30 dicembre

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Stellina788
00venerdì 17 dicembre 2010 11:34

Sant' Aina

30 dicembre

 


Nel Martirologio di Rabban Sliba il 30 di kànùn qdem (kànùn primo) (dic.) è celebrata la memoria di cAynà di Bé[y]th Qusi. Tuttavia Aina non è riscontrabile nel valore di nome proprio e, poiché il termine significa « fonte ». si potrebbe pensare al ricordo di una sorgente prodigiosa, piuttosto che di una persona.


Stellina788
00venerdì 17 dicembre 2010 11:35

Sant' Anisio di Tessalonica Vescovo

30 dicembre

m. 406

Partecipò al Sinodo di Capua e, per la sua fedeltà alla dottrina della Chiesa, ricevette grandi lodi da Santo Ambrogio.

Martirologio Romano: Commemorazione di sant’Anisio, vescovo di Salonicco, che, costituito dai Romani Pontefici vicario apostolico nell’antico Illirico e colmato di lodi da sant’Ambrogio, fiorì al tempo dell’imperatore Teodosio.


Stellina788
00venerdì 17 dicembre 2010 11:36

Beati Bernardo de Rebolledo e Giovanni de Luna Martiri mercedari

30 dicembre

+ Marsiglia, Francia, 1422

I Beati: Bernardo de Rebolledo, insigne mercedario per la dottrina, la carità e lo zelo nel predicare il vangelo, e Giovanni de Luna, discendente dei conti di Morada, che nell'anno 1400 lasciò le vanità del mondo per entrare nel convento mercedario di San Lazzaro in Saragozza, dove condusse una vita esemplare per la modestia e l'austerità; furono nominati redentori dell'Ordine. Inviati in redenzione nell'anno 1422 mentre navigavano verso l'Africa furono sorpresi dai pirati mori i quali li condussero a Marsiglia in Francia dove dopo varie torture meritarono il trionfo eterno dei martiri per la fede di Cristo.
L'Ordine li festeggia il 30 dicembre.



Stellina788
00venerdì 17 dicembre 2010 11:36

Sant' Egvino Vescovo

30 dicembre

m. 717

Martirologio Romano: Ad Evesham in Inghilterra, sant’Egvino, vescovo, che fondò il monastero di questo luogo.


Tar­dive biografie, risalenti ai secc. XI-XIII, non con­sentono di stabilire con sicurezza i particolari del­la vita di Egwino, giacché queste compilazioni conten­gono notizie leggendarie, o si soffermano su aspet­ti miracolosi e prodigiosi. Egwino (Eduino, Eguino) sa­rebbe nato nella seconda metà del sec. VII da una nobile famiglia della Mercia. Si fece monaco e poi uscì dal monastero per divenire il consigliere del re della Mercia, Etelredo (675-704). Verso il 693 fu nominato vescovo di Worcester, ma incon­trò una notevole ostilità, soprattutto per aver ten­tato di attuare una riforma religiosa. I suoi nemi­ci lo denunziarono a papa Sergio I, per cui egli decise di recarsi a Roma per difendersi e giusti­ficarsi. Sul viaggio a Roma ha ricamato la leggen­da : egli si sarebbe legato i piedi con catene chiu­se con una chiave che fu gettata in mare, ma a Ro­ma fu prodigiosamente trovata nello stomaco di un pesce pescato nel Tevere. Riconosciuta dal papa la sua innocenza, Egwino rientrò in Inghilterra, ove ri­prese il suo seggio episcopale. L'amico re della Mercia, Etelredo, gli donò poi un terreno sul qua­le costruì il monastero di Evesham, che il succes­sore del re, Kenredo, ulteriormente beneficò. In questo periodo Egwino si interessò per una degna sepol­tura di s. Adelmo nella chiesa del monastero di Malmesbury. Nel 709 compì un nuovo viaggio a Roma per accompagnare Kenredo ed Offa, re dell'Essex, desiderosi di prendere l'abito monastico nell'Urbe. Dal papa Costantino I, Egwino ottenne esen­zioni per il proprio monastero. Rientrato in pa­tria, morì il 30 dic. 717. Il 10 sett. 1039 e l'11 genn. 1183 furono compiute ad Evesham solenni traslazioni, per cui negli Uffici era commemorato anche in queste date.



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00venerdì 17 dicembre 2010 11:37

Sant' Ermete

30 dicembre

Martirologio Romano: A Vidin in Mesia, nell’odierna Bulgaria, sant’Erméte, esorcista e martire.


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00venerdì 17 dicembre 2010 11:38

