo papa Clemente IV, suo grande amico, che lo volle collaboratore nella nuova residenza papale; il pontefice lo voleva poi come arcivescovo di Napoli, ma egli decisamente rifiutò.

Per tre anni di nuovo a Parigi e poi ritorno a Napoli
Nel decennio trascorso in Italia, in varie località, Tommaso compose molte opere, fra le quali, oltre quelle già menzionate prima, anche “De unitate intellectus”; “De Redimine principum” (trattato politico, rimasto incompiuto); le “Quaestiones disputatae, ‘De potentia’ e ‘De anima’” e buona parte del suo capolavoro, la già citata “Summa teologica”, il testo che avrebbe ispirato la teologia cattolica fino ai nostri tempi.
All’inizio del 1269 fu richiamato di nuovo a Parigi, dove all’Università era ripreso il contrasto fra i maestri secolari e i maestri degli Ordini mendicanti; occorreva la presenza di un teologo di valore per sedare gli animi.
A Parigi, Tommaso, oltre che continuare a scrivere le sue opere, ben cinque, e la continuazione della Summa, dovette confutare con altri celebri scritti, gli avversari degli Ordini mendicanti da un lato e dall’altro difendere il proprio aristotelismo nei confronti dei Francescani, fedeli al neoplatonismo agostiniano, e soprattutto confutò alcuni errori dottrinari, dall’averroismo, alle tesi eterodosse di Sigieri di Brabante sull’origine del mondo, sull’anima umana e sul libero arbitrio.
Nel 1272 ritornò in Italia, a Napoli, facendo sosta a Montecassino, Roccasecca, Molara; Ceccano; nella capitale organizzò, su richiesta di Carlo I d’Angiò, un nuovo “Studium generale” dell’Ordine Domenicano, insegnando per due anni al convento di San Domenico, il cui Studio teologico era incorporato all’Università.
Qui intraprese la stesura della terza parte della Summa, rimasta interrotta e completata dopo la sua morte dal fedele collaboratore fra Reginaldo, che utilizzò la dottrina di altri suoi trattati, trasferendone i dovuti paragrafi.

L’interruzione radicale del suo scrivere
Tommaso aveva goduto sempre di ottima salute e di un’eccezionale capacità di lavoro; la sua giornata iniziava al mattino presto, si confessava a Reginaldo, celebrava la Messa e poi la serviva al suo collaboratore; il resto della mattinata trascorreva fra le lezioni agli studenti e segretari e il prosieguo dei suoi studi; altrettanto faceva nelle ore pomeridiane dopo il pranzo e la preghiera, di notte continuava a studiare, poi prima dell’alba si recava in chiesa per pregare, avendo l’accortezza di mettersi a letto un po’ prima della sveglia per non farsi notare dai confratelli.
Ma il 6 dicembre 1273 gli accadde un fatto strano, mentre celebrava la Messa, qualcosa lo colpì nel profondo del suo essere, perché da quel giorno la sua vita cambiò ritmo e non volle più scrivere né dettare altro.
Ci furono vari tentativi da parte di padre Reginaldo, di fargli dire o confidare il motivo di tale svolta; solo più tardi Tommaso gli disse: “Reginaldo, non posso, perché tutto quello che ho scritto è come paglia per me, in confronto a ciò che ora mi è stato rivelato”, aggiungendo: “L’unica cosa che ora desidero, è che Dio dopo aver posto fine alla mia opera di scrittore, possa presto porre termine anche alla mia vita”.
Anche il suo fisico risentì di quanto gli era accaduto quel 6 dicembre, non solo smise di scrivere, ma riusciva solo a pregare e a svolgere le attività fisiche più elementari.

I doni mistici
La rivelazione interiore che l’aveva trasformato, era stata preceduta, secondo quanto narrano i suoi primi biografi, da un mistico colloquio con Gesù; infatti mentre una notte era in preghiera davanti al Crocifisso (oggi venerato nell’omonima Cappella, della grandiosa Basilica di S. Domenico in Napoli), egli si sentì dire “Tommaso, tu hai scritto bene di me. Che ricompensa vuoi?” e lui rispose: “Nient’altro che te, Signore”.
Ed ecco che quella mattina di dicembre, Gesù Crocifisso lo assimilò a sé, il “bue muto di Sicilia” che fino allora aveva sbalordito il mondo con il muggito della sua intelligenza, si ritrovò come l’ultimo degli uomini, un servo inutile che aveva trascorso la vita ammucchiando paglia, di fronte alla sapienza e grandezza di Dio, di cui aveva avuto sentore.
Il suo misticismo, è forse poco conosciuto, abbagliati come si è dalla grandezza delle sue opere teologiche; celebrava la Messa ogni giorno, ma era così intensa la sua partecipazione, che un giorno a Salerno fu visto levitare da terra.
Le sue tante visioni hanno ispirato ai pittori un attributo, è spesso raffigurato nei suoi ritratti, con una luce raggiata sul petto o sulla spalla.

Sempre più ammalato; in viaggio per Lione
Con l’intento di staccarsi dall’ambiente del suo convento napoletano, che gli ricordava continuamente studi e libri, in compagnia di Reginaldo, si recò a far visita ad una sorella, contessa Teodora di San Severino; ma il soggiorno fu sconcertante, Tommaso assorto in una sua interiore estasi, non riuscì quasi a proferire parola, tanto che la sorella dispiaciuta, pensò che avesse perduto la testa e nei tre giorni trascorsi al castello, fu circondato da cure affettuose.
Ritornò poi a Napoli, restandovi per qualche settimana ammalato; durante la malattia, due religiosi videro una grande stella entrare dalla finestra e posarsi per un attimo sul capo dell’ammalato e poi scomparire di nuovo, così come era venuta.
Intanto nel 1274, dalla Francia papa Gregorio X, ignaro delle sue condizioni di salute, lo invitò a partecipare al Concilio di Lione, indetto per promuovere l’unione fra Roma e l’Oriente; Tommaso volle ancora una volta obbedire, pur essendo cosciente delle difficoltà per lui di intraprendere un viaggio così lungo.
Partì in gennaio, accompagnato da un gruppetto di frati domenicani e da Reginaldo, che sperava sempre in una ripresa del suo maestro; a complicare le cose, lungo il viaggio ci fu un incidente, scendendo da Teano, Tommaso si ferì il capo urtando contro un albero rovesciato.
Giunti presso il castello di Maenza, dove viveva la nipote Francesca, la comitiva si fermò per qualche giorno, per permettere a Tommaso di riprendere le forze, qui si ammalò nuovamente, perdendo anche l’appetito; si sa che quando i frati per invogliarlo a mangiare gli chiesero cosa desiderasse, egli rispose: “le alici”, come quelle che aveva mangiato anni prima in Francia.

