3 gennaio

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Stellina788
00sabato 3 gennaio 2009 09:57

Sant' Antero Papa

3 gennaio

m. 236

(Papa dal 21/11/235 al 03/01/236)
Greco. Il suo pontificato durò appena quarantatre giorni. Fu il primo papa ad essere sepolto nelle catacombe di Callisto, nella cosiddetta Cripta dei Papi.

Martirologio Romano: A Roma nel cimitero di Callisto sulla via Appia, deposizione di sant’Antero, papa, che, dopo il martire Ponziano, fu per breve tempo vescovo.


Greco, papa dal 21 novembre 235 al 31 gennaio 236, fu sepolto nella Cripta dei Papi nel Cimitero di Callisto. Alcune sue reliquie, in seguito, furono portate in S.Sisto Vecchio e a S.Silvestro in Capite.
Ordinò che si ricercassero gli atti dei martiri perché non andassero perduti o travisati. Morì santamente all’inizio del consolato di Massimino.
Il Martirologio Romano così lo ricorda alla data 3 gennaio: A Roma, sulla via Appia il natale di Sant’Antero, Papa e Martire, il quale patì sotto Giulio Massimino e fu sepolto nel Cimitero di Callisto.


Autore:
Giovanni Sicari

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Aggiunto il 6-Sep-2001
Letto da 5201 persone



Stellina788
00sabato 3 gennaio 2009 09:59

Beato Ciriaco Elias Chavara Cofondatore indiano

3 gennaio

Kainakari (Kerala), 8 febbraio 1805 – Konammavu, 3 gennaio 1871

Ciriaco, confondatore e primo Priore Generale dei Carmelitani di Maria Immacolata, nacque a Kerala, in India, il 10 febbraio 1805. Entrò in seminario nel 1818 e fu ordinato sacerdote nel 1829. Pose le fondamenta della prima casa della Congregazione a Mannanam nel 1831 ed emise i voti religiosi nel 1855. Nel 1866 collaborò anche alla fondazione della Congregazione delle Suore della Madre del Carmelo. Dal 1861 ricoprì la carica di Vicario Generale della Chiesa siro-malabarica. Difensore dell'unità della Chiesa contro lo scisma di Rocco, per tutta la vita lavorò per il rinnovamento spirituale della Chiesa siro-malabarica. Si distinse come uomo di orazione. Fu pieno di zelo per il Signore nell'Eucaristia e particolarmente devoto della Vergine Immacolata. Morì a Koonammavu nel 1871.

Martirologio Romano: Nel monastero di Mannemamy nel Kérala in India, beato Ciriaco Elia Chavara, sacerdote, fondatore della Congregazione dei Carmelitani di Maria Immacolata.


