30 ottobre

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Stellina788
00mercoledì 27 ottobre 2010 09:36

Beato Alessio (Oleksa) Zaryckyj Sacerdote e martire

30 ottobre

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Bilch, Ucraina, 17 ottobre 1912 – Dolynska, Kazakistan, 30 ottobre 1963

Oleksa Zaryckyj nacque il 17 ottobre 1912 nel villaggio di Bilch, nella regione ucraina di Lviv (Leopoli). Nel 1931 entrò nel seminario di Lviv e cinque anni dopo ricevette l’ordinazione presbiterale dal metropolita Sheptytsky, quale sacerdote diocesano dell’Arcieparchia di Lviv degli Ucraini. Nel 1948 fu catturato dai bolscevichi, condannato a dieci anni di carcere e deportato a Karagandà in Kazakistan. Liberato in anticipo nel 1957, Oleksa Zaryckyj fu nominato Amministratore Apostolico del Kazakistan e della Siberia, ma non fece in tempo a ricevere la consacrazione episcopale. Poco dopo venne infatti nuovamente internato nel campo di concentramento di Dolinka, presso Karagandà, ove morì martire della fede il 30 ottobre 1963. Fu beatificato da Giovanni Paolo II il 27 giugno 2001, insieme con altre 24 vittime del regime sovietico di nazionalità ucraina.

Etimologia: Alessio = protettore, difensore, dal greco

Martirologio Romano: Nella cittadina di Dolinka vicino a Karaganda nel Kazakistan, beato Alessio Zaryckyj, sacerdote e martire, che, deportato sotto un regime ostile a Dio in un campo di prigionia, nel combattimento per la fede conquistò la vita eterna.


Nacque a Leopoli (Ucraina occidentale) nel 1912, figlio di cattolica famiglia. Ha un solo desiderio in cuore, il giovanissimo Alessio: farsi sacerdote. Cresce e studia, puntando deciso alla meta: il santo altare. Nella cattedrale della sua città, nel 1936, a 24 anni, è ordinato sacerdote.
È un tempo terribile: Stalin sta facendo della Russia e dell’Europa orientale fino alla Siberia un’immensa prigione, dove i cattolici sono i primi a essere perseguitati, e i preti, considerati pericolosi per il regime comunista, devono essere i primi a sparire.

Non tradite la Fede!
P. Alessio è un vero innamorato di Gesù e per amore a Lui alimenta un dirompente spirito di apostolato, uno zelo instancabile per le anime, una dedizione senza limiti al suo ministero. È sempre disponibile, senza mai pensare a se stesso, con un’indole mite che avvicina tutti, una singolare comprensione per le persone: il vero stile del buon pastore.
Nella sua diocesi gli sono affidate alcune comunità: perseguitati sì, ma mai abbattute, animate nella fede in Gesù Crocifisso e Vivo, dall’esempio dei loro pastori e dei loro martiri. P. Alessio si preoccupa di donare una catechesi essenziale, attingendo al Vangelo e al Magistero della Chiesa: Gesù al centro di tutto, la fedeltà a Lui, la fuga dal peccato e la vita in grazia di Dio, lo spirito di fortezza per testimoniare Gesù anche davanti alla morte, l’attesa del Paradiso.
Grazie a lui, i suoi fedeli si confessano almeno ogni mese e, moltissimi di loro, ricevono Gesù Eucaristico ogni giorno. La sua prima preoccupazione, pur sapendo di rischiare il carcere e la vita, è che tutti possano confessarsi e ricevere spesso l’Eucaristia. Per undici anni, così: tenuto d’occhio e braccato, quasi fosse un brigante, dalla polizia del regime comunista ateo e omicida!
Nel 1948, parroco in Ucraina, viene arrestato, a causa della sua fedeltà alla Chiesa Cattolica. Le autorità comuniste gli propongono di diventare vescovo ortodosso, separandosi dal Papa di Roma e così avrebbe avuto vita più facile. P. Alessio rifiuta in modo aspro: "Separarmi dal Papa – dichiara – è tradire il Vangelo di Cristo!". Ai suoi parrocchiani, prima di avviarsi al carcere, raccomanda: "Non tradite mai la fede dei nostri padri".
Tutti sentono il grande vuoto da lui lasciato; come sacerdote greco-cattolico non si era limitato al rito orientale, ma per amore dei suoi fedeli cattolici-romani, aveva imparato con naturalezza anche la celebrazione della santa Messa nel rito latino. Dal carcere scrive lettere ai suoi cari e ai suoi fedeli. Al padre anziano: "Ogni giorno e ogni ora dobbiamo offrire tutto a Gesù sofferente che portò la sua croce sul Calvario per mostrarci come si arriva alla vita eterna. Prega molto. La preghiera è la nostra più grande forza". A un suo fratello sposato con figli: "Confessatevi più volte l’anno, amate il S. Sacrificio della Messa e allora avrete Dio nella vostra anima. Chi ha Dio nell’anima, ha tutto. Chi non ha Dio nella sua anima, non possiede nulla, anche se fosse padrone del mondo. Questo è il mio raggio di luce, il pensiero più alto della mia vita".
Quel che soffre in carcere, nella mani di quei mostri, solo Dio lo sa: prega e soffre anche per i suoi persecutori. Un’unica certezza: "Gesù, il mio Gesù c’è, mi è vicino e mi ama". Alla morte di Stalin, nel marzo 1953, e poi nel 1956, in seguito al XX congresso del PCUS, sembra allentarsi (sembra soltanto, perché in realtà non è neppure così con Krusciov) la ferrea morsa della dittatura comunista che pretende’ di annientare la Chiesa Cattolica. P. Alessio esce di carcere e subito riprende il suo apostolato, sempre tenuto d’occhio però dalla polizia, con suo rischio enorme.