La sua fine nell’abbazia di Fossanova
Tutte le cure furono inutili, sentendo approssimarsi la fine, Tommaso chiese di essere portato nella vicina abbazia di Fossanova, dove i monaci cistercensi l’accolsero con delicata ospitalità; giunto all’abbazia nel mese di febbraio, restò ammalato per circa un mese.
Prossimo alla fine, tre giorni prima volle ricevere gli ultimi sacramenti, fece la confessione generale a Reginaldo, e quando l’abate Teobaldo gli portò la Comunione, attorniato dai monaci e amici dei dintorni, Tommaso disse alcuni concetti sulla presenza reale di Gesù nell’Eucaristia, concludendo: “Ho molto scritto ed insegnato su questo Corpo Sacratissimo e sugli altri sacramenti, secondo la mia fede in Cristo e nella Santa Romana Chiesa, al cui giudizio sottopongo tutta la mia dottrina”.
Il mattino del 7 marzo 1274, il grande teologo morì, a soli 49 anni; aveva scritto più di 40 volumi.

Il suo insegnamento teologico
La sua vita fu interamente dedicata allo studio e all’insegnamento; la sua produzione fu immensa; due vastissime “Summe”, commenti a quasi tutte le opere aristoteliche, opere di esegesi biblica, commentari a Pietro Lombardo, a Boezio e a Dionigi l’Areopagita , 510 “Questiones disputatae”, 12 “Quodlibera”, oltre 40 opuscoli.
Tommaso scriveva per i suoi studenti, perciò il suo linguaggio era chiaro e convincente, il discorso si svolgeva secondo le esigenze didattiche, senza lasciare zone d’ombra, concetti non ben definiti o non precisati.
Egli si rifaceva anche nello stile al modello aristotelico, e rimproverava ai platonici il loro linguaggio troppo simbolico e metafisico.
Ciò nonostante alcune tesi di Tommaso d’Aquino, così radicalmente innovatrici, fecero scalpore e suscitarono le più vivaci reazioni da parte dei teologi contemporanei; s. Alberto Magno intervenne più volte in favore del suo antico discepolo, nonostante ciò nel 1277 si arrivò alla condanna da parte del vescovo E. Tempier a Parigi, e a Oxford sotto la pressione dell’arcivescovo di Canterbury, R. Kilwardby; le condanne furono ribadite nel 1284 e nel 1286 dal successivo arcivescovo J. Peckham.
L’Ordine Domenicano, si impegnò nella difesa del suo più grande maestro e nel 1278 dichiarò il “Tomismo” dottrina ufficiale dell’Ordine. Ma la condanna fu abrogata solo nel 1325, due anni dopo che papa Giovanni XXII ad Avignone, l’aveva proclamato santo il 18 luglio 1323.

Il suo culto
Nel 1567 s. Tommaso d’Aquino fu proclamato Dottore della Chiesa e il 4 agosto 1880, patrono delle scuole e università cattoliche.
La sua festa liturgica, da secoli fissata al 7 marzo, giorno del suo decesso, dopo il Concilio Vaticano II, che ha raccomandato di spostare le feste liturgiche dei santi dal periodo quaresimale e pasquale, è stata spostata al 28 gennaio, data della traslazione del 1369.
Le sue reliquie sono venerate in vari luoghi, a seguito dei trasferimenti parziali dei suoi resti, inizialmente sepolti nella chiesa dell’abbazia di Fossanova, presso l’altare maggiore e poi per alterne vicende e richieste autorevoli, smembrati nel tempo; sono venerate a Fossanova, nel Duomo della vicina Priverno, nella chiesa di Saint-Sermain a Tolosa in Francia, portate lì nel 1369 dai Domenicani, su autorizzazione di papa Urbano V, e poi altre a San Severino, su richiesta dalla sorella Teodora e da lì trasferite poi a Salerno; altre reliquie si trovano nell’antico convento dei Domenicani di Napoli e nel Duomo della città.
A chiusura di questa necessariamente incompleta scheda, si riporta il bellissimo inno eucaristico, dove san Tommaso profuse tutto il suo amore e la fede nel mistero dell’Eucaristia.


“Pange lingua” di S. Tommaso d’Aquino (Testo latino)

Pange língua gloriósi
Córporis mystérium,
Sanguinísque pretiósi,
Quem in mundi prétium
fructus ventris generósi
Rex effúdit géntium.

Nobis datus, nobis natus
ex intácta Vírgine,
et in mundo conversátus,
sparso verbi sémine,
sui moras incolátus
miro cláusit órdine.

In suprémae nocte cenae
recúmbens cum frátribus,
observáta lege plene
cibis in legálibus,
cibum turbae duodénae
se dat suis mánibus.

Verbum caro panem verum
verbo carnem éfficit:
fitque sanguis Christi merum.
Et si sensus déficit,
ad firmándum cor sincérum
sola fides súfficit.

Tantum ergo Sacraméntum
venerémur cérnui:
et antícuum documéntum
novo cedat rítui:
praestet fides suppleméntum
sénsuum deféctui.

Genitóri, Genitóque
laus et jubilátio,
salus, hónor, virtus quoque
sit et benedíctio:
procedénti ad utróque
cómpar sit laudátio.

Amen.


“Pange lingua” (Traduzione italiana)

Canta, o mia lingua,
il mistero del corpo glorioso
e del sangue prezioso
che il Re delle nazioni,
frutto benedetto di un grembo generoso,
sparse per il riscatto del mondo.

Si è dato a noi, nascendo per noi
da una Vergine purissima,
visse nel mondo spargendo
il seme della sua parola
e chiuse in modo mirabile
il tempo della sua dimora quaggiù.

Nella notte dell'ultima Cena,
sedendo a mensa con i suoi fratelli,
dopo aver osservato pienamente
le prescrizioni della legge,
si diede in cibo agli apostoli
con le proprie mani.

Il Verbo fatto carne cambia con la sua parola
il pane vero nella sua carne
e il vino nel suo sangue,
e se i sensi vengono meno,
la fede basta per rassicurare
un cuore sincero.

Adoriamo, dunque, prostrati
un sì gran sacramento;
l'antica legge
ceda alla nuova,
e la fede supplisca
al difetto dei nostri sensi.

Gloria e lode,
salute, onore,
potenza e benedizione
al Padre e al Figlio:
pari lode sia allo Spirito Santo,
che procede da entrambi.

Amen.