Il beato nacque l’8 febbraio 1805 a Kainakari nel Kerala, India, da genitori cristiani di rito siro-malabarico ed al battesimo ebbe il nome di Kuriakose (Ciriaco).
Frequentò gli studi primari nel villaggio nativo, proseguendo quelli ecclesiastici a Pallipuram con la guida del sacerdote Tommaso Palackal, dedicandosi con impegno allo studio della liturgia e delle lingue orientali e latina.
Cresciuto in santità, scienza e disponibilità nel servizio al prossimo, venne ordinato sacerdote nel novembre del 1829; due anni dopo nel 1831, collaborò con il citato padre Palackal e con Tommaso Porukara alla fondazione della Congregazione dei Servi di Maria Immacolata, con il fine di una vita religiosa, aperta all’apostolato più impegnato.
Morti nel 1841 e nel 1849 i due cofondatori, padre Kuriakose Chavara, restò l’unica indiscussa guida dell’Istituzione; la quale l’8 dicembre 1855 assumeva la denominazione di “Servi di Maria Immacolata del Carmelo”, emettendo per primo la professione nel Terz’Ordine dei Carmelitani Scalzi, con il nuovo nome di Kuriakose Elias della S. Famiglia.
Subito dopo ricevé la professione di dieci padri diventando primo Priore dell’Istituto, che nel 1861 diventava Congregazione dei “Terziari Carmelitani Scalzi”, di rito siro-malabarico.
La sua guida dell’Istituzione ne dimostrò le doti straordinarie di formatore religioso, convinto e profondo, dalla spiritualità fondata su un grande culto all’Eucaristia, una devozione filiale alla Madonna, e una fedeltà totale alla Chiesa Cattolica, accoppiati ad un grande spirito di preghiera e mortificazione; e con il praticare metodi nuovi di apostolato evangelico.
Coadiuvato e sostenuto da altre degne figure di carmelitani, fra cui l’italiano padre Leopoldo Beccaro, nel 1866 fondava a Konammavu un convento femminile del Terz’Ordine Carmelitano, il cui scopo era quello soprattutto di insegnare alle ragazze le virtù cristiane e alcuni lavori professionali, quindi oltre a religione, lingua, matematica e musica, padre Chavara e padre Leopoldo, istituirono corsi di cucito, per realizzare opere artigianali e artistiche, per fabbricare i rosari, invitando persone esperte per l’insegnamento.
Il suo grande sogno fu un futuro nel quale le donne sarebbero state ad un livello elevato, sia in campo educativo che culturale, anche se le maggiori difficoltà provenivano dalle diverse tradizioni culturali che esistevano nella società indiana dell’epoca.
Non disdegnarono, nel 1868, ad andare casa per casa a convincere i genitori di mandare le ragazze a scuola. In tutto questo fervore di opere, ebbe anche l’incarico di Vicario Generale per i malabarici, che lo vide impegnato nella controversia scismatica contro il pseudo-metropolita intruso caldeo Tommaso Rochos, risoltosi nel 1863 con la sua vittoria.
Trovò anche il tempo di comporre opere spirituali e devote, in prosa e versi nella lingua locale, pubblicate dopo la sua morte. Padre Chavara fu chiamato “il grande Padre Priore”, egli fondò e formò i primi due Istituti religiosi della Chiesa in India, i quali sono diventati strumenti di multiforme sviluppo e progresso del cristianesimo.
La sua Congregazione dei “Carmelitani di Maria Immacolata”, secondo il nome recentemente adottato, è molto fiorente e la cui attività apostolica ha già superato i confini della grande Nazione asiatica. Fu il primo ad istituire nel Kerala, l’adorazione delle Quarantore; grande devoto della Sacra Famiglia, a cui affidò le sue Istituzioni; sul letto di morte rivelò ai suoi addolorati figli e confratelli che era stato sempre devoto della Sacra Famiglia sin da quand’era bambino e che sempre era stata davanti ai suoi occhi.
Morì santamente il 3 gennaio 1871 a Konammavu, dopo una breve malattia, circondato dai suoi figli, dal padre Beccaro e dal vicario generale della diocesi. Fu inumato sotto l’altare della chiesa di S. Filomena di Konnanam, nuova sede centrale della Congregazione da lui voluta e dove tuttora le reliquie sono oggetto di venerazione di tanti fedeli.
Il processo di beatificazione, per svariati motivi, iniziò solo nel 1957 e poi introdotto presso la competente Congregazione a Roma, il 15 maggio 1980; il 7 aprile 1984 fu dichiarato venerabile e infine l’8 febbraio 1986 papa Giovanni Paolo II l’ha beatificato solennemente a Kottayam in India, insieme alla prima beata indiana la clarissa Alfonsa dell’Immacolata Concezione.
In pochi anni sono stati beatificati tre degni figli della grande e lontana India, frutto dell’impegno missionario di tanti religiosi che hanno speso la loro vita, per portare nell’immenso Paese il cristianesimo e l’aiuto organizzativo e sociale, per sollevare tanti indigenti; al beato Kuriakose Elias Chavara, alla beata Alfonsa d’India, e alla beata Mariam Thresia Mankidiyan, si aggiungerà fra breve, la più nota madre Teresa di Calcutta, che alle miserie dell’India donò tutta la sua vita, proveniente dalla lontana Albania.


Autore:
Antonio Borrelli

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Aggiunto il 10-Jun-2003
Letto da 3751 persone



Stellina788
00sabato 3 gennaio 2009 10:01

San Daniele di Padova Martire

3 gennaio

Diacono, forse, della Chiesa padovana, fu martirizzato probabilmente durante la persecuzione di Diocleziano, al principio del sec. IV. Secondo le leggende, diffusesi in quella circostanza o poco dopo, e il cui nucleo essenziale sembra sicuro, il martire sarebbe apparso ad un cieco della Tuscia invitandolo a chiedere la grazia della vista nell'oratorio di san Prosdocimo a Padova, là ov'era la sua tomba, del tutto ignorata. Alla guarigione miracolosa seguirono diligenti ricerche, che portarono alla scoperta di un'arca marmorea. Il martire vi giaceva così com'era stato ucciso: il corpo, disteso supino sopra una tavola di legno e coperto da una lastra di marmo, era trapassato da molti lunghi chiodi. Un'iscrizione diceva: Hic corpus Danielis martyris et levitae quiescit. Il vescovo Ulderico, presente a quella prima ricognizione, fece trasportare il 3 gennaio 1076 1'arca nella nuova cattedrale di santa Maria, entro le mura della città e, per placare le opposizioni dei monaci di santa Giustina e degli abitanti del luogo, fece erigere un oratorio dedicato a san Daniele nel luogo ove ora è l'omonima chiesa parrocchiale. La salma del martire, dall'altare maggiore della vecchia cattedrale, nel 1592 fu traslata nel sottocoro della nuova. (Avvenire)

Emblema: Palma

Martirologio Romano: A Padova, commemorazione di san Daniele, diacono e martire.