Sant' Eugenio di Milano Vescovo

30 dicembre

Emblema: Bastone pastorale

La Notitia ecclesiarum urbis Romae della seconda metà del sec. VIII elenca anche i santi venerati a Milano, tra i quali un s. E. confessore, ricordato unitamente a due vescovi di Milano, s. Eustorgio e s. Magno, essi pure qualificati come confessori.
Documenti ecclesiastici milanesi dei secc. XI e XII (come il Kalendarium Ambrosianum succ. XI ed il Beroldus) ed il Liber notitiae Sanctorum Mediolani, del sec. XIV, ricordano il 30 dic. Ia deposizione e traslazione di s. E., vescovo, nella chiesa di S. Eustorgio. Nessun vescovo di nome E. si trova nella lista dei vescovi di Milano fino al 1922.
Landolfo Seniore, nella sua Historia Mediolanensis (dell'inizio del sec. XII), dicendo di riferire il testo di un sermone del vescovo Tommaso (780 ca.), lo presenta come un transmontanus episcopus senza indicarne la sede, e come padre spirituale di Carlo Magno, attribuendogli il merito di avere difeso, in un concilio tenutosi a Roma poco dopo la fine del regno longobardo, il rito ambrosiano contro Carlo Magno e papa Adriano I, che lo volevano abolire in nome dell'unità del mondo cristiano. In seguito alla difesa fattane da s. E., si sarebbe deciso di mettere sull'altare maggiore di S. Pietro in Vaticano un libro liturgico ambrosiano ed uno romano, di chiudere accuratamente la basilica, di digiunare e pregare per tre giorni e di scegliere, come libro liturgico normativo per tutta la Chiesa, quello dei due che fosse stato trovato aperto. Allorché dopo tre giorni si entrò in S. Pietro, i libri dei due riti furono trovati chiusi, ma, con meraviglia di tutti, improvvisamente ambedue si aprirono. Apparve chiaro che il Signore voleva il mantenimento di ambedue i riti.
Passando per Milano, prima di rientrare nella sua sede, E. in seguito alle preghiere del clero e dei maggiorenti della città accettò di restarvi per un po' di tempo. Nel frattempo, il vescovo morì. I milanesi, successivamente, ne avrebbero perso la memoria, che però, fu rinnovata da un miracolo operato dal santo a favore di una donna inferma cui chiese di adoperarsi affinché lo trasportassero dal sepolcro negletto alla vicina chiesa di S. Eustorgio. E così si cominciò a celebrarne ogni anno la festa. Appare evidente il carattere leggendario della narrazione di Landolfo, il cui scopo è di difendere le tradizioni milanesi (rito ambrosiano, clerogamia, ecc.) contro la riforma di Gregorio VII. Di E. si può soltanto dire che si tratta di un santo venerato con culto locale, di cui non si sa l'epoca in cui visse e nemmeno se fu vescovo.


Stellina788
00venerdì 17 dicembre 2010 11:38

San Felice I Papa

30 dicembre

m. 274

(Papa dal 05/01/269 al 30/12/274)
Romano. Gli si attribuisce la disposizione a celebrare le Messe sopra le tombe che custodivano le reliquie dei martiri cristiani.

Etimologia: Felice = contento, dal latino

Martirologio Romano: A Roma nel cimitero di Callisto sulla via Appia, deposizione di san Felice I, papa, che resse la Chiesa di Roma sotto l’imperatore Aureliano.

Ascolta da RadioVaticana:
  

Secondo la breve biografia contenuta nel Liber Pontificalis Felice era romano, figlio di un certo Costantino; eletto al sommo pontificato agli inizi del 269, stabilì con un decreto che si celebrasse la Messa sulle "memorie" dei martiri; durante l'impero di Aureliano ottenne la palma del martirio e fu sepolto al secondo miglio della via Aurelia, in una basilica da lui stesso edificata, il 30 maggio 274.
Parecchie di queste notizie sono false; non consta, infatti, che Felice sia morto martire, poiché il suo nome non fu inserito nella Depositio martyrum, ma in quella episcoporum, il che vuol dire che all'inizio del sec. IV non era venerato a Roma come martire. Il suo dies natalis non è il 30 maggio come dice il Liber Pontificalis e ripete il Martirologio Romano, ma il 30 dicembre; evidentemente l'anonimo compilatore lesse III Kal.iun. invece di III Kal.ian. Non è certo che abbia edificato una basilica sulla via Aurelia ed è sicuramente falso ch'egli sia stato sepolto sulla stessa via, perché la Depositio episcoporum attesta chiaramente che il suo sepolcro era nel cimitero di Callisto sulla via Appia. L'equivoco nacque dal fatto che sulla via Aurelia era realmente sepolto e venerato un martire Felice col quale fu identificato e confuso il papa. Anche del decreto liturgico attribuitogli dal Liber Pontificalis non si può affermare l'autenticità, come è certamente apocrifa la lettera che Felice avrebbe scritto alla Chiesa di Alessandria, un frammento della quale fu riferito da s. Cirillo d'Alessandria, e letto al concilio di Efeso (431): in realtà si tratta di un falso degli Apollinaristi. L'unica notizia certa su Felice rimane perciò il latercolo della Depositio episcoporum, e gli anni del suo pontificato.
Probabilmente egli dovette interessarsi della questione di Paolo di Samosata, perché fu lui a ricevere la lettera sinodale che il concilio di Antiochia del 268 aveva inviato al papa Dionigi che nel frattempo era morto. Fu infatti durante il governo di Felice che l'imperatore Aureliano, dopo la deposizione di Paolo, decise di assegnare i beni immobili della Chiesa antiochena a quei fedeli che erano in comunione con la Chiesa di Roma.



Stellina788
00venerdì 17 dicembre 2010 11:39

Santi Filetero (Filotero) ed Eubioto Martiri

30 dicembre


FILETERO (FILOTER0) ed EUBIOTO, santi, martiri di Nicomedia.

