28 novembre

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Stellina788
00mercoledì 24 novembre 2010 11:40

Sant' Andrea Tran Van Trong Martire

28 novembre

Martirologio Romano: Nel territorio di Khám Đường in Annamia, ora Viet Nam, sant’Andrea Trần Văn Trǒng, martire, che, dopo aver patito il carcere e atroci torture per essersi rifiutato di recare oltraggio alla croce, fu decapitato sotto l’imperatore Minh Mạng,



Stellina788
00mercoledì 24 novembre 2010 11:41

Santa Fausta Romana Vedova

28 novembre

Sec. I

Di lei c'è solo un accenno nell'agiografia cristiana. Lo si trova nella Passione di sant'Anastasia, dove si legge "Benché mio padre fosse un idolatra, mia madre Fausta è vissuta sempre fedele e casta. Essa mi ha fatto cristiana nella culla".

Etimologia: Fausta = propizia, favorevole, dal latino


Nella Passio di Santa Anastasia si legge una lettera diretta ad un certo Crisogono, nella quale è scritto: " Benché mio padre fosse un idolatra, mia madre Fausta è vissuta sempre fedele e casta. Essa mi ha fatto cristiana dalla culla ".
Questo è l'unico accenno esistente - ed esistente in un testo leggendario - sul conto della Santa che oggi ricordiamo. Nient'altro rimane a ricordarci Santa Fausta, oltre questa breve testimonianza di riconoscenza filiale. Tentiamone il ritratto: una mamma che alleva nel Cristianesimo la propria figlia, fin " dalla culla ". La moglie di un idolatra, che adora il vero Dio. Una sposa fedele, una donna casta. Può sembrare troppo poco a chi, esigente con gli altri più che con se stesso, chiede alla santità manifestazioni spettacolari e fatti inconsueti.
Ma era già un fatto inconsueto che, nei primi tempi del Cristianesimo, sì trovassero anime disposte al sacrificio e alla persecuzione per amore di quel Dio disprezzato daì pagani, rappresentato come un asino in croce e diffamato come un volgare malfattore.
Per gli apologisti, la prima diffusione dei Cristianesimo fu già un miracolo per se stessa. Sarebbe bastato questo miracolo per dimostrare la divinità dei Cristo. Per la stessa ragione, bastava la conversione per dimostrare la santità dei primi cristiani. Non c'era bisogno di altro.
Non per nulla, i Cristiani dei primi secoli si chiamavano tutti, indistintamente, " Santi ". Per illuminare la loro aureola, bastava una confessione, o anche una semplice ammissione: " Sono cristiano ". Spesso, a queste parole dei Santi detti appunto " Confessori ", seguiva il processo, la condanna, il supplizio dei Santi, detti allora Martiri cioè " testimoni ".
Le varie Passioni derivavano dal desiderio di rendere più evidenti e più esemplari questi sacrifici spesso oscuri, questi eroismi nascosti. Accadde così anche per Santa Anastasia, nella cui complessa Passione si trova l'accenno alla madre Fausta, che allevò dalla culla la figlia cristiana.
Ella doveva sapere che cosa significasse ciò. Voleva dire preparare alla propria figlia un corredo di porpora, un avvenire di sacrifici, quasi certamente una morte prematura. L'amore materno doveva essere superato dalla fede, e la speranza umana doveva essere accesa dalla carità divina. Ecco perché le poche parole dedicate alla madre Fausta scoprono e rivelano tutto un profondo panorama storico e religioso, e acquistano un grande valore apologetico nella prospettiva dei primi secoli cristiani. Sono le parole che potrebbero essere estese a tutte le donne cristiane di quei tempi e di sempre: fedeli e caste, modeste e intrepide, amorevoli e coraggiose. Quelle donne esemplari che portarono nelle case ancora pagane il lievito dei Cristianesimo e accesero accanto alla culla dei loro figli la fiamma della fede, alimentata dalla loro passione e propagata dal loro sacrificio.


Stellina788
00mercoledì 24 novembre 2010 11:41

San Giacomo della Marca Religioso e sacerdote

28 novembre

Monteprandone, Ascoli Piceno, 1394 - Napoli, 28 novembre 1476

E' nato a Monteprandone (Ascoli Piceno) nel 1394, fu discepolo di san Bernardino da Siena, dal quale ricevette a 22 anni il saio francescano. Come il maestro, anch'egli si diede alla predicazione, in Italia, Polonia, Boemia, Bosnia e in Ungheria dove si recò per ordine del Papa. Oratore ardente, si scagliò soprattutto contro i vizi dell'avarizia e dell'usura. Proprio per combattere quest'ultima, san Giacomo della Marca ideò i Monti di Pietà, dove i poveri potevano impegnare le proprie cose, non più all'esoso tasso preteso dai privati usurai ma ad un interesse minimo. Già debilitato per la vita di penitenza e colpito da coliche fortissime, morì a Napoli, nel 1476. Le sue ultime parole furono: «Gesù, Maria. Benedetta la Passione di Gesù». (Avvenire)

Etimologia: Giacomo = che segue Dio, dall'ebraico

Martirologio Romano: A Napoli, deposizione di san Giacomo della Marca, sacerdote dell’Ordine dei Minori, insigne per la predicazione e per l’austerità di vita.