Diacono, forse, della Chiesa padovana, fu martirizzato probabilmente durante la persecuzione di Diocleziano, al principio del sec. IV. Se ne conobbe però l'esistenza solo dopo l'invenzione del suo corpo, avvenuta nel 1075. Secondo le leggende, diffusesi in quella circostanza o poco dopo, e il cui nucleo essenziale sembra sicuro, il martire sarebbe apparso ad un cieco della Tuscia invitandolo a chiedere la grazia della vista nell'oratorio di S. Prosdocimo a Padova, là ov'era la sua tomba, del tutto ignorata. Alla guarigione miracolosa seguirono diligenti ricerche, che portarono alla scoperta di un'arca marmorea. Il martire vi giaceva così com'era stato ucciso: il corpo, disteso supino sopra una tavola di legno e coperto da una lastra di marmo, era trapassato da molti lunghi chiodi. Un'iscrizione diceva: "Hic corpus Danielis martyris et levitae quiescit". Il vescovo Ulderico, presente a quella prima ricognizione, fece trasportare il 3 gennaio 1076 1'arca nella nuova cattedrale di S. Maria, entro le mura della città e, per placare le opposizioni dei monaci di S. Giustina e degli abitanti del luogo, fece erigere un oratorio dedicato a S. Daniele nel luogo ove ora è l'omonima chiesa parrocchiale.
La salma del martire, dall'altare maggiore della vecchia cattedrale, nel 1592 fu traslata nel sottocoro della nuova. Quando nel 1953 questo fu sistemato ad oratorio invernale, l'arca di Daniele fu liberata dai marmi e dai bronzi che l'occultavano: è la stessa in cui era stato ritrovato il martire, un'antica arca romana di marmo di Carrara, cui era stata tolta, probabilmente all'epoca del ritrovamento, l'antica decorazione pagana ed aggiunta un'enigmatica iscrizione. I competenti (Gloria, Gasparotto, Pagnin, Egger, Silvagni e altri) vi decifrarono con qualche variante l'iscrizione delle leggende. È festeggiato nella diocesi di Padova, come patrono secondario, il 3 gennaio, data della prima traslazione.


Autore:
Ireneo Daniele


Fonte:
Bibliotheca Sanctorum

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Aggiunto il 10-Sep-2001
Letto da 8178 persone



Stellina788
00sabato 3 gennaio 2009 10:03

San Fintan di Dun Blesci Benedettino

3 gennaio

Scarse e di dubbio valore storico sono le notizie riguardanti questo santo. DI origine irlandese, Fintan fu discepolo di S. Comgall, l’abate di Bongar. Recatosi poi a Dun Blesci, ricevette in dono il terreno per un monastero. Morì in una data imprecisata, secondo la leggenda addirittura a duecentosessanta anni. Nella località di Doon anticamente era celebrata in suo onore una festa il 3 gennaio e sempre in quel luogo c’è anche una sorgente a lui dedicata.
L’Ordine Benedettino lo festeggia il 3 gennaio.


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Aggiunto il 29-May-2008
Letto da 262 persone



Stellina788
00sabato 3 gennaio 2009 10:07

San Fiorenzo di Vienne Vescovo

3 gennaio


Etimologia: Fiorenzo = che fiorisce, fiorente, dal latino

Emblema: Bastone pastorale

Martirologio Romano: A Vienne, nella Gallia lugdunense, nell’odierna Francia, san Fiorenzo, vescovo, che prese parte al Concilio di Valence.


Di questo vescovo di Vienne non abbiamo che la sottoscrizione al concilio di Valence nel 374 e il suo nome nel Martirologio Geronimiano al 3 gennaio. Tuttavia, la Cronaca di Adone, il quale, come si sa, ha voluto stabilire una cronologia dei vescovi di Vienne, peraltro senza alcun valore, ha collocato Fiorenzo sotto l'impero di "Gordiano, Filippo, Decio, Gallo e Volusiano", come spiega il Libro episcopale di Leodegario, e l'ha fatto morire martire in esilio. Questa leggenda è stata accolta nel Martirologio Romano al 3 gennaio.


Autore:
Jean Marilier


Fonte:
Bibliotheca Sanctorum

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Aggiunto il 12-Nov-2001
Letto da 2845 persone


Stellina788
00sabato 3 gennaio 2009 10:12

Santa Genoveffa (Genevieve) Vergine

3 gennaio

m. 500 circa

La vita della vergine parigina Genèvieve (in italiano Genoveffa) è narrata nella «Vita Genovefae», scritta circa venti anni dopo la sua morte. Nasce a Nanterre, nei dintorni di Parigi, intorno al 422. A 15 anni Genoveffa si consacra a Dio, entrando a far parte di un gruppo di vergini votate a Dio che, pur vestendo un abito che le distingue dalle altre donne, non vivono in convento, ma nelle loro case, dedicandosi ad opere di carità e penitenze. Nel 451 Parigi è sotto la minaccia degli Unni di Attila ed i parigini si apprestano alla fuga. Genoveffa li convince a restare in città, confidando nella protezione del cielo. Non tutti però sono d'accordo con Genoveffa, al punto che la vergine rischia di essere linciata. Passata la minaccia degli Unni, Genoveffa si trova ad affrontare la piaga della carestia. Salita su un battello, lungo la Senna si procura le granaglie presso i contadini, distribuendole poi generosamente. Entrata in amicizia con i re Childerico e Clodoveo, sfrutterà la sua posizione per ottenere la grazia per numerosi prigionieri politici. Muore intorno al 502. Sulla sua tomba viene eretto un modesto oratorio di legno, che è stato il primo nucleo di una celebre abbazia, trasformata in basilica da re Luigi XV. È patrona di Parigi. (Avv.)

Patronato: Parigi

Etimologia: Genoveffa = dalle bianche guance, dal celtico

Emblema: Candela, Giglio

Martirologio Romano: A Parigi, in Francia, deposizione di santa Genoveffa, vergine di Nanterre, che a quindici anni, su invito di san Germano vescovo di Auxerre, prese il velo delle vergini, confortò gli abitanti della città atterriti dalle incursioni degli Unni e soccorse i suoi concittadini in tempo di carestia.