Al 19 maggio il Martirologio Romano commemorava Filotero di Nicomedia, figlio di un proconsole, martirizzato durante la persecuzione di Diocleziano. Nessuna traccia di quel martire si trova nel Martirologio Geronimiano, né in quello Siriaco del sec. IV abitualmente ben documentato sui martiri di Nicomedia. La fonte del Martirologio Romano si deve cercare piuttosto nei sinassari bizantini dove il nome di Filetero nella forma Filotero appare al 18, 19 o 20 maggio nonché al 30 dicembre. La notizia a lui ivi dedicata non è altro che un riassunto della passio favolosa dei santi Filetero ed Eubioto, scritta da pretesi testimoni oculari.
Secondo il testo dei sinassari, Filetero figlio del prefetto di Nicomedia, Taziano, denunciato come cristiano, fu condotto dinanzi a Diocleziano, che allora si trovava da quelle parti. Rifiutandosi di sacrificare agli idoli fu gettato in una fornace ardente, da cui uscì miracolosamente illeso. Sottoposto a nuovo processo e a nuovi tormenti davanti a Massimiano Galerio, dopo avere assistito al martirio della sorella Teotima, di Ciriaca e di altre quattro vergini, fu inviato in esilio nel Preconneso.
Durante il viaggio fece conversioni ed operò miracoli, tra i quali la guarigione di un cieco e quella di un energumeno; morì prima di giungere nel luogo del suo esilio, dopo avere ricevuto la visita di Eubioto. Era questi un prete dotato di virtù taumaturgiche che viveva in solitudine in quella regione; dopo l'incontro con Filetero si diede ad una intensa opera di evangelizzazione, presto interrotta dall'intervento delle autorità romane. Il prefetto non ottenne da lui, neppure coi supplizi, l'abiura. Gettato in prigione, fu liberato con l'avvento al trono di Costantino. Morì cinque anni dopo, il 18 dicembre. I due santi furono ricordati sempre insieme ed il loro culto si diffuse soprattutto a Cizico e nella Sigriana.


Stellina788
00venerdì 17 dicembre 2010 11:40

San Geremaro Abate di Flay

30 dicembre

Martirologio Romano: A Fly presso Beauvais nel territorio della Neustria in Francia, san Geremáro, abate del locale monastero da lui fondato.


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00venerdì 17 dicembre 2010 11:40

San Giocondo di Aosta Vescovo

30 dicembre

Aosta, sec. VI

Terzo vescovo della diocesi di Aosta.

Emblema: Bastone pastorale

Martirologio Romano: Ad Aosta, san Giocondo, vescovo.


Fra i santi che hanno onorato con la loro presenza e attività, la bellissima città di Aosta e la sua Valle, oltre s. Orso eremita del VI secolo (festa 1° febbraio), e s. Grato vescovo e patrono della città, del V secolo (festa 7 settembre), c’è anche s. Giocondo che fu il terzo vescovo di Aosta; la romana Augusta Praetoria, fondata nel 24 a.C.; succedendo non si sa se subito, allo stesso s. Grato già citato.
Per la lontananza nel tempo e per mancanza di documenti certi, non si può dire quasi niente di lui. Di certo si sa che partecipò ai Concili di Roma del 501 e del 502; Aosta lo celebra il 30 dicembre.

I nomi Giocondo e Gioconda, sono quasi scomparsi nell’uso corrente, per il loro significato trasparente, che pur derivante dal latino ‘iocundus’ che significa “piacevole, felice, gradevole, lieto”, oggi è considerato un po’ burlesco.
Ma nel passato ebbero una certa popolarità, basti citare il celebre quadro “La Gioconda” di Leonardo da Vinci, l’opera lirica di Amilcare Ponchielli “La Gioconda”; Monna Lisa del Giocondo, ecc.



Stellina788
00venerdì 17 dicembre 2010 11:41

Beato Giovanni Maria Boccardo Parroco, fondatore

30 dicembre

Moncalieri (Torino), 20 novembre 1848 – Pancalieri (Torino), 30 dicembre 1913

Nasce a Moncalieri (Torino) il 20 novembre 1848; primogenito di dieci figli. Giovanni Maria Boccardo frequenta il ginnasio dei padri Barnabiti della città e poi entra in Seminario. Ordinato sacerdote nel 1871, dopo diversi incarichi nei Seminari di Moncalieri e di Torino, nel 1882 è nominato parroco di Pancalieri. Di dedica alla predicazione e nell'insegnamento del catechismo; favorisce la buona stampa; predica in altre parrocchie, visitava le carceri di Saluzzo. Nel 1884 è tra i primi a portare aiuto ai malati di colera: cessata l'epidemia, si consulta con don Bosco e apre un ospizio a Pancalieri. Accoglie la prima giovane, proveniente dalla Pia Unione della parrocchia, per gettare le basi di una nuova istituzione religiosa femminile - in cui porta lo spirito di carità di san Gaetano da Thiene - che nel maggio 1886 prende il nome di «Povere Figlie di san Gaetano». Aprirà 32 case in Piemonte e Marche. Muore il 30 dicembre 1913 a Pancalieri; è stato beatificato da Giovanni Paolo II il 24 maggio 1998 a Torino. <I> (Avv.)</i>

Martirologio Romano: Nel territorio di Pancalieri vicino a Torino, beato Giovanni Maria Boccardo, sacerdote, che tra le molte fatiche intraprese per l’assistenza agli anziani e ai malati e per l’educazione cristiana della gioventù fondò la Congregazione delle Suore Povere Figlie di San Gaetano.