Ascolta da RadioVaticana:
  
Ascolta da RadioMaria:
  

" Padre, io vado a predicare a Gubbio - disse Fra Giacomo a Fra Bernardino da Siena. ~ E voi dove andrete? ". " lo me ne andrò nel Regno " rispose il popolarissimo predicatore.
Fra Giacomo pensava che Bernardino andasse a predicare nel Regno (di Napoli, come allora si diceva), ma il senese intendeva nel Regno dei cieli; pochi giorni dopo, infatti, seppe che il suo grande e amato maestro era partito per un altro Regno. Interruppe la predica e fece recitare a tutti gli astanti un Miserere. Poi disse: " In questo momento cade in terra una grande colonna ". In quel momento, infatti, moriva San Bernardino da Siena.
Non si può parlare di San Giacomo della Marca senza ricordare il Santo senese che ebbe attorno a sé una corona di portentosi predicatori: San Giovanni da Capestrano, Alberto da Sarteano, Matteo di Girgenti e Giacomo della Marca.
Giacomo si chiamava della Marca, perché era nato, nel 1394, a Monteprandone, in provincia di Ascoli Piceno, e, a 22 anni, in Santa Maria degli Angioli, aveva ricevuto il saio francescano proprio da San Bernardino. " 0 buon padre - dirà poi - io mi ricordo quand'ero novizio e tu mi tagliasti con le tue mani la mia prima tunica ".
Si diede, come il maestro, alla predicazione, con grande successo, non solo in Italia, ma in Bosnia, in Boemia, in Polonia. Stava mangiando, quando gli giunse l'ordine del Papa di partire per l'Ungheria. Si alzò immediatamente, senza neppure finire di bere. L'obbedienza veniva da lui interpretata nella più assoluta e istantanea maniera.
La sua vita era di estrema penitenza. Faceva sette quaresime durante l'anno, e negli altri giorni il suo cibo era formato da una scodella di fave cotte nell'acqua. Per quanto castissimo, tormentato da tentazioni, si disciplinava durante la notte. Malato, ebbe sei volte l'Estrema Unzione. Eppure resistette fino agli ottanta anni, nella faticosa vita dei predicatore volante.
I temi della sua predicazione erano quelli stessi di San Bernardino, e nei temi morali, San Giacomo della Marca insisteva su quello dell'avarizia, e più che altro dell'usura.
L'usura era la piaga di quei tempi, nei quali la mercatura portava alla formazione di ricchezze nelle mani di pochi intraprendenti fortunati. Le classi più povere dovevano ricorrere a prestiti, fatti da usurai, chiamati da San Bernardino " succhiatori del sangue di Cristo ".
Per combattere l'usura, San Giacomo della Marca ideò i Monti di Pietà, dove i miseri potevano impegnare le proprie cose, non più all'esoso tasso preteso dai privati usurai ma ad un interesse minimo.
Un altro Santo, che prese il nome del predicatore senese, Bernardino da Feltre, sarebbe diventato poi il più efficace propagatore dei Monti di Pietà, ideati da San Giacomo della Marca.
Colto da terribili coliche, il magro e quasi distrutto predicatore marchigiano temeva soltanto una cosa: che il dolore fisico lo distraesse dalla preghiera, nelle ultime ore della sua vita. Ai confratelli chiedeva insistentemente perdono per il cattivo esempio che aveva dato. Morì a Napoli, nel 1476, dicendo: " Gesù, Maria. Benedetta la Passione di Gesù ".



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00mercoledì 24 novembre 2010 11:42

Beato Giacomo Thompson Sacerdote e martire

28 novembre

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Martirologio Romano: A York in Inghilterra, beato Giacomo Thomson, sacerdote e martire, che, condannato a morte sotto la regina Elisabetta I per aver riconciliato molti con la Chiesa cattolica, subì il supplizio del patibolo.


Stellina788
00mercoledì 24 novembre 2010 11:43

Beati Giovanni Gesù (Mariano) Adradas Gonzalo e compagni Martiri

28 novembre

Martirologio Romano: In località Paracuellos del Jarama presso Madrid in Spagna, beati martiri Giovanni Gesù (Mariano) Adradas Gonzalo, sacerdote, e quattordici compagni, martiri, che, religiosi dell’Ordine di San Giovanni di Dio, in tempo di persecuzione furono coronati da gloriosa passione.