La vita della vergine parigina Genèvieve è narrata nella Vita Genovefae, scritta circa venti anni dopo la sua morte. Il documento, seppur non scritto da uno storico e contenente aspetti leggendari, è considerato attendibile. Genèvieve o Genoveffa è naata a Nanterre, nei dintorni di Parigi, intorno al 422. A sei anni fu consacrata a Dio da san Germano di Auxerre, in transito per recarsi in Inghilterra, dove dilagava l'eresia pelagiana. A 15 anni Genoveffa si consacrò definitivamente a Dio, entrando a far parte di un gruppo di vergini votate a Dio che, pur vestendo un abito che le distingueva dalle altre donne, non vivevano in convento, ma nelle loro case, dedicandosi ad opere di carità e penitenze. Genoveffa faceva molto sul serio: prendeva cibo solo il giovedì e la domenica e dalla sera dell'Epifania al giovedì santo non usciva mai dalla sua cameretta. Nel 451 Parigi era sotto la minaccia degli Unni di Attila ed i parigini si apprestavano alla fuga. Genoveffa li convinse a restare in città, confidando nella protezione del cielo. Non tutti erano però daccordo con Genoveffa, al punto che la vergine rischiò di essere linciata, ma la minaccia degli Unni passò, lasciando però un altro problema serio, quello della carestia. Genoveffa, salì allora su un battello, risalì la Senna e procurò le granaglie presso i contadini, distribuendole poi generosamente. Entrata in amicizia con i re Childerico e Clodoveo, sfruttò la sua posizione per ottenere la grazia per numerosi prigionieri politici. Morì intorno al 502. Sulla sua tomba venne eretto un modesto oratorio di legno, che fu il primo nucleo di una celebre abbazia, trasformata in basilica da re Luigi XV. Genoveffa era particolarmente invocata in occasione di gravi calamità, come la peste, per implorare la pioggia e contro le inondazioni della Senna. Durante la rivoluzione francese i giacobini trasformarono la basilica di S. Genoveffa nel mausoleo dei francesi illustri, con il classico nome di Pantheon, distruggendone parzialmente le reliquie. Il culto a santa Genoveffa continuò nella vicina chiesa di Saint-Etienne-du-Mont e rimase molto popolari in tutta la Francia e in particolarmente a Parigi, città di cui la santa è patrona.


Autore:
Maurizio Misinato


Fonte:
I Santi

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Aggiunto il 1-Feb-2001
Letto da 7321 persone



Stellina788
00sabato 3 gennaio 2009 10:19

San Gordio di Cesarea di Cappadocia Martire

3 gennaio


Martirologio Romano: A Cesarea in Cappadocia, nell’odierna Turchia, il centurione san Gordio, martire, che san Basilio elogia come vero emulo del centurione presente sotto la Croce, poiché, durante la persecuzione di Diocleziano, confessò che Gesù era Figlio di Dio.


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Aggiunto il 3-Oct-2000
Letto da 773 persone



Stellina788
00sabato 3 gennaio 2009 10:21

Beato Guglielmo Vives Mercedario

3 gennaio

Priore del convento mercedario di Barcellona, il Beato Guglielmo Vives, nonostante fosse un uomo pacifico e molto umile, dovette affrontare con energia l’intromissione abusiva e senza ragione del vescovo di visitare il suo monastero. Nel 1401 dovette inviare il sacerdote Bartolomeo Celforés, come informatore a Roma, e spendere la grossa quantità di 3.000 fiorini d’oro, per dare soluzione alla questione. In seguito a questo il Re Martino V pose sotto la protezione della Corona d’Aragona la comunità con i suoi frati ed i loro beni. Il Beato Guglielmo scrisse la vita di San Pietro Nolasco e quella di Santa Maria de Cervellon, che venne poi inclusa nel processo di canonizzazione della Santa. Dopo una morte preziosa fu sepolto nel suo monastero.
L’Ordine lo festeggia il 3 gennaio.


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Aggiunto il 11-Jan-2008
Letto da 339 persone



Stellina788
00sabato 3 gennaio 2009 10:27

Santa Imbenia Martire

3 gennaio

Pia vergine Sarda, che subì il martirio per la fede in Cristo sotto l'Impero di Diocleziano. Le sue preziose Reliquie vennero scoperte nell' anno 1628 nella chiesa di S. Lussorio, in regione "Su Tonodiu", furono portate nella Basilica Insigne Colleggiata di Santa Maria della Neve in Cuglieri (dioc. di Bosa) ove si conservano ancora. Festeggiamenti in suo onore si tengono il 3 Gennaio (martirio) ed il 30 Aprile (in memoria della traslazione delle Reliquie). Nel giorno 29 Aprile il Simulacro della Vergine viene portato in pellegrinaggio dalla Basilica di Santa Maria della Neve alla regione "su Tonodiu" dove si trova una chiesetta campestre a lei intitolata, si parte verso le 17.00 per poi arrivare alla chiesa che dista circa 3 km da Cuglieri, il Simulacro viene accompagnato in processione dalla Confraternita della Madonna del Carmelo, dalle prioresse e dalla cittadinanza, quando si arriva viene offerto dal priorato un rinfresco, la popolazione si avvia poi verso la chiesetta per seguire la messa, al termine della celebrazione si può sostare, o fare delle passeggiate per tutto il perimetro del terreno che circonda la chiesetta. Il giorno 30 si fa il tragitto inverso, arrivati alla Basilica si partecipa alla Benedizione Eucaristica e si canta l' inno in onore della Vergine.