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00giovedì 28 gennaio 2010 14:13

Santi Agata Lin Zhao, Gerolamo Lu Tingmei e Lorenzo Wang Bing Martiri

28 gennaio

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+ Maokou, Cina, 28 gennaio 1858

Questi tre laici cattolici cinesi sono stati canonizzati il 1° ottobre 2000 da Papa Giovanni Paolo II.

Martirologio Romano: Nella città di Maokou nella provincia del Guizhou in Cina, santi martiri Agata Lin Zhao, vergine, Girolamo Lu Tingmei e Lorenzo Wang Bing: catechisti, furono denunciati come cristiani sotto l’imperatore Wenzongxian e infine decapitati.


AGATA LIN-TCHAO
Nacque nel 1817, mentre il padre era in carcere per la fede cristiana. Si diede durante la giovinezza allo studio della religione cristiana per essere una valente catechista. Fu diretta spiritualmente per un certo tempo dal b. Augusto Capdelaine delle Missioni Estere di Parigi, morto martire nel 1856. Insegnò il catechismo nel villaggio di Ta-pa-tien fino a quando il vicario apostolico Albrand allargò il suo campo di apostolato conferendole lo stesso incarico per varie altre località. A. condusse alla conversione molte persone. Mentre era ospite del catechista Girolamo Lou-tinmey, nel villaggio di Mao-Keou, ricevette con lui il martirio il 28 genn. 1858 e fu beatificata sotto s. Pio X il 2 magg. 1909.





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00giovedì 28 gennaio 2010 14:17

Beato Bartolomeo Aiutamicristo da Pisa Religioso Camaldolese

28 gennaio

m. Pisa, 28 gennaio 1224

Il beato Bartolomeo Aiutamicristo, monaco camaldolese, proveniva da una antica e mobilissima famiglia pisana. Fu però reso ancor più illustre dalla santità di vita, confermata da strepitosi miracoli verificatisi in vita e dopo la sua morte. Quest’ultima lo colse il 28 gennaio 1224 ed in tale anniversario è commemorato dal Martyrologium Romanum e dal Menologio Camaldolese.

Martirologio Romano: Presso San Frediano vicino a Pisa, beato Bartolomeo Aiutamicristo, religioso dell’Ordine dei Camaldolesi.


Nato a Pisa in un anno sconosciuto dalla nobile famiglia pisana degli Aiutamicristo, Bartolomeo entrò come fratello converso nel monastero camaldolese di S. Frediano, dove morì il 28 genn. 1224, dopo una vita ricca di numerosi miracoli, continuati anche dopo la morte. Il corpo di Bartolomeo fu sepolto nella chiesa del monastero, sotto un altare eretto in suo onore dai concittadini; in seguito, per favorirne la venerazione, esso fu collocato sotto l'altare maggiore. L'incendio del 1675 danneggiò gravemente tutto l'edificio sacro, bruciando quasi per intero anche il venerato corpo di Bartolomeo, fino allora incorrotto. I pochi frammenti rimasti furono esposti nella sacrestia. Pio IX nel 1857 confermò il suo culto e lo estese all'Ordine camaldolese e all'arcidiocesi pisana. La festa liturgica si celebra il 12 aprile.




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00giovedì 28 gennaio 2010 14:18