Stellina788
00mercoledì 24 novembre 2010 11:44

Sant’ Irenarco Martire

28 novembre

A Sebaste, in Armenia, si celebra oggi il ricordo di Sant’Irenarco che, addetto alle torture, si convertì a Cristo per l’esemplare forza d’animo delle donne cristiane e venne per questo decapitato sotto l’imperatore Diocleziano e il governatore Massimo.

Martirologio Romano: A Sivas nell’antica Armenia, sant’Irenarco, martire, che, addetto alle torture, si tramanda si sia convertito a Cristo dinanzi alla fermezza di fede delle donne cristiane e sia stato poi ucciso con un colpo di scure sotto l’imperatore Diocleziano e il governatore Massimo.


Santi IRENARCO, ACACIO, VII donne e II fanciulli, martiri di Sebaste.

I. LA PASSIO.
La passio greca premetafrastica di Irenarco è stata pubblicata recentemente da G. Garitte e la lunga introduzione che precede l'edizione del testo è, sino ad oggi, il solo studio su questo santo e i suoi compagni.
Secondo questo documento, a Sebaste scoppia una persecuzione quando era governatore della città Massimiano. Sette donne, accusate di avere convertito i loro mariti alla religione cristiana, sono condotte davanti al governatore. Uno dei poliziotti, di nome Irenarco, incaricato della custodia delle sette donne, si dichiara cristiano e prende le loro difese. Massimiano è inflessibile e invita le cristiane a sacrificare agli dèi, ma queste, con un inganno, prendono gli idoli e vanno a gettarli nel lago. Ira del governatore contro Irenarco e le sue compagne. Una di queste, madre di due bambini, giunge persino a gettare nel fuoco un abito bianco che il governatore le aveva dato da scegliere in cambio dei tormenti del martirio. Saranno i suoi due figli ad essere poi associati al martirio di Irenarco. Cominciano allora, tra le preghiere delle cristiane e le ingiun­zioni del governatore a sacrificare agli dèi, i diversi tormenti: le sette donne sono sospese e le loro carni lacerate, ma dalle loro vene invece del sangue esce latte; vengono in seguito gettate in una fornace che si spegne; infine sono decapitate.
Poi è il turno di Irenarco che, avendo rifiutato davanti al governatore di sacrificare, è condannato ad essere immerso nel lago, ma l'acqua si solidifica intorno a lui. I suoi carnefici, che vogliono raggiungerlo sono inghiottiti dalle acque. Nel frattempo Irenarco può ricevere il Battesimo dalle mani del prete Acacio Dopo un nuovo rifiuto a sacrificare, secondo l'ingiunzione di Massimiano, Irenarco è condannato al fuoco e alla decapitazione. Irenarco, Acacio e i due bambini entrano nella fornace; i bimbi muoiono subito, mentre i due adulti vengono tolti dalle fiamme per essere decapitati.
Il racconto termina con l'indicazione della data del martirio di Irenarco e dei suoi compagni: un 28 nov. Le loro reliquie furono raccolte da una pia donna, di nome Elisea, che le depose nel luogo stesso del supplizio presso il lago, verso Occidente.
Benché questa passio non contenga alcun ele­mento sicuramente storico, fornisce tuttavia le due « coordinate agiografiche » che H. Delehaye giudica necessarie per stabilire l'esistenza di un culto: il luogo in cui erano venerate le reliquie dei santi (oresso il lago di Sebaste, verso Occidente) e la data della loro commemorazione (28 nov.). Questo racconto fu certamente composto per meglio giusti­ficare il culto già esistente di un s. Irenarco, il ricordo del quale era svanito.
Uno dei grandi meriti dello studio di G. Garitte è d'aver scoperto la evidente rassomiglianza esi­stente tra la passio di Irenarco e quella di s. Biagio, vescovo di Sebaste. Il confronto di questi due testi è in favore della passio di Irenarco; poiché questa presenta una redazione più primitiva nei passaggi paralleli, mentre quella di Biagio porta evidenti segni di soppressione e di riadattamento.
Se non si può concludere che la passio di Biagio deriva direttamente dal testo attuale di quella di Irenarco, si può affermare, tuttavia, almeno, che essa dipende da un testo assai simile. Parimenti, anche se non si può, con la sola critica interna, datare la leggenda di Irenarco, si può tuttavia affermare che essa risale almeno all'VIII sec., poiché se ne trovano già le tracce nella passio latina di s. Biagio rias­sunta (metà del IX sec.) nei Martirologi di Rabano Mauro e di Adone.
Se la passio di Irenarco è anteriore a quella di Biagio, essa stessa non è d'altra parte originale. G. Garitte, infatti, dimostrava che, almeno per la prima parte del racconto, in cui il ruolo principale è assunto dalle sette donne, essa dipende certamente da quella oggi perduta, ma nota attraverso la notizia dei sinassari bizantini al 18 marzo, delle sette martiri di Amisio. Non è azzardato pensare che in questa fonte più antica il custode delle sette cristiane fosse designato con il termine « irenarco » (magistrato di polizia urbana) che, in un secondo stadio, è divenuto un nome proprio, Irenarco e, come pensa di poter legittimamente affermare G. Garitte: « è divenuto il martire Irenarco le cui reliquie erano venerate a Sebaste; per un'amplificazione del ruolo di questa comparsa, l'autore ha redatto una passio di Irenarco [la seconda parte de] la quale fa intervenire un prete Acacio e due bambini i quali, uniti ad Irenarco nel culto, dovevano essergli uniti anche nella storia ».
Si è già detto che la passio delle sette martiri di Amisio è perduta, e tale scomparsa è spiacevole poiché essa avrebbe rivelato senza dubbio, ad un confronto, una stretta parentela con la storia di altre sette martiri, quelle che figurano nella passio di s. Teodoto di Ancira.
Occorre ricordare, inoltre, che anche alla me­moria di Leonida, martire a Corinto sono asso­ciate sette donne martiri.