Il vangelo di Dio
Prima della fine del 1956, mentre Krusciov (così democratico!) fa invadere con i carri armati e schiaccia nel sangue l’Ungheria, P. Alessio Zarytsky è costretto all’esilio a Karaganda nel Kazakistan. Da tutti è accolto come Gesù in persona e i fedeli lo chiamano presto "il vagabondo di Dio". Intraprende infatti viaggi pastorali di migliaia di chilometri attraverso il Kazakistan, grande nove volte più dell’Italia. Per far visita ai cattolici, si spinge fino in Siberia; nessuno lo ferma, né il clima micidiale né il controllo della polizia: è rotto a tutte le fatiche, a tutti i rischi, per amore del suo Gesù: "Ma mi vuoi dire, che cosa non si fa per Gesù?.
In segreto, nel 1957, è nominato amministratore apostolico per Kazakistan e l’Asia centrale dall’Arcivescovo metropolita ucraino Josyf Slipyi (1984), futuro Cardinale, che per 20 anni ha sofferto l’indicibile nei gulag della Siberia. Nei suoi lunghi viaggi, P. Alessio si ferma dove sa che ci sono comunità di cattolici per amministrare i Sacramenti a diverse famiglie fino nei villaggi più sperduti. Nei medesimi anni, si reca più volte presso quei cattolici tedeschi che dalle terre del Volga e del mar Nero erano stati deportati da Stalin tra gli Urali e internati in povere baracche. Ricorda Maria Schneider, madre dell’attuale Vescvovo di Karaganda, Mons. Athanasius Schneider: "Nel gennaio 1958, nella città di Krasnokamsk vicino a Perm nei monti Urali, all’improvviso arrivò P. Alessio, proveniente dal suo esilio in Kazakistan. Si adoperava affinché il maggior numero possibile di fedeli fosse preparato per ricevere Gesù Eucarisico nella S. Comunione. Perciò si disponeva ad ascoltare le confessioni dei fedeli di giorno e di notte, senza dormine e senza mangiare. I fedeli lo sollecitavano dicendogli: "Padre, deve mangiare e dormire!". Lui rispondeva: "Non posso perché la polizia mi può arrestare da un momento all’altro, e tante persone resterebbero senza confessione, quindi senza Comunione Eucaristica". Dopo che tutti si furono confessati, P. Alessio cominciò la S. Messa. Improvvisamente risuonò la voce: "La polizia è vicina". Quella volta, poté sfuggire alla polizia grazie, all’aiuto di Maria Schneider, la quale continua a narrare: "Dopo un anno, ritornò a Krasnokamsk. Questa volta, poté celebrare la S. Messa e dare la Comunione ai fedeli" (da Athanasius Schneider, Dominus est, Libreria Editrice Vaticana 2008, bellissimo libro da leggere e diffondere!).

Sacerdote davvero eucaristico
Ancora una volta, riprende il suo apostolato di prete itinerante, senza fissa dimora, rivolgendosi soprattutto al Kazakistan. Ricorda suor Anastasia Bium: "Nel 1961, avevo 21 anni e incontrai per la prima volta P. Alessio: il primo giovane prete che vedevo e mi impressionò per il suo aspetto gioioso, la sua indole gaia e il suo sorriso sereno. Tutto questo era nuovo per me, perché i sacerdoti che avevo conosciuto fino a allora, erano segnati dalla persecuzione e dalle sofferenze. P. Alessio confessava fino a tarda notte e a volte, dopo la S. Messa, mia madre lo invitava a casa e noi ci confessavamo da lui nell’unica stanza che era tutta la nostra abitazione. Poi celebrava la la Messa, tutto assorto in Dio, spesso alle 4 del mattino. Riusciva a dire Verità e fatti molto seri in un modo amabile. Non parlava mai di sé, dei terribili anni passati in prigione e delle torture subite. Non si sarebbe detto che avesse subito tante sofferenze fisiche e morali e che patisse allora forti dolori allo stomaco. Era sempre spiato e perseguitato. Donava tutto ciò al Signore e incoraggiava anche noi a soffrire e unire la nostra povertà e le nostre prove alle sofferenze di Gesù. Nei suoi spostamenti, portava sempre con sé il SS.mo Sacramento per poter dare la S. Comunione ai malati e agli agonizzanti, dopo averli confessati".
P. Alessio era in tutto un vero sacerdote, figli di Maria SS.ma, e con gioia predicava la vita purissima della Vergine Madre di Dio, come modello per la vita di ogni credente. Era solito dire: "Come Maria, dobbiamo essere dei gigli di amore e di purezza per Gesù. Sì, dobbiamo fiorire davanti a Gesù come dei candidi gigli, in un luminoso candore".
"Ho impressa nella mia mente – conclude suor Anastasia – l’ultima sua visita, durante cui egli ci disse con aspetto serio: "Oggi è l’ultima volta che sono con voi, poi mi porteranno di nuovo in prigione". Dopo la S. Messa, ricevemmo la sua benedizione, e le sue parole di addio furono come un testamento per la nostra famiglia: "Regolate la vostra vita in modo che in futuro potremo ritrovarci tutti nel Cuore di Gesù per glorificare Dio per tutta l’eternità".