Di questo beato occorre prima di tutto dire che la sua bibliografia cioè la raccolta dei suoi scritti, si estende in ben 44 volumi; questa poderosa produzione scritta, perlopiù inedita, abbraccia tutti i campi della pastorale, spiritualità, epistolario. Si tratta di propositi di vita spirituale, lettere a vescovi, sacerdoti, suore e laici (quasi 600 in 5 voll.); prediche e conferenze a sacerdoti, seminaristi e suore, in 12 voll.; prediche sulla Madonna, istruzioni al popolo, esercizi spirituali per i fedeli, panegirici, omelie, predicazioni specifiche per le Sacre Quarantore e altre devozioni.
Giovanni Maria Boccardo nacque nella tenuta “Cà Bianca” in frazione Testona del Comune di Moncalieri (Torino) il 20 novembre 1848; primogenito di dieci figli, dei quali tre morti in tenera età e tre consacrati al Signore; la famiglia fu la prima e più autentica scuola per la sua formazione cristiana e di cui serberà il più riconoscente ricordo.
Nel 1861 frequentò a Moncalieri il ginnasio dei padri Barnabiti, già da ragazzo prese ad interessarsi dei poveri, aiutando un cieco solo e bisognoso, a cui tutti i giorni prestava aiuto nel suo passare per andare a scuola. Al termine del ginnasio, rispondendo alla vocazione che sentiva in sé, entrò in seminario l’8 settembre 1864, con il progredire degli studi aumentò di pari passo in lui la ricerca della santità, il cui pensiero è frequente nei suoi scritti.
Venne ordinato sacerdote il 3 giugno 1871 e dopo qualche mese entrava come assistente nel seminario di Chieri; nel 1873 ne divenne direttore spirituale e nel 1881 con lo stesso incarico fu trasferito nel seminario diocesano di Torino; intanto il 1° febbraio 1877 era divenuto Dottore in teologia.
E finalmente nel 1882, venne nominato parroco di Pancalieri, dove fino alla morte fu veramente pastore buono, padre dei poveri. Come detto all’inizio la sua pastorale si esplicò soprattutto nella predicazione e nell’insegnamento del catechismo; istituì la Corte di Maria, favorì la buona stampa; fu chiamato spesso a predicare in altre parrocchie, visitava le carceri di Saluzzo, suscitando pentimento, penitenza e devozione nei detenuti.
Nel 1884 vi fu una tremenda epidemia di colera e il parroco Giovanni Maria Boccardo con alcune giovani della parrocchia, fu tra i primi a portare aiuto ai colpiti dal morbo e quando cessata l’epidemia, si contavano orfani e vedove senza aiuto, anziani soli ed abbandonati, il pievano consultatosi con don Bosco e con il Cottolengo e con l’approvazione dell’arcivescovo torinese, aprì un ospizio a Pancalieri e il 6 novembre 1884 entrarono i primi ricoverati.
Dopo qualche giorno accolse la prima giovane, proveniente dalla Pia Unione della parrocchia, per gettare le basi di una nuova istituzione religiosa femminile, in cui trasfuse lo spirito di carità di s. Gaetano da Thiene, che nel maggio 1886 prese il nome di “Povere Figlie di S. Gaetano”; il 7 dicembre 1886, una delle migliori fedeli della parrocchia Carlotta Fontana, si consacrava al Signore prendendo il nome di Gaetana del SS. Sacramento, divenendo poi la prima superiora generale della nuova Congregazione.
L’approvazione definitiva, quella pontificia, arrivò nel 1958; le religiose servirono e servono infermi cronici ed abbandonati, orfani ed anziani, bambini, sacerdoti malati, collaborando pure nelle parrocchie; durante la sua vita il parroco Boccardo aprì 32 case in Piemonte e Marche.
Per il fondatore si apprestava il concludersi della fulgida parabola della sua vita, nel 1911 fu colpito da paralisi, costretto all’immobilità e alla dolorosa rinuncia al ministero; gli era di conforto il farsi portare all’ospizio fra i ricoverati e le suore.
Morì il 30 dicembre 1913 a Pancalieri; il 1° gennaio 1914 si tennero i solenni funerali con grande partecipazione di popolo, autorità, sacerdoti e suore. Dopo dieci anni, la salma venne traslata all’Ospizio dove riposa in un sarcofago adiacente la cappella.
Nel 1960 si iniziarono i procedimenti per la sua beatificazione, conclusasi con la solenne proclamazione di beato da papa Giovanni Paolo II il 24 maggio 1998 a Torino.
A 100 anni dalla fondazione nel 1984, le “Povere Figlie di s. Gaetano” sono presenti oltre che in Italia anche in Brasile, Benin in Africa e Argentina.



Stellina788
00venerdì 17 dicembre 2010 11:41

San Lorenzo da Frazzanò Monaco

30 dicembre

Nacque probabilmente intorno al 1116, nella piccola borgata di Frazzanò. I suoi genitori morirono nel giro di un anno, lasciando orfano il figlio. Lorenzo venne così affidato alla giovane nutrice Lucia, una vicina di casa. A sei anni, dopo i primi approcci con la liturgia e le scritture, Lorenzo chiese a Lucia di potere studiare le lettere umane e divine. Fu così indirizzato al monastero basiliano di San Michele Arcangelo a Troina, dove il giovane stupì tutti per le sue doti umane e religiose. Lo stesso vescovo di Troina lo invitò a vestire l'abito monacale basiliano e a ricevere gli ordini minori e maggiori. A soli 20 anni Lorenzo era già sacerdote e la sua fama andava diffondendosi nella regione. Si recò presso il monastero di Agira e qui i fedeli andavano per sentire la parola del santo. Nel 1155 circa Lorenzo entrò nel monastero di San Filippo di Fragalà. In questo periodo, Lorenzo si adoperò per fare edificare a Frainos (Frazzanò) una chiesetta dedicata a San Filadelfio. Nell'autunno del 1162 si conclusero i lavori della nuova chiesa di Tutti i Santi, da lui desiderata «ad honore della Santissima Trinità». Morì il 30 dicembre dello stesso anno. (Avvenire)

Martirologio Romano: Presso la cittadina di Frazzanò in Sicilia, san Lorenzo, monaco secondo la disciplina dei Padri orientali, insigne per austerità di vita e instancabile nella predicazione.