Patronato: Cuglieri (OR)

Emblema: Palma


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Aggiunto il 24-May-2008
Letto da 3292 persone



Stellina788
00sabato 3 gennaio 2009 10:32

San Luciano di Lentini Vescovo

3 gennaio


Martirologio Romano: A Lentini in Sicilia, san Luciano, vescovo.


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Aggiunto il 3-Oct-2000
Letto da 1000 persone


Stellina788
00sabato 3 gennaio 2009 10:36

Santissimo Nome di Gesù

3 gennaio - Memoria Facoltativa

Il Santissimo Nome di Gesù fu sempre onorato e venerato nella Chiesa fin dai primi tempi, ma solo nel secolo XIV cominciò ad avere culto liturgico. San Bernardino, aiutato da altri confratelli, sopratutto dai beati Alberto da Sarteáno e Bernardino da Feltre, diffuse con tanto slancio e fervore tale devozione che finalmente venne istituita la festa liturgica. Nel 1530 Papa Clemente VII autorizzò l'Ordine francescano a recitare l'Ufficio del Santissimo Nome di Gesù. Giovanni Paolo II ha ripristinato al 3 gennaio la memoria facoltativa nel Calendario Romano.

Martirologio Romano: Santissimo Nome di Gesù, il solo in cui, nei cieli, sulla terra e sotto terra, si pieghi ogni ginocchio a gloria della maestà divina.


Il significato e la proprietà del nome
Anzitutto i nomi hanno un loro significato intrinseco, come appare dai nomi teofori (evocatori della divinità) e da quelli di alcuni eroi, che sono il simbolo della missione adempiuta da costoro nella storia.
In secondo luogo, il nome ha un contenuto dinamico; rappresenta e in qualche modo racchiude in sé una forza. Esso designa l’intima natura di un essere, poiché contiene una presenza attiva di quell’essere.
Platone diceva che “Chiunque sa il nome, sa anche le cose”; conoscerlo vuol dire conoscere la ‘cosa’ in se stessa. Il nome “occupa” uno spazio, ha la “proprietà” della cosa e la spiega.
Il nome di nascita indica in primo luogo, l’”essenza” di una persona, le sue prerogative, le qualità e i difetti; pronunciandolo si è come in presenza di colui che si nomina, si dà ad esso una precisa dimensione.
Così come fra i ‘primitivi’ che cercavano di conoscere il nome al fine di esercitare un potere su una persona o su qualsiasi cosa vivente, il nome è ancora indispensabile nel praticare un incantesimo; infatti i cosiddetti ‘maghi’ vogliono conoscerlo, per inciderlo su amuleti e talismani, accanto a quello delle Entità Invisibili.

Il nome nelle società antiche
Nell’antica Grecia i nomi provenivano da due categorie: 1) nomi di un dio o derivati da quello portato dalla divinità (Apollodoro, Apollonio, Eròdoto, Isidoro, Demetrio, Teodoro, ecc.); 2) nomi scelti come augurio per la futura vita del bambino, seguiti da quello della località di residenza o provenienza.
I Romani imponevano ai neonati tre nomi: Il prenome scelto fra i diciotto più usati, che si abbreviava con la lettera iniziale, es. P = Publius (Publio), C = Caius (Caio), ecc. Il nome indicava la gens di appartenenza, es. Julius (della gens Julia). Il cognome indicante la famiglia, quando la gens d’origine si divideva in molte famiglie.
Nei nomi di origine ebraica, particolarmente quelli maschili, si nota quasi sempre una invocazione a Dio, l’eterno creatore, dal quale il popolo ebraico trasse sempre forza nella sua travagliata esistenza.

Il nome nella mentalità semitica
Per i semiti i nomi propri avevano un significato intrinseco; questo era indicato dalla loro stessa composizione, dalla etimologia od era evocato dalla pronuncia.
Nel costume popolare, due usanze sembrano comunemente diffuse; in primo luogo l’imposizione di nomi teofori, con cui si voleva porre il bambino sotto la protezione della divinità, oppure si intendeva ringraziare e pregare la divinità per il lieto evento (es. Isaia = Iahvé salva; Giosuè = Iahvé è salvezza, ecc.).
In secondo luogo, l’attribuzione di nomi che esprimono qualche circostanza o particolarità della nascita dei bambini, es. (Gen. 35, 16-18) “… Rachele, sul punto in cui le sfuggiva l’anima, perché stava morendo a causa del penoso parto, chiamò il figlio appena nato, col nome di Ben-Oni (figlio del mio dolore)…”.
Così pure, per gli ebrei c’era la tendenza a fare del nome, il simbolo del significato religioso o politico degli eroi nazionali e religiosi; così interpretato, il nome era in un rapporto molto più significativo con la persona che caratterizzava; Eva è “la madre di tutti i viventi”, Abramo è “il padre di una moltitudine”, Giacobbe è “colui che soppianta”, ecc.
Nella concezione semitica, il nome ha anche un aspetto dinamico, che corrisponde alla forza, alla potenza che il nome rappresenta e in qualche modo include; dove c’è il nome c’è la persona, con la sua forza, pronta a manifestarsi.
Conoscere qualcuno per nome, vuol dire conoscerlo fino in fondo e poter disporre della sua potenza. Questo concetto svolge un ruolo importante applicato agli esseri superiori, che non sono conoscibili normalmente da parte dell’uomo; la sola conoscenza che si può avere di essi è quella del loro nome.
Il nome del dio nasconde la sua presenza misteriosa e rappresenta il mezzo più accessibile di comunicazione tra l’uomo e lui. Quindi nella sfera del ‘mistero’ sia esso magico che religioso, chi conosce il nome del dio e lo pronunzia, ha la forza di farsi ascoltare da lui e di farlo intervenire a suo favore.
Infine nella Tradizione semitica c’è inoltre il concetto, che chi impone a qualcuno il nome che deve portare o gli cambia il nome che possiede, esprime il potere assoluto, la sovranità, che detiene su quello (Ge. 2), così come Adamo impose i nomi a tutto il bestiame di cui poteva usufruire.
Anche il Dio degli Ebrei esprime il suo dominio assoluto, imponendo e mutando i nomi di Abram in Abraham e Sarai in Sara (Ge. 17, 5-15) e di Giacobbe in Israel (Ge. 32, 29), acquistando così tali nomi nuovi significati.