II. IL CULTO. Come lo lasciava intravedere la passio, i sinassari bizantini hanno conservato al 28 nov. la memoria di Irenarco. Ma sebbene la loro notizia di­penda dalla passio, non vi si fa menzione dei compa­gni di Irenarco, né, d'altra parte, è indicato il numero delle « sette » donne. Si precisa soltanto che la festa di Irenarco si celebrava a Costantinopoli nella sua chiesa del Khabdos. Diversi lezionari georgiani menzionano al 28 nov. (ma anche al 26 e al 29) I. ed Eliano. Quest'ultimo non è altri che Eliano di Filadelfia.
Nel sinassario armeno di Ter Israel la memoria di Irenarco è venerata al 20 tré (= 28 nov.) e la lunga notizia che gli è dedicata è un riassunto della passio in cui si vedono comparire le sette donne, il prete Acacio e i due bambini.
In Occidente, la memoria di Irenarco si trova per la prima volta nel Martirologio di P. Galesini. Essa è riportata al 27 nov. ed al martire sono associati Acacio e le sette donne (la fonte del Galesini non è stata ancora identificata). C. Baronio, allo stesso 27 nov., introduce nel Martirologio Romano una notizia quasi identica a quella del Galesini, sebbene nelle note esplicative riporti una notizia di sinas­sario assai simile a quella che si trova nella tradu­zione latina del Menologio del Sirleto (al 28 nov.), non facendo quindi menzione né di Acacio né delle sette donne.
Non conoscendo i particolari della passio di Irenarco, certi agiografi hanno voluto identi­ficare il prete Acacio con il monaco omonimo della laura pale­stinese di Cellibara, venerato precisamente nei sinassari bizantini al 27 nov., rifiutandogli, di con­seguenza, tutte le ragioni d'essere venerato con Irenarco.


Stellina788
00mercoledì 24 novembre 2010 11:44

Beato Luigi Campos Gorriz Padre di famiglia, martire

28 novembre

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Valencia, Spagna, 30 giugno 1905 - Picadero de Paterna, Spagna, 28 novembre 1936

Martirologio Romano: Nel villaggio di Picadero de Paterna nel territorio di Valencia sempre in Spagna, beato Luigi Campos Górriz, martire, che, nella stessa persecuzione religiosa, coronò con una morte gloriosa una vita instancabilmente dedicata all’apostolato e alle opere di carità.


Luis Campos Gorriz nacque a Valencia il 30 giugno 1905. All’età di sette anni divenne alunno dell’Istituto San José dei padri gesuiti, nella sua città natale. Nel 1921 si iscrisse a Filosofia, Lettere e Diritto. Nell’Università di Valencia si impegnò in un’intensa vita apostolica nelle Congregazioni mariane e nel gruppo studentesco. Si Laureò nel 1926 e nel 1930 cominciò la sua carriera di avvocato.
Il 25 maggio 1933 convolò a nozze con Carmen rteche Echeturía e nel luglio 1935 nacque la prima figlia. Sempre in quell’anno si trasferì a Madrid come segretario generale dell’Associazione dei Propagandisti dell’Azione Cattolica. Nel 1936 rimase vedovo e si trasferì allora con la famiglia a Torrente da Valencia, per il clima pericoloso della città in seguito allo scoppio della guerra civile spagnola.
Il 28 novembre 1936 venne assassinato con il rosario in mano in località Picadero de Paterna. Prima di prelevarlo i miliziani si accertarono se avesse lavorato nell’Azione Cattolica e fosse stato tra gli organizzatori del Congresso cattolico di Madrid. Per giungere alla sua beatificazione, l’11 marzo 2001 con Papa Giovanni Paolo II, Luis Campos Gorriz fu aggregato al gruppo dei martiri gesuiti, in quanto loro ex allievo.