San Carlomagno Imperatore

28 gennaio

742 - 28 gennaio 814

Patronato: Scuole francesi

Emblema: Corona, Scettro, Globo, Spada, Modellino


La canonizzazione di Carlomagno nel 1165 da parte dell'antipapa Pasquale III non è che un momento dello straordinario destino postumo dell'imperatore d'Occidente. Qui si ricorderà brevemente ciò che, nella sua vita e nella sua opera, ha fornito occasione a un culto in alcune regioni cristiane.
Nato nel 742, primogenito di Pipino il Breve, gli succedette il 24 settembre 768 come sovrano d'una parte del regno dei Franchi, divenendo unico re alla morte (771) del fratello Carlomanno. Chiamato in aiuto dal papa Adriano I, scese in Italia, contro Desiderio, re dei Longobardi, nell'aprile 774. In cambio d'una promessa di donazione di territori italiani al sommo pontefice, riceve il titolo di re dei Longobardi quando lo sconfitto Desiderio fu rinchiuso nel monastero di Corbie. Nel 777 iniziò una serie di campagne per la sottomissione e l'evangelizzazione dei Sassoni, capeggiati da Vitichindo. Dopo una cerimonia di Battesimo collettivo a Paderborn, la rivalsa dei vinti fu soffocata, nelle campagne del 782-85, con tremendi massacri, fra i quali quello di molte migliaia di prigionieri a Werden. Spintosi oltre i Pirenei, nella futura Marca di Spagna, Carlomagno subì nel,778 un grave rovescio a Roncisvalle. Nelle successive discese in Italia (781 e 787) stabilì legami con l'Impero d'Oriente (fidanzamento di sua figlia Rotrude col giovane Costantino VI), e s'inserì sempre più a fondo, attraverso i missi carolingi, nella vita di Roma. Consacrato re d'Italia e spinto a occuparsi del patrimonio temporale della Chiesa, non trascurò il suo ruolo di riformatore, continuando l'opera iniziata dal padre col concorso di S. Bonifacio. Nel 779, benché occupatissimo per le rivolte dei Sassoni, promulgò un capitolare sui beni della Chiesa e i diritti vescovili, e accentuò la sua azione riformatrice sotto l'impulso dei chierici e dei proceres ecclesiastici e, soprattutto, di Alcuino e di Teodulfo d'Orleans.
La celebre “Admonitio generalis” del 789 mostra a pieno la concezione di Carlomagno in materia di politica religiosa, richiamandosi all'esempio biblico del re Giosia per il quale il bisogno più urgente è ricondurre il popolo di Dio nelle vie del Signore, per far regnare ed esaltare la sua legge. Nascono da questa esigenza il rinascimento degli studi, la revisione del testo delle Scritture operata da Alcuino, la costituzione dell'omeliario di Paolo Diacono.
Al concilio di Francoforte del 794, Carlomagno si erge di fronte a Bisanzio come il legittimo crede degli imperatori d'Occidente, promotori di concili e guardiani della fede. Non è un caso che i testi relativi alla disputa delle immagini (Libri Carolini), benché redatti da Alcuino o da Teodulfo, portino il nome di Carlomagno. Pertanto, l'incoronazione imperiale del giorno di Natale dell'anno 800 non fu che il coronamento d'una politica che il papato non poté fare a meno di riconoscere, sollecitando la protezione del sovrano e accettandolo, nella persona di Leone III, come giudice delle sue controversie. Ma Carlomagno (come mostrano le origini della disputa sul “Filioque”) estese la sua influenza fino alla Palestina. La sua sollecitudine per il restauro delle chiese di Gerusalemme e dei luoghi santi mediante questue (prescritte in un capitolare dell'810) gli valse più tardi il titolo di primo dei crociati. Del patronato esercitato sulla Chiesa dalla forte personalità di Carlomagno restano monumenti documentari ed encomiastici negli “Annales”, che ricordano i concili da lui presieduti, le chiese e i monasteri da lui fondati.
La vita privata di Carlomagno fu obiettivamente deplorevole. E non si possono certo dimenticare due ripudi e molti concubinati, né i massacri giustificati dalla sola vendetta o la tolleranza per la libertà dei costumi di corte. Non mancano, tuttavia, indizi di una sensibilità di Carlomagno per la colpa, in tempi piuttosto grossolani e corrotti. Il suo biografo Eginardo informa che Carlomagno non apprezzava punto i giovani, sebbene li praticasse, e, per quanto la sua vita religiosa personale ci sfugga, sappiamo che egli teneva molto all'esatta osservanza dei riti liturgici che faceva celebrare, specialmente ad Aquisgrana (odierna Aachen), con sontuoso decoro. Cosi, quando mori ad Aquisgrana il 28 gennaio 814, Carlomagno lasciò dietro di sé il ricordo di molti meriti che la posterità si incaricò di glorificare. La valorizzazione del prestigio di Carlomagno assunse il carattere di un'operazione politica durante la lotta delle Investiture e il conflitto fra il Sacerdozio e l'Impero. La prima cura di Ottone I, nel farsi consacrare ad Aquisgrana (962), fu quella di ripristinare la tradizione carolingia per servirsene.
Nell'anno 1000, Ottone III scopri ad Aquisgrana il corpo di Carlomagno in circostanze in cui l'immaginazione poteva facilmente sbrigliarsi. Nel sec. XI, mentre Gregorio VII scorgeva nell'incoronazione imperiale di Carlomagno la ricompensa dei servigi da lui resi alla cristianità, gli Enriciani esaltarono il patronato esercitato dall'imperatore sulla Chiesa. Quando l'impero divenne oggetto di competizione fra principi germanici, Federico I, invocando gli esempi della canonizzazione di Enrico II (1146), di Edoardo il Confessore (1161), di Canuto di Danimarca (1165), pretese e ottenne dall'antipapa Pasquale III la canonizzazione di Carlomagno col rito dell'elevazione agli altari (29 dic. 1165). Egli pensò di gettare in tal modo discredito su Alessandro III, che gli rifiutava l'impero, e, insieme, sui Capetingi che lo pretendevano. E se più tardi Filippo Augusto, vincitore di Federico II a Bouvines nel 1214, si richiamò alle analoghe vittorie di Carlomagno sui Sassoni, lo stesso Federico II si fece incoronare ad Aquisgrana il 25 luglio 1215 e dispose, due giorni dopo, una solenne traslazione delle reliquie di Carlomagno. Intanto Innocenzo III, risoluto sostenitore della teoria delle “due spade”, ricordava che è il papa che eleva all'impero e dipingeva Carlomagno come uno strumento passivo della traslazione dell'impero da Oriente a Occidente. La grande figura di Carlomagno venne piegata a interpretazioni opposte almeno fino all'elezione di Carlo V.
Ma a parte le utilizzazioni politiche contrastanti, il culto di Carlomagno appare ben radicato nella tradizione letteraria e nell'iconografia. Il tono agiografico è già evidente nei racconti di Eginardo e del monaco di S. Gallo di poco posteriori alla morte dell'imperatore. Rabano Mauro, abate di Fulda e arcivescovo di Magonza, iscrive Carlomagno nel suo Martirologio. La leggenda di Carlomagno è soprattutto abbellita dagli aspetti missionari della sua vita.
A Gerusalemme, la chiesa di S. Maria Latina conservava il suo ricordo. Alla fine del sec. X si credeva che l'imperatore si fosse recato in Terrasanta in pellegrinaggio. Urbano II, nel 1095, esaltava la sua memoria davanti ai primi crociati. Nel 1100 l'avventura transpirenaica dei paladini si trasfigurò in crociata, attraverso l'interpretazione della Chanson de Roland. Ognuno ricorda la frequenza di interventi soprannaturali nelle “chansons de gestes”: Carlomagno è assistito dall'angelo Gabriele; Dio gli parla in sogno; simile a Giosué, egli arresta il sole; benché il suo esercito formicoli di chierici, benedice o assolve lui. stesso i combattenti, ecc.
Dal sec. XII al XV si moltiplicano le testimonianze di un culto effettivo di C., connesse da un lato con la fedeltà delle fondazioni carolingie alla memoria del fondatore, dall'altro con l'atteggiamento dei vescovi verso gli Staufen, principali promotori del culto imperiale. A Strasburgo si trova un altare prima del 1175, a Osnabruck e ad Aquisgrana prima del 1200. Nel 1215, in seguito alla consacrazione di Federico II e alle cerimonie che l'accompagnarono, si stabilirono due festività: il 28 genn. (data della morte di C.), festa solenne con ottava, e il 29 dic., festa della traslazione. Roma rispose istituendo la festa antimperiale di S. Tommaso Becket, campione della Chiesa di fronte al potere politico; ma nel 1226 il cardinale Giovanni di Porto consacrò ufficialmente ad Aquisgrana un altare “in honorem sanctorum apostolorum et beati Karoli regis”. A Ratisbona, il monastero di S. Emmerano e quello di S. Pietro, occupato dagli Irlandesi, adottarono, nonostante l'estraneità dell'episcopato, il culto di Carlomagno che, secondo M. Folz, si andò estendendo in un’area esagonale con densità più forti nelle regioni di Treviri, di Fulda, di Norimberga e di Lorsch. Nel 1354, Carlo IV fondò presso Magonza, nell'Ingelheim, un oratorio in onore del S. Salvatore e dei beati Venceslao e Carlomagno. Toccato l'apogeo nel sec. XV, il culto di Carlomagno non fu abolito neppure dalla Riforma, tanto da sopravvivere fino al sec. XVIII in una prospettiva politica, presso i Febroniani.
In Francia, nel sec. XIII, una confraternita di Roncisvalle si stabilì a S. Giacomo della Boucherie. Carlo V (1364-80) fece di Carlomagno un protettore della casa di Francia alla pari di S. Luigi, e ne portò sullo scettro l'effigie con l'iscrizione “Sanctus Karolus Magnus”. Nel 1471, Luigi XI estese a tutta la Francia la celebrazione della festa di Carlomagno il 28 genn. Nel 1478, Carlomagno fu scelto come patrono della confraternita dei messaggeri dell'università e, dal 1487, fu festeggiato come protettore degli scolari (nel collegio di Navarra si celebrò fino al 1765, il 28 genn., una Messa con panegirico). Per queste ragioni il cardinale Lambertini, futuro Benedetto XIV, indicò nel caso di Carlomagno un tipico esempio di equivalenza fra una venerazione tradizionale e una. regolare beatificazione (De servorum Dei beatificatione, I, cap. 9, n. 4).
Oggi il culto di Carlomagno si celebra solo ad Aachen, con rito doppio di prima classe, il 28 genn. con ottava; la solennità è fissata alla prima domenica dopo la festa di S. Anna. A Metten ed a Múnster (nei Grigioni) il culto è “tollerato” per indulto della S. Congregazione dei Riti.