E' uno dei maggiori esponenti del monachesimo basiliano in Sicilia, e con San Filippo d'Agira, San Silvestro da Troina e San Cono da Naso forma un quadro esauriente del livello spirituale delle popolazioni tardoellenòfone nebroidee intorno all'anno mille (sec. VIII - XIII). Probabilmente Lorenzo nacque intorno al 1116, certamente nella piccola borgata di Frazzanò, dai greci denominata Acri, facente parte del territorio di Mirto (Oppidum Myrtirum) nella Contea di San Marco (Comitatus Sancti Marci). I suoi genitori, Cosmano e Costanza Ravì (Monaco), cristiani onesti e virtuosi, solo per poco guidarono i passi del piccolo Lorenzo verso la vita e la santità: morirono infatti nel giro di un anno, lasciando orfano il figlioletto. Ma la provvidenza di Dio non consentì che la mancanza del focolare domestico determinasse la fine di quel sapiente rapporto educativo iniziato in tenera età; infatti, alla morte del padre (dopo che la madre era morta da appena un anno) nella vita di Lorenzo entra un personaggio importantissimo, che avrà un'eco incisiva in tutta la formazione cristiana del Santo. E' la giovane nutrice Lucia, una vicina di casa, forse amica della mamma, che prende con sé il piccolo orfano, procurandogli ogni mezzo per progredire nella vita e nella perfezione cristiana.

A sei anni, dopo i primi approcci con la Sacra Liturgia e le Scritture, chiese a Lucia di potere studiare le lettere umane e divine, e da Lucia fu indirizzato al glorioso Monastero basiliano di San Michele Arcangelo a Troina, dove il giovanetto in breve stupì tutti quanti con l'esempio delle sue virtù umane e religiose, tanto che dallo stesso Vescovo di Troina (Niceforo?) fu invitato a vestire l'abito monacale basiliano e a ricevere, successivamente, gli ordini minori e maggiori. Sicché a soli 20 anni Lorenzo era già Sacerdote, fra l'ammirazione e la stima di tutti i confratelli monaci e la predilezione del Vescovo troinese. Ben presto si diffuse la fama del giovane sacerdote basiliano, soprattutto riguardo al suo eroico e nascosto spirito di penitenza, per cui già dalla più tenera età egli si sentiva particolarmente attratto.

Trascorsi quasi sei anni dal suo arrivo nella grotta etnea, Lorenzo, per divina ispirazione, fece un giorno ritorno al Monastero di Troina e, subito dopo, si reco al Monastero di Agira. Qui, secondo la tradizione, i monaci furono avvertiti dell'arrivo di Lorenzo da un suono festoso di campane che solo tacque quando Lorenzo ebbe abbracciato tutti quanti i confratelli. I frutti delle numerose virtù che Lorenzo aveva meritato nelle incredibili penitenze dell'eremitaggio, ben presto si fecero conoscere in tutta la zona nebroidea i cui fedeli, anche a costo di gravi sacrifici, si recavano ad Agira per sentire la parola illuminata del sacerdote Lorenzo, e per gustare i benefici della sua intercessione presso Dio, che spesso fu così potente da contrastare ogni legge di natura con prodigi e miracoli strepitosi. Nel 1155 circa Lorenzo fece ritorno nella sua terra, ed entro nel Monastero di San Filippo di Fragalà "distante appena mille passi da casa sua". Li dimorò per quasi tre anni. In questo periodo, Lorenzo si adopero per fare edificare a Frainos (altro nome di Frazzanò) una chiesetta dedicata a San Filadelfio, ben presto arricchita di molte reliquie. Qui il Santo si dedico alla predicazione instancabile del Vangelo, e anche qui si ripete l'afflusso di cristiani assetati di soprannaturale, che gia si era verificato ad Agira. Chiamato nei primi del 1158 a predicare in alcune zone della Puglia e della Calabria, non ancora ripresesi perfettamente dopo la temperie saracena, Lorenzo diede prova ad intere popolazioni di quante meraviglie può operare l'Onnipotente nei suoi servi fedeli.Accorso a Reggio, in seguito alle suppliche dei cittadini appestati, in breve riporto la salute del corpo a quelli che lo invocavano, ma soprattutto, come il profeta Giona, ricondusse i peccatori a penitenza, a conversione sincera; il frutto più bello della fortunata missione reggina di Lorenzo fu la ricostruzione di ben tre chiese in cui ruderi erano sparsi per i colli sovrastanti la città. Alla sua partenza da Reggio, presenti il Duca e l'Arcivescovo Metropolita di Messina, Lorenzo fu acclamato da una immensa folla, grata al Santo per il suo potente patrocinio. Ritornato nel suo piccolo borgo natio, Lorenzo ricomincio con maggiore zelo le sue contemplazioni dei divini misteri, spinto a ciò da una celeste visione che gli aveva annunciato come prossima la sua dipartita da questo mondo; un vegliardo, con toni apocalittici, gli aveva riferito i divini voleri, ma anche le meraviglie ancora più grandi che Dio avrebbe operato alla morte di Lorenzo.