Stellina788
00mercoledì 24 novembre 2010 11:45

Nostra Signora del Dolore di Kibeho (Rwanda)

28 novembre

Apparizioni: 1981 – 1989

Le apparizioni della Vergine a Kibeho (28 novembre 1981 – 28 novembre 1989) sono le prime che si verificano in terra d’Africa e su cui la Chiesa ha espresso il suo riconoscimento, giudicandole autentiche, al termine di una lunga inchiesta e di un rigoroso processo canonico.


Tutto ebbe inizio in Rwanda, il 28 novembre 1981, in un collegio di studentesse, tenuto da Suore di una Congregazione religiosa rwandese in Kibeho, località situata nel comune di Mubuga, a 30 chilometri da Butare e a 35 chilometri da Gikongoro, nella prefettura di Gikongoro, nella regione naturale del Nyaruguru. Erano le 12,35. Le ragazze del collegio erano nel refettorio. Alphonsine Mumureke, di 16 anni, alunna della prima media, stava servendo le compagne a tavola quando sentì distintamente una voce che la chiamava: “Figlia mia, vieni qui”. La voce proveniva dal corridoio, accanto al refettorio. Alphonsine si diresse da quella parte e lì vide, per la prima volta, una giovane donna, sconosciuta, bellissima, vestita di bianco, con un velo bianco sulla testa, che nascondeva i capelli, e che sembrava unito al resto del vestito, e non si poteva capire come il vestito fosse cucito. Non aveva calzature. Le mani giunte sul petto con le dita rivolte al cielo. La Madonna non era proprio bianca (muzungu) come è presentata nei santini, ma neppure nera. Alphonsine affermerà, nella sua testimonianza, di non riuscire a dire con esattezza come fosse la sua pelle. La Madonna era la sua bellezza incomparabile.
Alphonsine, piena di timore, chiese alla Signora chi fosse. La donna le rispose: “Ndi Nyina Wa Jambo”, cioè “Io sono la Madre del Verbo”. Il dialogo avveniva tutto in lingua rwandese. Le compagne di collegio, presenti, udivano le parole di Alphonsine, ma non quelle della Signora. Tuttavia la loro presenza si rivelò assai proficua, dal momento che, attraverso la ripetizione fatta dalla loro compagna, potevano sapere cosa dicesse quel personaggio misterioso, per cui loro stesse testimonieranno d'avere inteso quella risposta della Madonna. “Ni wowe Nyina wa fambo?”, “Allora tu sei la Madre del Verbo?”: avrebbe chiesto la veggente alla Madonna, secondo quanto testimonieranno le alunne. Allora anche Alphonsine si presentò alla Madonna: “Nanjye nifwa Alphonsina”. “E io sono Alphonsine”.
La Madonna proseguì: “Nella tua vita cristiana, cosa è per te la cosa più importante?”.
Alphonsine rispose in questi termini: “Amo Dio e sua Madre che ha messo al mondo per noi il Redentore”. La Signora aggiunse: “Veramente”. “Sì, è proprio così”, continuò la veggente.
La Signora a questo punto fece la seguente importante dichiarazione: “Se è così, io vengo a consolarti, perché ho ascoltato le tue preghiere. Voglio che le tue compagne abbiano fede, perché non ne hanno abbastanza”. La Signora le chiese pure di insegnare alle sue compagne a pregare perché non sapevano pregare o non lo facevano abbastanza, nonché a tenere in stima la devozione a Maria, loro Madre.
Alphonsine di rincalzo: “Madre del Salvatore, se veramente sei tu che vieni a dirci che qui nella scuola abbiamo poca fede, Tu ci ami! È per me una grande felicità vederti con i miei propri occhi”.
Alla fine, con la convinzione di essere stata visitata dalla Madonna, Alphonsine recitò tre Ave Maria e la sequenza dello Spirito Santo. Quindi la Signora scomparve lentamente, non di spalle, ma ritraendosi verso l'alto. L’apparizione durò circa un quarto d'ora.
Il collegio all’epoca ospitava 120 ragazze interne, suddivise in tre classi che le preparavano a diventare segretarie d’azienda o insegnanti elementari. Era diretto da tre suore che fungevano anche da insegnanti. Gli altri insegnanti, una donna e cinque uomini, erano laici. Il complesso non era dotato di cappella e, quindi, non vi era un clima religioso particolarmente sentito. Ecco, quindi, il significato delle prime parole della Madonna.