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00giovedì 28 gennaio 2010 14:20

Sant' Emiliano di Trevi Vescovo

28 gennaio

Noto anche con il nome di Miliano venne a Spoleto dall'Armenia alla fine del terzo secolo. Consacrato vescovo da papa Marcellino, fu inviato a Trevi dove già esisteva una comunità cristiana evangelizzata, ormai da un secolo, da Feliciano vescovo di Foligno. Fu messo a morte sotto l'imperatore Diocleziano il 28 gennaio del 304, insieme a tre suoi compagni, dopo innumerevoli supplizi invano inflittigli per indurlo ad abiurare. Fu decapitato a tre chilometri da Trevi, in località Bovara, zona sacra per i pagani, legato ad una pianta di olivo (albero monumentale ancora esistente). Oggi è patrono di Trevi, di cui fu il primo vescovo. Le reliquie, di cui non si aveva più memoria, vennero rinvenute nel 1660 durante l'esecuzione di lavori nel duomo di Spoleto, forse trafugate a seguito di oscuri episodi nel Medioevo. Ora sono conservate nella chiesa sul punto più alto dell'abitato di Trevi. (Avvenire)


Emiliano - ma sarebbe più corretto chiamarlo Miliano, come viene citato nei più antichi documenti e come viene ancora chiamato correntemente in Trevi – venne a Spoleto dall’Armenia alla fine del IIIsec.
Consacrato vescovo da papa Marcellino, fu inviato a Trevi dove già esisteva una comunità cristiana evangelizzata, ormai da un secolo, da Feliciano vescovo di Foligno.
Fu messo a morte sotto l’imperatore Diocleziano il 28 di gennaio del 304, insieme a tre suoi compagni, dopo innumerevoli supplizi invano inflittigli per indurlo ad abiurare. Fu decapitato a tre chilometri da Trevi, in località Bovara, zona sacra per i pagani, legato ad una pianta di olivo ( albero monumentale ancora esistente).
Patrono della città e del comune di Trevi, di cui fu il primo vescovo, è oggetto di culto e di grande venerazione da 17 secoli.
Il martirio e la morte sono minuziosamente descritti nella "Passio Sancti Miliani". Ne esistono due codici, uno del IX secolo a Montecassino e uno del XII secolo nell'archivio del duomo di Spoleto. Si ritiene che siano copie di un altro documento più antico, del V o VI secolo.
Nel racconto della sua passione sono narrati episodi del martirio che fanno esplicito riferimento ad importanti elementi del territorio evidenziando quanto indissolubilmente la figura del Partono sia legata alla stessa Trevi.
Le reliquie, di cui non si aveva più memoria, vennero rinvenute nel 1660 durante l’esecuzione di lavori nel duomo di Spoleto, forse trafugate a seguito di oscuri episodi delle feroci lotte medievali. Ora sono conservate nella chiesa, al Santo intitolata da sempre, sul punto più alto dell’abitato di Trevi.
La festa, celebrata da tempi remotissimi, in antico era molto più solenne, contornata da numerose manifestazioni sacre e profane, venendo a cadere agli inizi del carnevale.
La cerimonia più significativa è la straordinaria processione notturna, detta “dell’Illuminata”, la sera della vigilia (27 gennaio). È una delle più antiche manifestazioni “in tempo reale” risalente all’alto medioevo o addirittura al tardo antico. Vi prendevano parte, oltre al clero secolare e agli ordini regolari, le autorità e le rappresentanze delle varie arti e corporazioni medievali, sostituite ora dalle varie attività industriali, artigianali e commerciali del comune. Segue un percorso inalterato da oltre sette secoli, poiché ricalca il giro interno della mura antiche, non tenendo conto degli ampliamenti successivi al 1264.
Oltre che a Trevi, S. Emiliano armeno è venerato a Ripa di Perugia ove si celebra la festa nella domenica più prossima al 28 gennaio.




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00giovedì 28 gennaio 2010 14:22