Martire con Maria
Nel mese aprile 1962, P. Alessio viene arrestato a tradimento dalla polizia segreta e messo nel campo di concentramento di Dolinka presso Karaganda, dove tra terribili sofferenze si avvia alla fine. Una volta, alcune donne di grande fede e coraggio, avvicinatesi al filo spinato del campo, riescono a vederlo in una scena atroce. Le guardie, dopo averlo picchiato brutalmente, lo calano in una buca profonda… per tirarlo fuori con delle corde, grondante di sangue. Le donne piangono, impotenti a aiutarlo, ma lui, vedendole, esclama: "Non piangete. Questa è la via della croce, la passione di Gesù!". Un giorno può far uscire dal carcere una breve lettera su cui ha scritto ai suoi fedeli: "La Madonna mi ha fatto visita e mi ha detto: caro figlio mio, ancora un po’ di sofferenza. Verrò presto a prenderti con me".
Dopo tanti maltrattamenti e umiliazioni, P. Alessio ottiene la palma del martirio "ex aerumnis carceris" (= per le torture del carcere), il 13 ottobre 1963. L’indomani, vigilia della festa dei Santi, quando il becchino sta per dargli sepoltura in totale solitudine, sente dei canti bellissimi e, voltandosi, vede una "giovane donna", vestita di bianco, che segue il povero carretto su cui sta la salma martoriata, e canta inni di ineffabile dolcezza e solennità. Il becchino si domanda tra sé come abbia fatto a entrare nel campo, vorrebbe chiederglielo, ma non osa. Quando tutto è compiuto, la donna non c’è più e egli comprende: Maria SS. ma era venuta a prendere il suo figlio sacerdote e martire della fede, martire per l’Eucaristia.
Il 27 maggio 2001, Papa Giovanni Paolo II, a Leopoli ha beatificato P. Alessio Zarytsky. Nel 2007, Mons. Schneider ha consacrato a Karanganda la prima chiesa in onore del beato Alessio, indossando anche la cotta a lui appartenuta e regalatagli da suo fratello Ivan Zarytsky, tuttora vivente. "Davvero un santo eucaristico – afferma nel libro citato, Mons. Schneider – che poté educare anime eucaristiche, fiori cresciuti nel buio e nel deserto della clandestinità, rendendo la Chiesa veramente viva". Ci servono dei preti della stessa razza.



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00mercoledì 27 ottobre 2010 09:37

Beato Angelo d'Acri Frate cappuccino

30 ottobre

Acri, 19 ottobre 1669 - 30 ottobre 1739

Nato nel 1669 ad Acri (Cosenza), Lucantonio Falcone ebbe un cammino vocazionale singolarmente travagliato. Entrò e uscì dal noviziato cappuccino per ben due volte. Il terzo tentativo fu decisivo. Venne ordinato sacerdote nel 1700 nella cattedrale di Cassano. Esercitò il suo apostolato come padre provinciale e, soprattutto, come predicatore in tutto il Mezzogiorno per 40 anni. Era conosciuto come l'«Angelo della pace». In vita e dopo la morte, avvenuta nel 1739, compì numerosi miracoli. Il suo corpo è venerato nella basilica di Acri, che è a lui dedicata. È stato beatificato da Papa Leone XII nel 1825. (Avvenire)

Martirologio Romano: Ad Acri in Calabria, beato Angelo, sacerdote dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini, che, percorrendo instancabilmente il regno di Napoli, predicò la parola di Dio con un linguaggio adatto ai semplici.


Era il 19 Ottobre del 1669 quando in Acri in provincia di Cosenza nasceva Lucantonio Falcone. Poveri i genitori, ma ricchi di virtù cristiane.
Singolare, anzi forse unica, nella storia dei Religiosi, fu la sua vocazione.
A diciotto anni chiese ed ottenne di farsi Frate Cappuccino, ma oppresso da dubbi ed incertezze per due volte lasciò il noviziato, depose l'abito religioso e ritornò a casa dove pensava di costruirsi una vita al pari degli altri. Pur circondato dall'affetto della tenerissima madre, il suo cuore restava inquieto, perché i disegni di Dio su di lui erano diversi. Rientrò in convento per la terza volta e misticamente moriva Lucantonio Falcone e nasceva Frate Angelo d'Acri. A passi da gigante percorse tutte le tappe di vita religiosa che lo portarono al Sacerdozio, il 10 Aprile del 1700, nell'antica Cattedrale di Cassano Jonio.
Sulle sue spalle montanare subito caddero pesanti responsabilità e delicati incarichi che assolse con impegno e successo; fu Superiore Provinciale dei Cappuccini e per il suo modo di governo venne chiamato l'"Angelo della pace", ma, la predicazione sistematica, è stato il ministero principale di servizio reso alla Chiesa e all'Ordine Cappuccino per quaranta anni. Era divenuto il missionario più ricercato ed ascoltato dell'Italia meridionale tanto che si diceva che quando predicava, "nelle case non ci restavanu mancu li gatti".
La vita del beato Angelo d'Acri, è stata una rappresentazione vivente di Gesù, non tanto esteriore, ma interiore. Le testimonianze giurate ricordano come recitava a memoria la Sacra Scrittura e come ne faceva sempre uso nell'evangelizzazione del popolo.
Il 30 Ottobre 1739, fisicamente sfinito dalle fatiche apostoliche, se ne volava al Cielo. Il 18 Dicembre 1825, Papa Leone XII proclamò Beato il Cappuccino di Acri. Il suo corpo, ricomposto, è oggetto di quotidiana venerazione nella Basilica a Lui dedicata.