La reazione delle compagne di Alphonsine dinanzi alle apparizioni non fu entusiasta. Anzi. Pensarono subito che fosse isterica o che fosse vittima di allucinazioni. Divenne il loro zimbello. Nessuno la prendeva seriamente su ciò che raccontava e la ragazza ne soffriva. Pregò, quindi, in una delle successive visioni, che la Vergine apparisse anche alle altre ragazze in modo che potessero credere. La Madonna la accontentò. La sera del 12 gennaio 1982, la Vergine Madre apparve anche a Nathalie Mukamazimpaka, che aveva allora 17 anni. Ma tale manifestazione non fu sufficiente a far cadere lo scetticismo. Alphonsine insistette presso la Madonna affinché apparisse anche ad altre ragazze e la Madre di Dio la accontentò ancora. Il 2 marzo 1982, la Madonna apparve a Marie-Claire Mukangango, di anni 21. Questa nuova apparizione fu determinante, dal momento che Marie-Claire era la più scettica e, data la sua età, condizionava anche il comportamento delle sue compagne collegiali. Quando anche lei dichiarò di aver visto la Madonna, tutte si arresero. E da quel momento il collegio prestò più attenzione a quei fenomeni.
I messaggi della Madonna di Kibeho non riguardavano solo la popolazione rwandese. Lo disse esplicitamente la Vergine a Marie-Claire: “Quando io mi faccio vedere e parlo a qualcuno, intendo rivolgermi al mondo intero”. Un messaggio universale, dunque. E ciò che la Madonna voleva richiamare con le sue apparizioni era il fatto che il mondo vive senza Dio, ignorando i valori dello spirito. La Vergine diceva nei suoi messaggi di essere venuta a consolare i suoi figli, invitandoli all’unità ed alla pace, attraverso la conversione, la preghiera, la penitenza e la partecipazione alla Passione di Cristo. Ecco perché si presentava come “Vergine della sofferenza” o “dei dolori” o “Addolorata”.
Degna di nota fu l’apparizione del 15 agosto 1982, quando le veggenti ebbero una chiara visione di ciò che sarebbe accaduto alcuni anni più tardi nel loro Paese. Quel giorno, la Vergine apparve alle ragazze molto triste. Alphonsine riferì di averla vista in lacrime. Ed anche le stesse ragazze si comportarono diversamente dal solito: piansero, tremarono e battevano i denti dalla paura. Fu un’apparizione eccezionalmente lunga, durando otto ore. Le ragazze raccontarono, poi, di aver visto “un fiume di sangue, persone che si uccidevano a vicenda, cadaveri abbandonati senza che nessuno si curasse di seppellirli, un abisso spalancato, un mostro spaventoso, teste mozzate”. Ed in effetti, quando in quel funestato Paese scoppiò la guerra civile tra etnie, Tutsi e gli Hutu, ci furono massacri spaventosi, che confermarono la veridicità di quell’apparizione.
Due ragazze, Alphonsine e Nathalie, inoltre, ebbero modo di compiere, in anima, diversi viaggi mistici con la Madonna nell’aldilà, dove poterono constatare l’esistenza di giudizio dopo la morte, che fa ripartire gli uomini secondo le tre destinazioni definite dal giudizio morale, paradiso, purgatorio e inferno.
Dopo un accurato esame, condotto da due commissioni, quella medica (che ha attestato la normalità delle ragazze) e quella teologica (che ha accertato l’assenza di errori nelle apparizioni), ed istruito un accurato processo canonico, il 29 giugno 2001, il primo vescovo di Gikongoro, mons. Augustin Misago, in cattedrale, alla presenza di tutto l'episcopato rwandese e del nunzio apostolico, mons. Salvatore Pennacchio, leggeva il decreto di riconoscimento dell'autenticità delle apparizioni avvenute a Kibeho, in cui dichiarava solennemente, per conto della Chiesa, “Sì, la Vergine Maria è apparsa a Kibeho nella giornata del 28 novembre 1981 e nel corso dei mesi successivi. Ci sono più buone ragioni per credere che non di negare. A questo riguardo, solo le tre veggenti dell’inizio meritano di essere ritenute come autentiche: si tratta di Alphonsine MUMUREKE, Nathalie MUKAMAZJMPAKA e Marie Claire MUKANGANGO. La Vergine si é loro manifestata sotto il nome di “Nyina wa Jambo”, cioé “Madre del Verbo”, che é sinonimo di “Umubye-yi w 'fmana”, cioé “Madre di Dio”, come essa l'ha spiegato. Queste veggenti di Maria dicono di vederla sia a mani giunte, sia a braccia aperte”.
Il 31 maggio 2003, alle 10,00 del mattino, mentre S. Em.za, card. Crescenzio Sepe, Prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, inviato dal Papa ad eseguire la consacrazione del Santuario di Nostra Signora del Dolore a Kibeho, celebrava la solenne Messa con tutti i vescovo rwandesi, aveva luogo, dinanzi ai fedeli lì radunati, il fenomeno della danza del sole, come a Fatima, il 13 ottobre 1917. Esso durava otto minuti e fu filmato e fotografato e tanto da escludere ogni tipo di suggestione.