Le leggende, inevitabilmente fiorite attorno alla figura del Santo, parlano spesso, infatti, delle aspre penitenze che fin da piccolo Lorenzo si infliggeva di nascosto, addirittura fino allo spargimento di sangue; e tutte riferiscono anche il famoso "prodigio della camicia", cioè il fatto che il sangue abbondantemente versato di notte, al mattino scompariva del tutto, rimanendo candidissima la camicia del Santo. Anche numerose visioni, secondo l'unanime agiografia laurenziana, costellarono l'itinerario di santità del Monaco Lorenzo. Dopo alcuni anni di permanenza a Troina, verso il 1145, all'età di circa 29 anni, Lorenzo decise, d'accordo con l'Abate troinese Galieno e con Erasmo Abate di San Filippo d'Agira, di lasciare il cenobio dell'Arcangelo per andare a vivere un certo tempo in un luogo appartato. Non sappiamo dove di preciso i tre confratelli si siano recati, se non che in quel luogo Lorenzo fece costruire una chiesetta dedicata alla martire siracusana Lucia; è probabile, pertanto, che in questo periodo, durato all'incirca cinque anni, i tre abbiano mantenuto in certo qual modo i contatti con il mondo esterno. Maturata l'idea di donarsi totalmente al Padre nella solitudine e nella penitenza più aspra, intorno al 1150, Lorenzo si congedo fra le lacrime dai Venerandi Abati che con lui avevano condotto quella magnifica esperienza eremitica. E si incamminò in direzione di una grotta alle falde dell'Etna, il cui sito alla storia rimane ignoto, ma la cui gloria risplende in modo chiarissimo. Fu infatti in questa grotta che lo spirito di Lorenzo fu affinato nel crogiuolo di ogni tentazione del maligno, ma anche arricchito di innumerevoli consolazioni dello Spirito Santo che in misura sempre crescente gli comunico i suoi doni ineffabili. Nel corso di questa permanenza in assoluta solitudine Lorenzo fu anche consolato dalla visita di altri pii eremiti che, come lui, dimoravano tra quei boschi e quegli anfratti in cerca di perfezione; fra questi pare si debba annoverare San Nicolo Politi, altro celebre eremita. contemporaneo di San Lorenzo; anche San Luca, Abate di Sant'Elia in Calabria, si recò a visitare il Monaco Lorenzo e con lui scambiò "certamente pensieri di cielo", come riferisce l'antica leggenda greca.

Così, per Lorenzo, come per il Maestro, si avvicinò la Pasqua, la sua ultima Pasqua. Giunsero a Frazzanò, nella quaresima del 1152, alcuni Padri eremiti provenienti da un cenobio degli Appennini, forse dall'Abruzzo, che lo invitarono a celebrare la Pasqua nel loro Monastero. Lorenzo, nonostante il presagio ricevuto, legge in questo invito un'altra prova d'amore richiestagli da Gesù, e, senza indugi, si incammina con loro verso la lontana meta. Al ritorno, ripassò a salutare per l'ultima volta i suoi fedeli di Santa Domenica, presso Stilo in Calabria. Rientrato definitivamente a Frazzanò, nell'autunno del 1162, Lorenzo ebbe appena il tempo di veder conclusa la fabbrica della nuova chiesa di Tutti i Santi, da lui desiderata "ad honore della Santissima Trinità ". In questa chiesa, recentemente restaurata, si compirono i più grandi miracoli operati dal Signore per glorificare San Lorenzo. Così, in breve tempo, Frazzanò divenne faro di luce per tutte le popolazioni dei Nebrodi e anche di paesi più lontani; esse ricorrevano a lui per avere sì la guarigione del corpo, ma soprattutto per riavere la pace dello spirito. Ma, da vivo, solo per poco Lorenzo riuscì ad accontentare della sua parola e della sua sacerdotale benedizione i fedeli che a lui accorrevano; dopo il Santo Natale del 1162, infatti, dopo il Vespro del 30 dicembre, verso le 18, l'angelo della morte venne a visitarlo nella celletta da cui ormai non usciva da tre giorni, vissuti nell'ansia di essere finalmente riunito al suo Divino Maestro, e nello sforzo di purificare ancora la sua anima con la penitenza, onde renderla più degna di comparire dinanzi al trono dell'Altissimo. Emesso l'ultimo respiro, il corpo di Lorenzo incomincio ad emanare un soave profumo, che tutti, dall'Abate di Fragalà fino all'ultimo bimbo di Frazzanò, non poterono che attribuire all'Onnipotenza divina che così voleva glorificare tangibilmente le virtù eroiche del Sacerdote Lorenzo. Da quel giorno sono passati più di otto secoli, e ininterrottamente da quel giorno, il corpo di Lorenzo e venerato, soprattutto dai suoi concittadini, molti dei quali, per devozione, portano il suo nome. Le reliquie del santo si conservano nella Chiesa che i frazzanesi edificarono al loro Concittadino e Patrono nel sec. XV.



Stellina788
00venerdì 17 dicembre 2010 11:42

Beata Margherita Colonna Vergine

30 dicembre

Palestrina, 1255 - 30 dicembre 1284

Martirologio Romano: Presso Palestrina nel Lazio, beata Margherita Colonna, vergine, che preferì alle ricchezze e ai piaceri del mondo la povertà per Cristo, che ella servì professando la regola di santa Chiara.