Autore: Carmelo Randello




C’è chi si vede contrastare la vocazione in famiglia e c’è chi i maggiori contrasti li incontra nel suo cuore: a questi ultimi appartiene Lucantonio Falcone, nato ad Acri, provincia di Cosenza, il 19 ottobre 1669. La famiglia, religiosissima e di saldi principi, non si sarebbe mai sognata di contrastare la sua vocazione, ma il brutto è che Lucantonio i contrasti se li sente dentro. Quando a 15 anni incontra un cappuccino carismatico gli sembra di capire che solo tra i cappuccini potrà realizzare la sua vocazione. A 19 anni prende il saio, ma pochi mesi dopo se ne torna a casa perché gli sembra di sentirsi chiamato a formare una famiglia tutta sua. Si ripente e torna in convento, ma torna a deporre il saio perché non si sente all’altezza della vocazione religiosa. Non ci troviamo di fronte all’eterno indeciso o ad una vocazione fragile, ma semplicemente ad un giovane che con fatica ricerca la sua strada, certamente contrastato da colui che in seguito egli avrebbe sempre combattuto, il diavolo, che forse già prevede gli smacchi che quel cappuccino gli farà subire. Torna così di nuovo in convento, questa volta per sempre. Gli cambiano il nome in Fra Angelo e viene ordinato prete nel 1700: presto però lo soprannomineranno “angelo della pace” e “apostolo del Mezzogiorno”. Infatti, se sulle sue spalle vengono a ricadere i pesanti e gravosi incarichi che il suo Odine gli affida, la sua “professione” principale diventa ben presto la predicazione. Predica per quasi 40 anni: all’inizio come gli hanno insegnato e secondo l’uso del tempo, con ampollosità e retorica. Famosa è la predica “barocca”, preparata con tanta cura, che lo zelante predicatore impara a memoria prima di salire sul pulpito dove, appena giunto, perde subito il filo del discorso e fa scena muta, vergognandosene terribilmente. Cambia allora stile, impara a parlare in modo popolare e semplice, per farsi capire anche dai “cafoni” che apprezzano la sua oratoria spontanea e si convertono in massa, tanto che quando predica “nelle case nun ci restavanu mancu li gatti”. Non così a Napoli, dove giunge chiamato dal Cardinal Pignatelli e.. ”predica alle panche”, perché gli intellettuali, accorsi numerosi a sentire il famoso predicatore, rimangono delusi dalla sua oratoria scarna e senza fronzoli. Uno solo intuisce il “danno” che un simile predicatore può fare e inizia a temere e boicottare Padre Angelo: il demonio. Quasi anticipatore di Padre Pio, Padre Angelo intraprende una lunga lotta contro il maligno, ricevendone in cambio tentazioni e botte: come il santo di Pietrelcina, anche Padre Angelo si ritrova con la testa fracassata, il corpo flagellato, le gambe sanguinanti dopo aver sostenuto battaglia contro il demonio, che lo chiama “straccione” e “ladro” perché gli porta via le anime che già credeva sue per sempre. E come Padre Pio, contro il demonio, oltre l’arma della preghiera e della penitenza, sfodera quella dell’umorismo. Tutto contribuisce a sfinire questo predicatore e questo missionario, che se ne va il 30 ottobre 1739, poco più che settantenne e la Chiesa fa memoria oggi del Beato Angelo d’Acri, tale solennemente proclamato da Leone XII, nel 1825.


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00mercoledì 27 ottobre 2010 09:38

Santi Claudio, Luperco e Vittorico Martiri di León

30 ottobre

León (Spagna), † inizi IV secolo

Etimologia: Claudio = zoppo, dal latino

Emblema: Palma

Martirologio Romano: A León in Spagna, santi Claudio, Lupercio e Vittorio, martiri, che subirono la passione in quanto cristiani durante la persecuzione dell’imperatore Diocleziano.