Il nome di Dio nella Bibbia
L’esigenza di sapere il nome della divinità in cui si crede, è stato sempre intrinseco nell’animo umano, perché il nome stesso è garanzia della sua esistenza; a tal proposito si riporta un passo dell’opera di Francesco Albergamo “Mito e Magia” che scrive: “Una bambina di nove anni chiede al padre se Dio esiste; il padre risponde che non ne è troppo sicuro, al che la piccola osserva: Bisogna pure che esista, dal momento che ha un nome”.
Quindi quando Mosè (Es. 3) viene chiamato da Dio alla sua missione fra il popolo ebraico, logicamente gli chiede il suo Nome da poter comunicare al popolo, che senz’altro gli chiederà “Chi ti ha riconosciuto principe su di noi?”. E il Dio di Israele, conosciuto inizialmente come il “Dio degli antenati”, il “Dio di Abramo di Isacco di Giacobbe”, oppure con espressioni particolari: “El Shaddai”, “Terrore di Isacco”, “Forte di Giacobbe”, rivela il suo nome “Iahvé”, che significa “Egli è”; e questo Nome entrò così a far parte della vita religiosa degli israeliti, e mediante gli interventi sovrani nella storia, il nome di Iahvé divenne famoso e noto.
I profeti ed i sommi sacerdoti, lungo tutta la storia d’Israele, posero al centro della liturgia il nome di Iahvé, con la professione di fede del profeta, l’invocazione solenne di Dio, la fede e la glorificazione di tutto il popolo (Commemorazione, invocazione, glorificazione del suo Nome).
Nel tardo giudaismo però, per il bisogno di sottolineare la trascendenza divina, il nome di Iahvé non è stato più pronunciato e Dio è stato designato col termine Nome e con altri appellativi, come Padre a sottolineare lo speciale rapporto che lega Dio e il suo popolo.

Il nome del Padre
Ma solo nel Nuovo Testamento, sulla bocca di Gesù e dei credenti, il nome di Padre attribuito a Dio, assume il suo vero significato.
Solo Gesù, infatti conosce il Padre e può efficacemente rivelarlo (Mt.11, 27-28). Gesù si è riferito spesso a Dio chiamandolo Padre, nel Vangelo di s. Giovanni, Padre viene usato addirittura come sinonimo di Dio e secondo l’evangelista questa è la sua vera definizione, questo è il nome che esprime più profondamente l’essere divino. Tale nome è stato manifestato agli uomini da Gesù, ed essi ora sanno che, se credono, sono figli insieme a lui.
Inoltre Gesù ha anche insegnato a pregare Dio con questo titolo “Padre nostro…” e questa è diventata la preghiera per eccellenza della comunità cristiana.
Gesù aveva chiesto al Padre di glorificare il suo nome (Giov. 12, 28) e aveva invitato i discepoli a pregare così: “Sia santificato il tuo nome”; Dio ha risposto a queste preghiere, manifestando la potenza del suo nome e glorificando il proprio figlio.
Ai credenti è affidato il compito di prolungare questa azione di glorificazione; essi lodano, testimoniano il nome di Dio e devono comportarsi in modo che il nome divino non riceva biasimo e bestemmie (Rom. 2, 24).