La Beata Margherita nacque a Palestrina nel 1255, figlia di Oddone Colonna e Mabilia Orsini che ebbero altri due figli: Giovanni e Giacomo. Apparteneva dunque a due potenti famiglie romane, protagoniste, nel corso dei secoli, con fasi alterne di pace e di odio reciproco, della storia della città eterna. Palestrina era la roccaforte di famiglia. La ricchezza dei nobili romani era legata ai pontefici e alle cariche ecclesiastiche: per i Colonna dei tempi della Beata basti citare Giovanni, Cardinale di S. Prassede nel 1212 e legato del pontefice durante la V Crociata. Fu lui che portò a Roma dall’oriente la colonna che, secondo la tradizione, servì per la flagellazione di Cristo e che, ancora oggi, è conservata nella basilica romana di cui era titolare. Gli anni in cui visse Margherita furono per la Chiesa complicati e tumultuosi: dal 1268 al 1271 la sede papale rimase vacante, per il periodo più lungo della storia. Erano venti anni che il papa non risiedeva a Roma. A conclavi lunghi seguivano pontificati brevi: il potere del pontefice era fondamentale per gli equilibri del mondo cristiano e soggetto all’antagonismo tra la Francia (Carlo d’Angiò occupava molte regioni d’Italia) e l’Imperatore tedesco del Sacro Romano Impero.
Margherita e i due fratelli rimasero presto orfani. Destinata ad un matrimonio prestigioso, importante per le alleanze nobiliari, in cuor suo, invece, voleva solo essere sposa verginale di Gesù. Il 6 marzo 1273, con due pie donne di casa, si ritirò a Castel San Pietro, sul monte che sovrasta Palestrina, presso la chiesa di S. Maria della Costa, per seguire la sua vocazione sulla scia del movimento francescano. Francesco era morto da quarantasette anni, Chiara da solo venti: il loro ideale di vita affascinava una moltitudine di persone di ogni ceto sociale. Margherita indossò il rude saio, sotto il quale mise un cilicio. Iniziò digiuni e penitenze, pregando che si realizzasse il suo desiderio: diventare clarissa. Visse lì qualche anno in ritiro. La sua vita da anacoreta era, per la potente famiglia Colonna, uno scandalo. Il conforto arrivò però dal fratello Giacomo che, sebbene giovanissimo, era già cardinale (dal 1278) per volere di Papa Nicolò III (Giovanni Gaetano Orsini), mentre Giovanni era Senatore di Roma. Giacomo, nonostante fosse stato insignito del titolo solo perché membro di una famiglia importante, come purtroppo era consuetudine a quei tempi, amava sinceramente Cristo. Condusse Margherita a Roma e insieme pregarono sulla tomba degli Apostoli Pietro e Paolo. Iniziò per Margherita una nuova vita. La sostanziosa eredità ormai non le apparteneva più, era dei poveri che mai mancano sulla strada dei santi. Il suo esempio luminoso destava interesse, soprattutto da parte di altre donne desiderose di spendere come lei la loro esistenza al servizio di Gesù. Chiese al Generale dei Frati Minori Girolamo Masci (futuro Papa Nicolò IV) il permesso di entrare nel Monastero di Assisi. Lo impedì però una malattia: diversi erano i piani del Signore. Pensò allora al Convento della Mentola (tra Palestrina e Tivoli) dove era venerata un’immagine della Vergine Santissima di cui era molto devota, luogo visitato anche da S. Francesco. Era però feudo del Conte di Poli che mal vedeva una Colonna nei suoi territori. Fece ritorno allora a casa e, con l’aiuto del fratello cardinale, fondò un monastero sulla vicina montagna, dove, poveramente, si lodava e si pregava, notte e giorno, il Signore. Margherita si occupò della formazione delle compagne, ma la sua carità andò oltre, rivolta anche agli ammalati e ai poveri dei paesi vicini. Per loro, ogni anno, per la festività di San Giovanni Battista di cui era molto devota, organizzava un pranzo. La tradizione dice che una volta Gesù e il Battista si presentarono alla sua mensa, ma poi scomparvero quando Margherita li riconobbe. Esaurito il consistente patrimonio personale, lei, nata ricchissima, allungò la mano per chiedere l’elemosina e poter così continuare le sue opere. Tra l’altro si ricorda l’assistenza prestata, in un momento di particolare necessità, ai frati minori del convento di Zagarolo.
La sua unione con Cristo divenne sempre più intensa: fu confortata visibilmente da Gesù, dalla Madonna e dal Santo Padre Francesco. Cadde più volte in estasi e per sette anni sopportò pazientemente una ferita ulcerosa sul fianco, portata come una stimmata della Passione di Gesù. Neppure trentenne la sua morte era preziosa agli occhi del Signore. Spirò, a causa dell’ulcera e di febbri violente, il 30 dicembre 1284. Immediatamente il suo sepolcro divenne meta di pellegrinaggi e i devoti, per sua intercessione, ottenevano grazie. Con l’autorizzazione di Papa Onorio IV, nel 1285, la comunità di clarisse si trasferì a Roma nel Monastero di S. Silvestro in Capite, portando con sé il venerato corpo della Beata (vi resterà fino al 1871). I suoi primi biografi furono il fratello e la prima badessa di S. Silvestro.
Il 17 settembre 1847 Papa Pio IX confermò il culto “ab immemorabili” e la memoria liturgica al 17 dicembre. Qualche anno prima Papa Gregorio XVI aveva stabilito che i Colonna e gli Orsini erano le uniche due famiglie col privilegio esclusivo di Principi assistenti al soglio pontificio.
Oggi le reliquie della Beata Margherita sono venerate nella chiesa di Castel San Pietro, poco distante da Palestrina. Qui il seme da lei gettato, oltre sette secoli fa, è ancora oggi vivo attraverso le Clarisse del Monastero di Santa Maria degli Angeli.
Il Martyrologium Romanum la ricorda il 30 dicembre.


PREGHIERA
O Dio, che hai reso ammirevole nel disprezzo dei beni terreni
la Beata Vergine Margherita, ardente d’amore per Te,
concedi a noi, per sua intercessione,
di essere continuamente uniti a Te
solo mentre portiamo la croce.
Effondi su di noi, o Signore,
lo spirito di santità che hai donato alla Beata Margherita Colonna,
perché possiamo conoscere l’amore del Cristo,
che supera ogni conoscenza,
e godere la pienezza della vita divina.
Per Cristo Nostro Signore.
Amen.



Stellina788
00venerdì 17 dicembre 2010 11:43

San Perpetuo di Tours Vescovo

30 dicembre

Martirologio Romano: A Tours nella Gallia lugdunense, ora in Francia, san Perpetuo, vescovo, che edificò la basilica di San Martino e molte altre in onore di santi e ristabilì nella sua Chiesa l’uso dei digiuni e delle veglie.


Stellina788
00venerdì 17 dicembre 2010 11:43

San Raniero Vescovo

30 dicembre

m. 1077

Martirologio Romano: In Abruzzo, san Raniero da Forcone, vescovo, del quale il papa Alessandro II lodò la virtù nell’amministrare i beni.