Gli ‘Atti’ che li riguardano, ci sono pervenuti in due distinte redazioni, molto antiche ma poco veritiere. La più antica risale al secolo XI, ricavata da un santorale della cattedrale di Toledo, poi perduto, presenta Claudio, Luperco e Vittorico come soldati della Settima Legione, che soffrirono per la fede cristiana sotto il preside Diogeniano.
La “Passio” più recente invece li considera originari di León e figli del centurione san Marcello martire (30 ottobre).
A questo punto occorre ricordare che per quanto riguarda i martiri dei primi secoli, mancando una documentazione certa, il loro martirio si tramandava nei particolari, tramite tradizioni orali, finché uno scrittore di ‘Atti’ o ‘Passio’, spesso di qualche secolo dopo, riportava per iscritto i particolari del martirio, il raggruppamento di più martiri, i rapporti di parentela, rifacendosi alle tradizioni e mettendoci troppo spesso dei racconti frutto della sua fantasia.
Così l’estensore della ‘Passio’ di s. Marcello martire della Mauritania in Africa, lo fa diventare un martire spagnolo, di nobile famiglia, per seguire la sua iniziativa di dare ad un martire famoso, l’appartenenza ad una famiglia illustre, aumentando in questo caso i titoli di vanto della città di León; quindi poi il preside Diogeniano indicato nella prima ‘Passio’, diventò Aurelio Agricolano, personaggio influente nel martirio di s. Marcello e Claudio, Luperco e Vittorico divennero suoi figli.
Questa parentela fu in seguito accettata nei breviari e dagli agiografi e così accolta anche nel Martirologio Romano, che alla data del 30 ottobre li riporta tutti e quattro, sebbene in due voci distinte, perché diversi furono i luoghi del martirio.
Ad ogni modo alcuni elementi della ‘passio’, fanno pensare che effettivamente i tre giovani martiri fossero soldati di origine spagnola, uccisi a León, primitiva base militare della “Legio VII gemina”.
Subirono il martirio forse per decapitazione, come già per s. Marcello il loro presunto padre, durante la persecuzione di Diocleziano (243-313) quando questa infuriò in Spagna con particolare severità; sul luogo del martirio nei pressi di León fu poi costruita l’abbazia benedettina di S. Claudio e in seguito vari monasteri e chiese furono a loro dedicate in tante diocesi spagnole.
Le loro reliquie ebbero varie traslazioni nei secoli seguenti; verso la metà dell’XI secolo, Ferdinando I re di Castiglia e di León, fece trasportare parte delle loro reliquie nella chiesa di S. Isidoro a León, da lui fatta rinnovare; nel 1173 furono traslate nella nuova chiesa dedicata ai tre martiri e poste sull’altare maggiore.
Quando nel 1834 detta chiesa andò distrutta, le reliquie furono portate nella chiesa di S. Marcello martire, loro presunto padre.
La loro festa, che sin dall’XI secolo si celebra il 30 ottobre e in alcuni casi il 31, in tutta la Spagna e Portogallo, ora si celebra solo nella diocesi di León.


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00mercoledì 27 ottobre 2010 09:38

Sant' Eutropia di Alessandria Martire

30 ottobre

Martirologio Romano: Ad Alessandria d’Egitto, santa Eutropia, martire, che rese lo spirito tra crudelissimi supplizi per essersi rifiutata di rinnegare Cristo.



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00mercoledì 27 ottobre 2010 09:39

San Gerardo di Potenza Vescovo

30 ottobre

m. 1119

Gerardo, vescovo del XII secolo, è il patrono della città e dell'arcidiocesi di Potenza. Nato a Piacenza in una famiglia di nobili origini, si diresse verso l'Italia Meridionale probabilmente con l'intenzione di imbarcarsi insieme ai crociati verso i Luoghi Santi. Giunto però a Potenza iniziò a dedicarsi all'apostolato. E il suo impegno gli attirò a tal punto l'ammirazione della gente che, quando morì il vescovo, il clero e il popolo lo scelsero come successore. Ordinato vescovo ad Acerenza, resse la Chiesa di Potenza per otto anni. Anche da vescovo «era di tanta sobrietà - scrive il biografo e successore Manfredi - da sembrare un monaco». Morì nel 1119. Trascorso un solo anno papa Callisto II lo proclamò santo a furor di popolo. (Avvenire)

Etimologia: Gerardo = valoroso con la lancia, dal tedesco

Emblema: Bastone pastorale

Martirologio Romano: A Potenza, san Gerardo, vescovo.

Ascolta da RadioMaria:
  

Oggi, il Martirologio Romano fissa il ricordo di S. Gerardo vescovo a Potenza nella Lucania. Era questi nativo di Piacenza e, trasferitosi a Potenza, venne scelto come vescovo per le sue virtù e la sua attività taumaturgica. Morto dopo appena otto anni di episcopato, il suo successore Manfredo ne scrisse una Vita forse troppo dichiaratamente panegiristica e soprattutto ne ottenne una canonizzazione "viva voce" (ossia senza documentazione scritta) da parte del papa Callisto II (1119-24).S. Gerardo, patrono della città e dell'archidiocesi di Potenza, nativo di Piacenza, discendente dalla nobile e illustre famiglia La Porta, fu Vescovo di questa città dal 1111 al 1119. Uomo di cultura e di solida pietà, dopo aver trascorso la sua giovinezza in patria si diresse verso l'Italia Meridionale, come tanti altri spiriti nobili del suo tempo, o alla ricerca di solitudine o per essere più vicino ai punti di imbarco dei crociati, diretti verso i luoghi santi. Giunto a Potenza, Gerardo vide aprirsi davanti un vasto campo di apostolato, specialmente tra la gioventù. Apri a tutti gratuitamente i tesori della sua cultura e della sua bontà, attirandosi la simpatia di tutto il popolo. Alla morte del Vescovo della città, clero e popolo lo elessero loro pastore. Fu consacrato Vescovo ad Acerenza. La dignità conseguita non mutò l'austerità della sua vita né la semplicità dei suoi costu-mi. Manfredi, suo biografo e poi successore nella catte-dra episcopale, cosi descrive questo periodo della sua vita: "Onorato della gloria pontificale, apparve più umile, più mansueto, più piò, più benigno, più diligen-te nell'esercizio delle virtù. Era di tanta sobrietà da sembrare un monaco".
Il Signore si compiacque di far rifulgere la santità del suo servo ancora in vita, con segni miracolosi, come il cambiamento dell'acqua in vino. Appena un anno dopo la sua morte, il Pontefice di Roma Callisto II ne proclamò la santità. Le ossa di S. Gerardo riposano sotto l'altare a lui dedicato nella Chiesa Cattedrale di Potenza. Il Santo viene onorato, in modo particolare, il 30 ottobre, giorno della sua morte, e il 30 maggio a ricordo della traslazione delle sue ossa, fatta dal Vescovo Oberto nel 1250.