Stellina788
00mercoledì 24 novembre 2010 11:46

Santi Papiniano di Vita, Mansueto di Uruci e compagni Martiri

28 novembre

Questi due prelati africani furono bruciati in tutto il corpo con lame di ferro incandescenti, per aver difeso la Fede cattolica contro il re ariano Genserico.

Martirologio Romano: In Africa settentrionale nell’odierno territorio libico e tunisino, commemorazione dei santi martiri Papiniano di Vita e Mansueto di Urusi, vescovi, che, durante la persecuzione vandalica, portarono a compimento il loro glorioso combattimento bruciati in tutto il corpo con lamine di ferro incandescenti per aver difeso la fede cattolica contro il re ariano Genserico. In quel tempo, anche i santi vescovi Urbano di Djerba, Crescente di Bizacio, Habetdéus di Teudala, Eustrazio di Sufes, Cresconio di Tripoli, Vice di Sabrata, Felice di Sousse, e infine, sotto Unnerico figlio di Genserico, i vescovi Ortolano di Bennefa e Florenziano di Mdila, condannati all’esilio, terminarono il corso della loro vita come confessori della fede.


Stellina788
00mercoledì 24 novembre 2010 11:47

San Sostene Discepolo di Paolo

28 novembre

Sec. I

Durante la lunga permanenza dell'Apostolo San Paolo a Corinto avvenne un fatto non soltanto clamoroso ma, almeno per noi, difficilmente spiegabile, per quanto riferito con la consueta chiarezza da San Luca, il cronista degli Atti degli Apostoli.
" Essendo poi Gallione proconsole dell'Acaia (cioè della regione nella quale si trovava Corinto) - vi si legge - i Giudei tutti d'accordo insorsero contro Paolo e lo portarono in Tribunale, dicendo: "Costui persuade la gente a rendere a Dio un culto contrario alla legge". " E come Paolo era lì pronto a parlare, Gallione disse ai Giudei: "Se si trattasse di qualche delitto, di qualche grave misfatto, io, Giudei, vi darei ascolto come ragion vuole; ma poiché si tratta di questioni di parole e di nomi, e appartengono alla vostra legge, pensateci voi: io non voglio farmi giudice di queste cose". E li mandò via dal tribunale.
" Tutti allora presero Sostene, capo della Sinagoga, e lo percossero dinanzi al tribunale; e Gallione non se ne curava affatto ".
La prima parte dell'episodio è abbastanza chiara: il proconsole romano, in una città che, dopo tutto, si trovava in Grecia e non in Palestina, rifiuta abilmente di farsi giudice di una questione dottrinale che interessa e riguarda soltanto una minoranza dei suoi amministrati. E’, di nuovo, la tattica del lavarsene le mani, adottata da Pilato nei confronti di Gesù, con la differenza che Corinto non era Gerusalemme, e quindi F" astensionismo ", diciamo così, del governatore romano salva Paolo dalle accuse e dalle minacce dei suoi nemici, senza che l'Apostolo apra neanche bocca.
Se non che, ecco il fatto inaspettato: al posto di Paolo, i suoi accusatori, in quello stesso tribunale, prendono e percuotono Sostene, che non aveva nulla a che fare con Paolo, e che era, anzi, il capo della Sinagoga locale.
Perché accadde questo? Perché venne malmenato Sostene, al posto di Paolo? Gli studiosi non sono riusciti a dare una risposta convincente a questa domanda. Probabilmente, il capo della Sinagoga era colui che aveva sobillato i correligionari a manifestare contro Paolo, e i Giudei se la rifecero con lui quando videro che tutta la loro manovra era andata in fumo. Secondo alcuni, però, il risentimento dei Giudei " estremisti " avrebbe avuto un'altra origine: Sostene, cioè, sarebbe stato convertito da San Paolo, passando in campo nemico, così da essere punito per il suo tradimento.
Della conversione di Sostene, capo della Sinagoga di Corinto, gli Atti non fanno parola. Poco dopo, però, il suo nome appare di nuovo nell'indirizzo della lettera che, da Efeso, San Paolo scrisse proprio agli irrequieti cristiani di Corinto, e di cui Sostene sembra essere stato il latore.
E’ stato così naturale pensare che l'antico capo della Sinagoga, percosso dai compagni di fede, sia stato effettivamente convertito da San Paolo, diventando suo discepolo, incaricato di tenere i contatti tra l'Apostolo e la comunità di Corinto, dove era ben noto e stimato.
Questa ipotesi, probabile ma non certa, è stata accolta dai compilatori dei Martirologi, i quali oggi ricordano Sostene tra i Santi, come discepolo di San Paolo ed ex-capo della Sinagoga di Corinto. Con le percosse davanti al tribunale, egli avrebbe " consacrato con un glorioso inizio le primizie della propria fede ", per poi maturare quella sua fede come Vescovo di Colofonia, in Asia Minore. Ma questa è notizia tradizionale, che nessuna testimonianza storica conferma.