Beata Gentile Giusti Madre

28 gennaio - Comune

Ravenna, 1471 – 28 gennaio 1530

Etimologia: Gentile = cortese, nobile di comportamento, dal latino


Le notizie sulla beata Gentile Giusti e della sua maestra spirituale e parente, Margherita Molli, ci sono pervenute stampate nell’edizione del 1535, di una “Vita di due Beatissime Donne, Margarita et Gentile”, compilata su notizie in parte ricevute dalla stessa Gentile Giusti, per quanto riguardava Margherita Molli e dal sacerdote Girolamo Maluselli per quanto riguardava Gentile, dal Canonico Regolare Lateranense (Agostiniano) padre Serafino Acuti de’ Porti da Fermo (1496-1540), quindi loro contemporaneo.
A completezza di queste notizie si aggiunge, che di questa edizione non esiste oggi nessun esemplare, ma solo una copia manoscritta di detta stampa, nell’Archivio Arcipretale di S. Apollinare in Russi (Ravenna). Successivi studi agiografici, si rifanno a quest’iniziale fonte editoriale.
Gentile Giusti, figlia di Tommaso Giusti di Verona e di Domenica Orioli di Russi, nacque a Ravenna nel 1471; già negli anni della fanciullezza frequentò la casa della sua parente, probabilmente cugina, la beata Margherita Molli (1442-1505) di Russi, laica penitente, mistica, cieca, rimanendo ammirata dalle sue straordinarie virtù e dalla sua fede, diventandone una discepola.
Verso il 1496 si sposò con un sarto veneziano Giacomo, soprannominato Pianella; dalla loro unione nacquero due figli, uno morì a sei anni, l’altro di nome Leone, divenne sacerdote e morì due anni prima della madre nel 1528.
Il matrimonio non ebbe un esito felice, a causa dei maltrattamenti ricevuti dall’irascibile e vizioso marito, che giunse perfino a denunziarla come strega, perché si dedicava troppo alla preghiera.
Ma il Vicario del vescovo, recatosi con lui alla sua casa, poté constatare l’infondatezza delle accuse, con un approfondito colloquio con Gentile; il marito mosso dalla disperazione se ne andò a Padova, abbandonandola in quel tempo di carestia, in grande povertà.
Qui cominciarono a vedersi i segni della Provvidenza, che prodigiosamente non le faceva mancare il sostentamento necessario; dopo molti anni, il marito ritornò a casa e costatato la divina assistenza verso di lei, cambiò opinione nei suoi riguardi, pentendosi anche per le preghiere della stessa moglie e morì poi nel 1511.
Nella sua vedovanza si dedicò alle attività caritative, curando gli infermi, svolgendo opera pacificatrice nelle famiglie divise da contrasti interni. Fu presente nell’aiutare gli ammalati, durante la peste che imperversò a Ravenna; come la sua maestra Margherita, anche a lei ricorrevano le persone bisognose di consiglio o di essere liberate dai loro affanni.
Lo stesso padre Girolamo Maluselli, raccontò all’autore della ‘Vita’, che egli si trovava lontano da Dio e non si confessava da quattro anni, saputo della fama di questa devota vedova, andò a trovarla e a lei si confidò, ascoltando i suoi ammaestramenti, per cui andò a confessarsi e sentendo in sé una nuova speranza, lasciò tutti gli affetti terreni, per trasferirsi al servizio di Dio come sacerdote.
Gentile Giusti ebbe anche il dono della profezia e quello di operare guarigioni prodigiose; morì santamente a Ravenna il 28 gennaio 1530 e già nel 1537, papa Paolo III autorizzò un processo sui miracoli attribuiti alla sua intercessione e a quella di Margherita Molli.
Coadiuvò alla trasformazione della ‘Confraternita del Buon Gesù’, dopo la morte della fondatrice Margherita Molli, in ‘Congregazione dei Preti del Buon Gesù’, insieme al condiscepolo Girolamo Maluselli, approvata poi da papa Paolo III nel 1538 e soppressa da Innocenzo X nel 1651 e la cui attività fu molto attiva a Ravenna e in Romagna.
Le sue reliquie nel 1659, furono unite a quelle della beata Margherita Molli, nella chiesa del Buon Gesù di Ravenna e dopo altre traslazioni le reliquie delle due beate parenti, riposano nella Chiesa Arcipretale di S. Apollinare in Russi (Ravenna).
Il culto è di origine popolare e la loro celebrazione si ha nell’ultima domenica di Gennaio.

Autore: Antonio Borrelli





Gentile di nome e di fatto, viene data in sposa ad un uomo che gentile non è affatto. Figlia di un orafo veronese, si sposa giovanissima con un sarto di Ravenna, tal Giacomo soprannominato Pianella: non tanto per amore, quanto per convenienza, sulla base della quale i genitori (siamo nella seconda metà del Quattrocento) combinavano i matrimoni, spesso all’insaputa dei figli. E il sarto Giacomo era sicuramente un “buon partito”, visto il buon mestiere e la gran clientela che aveva. Grossolano, poco sensibile e per niente religioso, Giacomo si dimostra l’esatto contrario di Gentile, che per natura è sensibilissima, molto devota e assai delicata. Così il suo non lo si può certo definire un matrimonio felice: maltrattata e derisa dal suo uomo, Gentile avrebbe più di un motivo per mandare all’aria un matrimonio che, di fatto, è basato più che altro sull’interesse. Ad un certo punto c’è addirittura l’abbandono del tetto coniugale, perchè Giacomo se ne va di casa e si trasferisce a Padova, lasciandola sola con due bimbi da allevare. Dicono abbia fatto le valigie per vergogna, perché, dopo aver denunciato la moglie per stregoneria, il vescovo di Ravenna in persona ha riconosciuto l’assoluta limpidezza, correttezza e religiosità di Gentile. Giacomo torna a casa quando gli fa comodo, parecchi anni dopo, e trova una moglie che nonostante tutto gli è stata fedele, ha allevato i figli (anche se uno è morto giovanissimo), ha continuato a pregare per la sua conversione. E avviene il miracolo della ritrovata unità familiare, con il cambiamento radicale dello suo stile di vita, grazie all’esempio della moglie che non ha mai cessato di amarlo. Giacomo muore poco dopo e Gentile, specializzatasi in pazienza, sopportazione e fedeltà, continua ad offrire il suo esempio di vedova dedita agli altri. Sembra che la sua missione specifica sia davvero quella di rendere migliore gli uomini che incontra: ne sa qualcosa Girolamo Maluselli, miscredente e violento, che dopo essersi confidato con lei ed aver ascoltato i suoi consigli, cambia vita e diventa sacerdote. Anche Leone, l’unico figlio rimastole e su cui Gentile riversa il suo affetto perché non segua l’esempio del padre, cambia vita e diventa sacerdote. Gentile, da parte sua, si ispira al modello di vita che le offre una sua lontana parente, Margherita, cieca e malandata per le aspre penitenze che si infligge. Ha rinunciato a tutti i suoi beni per donarli ai poveri, vive dell’altrui elemosina, prega e insegna il catechismo alle ragazze, è consultata da tutti perché ha il dono della profezia e con il suo esempio richiama i peccatori a conversione. Le sue preghiere sono particolarmente orientate verso l’unità dei cristiani e fonda la Confraternita del Buon Gesù, che si trasformerà in seguito nella “Congregazione dei Preti del Buon Gesù”. Margherita Molli muore il 23 gennaio 1505, Gentile Giusti il 28 gennaio 1530, ma ancora oggi, il paese di Russi e la zona di Ravenna riservano l’ultima domenica di gennaio per festeggiare insieme le due cugine, che dopo aver condiviso ideali e progetti di vita cristiana, riposano insieme in un’unica urna, circondate da una vivissima devozione.





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00giovedì 28 gennaio 2010 14:22

San Giacomo Eremita in Palestina

28 gennaio

Sec. IV

Martirologio Romano: Commemorazione di san Giacomo, eremita in Palestina, che per penitenza si rinchiuse a lungo in un sepolcro.


Probabilmente nativo di Hefa (oggi Haifa) ,si ritirò a vita eremitica sul monte Carmelo. La Vita di questo asceta palestinese che ci è giunta presenta molti elementi romanzeschi e in alcuni particolari riflette la conflittualità che caratterizzava i rapporti tra la comunità cristiana e quella samaritana della regione del Carmelo intorno al IV secolo.
E’ commemorato il 28 gennaio.