Stellina788
00mercoledì 27 ottobre 2010 09:40

San Germano di Capua Vescovo

30 ottobre

Capua, V secolo - † 30 ottobre 451

Martirologio Romano: A Capua sempre in Campania, san Germano, vescovo, di cui scrisse il papa san Gregorio Magno.

Ascolta da RadioRai:
  

Di s. Germano esiste una vasta bibliografia che parla di lui, ma soprattutto della sua opera di vescovo. Nel mentre una ‘Vita’ anteriore all’873-74, scritta quindi più di tre secoli dopo la sua esistenza, dà del santo poche notizie generali.
Egli nacque a Capua nel V secolo, figlio di Amanzio e Giuliana, illustri cittadini della storica città; alla morte del padre, Germano ereditò l’ingente patrimonio e con il consenso della madre vendette tutto e diede il ricavato ai poveri.
Così poté dedicarsi più liberamente alla vita spirituale, a cui si sentiva chiamato, con sante letture, preghiere, mortificazioni. Nel 519 ca. essendo morto il vescovo di Capua Alessandro, fu designato a succedergli secondo le modalità dell’epoca, cioè eletto dal clero e dal popolo; dopo aver resistito per umiltà, alla fine accettò la carica.
Il “Liber Pontificalis” aggiunge altre notizie sicure; il papa s. Ormisda (514-523) dopo che erano falliti i tentativi dei suoi predecessori e con l’infelice risultato di due sue legazioni, pensò di riuscire a portare a termine lo scisma acaciano in Oriente, quando divenne imperatore Giustino I nel 518.
Lo scisma ebbe origine dal nome del patriarca di Costantinopoli Acacio († 489), il quale per porre termine alle controversie tra cattolici e monofisiti, accordatosi con quest’ultimi, suggerì all’imperatore Zenone di Bisanzio di promulgare nel 482, l’“Enòtico”, formula di unione dei due pensieri religiosi; la formula diretta a tutto l’impero non risolvendo alcuni punti teologici delicati, alla fine non soddisfece nessuno. Il papa Felice III depose e scomunicò Acacio nel 484, iniziando così lo scisma cosiddetto ‘acaciano’, durato 35 anni
Lo scisma che dal 484 aveva separato da Roma la Chiesa d’Oriente, provocò anche il concetto di indipendenza dal Sommo Pontefice, il quale rivendicava il diritto pontificio a definire in materia di fede e di disciplina.
L’imperatore Giustino I, già dai primi giorni dalla sua elezione, insieme ad altri personaggi influenti della sua corte bizantina, come il nipote Giustiniano e il patriarca Giovanni, chiesero al papa di inviare una legazione a ristabilire la pace fra le due Chiese.
E così nel gennaio del 519 papa Ormisda d’accordo con Teodorico, che regnava in Italia con sede in Ravenna, inviò la sua terza legazione guidata dal vescovo di Capua Germano, e composta inoltre da un altro vescovo di nome Giovanni, dal diacono romano Felice, dal celebre Dioscoro, diacono alessandrino ma residente a Roma, dal prete romano Blando e dal notaio ecclesiastico Pietro.
La guida di questa importante missione, rivela la stima che si aveva nella dottrina, saggezza e virtù di Germano. Essi furono accolti trionfalmente a Costantinopoli e ricevuti in solenne udienza dall’imperatore; letto il celebre ‘libellus’ di papa s. Ormisda, dopo breve contraddittorio condotto sapientemente dai delegati, alla fine i vescovi presenti convennero con le tesi pontificie e così il giovedì santo del 519, anche il patriarca Giovanni accettò la formula del papa.
La pace nella Chiesa era stata raggiunta e lo scisma rientrato, fra l’esultanza generale e recandosi tutti in chiesa per il canto del ringraziamento a Dio. I Legati pontifici rimasero a Bisanzio più di un anno, per consolidare il risultato della conciliazione, anche nelle altre Chiese Orientali e per superare ulteriori contrasti dovuti ad irrequieti monaci sciti. Verso il 10 luglio del 520 essi ripresero la via del ritorno.
S. Gregorio Magno nei suoi ‘Dialoghi’ racconta due episodi che riguardano s. Germano, il primo è che l’anima del diacono romano Pascasio, sarebbe apparsa a Germano nelle Terme di Agnano (NA) e che per le sue preghiere, sarebbe stata liberata dalle pene del Purgatorio.
Il secondo episodio invece racconta, che s. Benedetto, mentre era in contemplazione a Montecassino, ebbe la visione dell’anima di s. Germano che saliva al cielo, trasportata dagli angeli e in un globo di fuoco; il santo patriarca allietato da tanta gloria del vicino vescovo di Capua, mandò persone fidate a chiedere di lui, ricevendo la notizia che nel momento stesso della visione, Germano moriva; era il 30 ottobre del 541.
Germano fu sicuramente amico di s. Benedetto, come lo fu di s. Sabino vescovo di Canosa e del papa s. Giovanni I. Inizialmente Germano fu sepolto in Capua Vetere, nella chiesa di S. Stefano, dove lui stesso aveva fatto collocare le reliquie del santo protomartire e in questa chiesa, edificata dall’imperatore Costantino, s. Germano fu a lungo venerato.
Poi costruita la nuova città, il suo corpo fu trasferito in essa. Nell’866 l’imperatore Ludovico II venne in Italia e dimorò per circa un anno a Capua e quando ripartì, portò con sé il corpo di s. Germano; poi passando per la città fondata dall’abate Bertario ai piedi di Montecassino, con il nome di Eulogimenopoli, egli vi lasciò parte delle reliquie di s. Germano; per la presenza di queste reliquie e per la venerazione che si era instaurata, la città si chiamò poi S. Germano, nome rimasto fino al 1863, quando fu mutato in quello più antico di Cassino.
Nel suo viaggio di ritorno in Germania, Ludovico II lasciò altre reliquie del santo vescovo a Piacenza, dove da secoli sono venerate nella cripta della celebre chiesa di S. Sisto. E proprio da Piacenza nel 1846, l’abate di Montecassino Frisari, ottenne per la città di Cassino alcune reliquie di s. Germano, perché il dito del santo, che era l’unica reliquia superstite nel tempo, era andata persa durante i saccheggi dei francesi alla fine del secolo XVIII.
Il culto per s. Germano, vescovo di Capua, è bene specificarlo, perché di santi o martiri con questo nome ve ne sono una trentina, senza contare i personaggi moderni; pur essendo presente in altre zone anche fuori d’Italia, è soprattutto attestato nelle zone di Capua e Cassino e di qualche parrocchia è pure il santo titolare.
La sua festa è celebrata con particolare onore nell’Abbazia di Montecassino e soprattutto a Cassino dove è ancora speciale patrono.
Purtroppo tante opere d’arte che lo raffiguravano nella chiesa di Cassino, sono andate distrutte insieme alle reliquie, durante il disastroso bombardamento del 1944.