Stellina788
00mercoledì 24 novembre 2010 11:48

Santo Stefano il Giovane Monaco orientale, martire

28 novembre

Costantinopoli, 715 – 28 novembre 764

Monaco orientale, visse nell'VIII secolo, durante la lotta iconoclasta, di cui fu vittima e martire. Nato a Costantinopoli nel 715, Stefano si mise dapprima sotto la direzione di un eremita, poi entrò nel monastero di Monte Sant'Aussenzio, in Bitinia, dove divenne abate. Qui visse pregando e svolgendo il lavoro di copiatura di testi. In quel periodo l'imperatore iconoclasta Costantino Copronimo nella sua battaglia contro le immagini sacre aveva preso di mira in particolare i monaci. In seguito al concilio di Hiera, che nel 753 condannò i difensori delle icone, Stefano si schierò apertamente contro l'imperatore. Questo gli costò lunghe vessazioni, prigionie, ingiurie e incarcerazioni. Il 28 novembre 764 Stefano fu ucciso da alcuni ufficiali di palazzo a Costantinopoli, senza l'ordine dell'imperatore. (Avvenire)

Martirologio Romano: A Costantinopoli, santo Stefano il Giovane, monaco e martire, che, sotto l’imperatore Costantino Coprónimo, sottoposto a vari supplizi per aver difeso il culto delle sacre immagini, confermò con l’effusione del suo sangue la verità cattolica.


La ‘Vita’ di questo monaco orientale, fu scritta verso l’anno 809 dal suo omonimo il diacono Stefano di Costantinopoli.
Il santo monaco Stefano il Giovane, nacque nel 715 a Costantinopoli, l’antica Bisanzio; da giovane si mise prima sotto la direzione di un eremita, ma poi scegliendo la vita religiosa, entrò nel monastero di Monte Sant’Aussenzio in Bitinia, vicino Calcedonia, dove poi ne divenne egumeno (abate).
Qui visse per anni dedito alla preghiera e come amanuense, il benemerito lavoro dei monaci che copiavano gli antichi testi.
In quel tempo governava l’imperatore d’Oriente Costantino V Copronimo (718-775), figlio di Leone III Isaurico (675-741) l’imperatore che nel 726 aveva iniziato la politica religiosa dell’iconoclastia, contro il culto delle immagini.
Tale movimento iconoclasta era proseguito con il figlio Costantino V, che ingaggiò una dura lotta, specie contro i monaci; convocando anche il Concilio di Hiera, che nel 753 condannò i difensori del culto delle immagini sacre.
L’egumeno Stefano si schierò apertamente contro le norme di questo Concilio, indetto dall’imperatore e non dal papa, norme che saranno poi sconfessate con l’approvazione della venerazione delle immagini, nel successivo II Concilio di Nicea del 787.
Intanto Costantino V Copronimo nel giugno del 762, ingiunse all’egumeno di Monte Sant’Aussenzio, il rispetto e l’adesione dei canoni promulgati a Hiera; essendosi questi rifiutato, fu condotto al monastero di Chrysopoli presso Costantinopoli e da lì inviato in esilio nell’isola di Proconneso, permettendo alla madre e alla sorella di raggiungerlo.
Dopo un anno, nel 763, fu riportato a Costantinopoli dove più di 300 monaci erano stati messi in carcere a motivo del loro attaccamento alla causa del culto delle immagini.
Dopo un’altro anno di continue vessazioni ed ingiurie, il 28 novembre del 764, l’abate Stefano fu ucciso da alcuni ufficiali di palazzo, mentre erano in corso i festeggiamenti per l’imperatrice Eudossia, ma senza alcun ordine dell’imperatore.
La Chiesa Greca lo riconobbe come martire, ponendo la sua commemorazione al 28 novembre e in tale data e qualifica, è incluso nel Martirologio Romano.



Stellina788
00mercoledì 24 novembre 2010 11:48

Santa Teodora di Rossano Badessa

28 novembre

Martirologio Romano: Vicino a Rossano in Calabria, santa Teodora, badessa, discepola di san Nilo il Giovane e maestra di vita monastica.


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