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00giovedì 28 gennaio 2010 14:23

Beato Giovanni de Medina Mercedario

28 gennaio

Insigne Dottore in Sacra Teologia, il Beato Giovanni de Medina, fu un mercedario zelantissimo nella carità e di grandi virtù. Inviato a redimere in Africa, liberò 259 schiavi dalle mani dei mori, ponendo fine alla loro disperata e dura prigionia.
L’Ordine lo festeggia il 28 gennaio.






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00giovedì 28 gennaio 2010 14:24

San Giovanni di Reome Abate

28 gennaio

Martirologio Romano: Nel monastero di Réom presso Langres nel territorio della Neustria, in Francia, san Giovanni, sacerdote, uomo a Dio sottomesso, che radunò dei monaci sotto la regola di san Macario.






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00giovedì 28 gennaio 2010 14:25

San Giuliano di Cuenca Vescovo

28 gennaio

Martirologio Romano: A Cuenca nella Nuova Castiglia in Spagna, san Giuliano, vescovo, che, secondo presule dopo la liberazione della città dai Mori, diede lustro alla Chiesa, donandone i beni ai poveri e procurandosi il vitto quotidiano con il lavoro delle proprie mani.





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00giovedì 28 gennaio 2010 14:27

Beato Giuliano Maunoir Sacerdote gesuita

28 gennaio

Saint-George de Reintembault, Francia, 1° ottobre 1606 - Plévin, Francia, 28 gennaio 1683

Patronato: Bretagna

Martirologio Romano: Nel villaggio di Plévin nella Bretagna in Francia, beato Giuliano Maunoir, sacerdote della Compagnia di Gesù, che tanto in paesi e villaggi quanto nelle città di questa provincia per quarantadue anni si dedicò interamente alle missioni al popolo.