Stellina788
00venerdì 17 dicembre 2010 11:44

San Ruggero di Canne Vescovo

30 dicembre

Canne (Bari), seconda metà dell’XI secolo - Canne, 30 dicembre 1129

Mentre l'antica città pugliese di Canne, già risorta altre volte dalle rovine, stava vivendo un'ulteriore disfatta causata dal normanno Roberto il Guiscardo, il vescovo Ruggero (sec XI) si trovò a reggere le sorti della sua città natale, restando unico riferimento per la sua gente prostrata dalla miseria e dalla fame. Il suo episcopio restò sempre aperto, divenendo la casa degli ultimi e degli indifesi. Un'antica sua fonte biografica riporta: "Andava scalzo con lo piede nudo per quelle campagne cercanno le limosine per li poveri". Ruggero fu tenuto in grande stima anche dai pontefici Pasquale II e Gelasio II, i quali più volte gli affidarono incarichi delicati, quale messaggero di pace. Morì il 30 dicembre 1129; aveva circa 60 anni.

Patronato: Barletta, Arcidiocesi di Trani-Barletta-Bisceglie

Etimologia: Ruggero = lancia gloriosa, dal tedesco

Emblema: Bastone pastorale, Aquila

Martirologio Romano: A Canne in Puglia, san Ruggero, vescovo.

Ascolta da RadioRai:
  

E’ proprio la Canne di Annibale il cartaginese, che il 2 agosto del 216 a.C. distrusse l’esercito romano dei consoli Terenzio Varrone e Lucio Emilio Paolo. L’antica città non lontana da Barletta, presso la riva destra dell’Ofanto, aveva sempre una sua importanza nel Medioevo, essendo pure sede vescovile. Ma nell’XI secolo viene il tempo della sua rovina. Roberto il Guiscardo ha creato nel Sud d’Italia il suo regno normanno, ancora insidiato però da ribellioni locali sotto la spinta dell’imperatore d’Oriente. Una di queste è capeggiata dal conte Ermanno di Canne, che le truppe del Guiscardo sconfiggono nel 1083, seminando la distruzione nella città.
E qui vediamo comparire Ruggero, il cui nome fa pensare a un’origine normanna. Ma altro non sappiamo su nascita e gioventù: l’unica notizia è quella della sua nomina a vescovo di Canne dopo il disastro, in un tempo senza speranze, col flagello endemico della guerra che scoraggia anche la volontà di ricostruire. Il suo compito primo, come emerge da una fonte popolare del XV secolo sulla sua vita, è di contribuire alla sopravvivenza di questa popolazione prostrata. Il suo episcopio era "un puro ospitio che sempre stava aperto de nocte et de giorno ad alloggiare le viandanti et le pellegrini, et le vidue et le pupilli (orfani)". L’ignoto autore ci presenta il vescovo Ruggero che "andava scalzo con lo pede nudo per quelle campegne cercanno le limosine per li poveri".
Dunque, un soccorritore instancabile, che si assume anche compiti dell’autorità civile in quel crollo delle istituzioni. Ma tra le altre poche notizie su di lui c’è anche quella di due papi consecutivi, Pasquale II e Gelasio II (in carica dal 1099 al 1119) che ricorrono al suo consiglio e alla sua esperienza in questioni di diritto, per comporre liti e placare rivalità tra ecclesiastici e comunità, in una Chiesa che sta cercando di riformarsi tra difficoltà enormi al suo interno.
Per lungo tempo il nome di Ruggero fu collegato a leggende che facevano di lui un vescovo del V secolo. La sua vicenda storica è stata poi delineata a fine ’800 dagli studi di don Nicola Monterisi, futuro arcivescovo di Salerno. A Ruggero si attribuiscono già miracoli in vita, e dopo la morte (collocata al 30 dicembre 1129) è la voce popolare a proclamare subito la sua santità. Dapprima egli viene sepolto nella cattedrale di Canne. Ma ormai la gente si stacca dall’antica città, che non è più in grado di risorgere. I cittadini, e anche i vescovi successori di Ruggero, si trasferiscono via via a Barletta, dove nel XIII secolo vengono portati anche i resti del santo: dapprima in Santa Maria Maggiore e più tardi presso il monastero benedettino di Santo Stefano, che poi si chiamerà di San Ruggero, venerato insieme come vescovo di Canne e come protettore di Barletta.
L'emblema di San Ruggero, oltre al bastone pastorale, è anche l'aquila, perchè la tradizione vuole che un volatile abbia fatto ombra al santo con le sue ali durante un viaggio.



Stellina788
00venerdì 17 dicembre 2010 11:45

San Savino di Assisi Vescovo

30 dicembre

Sec. III-IV

Emblema: Bastone pastorale

La biografia del Santo appare incerta e frammentaria, la tradizione lo vuole nativo di Sulmona, e per alcuni anni, eremita presso la selva Liba (nelle vicinanze di Fusignano). La leggenda asserisce che in seguito all'apparizione di un angelo durante il suo romitaggio fu spinto all'evangelizzazione della zona tra Spoleto ed Assisi. La testimonianza del suo passaggio in questi luoghi potrebbe essere riscontrata dalla presenza di un monte nella zona che si chiama Costa San Savino. La sua presenza ad Assisi invece è certa, in quanto in questa città ricopri il soglio episcopale verso la fine del III secolo e l'inizio del IV. In questo periodo, in seguito agli editti di Diocleziano e Massimiano subì il martirio. Fu sepolto a Spoleto, per essere traslato in seguito a Fusignano. Da qui, al tempo di Astorgio II Manfredi signore di Faenza, conte di Bagnacavallo e di Fusignano, venne trasferito a Faenza, tra il 1438 ed il 1444, dove attualmente risiedono ancora le sue spoglie, che si trovano nella cappella dedicata al Santo all'interno della cattedrale cittadina.


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