Il nome del Signore Gesù
Il Messia ha portato durante la sua vita terrena il nome di Gesù, nome che gli fu imposto da san Giuseppe dopo che l’angelo di Dio in sogno gli disse: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché ciò che in lei è stato concepito è opera dello Spirito Santo. Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati” (Mt.1, 21-25).
Quindi il significato del nome Gesù è quello di salvatore; gli evangelisti, gli Atti degli Apostoli, le lettere apostoliche, citano moltissimo il significato e la potenza del Nome di Gesù, fermandosi spesso al solo termine di “Nome” come nell’Antico Testamento si indicava Dio.
Nel corso della vita pubblica di Gesù, i suoi discepoli, appellandosi al suo nome, guariscono i malati, cacciano i demoni e compiono ogni sorta di prodigi:
Luca, 10, 17, “E i settantadue tornarono pieni di gioia dicendo: Signore, anche i demoni si sottomettono a noi nel tuo nome”; Matteo 7, 22, “… Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demoni nel tuo nome e compiuto molti prodigi nel tuo nome?”.
Atti 4, 12, “…Non vi è altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale possiamo avere la salvezza”.
Risuscitando Gesù e facendolo sedere alla sua destra, Dio “gli ha donato il nome che è sopra di ogni nome” (Ef. 1, 20-21); si tratta di un “nome nuovo” (Ap. 3, 12) che è costantemente unito a quello di Dio.
Questo nome trova la sua espressione nell’appellativo di Signore, che conviene a Gesù risorto, come allo stesso Dio Padre (Fil. 2, 10-11). Infatti i cristiani non hanno avuto difficoltà ad attribuire a Gesù, gli appellativi più caratteristici che nel giudaismo erano attribuiti a Dio.
Atti 5, 41: “Ma essi (gli apostoli) se ne partirono dalla presenza del Sinedrio, lieti di essere stati condannati all’oltraggio a motivo del Nome”.
La fede cristiana consiste nel professare con la bocca e credere nel cuore “che Gesù è il Signore, e che Dio lo ha ridestato dai morti” e nell’invocare il nome del Signore per conseguire la salvezza (Rom. 10, 9-13).
I primi cristiani, appunto, sono coloro che riconoscono Gesù come Signore e si designano come coloro che invocano il suo nome, esso avrà sempre un ruolo preminente nella loro vita: nel nome di Gesù i cristiani si riuniranno, accoglieranno chiunque si presenti nel suo nome, renderanno grazie a Dio in quel nome, si comporteranno in modo che tale nome sia glorificato, saranno disposti anche a soffrire per il nome del Signore.
L’espressione somma della presenza del Nome del Signore e dell’intera SS. Trinità nella vita cristiana, si ha nel segno della croce, che introduce ogni preghiera, devozione, celebrazione; e conclude le benedizioni e l’amministrazione dei sacramenti: “Nel Nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”.
Il culto liturgico del Nome di Gesù
Il SS. Nome di Gesù, fu sempre onorato e venerato nella Chiesa fin dai primi tempi, ma solo nel XIV secolo cominciò ad avere culto liturgico.
Grande predicatore e propagatore del culto al Nome di Gesù, fu il francescano san Bernardino da Siena (1380-1444) e continuato da altri confratelli, soprattutto dai beati Alberto da Sarteano (1385-1450) e Bernardino da Feltre (1439-1494).
Nel 1530, papa Clemente VII autorizzò l’Ordine Francescano a recitare l’Ufficio del Santissimo Nome di Gesù; e la celebrazione ormai presente in varie località, fu estesa a tutta la Chiesa da papa Innocenzo XIII nel 1721.
Il giorno di celebrazione variò tra le prime domeniche di gennaio, per attestarsi al 2 gennaio fino agli anni Settanta del Novecento, quando fu soppressa.
Papa Giovanni Paolo II ha ripristinato al 3 gennaio la memoria facoltativa nel Calendario Romano.

Il trigramma di san Bernardino da Siena
Affinché la sua predicazione non fosse dimenticata facilmente, Bernardino con profondo intuito psicologico inventò un simbolo dai colori vivaci che veniva posto in tutti i locali pubblici e privati, sostituendo blasoni e stemmi delle varie Famiglie e Corporazioni spesso in lotta fra loro.
Il trigramma del nome di Gesù, divenne un emblema celebre e diffuso in ogni luogo, sulla facciata del Palazzo Pubblico di Siena campeggia enorme e solenne, opera dell’orafo senese Tuccio di Sano e di suo figlio Pietro, ma lo si ritrova in ogni posto dove Bernardino e i suoi discepoli abbiano predicato o soggiornato.
Qualche volta il trigramma figurava sugli stendardi che precedevano Bernardino, quando arrivava in una nuova città a predicare e sulle tavolette di legno che il santo francescano poggiava sull’altare, dove celebrava la Messa prima dell’attesa omelia, e con la tavoletta al termine benediceva i fedeli.
Il trigramma fu disegnato da Bernardino stesso, per questo è considerato patrono dei pubblicitari; il simbolo consiste in un sole raggiante in campo azzurro, sopra vi sono le lettere IHS che sono le prime tre del nome Gesù in greco ΙΗΣΟΥΣ (Iesûs), ma si sono date anche altre spiegazioni, come l’abbreviazione di “In Hoc Signo (vinces)” il motto costantiniano, oppure di “Iesus Hominum Salvator”.
Ad ogni elemento del simbolo, Bernardino applicò un significato, il sole centrale è chiara allusione a Cristo che dà la vita come fa il sole, e suggerisce l’idea dell’irradiarsi della Carità.
Il calore del sole è diffuso dai raggi, ed ecco allora i dodici raggi serpeggianti come i dodici Apostoli e poi da otto raggi diretti che rappresentano le beatitudini, la fascia che circonda il sole rappresenta la felicità dei beati che non ha termine, il celeste dello sfondo è simbolo della fede, l’oro dell’amore.
Bernardino allungò anche l’asta sinistra dell’H, tagliandola in alto per farne una croce, in alcuni casi la croce è poggiata sulla linea mediana dell’H.
Il significato mistico dei raggi serpeggianti era espresso in una litania; 1° rifugio dei penitenti; 2° vessillo dei combattenti; 3° rimedio degli infermi; 4° conforto dei sofferenti; 5° onore dei credenti; 6° gioia dei predicanti; 7° merito degli operanti; 8° aiuto dei deficienti; 9° sospiro dei meditanti; 10° suffragio degli oranti; 11° gusto dei contemplanti; 12° gloria dei trionfanti.
Tutto il simbolo è circondato da una cerchia esterna con le parole in latino tratte dalla Lettera ai Filippesi di san Paolo: “Nel Nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi, sia degli esseri celesti, che dei terrestri e degli inferi”. Il trigramma bernardiniano ebbe un gran successo, diffondendosi in tutta Europa, anche s. Giovanna d’Arco volle ricamarlo sul suo stendardo e più tardi fu adottato anche dai Gesuiti.
Diceva s. Bernardino: “Questa è mia intenzione, di rinnovare e chiarificare il nome di Gesù, come fu nella primitiva Chiesa”, spiegando che, mentre la croce evocava la Passione di Cristo, il suo Nome rammentava ogni aspetto della sua vita, la povertà del presepio, la modesta bottega di falegname, la penitenza nel deserto, i miracoli della carità divina, la sofferenza sul Calvario, il trionfo della Resurrezione e dell’Ascensione.
In effetti Bernardino ribadiva la devozione già presente in san Paolo e durante il Medioevo in alcuni Dottori della Chiesa e in s. Francesco d’Assisi, inoltre tale devozione era praticata in tutto il Senese, pochi decenni prima dai Gesuati, congregazione religiosa fondata nel 1360 dal senese beato Giovanni Colombini, dedita all’assistenza degli infermi e così detti per il loro ripetere frequente del nome di Gesù.