Il Beato Giuliano Maunoir è considerato l’“apostolo della Bretagna”, regione storica della Francia, per la straordinaria opera missionaria che vi svolse per ben quarantadue anni. Nato il il 1° ottobre 1606 a Saint-George de Reintembault, quinto di sette figli di un modesto commerciante di tessuti. Il venerabile Michele Le Nobletz (1577-1652), popolare missionario, apprese misteriosamente della sua nascita e che in lui Dio gli aveva preparato un aiuto ed un successore. Primi maestri di Giuliano furono i suoi genitori, soliti dividere volentieri con i poveri i proventi del loro lavoro. Il gioco preferito di Giuliano consisteva nel riunire i compagni, schierarli a due a due in ordine processionale, e far ripetere loro le preghiere ed i canti imparati in chiesa. Un sacerdote della parrocchia, notando le sue attidunini non comuni ai coetanei, gli insegnò i primi rudimenti del latino e gli permise di frequentare a Rennes il collegio dei Gesuiti tra il 1620 ed il 1625. Giuliano non si lasciò influenzare dalle cattive compagnie e persuase alcuni compagni della congregazione mariana a bruciare i libri perversi, a non frequentare le osterie ed a moderare la passione del gioco. Udendo delle imprese missionarie dei Gesuiti in Cina, in Giappone, in America, ed al pensiero che tante anime si perdano per mancanza di apostoli, meditò finalmente di intraprendere la vita religiosa.
Durante il noviziato si distinse nell’esercizio della carità fraterna. Sin dal tempo della vita collegiale si era proposto: “Voglio vivere come se non ci fosse che Dio, presupponendo sempre il suo soccorso: senza questo io so di non poter nulla... Sempre attento a ciò che Dio vuole da me, penserò a quello che Egli può volere da un gesuita per prepararmi a tutto ciò che richiederà il suo servizio. Oh, quanto amo questo Dio infinitamente buono e quanto desidero farmi amare da Lui!”. A tal fine iniziò a castigare in vario modo la sua carne. Dopo la professione religiosa Giuliano studiò filosofia per tre anni a La Flèche, sino al 1630. Suo compagno di studi fu Sant’Isacco Jogues, poi martire nell’America del Nord.
Si disponeva ai ritiri coltivando la purezza e l’umiltà e durante uno di essi confessò nel suo Diario: “ho sentito con purissima gioia come se due angeli mi avessero cavato il cuore fuori dal petto e l’avessero spremuto per farne uscire tutto ciò che vi era di affezione naturale”. Il 15 luglio 1628 per l’intera giornata si sentì consumare dal fuoco del divino amore e “violentemente spinto a soffrire per Iddio”. Meditando poi sui “due stendardi”, cioè quello di Cristo Re e quello di Satana, annotò: “Pativo di avere così pochi sacrifici da fare per il Signore, e la mia vocazione che mi destinava alla salvezza delle anime mi divenne ancora più cara. Una voce inferiore mi ripeté quattro o cinque volte, con tono di ammirazione: "Ah! se tu sapessi! se tu sapessi!. Compresi allora che grande cosa sia il cooperare con Gesù alla conversione degli uomini... Per glorificare il mio Dio vorrei subire tutti i tormenti dell'inferno, eccetto la privazione del suo amore. Bramerei bene il fuoco del purgatorio: fa soffrire molto ma non impedisce di amare Dio”.
I superiori ebbero ad ammirare di questo giovane, ormai giunto all’unione mistica con il Signore, la condotta “sempre uguale, l’amabile attività senza fretta, la gaiezza tranquilla, doti che egli univa ad un’obbedienza perfetta, una carità affabile, ad una applicazione costante tanto al lavoro intellettuale come alla pietà, ad un raccoglimento senza contrasti e ad un grande dominio di se stesso”. Al termine della filosofia fu destinato come professore nel collegio di Quimper, ma egli non rinunciò alla speranza di portare un giorno la fede ai pagani. Un confratello lo esortava ad apprendere la lingua bretone, ma Padre Maunoir gli rispose: “Sappiate che la mia missione è la mia scuola, e che le lingue che debbo apprendere sono il latino e il greco. Se ne studierò qualche altra sarà quella del Canada, dove credo che Dio mi chiami”.
Gli fu nuovamente rivolta la proposta di dedicarsi alle missioni in Bretagna, ma ne era impossibilitato per la mancata conoscenza della lingua. Un giorno, durante un pellegrinaggio ad un santuario mariano, ebbe una visione interiore dei vescovadi di Quimper, St-Brieuc, Leon e Trétone, e giunto dinanzi al quadro della Madonna così la pregò: “Mia buona Madre, se voi vi degnate di insegnarmi il bretone, lo apprenderò subito e sarò ben tosto in grado di guadagnarvi dei servitori”. Tornato poi al collegio, i confratelli rimasero non poco perplessi circa il suo progetto, ma il provinciale nel 1631 gli diede il permesso e, dopo due soli giorni di studio, il Maunoir iniziò nelle campagne bretoni l’opera di catechizzazione e predicazione. Maria Santissima gli aveva miracolosamente concesso il dono della lingua.
Non appena ricevette gli ordini minori, Giuliano iniziò a recarsi tutte le domeniche nei paesi vicini a catechizzare il popolo. Tale era il suo ardore che nel 1632 si ammalò ed i superiori lo trasferirono allora a Tours, ove recuperò le forze e si diede a catechizzare i malati dell’ospedale, i poveri dei quartieri più abbandonati ed i carcerati. Nel collegio di Bourges Giuliano si preparò all’ordinazione presbiterale e Dio gli concesse il dono della continua unione intima con Lui mediante la preghiera. Nel ritiro del secondo anno di teologia, compagno di San Gabriele Lallemant, anche lui martire nel 1646 in Canada, annotò: “Nostro Signore mi dice inferiormente: "Io ho faticato a lungo per le anime, ho pianto, ho sofferto, e sono morto per loro". Queste parole mi commossero più che non lo sappia dire e l'ardore che già sentivo si accrebbe a tal punto che, se fosse stato necessario morire per salvare una sola anima, sarei morto con tutto il mio cuore”. Durante il terzo anno di teologia un braccio gli sì gonfiò oltre misura e lo ridusse brevemente in fin di vita. Prima di ricevere il viatico fece voto che, se fosse tornato in salute, avrebbe speso tutte le sue forze al servizio della popolazione bretone. La risposta del Cielo fu affermativa ed appena guarì Giuliano tornò a predicare e ad insegnare il catechismo.
Divenuto sacerdote nel 1637, venne destinato in veste di professore al collegio di Nevers, ma ben presto furono accolte le sue richieste e dopo sette anni di assenza poté far ritorno a Quimper. Morto il vescovo che osteggiava la sua opera, Le Nobletz invitò Giuliano presso di lui nella solitudine di Conquet, gli fece la sua confessione generale, poi convocò i fedeli in chiesa e presentò loro il Maunoir quale suo successore. Gli fece dono della sua campana ed i suoi quadri simbolici dei quali si serviva per meglio poter spiegare agli analfabeti i principali misteri della fede.
A Quimper molti sacerdoti, dopo qualche esitazione, rimasero attratti dall’idea del Maunoir, proponendosi anch’essi di predicare e confessare in tutta la diocesi. Il governatore di Quimper ed il Cardinale Richelieu arginarono con i loro aiuti la carenza di mezzi materiali. Giuliano Maunoir iniziò il suo apostolato nel porto di Douarnenez mettendo “in canto armonico” la parafrasi delle più importanti preghiere e verità della religione. Prima di lasciare tale città, guarì una paralitica toccandone la fronte con un oggetto benedetto dal Le Nobletz. Il missionario, ormai in fama di santità, si spinse ad evangelizzare anche le isole di Quessant, Molenes e Sein, ove trascinò migliaia di proseliti anche compiendo miracoli con il grano e l’olio benedetti. Nonostante tanti successi, non mancarono però gli invidiosi che per mezzo di calunnie tentarono invano di farlo richiamare al collegio dei gesuiti, smentiti dalla testimonianza degli isolani. Persino i canti da lui composti furono incriminati ed interdetti da chi ignorava il bretone, ma i cresimandi venuti dalle isole catechizzate dal Maunoir non tardarono a farne accertare l’ortodossia. Nel 1642 poterono finalmente essere dati alle stampe ed ebbero grande successo, contribuendo non poco alla riuscita delle processioni e delle sacre rappresentazioni evangeliche.
Dopo aver predicato nelle isole suddette, il Maunoir percorse, a piedi ed a cavallo, l’intera Bassa Bretagna fra pericoli e fatiche di ogni sorta ed in meno di dieci anni riuscì a catechizzare e confessare circa mezzo milione di persone. Mentre Le Nobletz per necessità aveva quasi sempre lavorato da solo, il Maunoir suscitò invece molte vocazioni al sacerdozio, creandosi così validi aiuti per le sue fatiche apostoliche. Tutti lo seguivano volentieri e lo amavano poiché sempre si era dimostrato “umile, saggio, edificante, mortificato, povero, semplice, sempre pronto a soccorrere il suo prossimo a rendere servizio ai suoi nemici e a intraprendere tutto per guadagnare anime a Dio, fermo nell'esecuzione dei suoi disegni e pieno di confidenza nel braccio onnipotente che lo sosteneva”.
Ogni tanto Giuliano ritornava a riposarsi un po’ tra i confratelli, impiegando il tempo a prolungare l’efficace azione della sua parola con scritti ascetici e biografici. Nel 1671 decise di innestare l’opera dei ritiri su quella delle missioni ed il tentativo riuscì con successo. Non mancarono anche per lui periodi di malattia, ma infine ebbe una rivelazione che stava per giungere la sua ultima ora. Nel ritornare a Quimper, si dovette fermare a Plévin, ormai prostrato dalla febbre e da un violento male al fianco. Si preparò alla morte sospirando: “Gesù è la mia vita, ed è un guadagno per me il morire”. Un nobile locale avrebbe voluto farlo trasportare nel suo castello per una migliore assistenza medica, ma egli preferì concludere l’esistenza terrena il più similmente possibile ai poveri. Ai numerosi sacerdoti che accorrevano al suo capezzale raccomandava: “Il più grande piacere che mi potete fare è quello di formulare o di rinnovare il proposito di lavorare nelle missioni fino al vostro ultimo respiro. Io non conosco funzione più santa e più utile”.
Julien Maunoir, ricevuti gli ultimi sacramenti, spirò infine il 28 gennaio 1683. In quella fredda sera invernale l’orizzonte a levante si infuocò misteriosamente. Il vescovo di Quimper avrebbe voluto far tumulare le spoglie mortali del santo missionario nella cattedrale, ma gli abitanti di Plévin si opposero fermamente. Sulla tomba, pochi giorni dopo la sepoltura, un fanciullo paralitico riacquistò improvvisamente la salute dinanzi ai fedeli che gremivano la chiesa. In seguito al decreto pontificio promulgato il 4 marzo 1951 dal pontefice Pio XII, il 20 maggio seguente Giuliano poté essere elevato alla gloria degli altari ed al rango di protettore della Bretagna.



scri30
00giovedì 28 gennaio 2010 14:32

San Giovanni di Reome Abate

28 gennaio

Martirologio Romano: Nel monastero di Réom presso Langres nel territorio della Neustria, in Francia, san Giovanni, sacerdote, uomo a Dio sottomesso, che radunò dei monaci sotto la regola di san Macario.






scri30
00giovedì 28 gennaio 2010 14:33

28 gennaio


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