Stellina788
00mercoledì 27 ottobre 2010 09:40

Beato Giovanni Michele Langevin Martire

30 ottobre

Martirologio Romano: Ad Angers in Francia, beato Giovanni Michele Langevin, sacerdote e martire, ghigliottinato per il suo sacerdozio, primo di una schiera di circa cento tra uomini e donne, che, durante l’epoca del terrore nel corso della rivoluzione francese, rimasero fermamente e coraggiosamente uniti fino alla morte nel professare la fede in Cristo.



Stellina788
00mercoledì 27 ottobre 2010 09:41

Beato Giovanni Slade Martire

30 ottobre

>>> Visualizza la Scheda del Gruppo cui appartiene

+ Winchester, Inghilterra, 30 ottobre 1583

Il 30 ottobre 1583 fu arrestato il B. Giovanni Slade, maestro di scuola di Dorset, perché "papista molto pericoloso". Condotto dalla prigione di Wenchester sulla pubblica piazza, si inginocchiò accanto alla forca che vi era stata eretta, tracciò su di essa il segno della croce, la baciò e poi disse, mentre saliva la scala: "Sono venuto qui a morire per la fede di tutte le generazioni". Pochi giorni dopo fu impiccato il B. Giovanni Bodey, anche lui maestro di scuola, nato nel 1549 nella contea di Somerset. Prima di morire baciò la corda che gli era stata posta al collo esclamando: "Gesù! Gesù! Gesù!".

Martirologio Romano: A Winchester in Inghilterra, beato Giovanni Slade, martire, che fu appeso al patibolo e crudelmente sventrato per aver ricusato il potere della regina Elisabetta I in materia spirituale.

Stellina788
00mercoledì 27 ottobre 2010 09:42

San Marcello di Tangeri Martire venerato a Leon

30 ottobre

Secondo la «passio» di san Marcello il 21 luglio del 298 si celebrava la festa «augusti imperatori» e in quella data il santo, centurione ordinario di stanza a Tangeri, gettò le sue armi alla presenza della truppa riunita e proclamò la sua rinuncia al servizio militare per servire nella milizia di Cristo. Il 28 luglio fu interrogato dal preside Fortunato, il quale considerando la gravità del delitto, decise di rimandarlo al suo superiore gerarchico, Aurelio Agricolano di Tangeri. Il 30 ottobre Marcello fu di nuovo interrogato, questa volta a Tangeri, e condannato a morte. La devozione che, in seguito, aveva fatto di Marcello il patrono principale della città spagnola di León, si sviluppò lontano dai suoi resti mortali che si conservavano a Tangeri, per cui, subito dopo la liberazione di questa città, ad opera del re del Portogallo, León richiese le spoglie del suo martire. Il 29 marzo 1493 i resti di Marcello fecero il loro ingresso in città e vennero collocati nella chiesa a lui dedicata. (Avvenire)