La Compagnia di Gesù, prese poi queste tre lettere come suo emblema e diventò sostenitrice del culto e della dottrina, dedicando al Ss. Nome di Gesù le sue più belle e grandi chiese, edificate in tutto il mondo.
Fra tutte si ricorda, la “Chiesa del Gesù” a Roma, la maggiore e più insigne chiesa dei Gesuiti; vi è nella volta il “Trionfo del Nome di Gesù”, affresco del 1679, opera del genovese Giovanni Battista Gaulli detto ‘il Baciccia’; dove centinaia di figure si muovono in uno spazio chiaro con veloce impeto, attratte dal centrale Nome di Gesù.


Autore:
Antonio Borrelli

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Aggiunto il 6-Jun-2006
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Stellina788
00sabato 3 gennaio 2009 10:39

San Teogene Martire

3 gennaio


Martirologio Romano: A Pario in Ellesponto, nell’odierna Turchia, san Teógene, martire: sotto l’impero di Licinio, arruolato tra le reclute, essendosi rifiutato di prestare il servizio militare a motivo della sua fede cristiana, fu incarcerato, torturato e, infine, affogato in mare.


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Aggiunto il 3-Oct-2000
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Stellina788
00sabato 3 gennaio 2009 10:45

Santi Teopempto e Teonas (Teopompo e Sinesio) Martiri a Nicomedia

3 gennaio

† Nicomedia, 304

Martirologio Romano: Presso Nicomedia in Bitinia, nell’odierna Turchia, santi Teopempto e Teona, che affrontarono il martirio durante la persecuzione dell’imperatore Diocleziano.


La ‘Vita’ di questi due santi, è ripresa nei Sinassari orientali ed è leggendaria. La fonte orientale racconta che Teopompo era vescovo di Nicomedia, capitale della Bitinia sul Mar di Marmara e il Mar Nero (oggi Izmit in Turchia), antico regno, ma che al tempo dell’imperatore Diocleziano (243-313), in cui si svolse la vicenda di Teopompo e Sinisio, era provincia romana.
Teopompo per la sua carica, durante la persecuzione scatenata da Diocleziano, fu arrestato nel 304 e condotto in tribunale, fu sottoposto a molti supplizi come quello del fuoco, l’avvelenamento, l’accecamento, rimanendo secondo l’agiografia di parecchi martiri, completamente illeso.
Il giudice allora volendo dimostrare che questi prodigi potevano essere compiuti anche da non cristiani, convocò il famoso mago Teona, celebre per opere portentose. Ma nella sfida Teona rimase sconfitto, il quale poi dichiarandosi vinto, chiese di poter aderire al cristianesimo.
Il vescovo Teopompo gli conferì subito il Battesimo, imponendogli il nome di Sinesio. Ma la loro sorte era comunque segnata, furono condannati a morte entrambi, Teopompo fu martirizzato mediante la decapitazione e Sinesio (Teona) venne invece sepolto vivo.
Il culto per i due martiri, si diffuse molto in Oriente, ma anche in Occidente; anche la recente edizione del ‘Martirologio Romano’ li celebra al 3 gennaio.
C’è da aggiungere che l’antica abbazia di Nonantola (Modena), vanta di custodire le loro reliquie, che furono traslate nel 911, dal monastero di S. Maria di Treviso dall’abate Pietro, per sottrarle alla profanazione degli Ungari invasori.
Come siano finite dall’Oriente a Treviso non si sa. Per quanto riguarda un culto nella città tedesca di Radolfzell, è da supporre che furono requisite alcune reliquie dagli invasori germanici e portate lì nei secoli successivi, oppure ricevute in dono come era usanza nel Medioevo, fra Chiese diremmo oggi gemellate.


Autore:
Antonio Borrelli

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Aggiunto il 8-Nov-2003
Letto da 2430 persone



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