Etimologia: Marcello, diminutivo di Marco = nato in marzo, sacro a Marte, dal latino

Martirologio Romano: A Tangeri in Mauritania, nell’odierno Marocco, passione di san Marcello, centurione, che nella festa dell’imperatore, mentre tutti sacrificavano agli dei, gettò la cintura militare, le armi e la vita stessa davanti alle insegne, professando di essere cristiano e di non poter più obbedire adeguatamente al giuramento militare, ma solo a Gesù Cristo, subendo per questo il martirio per decapitazione.


La passio di Marcello ci è pervenuta in due recensioni, trasmessa da mss. dispersi nelle biblioteche di Roma, Bruxelles, Londra, Madrid, León, Bordeaux, ecc. Fu pubblicata per la prima volta dal Ruinart, quindi dall'Allard e recentemente dal Delehaye (1923), da García Villada (1929), da J. González (1943), da B. De Gaiffier (1943) e R. Rodriguez (1948).
Il nucleo originale è riconosciuto autentico e consta di due verbali d'interrogatorio in due diversi tribunali a distanza di tre mesi, in due località diverse. Poi, intorno al sec. XI, si aggiungono delle interpolazioni che fanno di Marcello lo sposo di s. Nonia e il padre di dodici figli, Claudio, Lupercio, Vittorico, Facondo, Primitivo, Emeterio, Celidonio, Servando, Germano, Fausto, Gennaro e Marziale. L'origine e l'evoluzione di questa leggenda, profondamente radicata nella tradizione cristiana del popolo di León è stata accuratamente studiata dal De Gaiffier.
Secondo la passio, dunque, il 21 luglio del 298 si celebrava la festa degli "augusti imperatori" e, in quella data Marcello, centurione ordinario, gettò le sue armi alla presenza della truppa riunita e proclamò la sua rinuncia al servizio militare per servire nella milizia di Cristo. Il 28 luglio fu interrogato dal pre side Fortunato, il quale considerando la gravità del delitto, decise di rimandarlo al suo superiore gerarchico, Aurelio Agricolano di Tangeri. Il 30 ottobre Marcello fu di nuovo interrogato, questa volta a Tangeri, e condannato a morte.
Dall'accurato studio del De Gaifiier risulta e vidente che Marcello è un autentico martire africano e che soltanto nelle successive interpolazioni della passio, operate da scrittori spagnoli, è stato trasformato in cittadino di León, sul falso fondamento che egli appartenesse alla legio Traiarti, presunta fondatrice di quella città. Dopo questa identificazione, fatta nel sec. XVI, si credette anche di poter indicare a León la casa del martire nei pressi della Porta Cauriense, oggi trasformata in cappella dedicata al Cristo della Vittoria. Secondo questa stessa tradizione, all'avvento della pace costantiniana venne costruita a León una chiesa dedicata a Marcello.
Il cod. 11 dell'Archivio della cattedrale di León riferisce che Ramiro I (842-850) "restaurò la chiesa di S. Marcello nel suburbio legionense nei pressi della Porta Cauriense, fuori le mura della città...". Presso questa chiesa sorse un monastèro nel quale abitò l'insigne teologo legionense, s. Martino, e nel sec. XII un ospedale con lo stesso nome.
La devozione che aveva fatto di Marcello il patrono principale della città di León, era però nata e si era sviluppata lontano dai suoi resti mortali che si conservavano a Tangeri, per cui, subito dopo la liberazione di questa città, ad opera del re del Portogallo, León richiese le spoglie del suo martire. Anche le città di Jerez e Siviglia se ne disputarono il possesso. Il 29 marzo 1493, comunque, i resti di Marcello portati dallo stesso re Ferdinando il Cattolico, fecero il loro ingresso a León e vennero collocati nella chiesa a lui dedicata. Secondo documenti contemporanei conservati nell'archivio municipale le spoglie ebbero un'accoglienza "come mai ve ne fu di migliore".
Le reliquie si conservano oggi in un'arca d'argento sull'altare maggiore; vi si trovano anche una pergamena in cui si narra l'ingresso nella città e i miracoli da cui fu accompagnato, i documenti relativi alla donazione di una reliquia di M. alla chiesa di S. Gil di Siviglia e alcune lettere del re Enrico IV di Castiglia e di Isabella la Cattolica al papa Sisto IV sulla traslazione del corpo del martire a León.
Le reliquie erano portate in processione insieme con quelle di s. Froilano, in occasione di grandi calamità pubbliche. Ogni anno il 9 ottobre, data della festa, il capitolo cattedrale e la giunta comunale della città si recano processionalmente al tempio di Marcello per assistere alla Messa solenne: i canonici e i consiglieri comunali si dispongono alternati, a simbolizzare il comune e uguale diritto di patronato che per molti secoli ebbero sulla chiesa di S. Marcello e per il quale il sindaco custodiva una delle chiavi dell'arca che racchiude le reliquie del santo.



Stellina788
00mercoledì 27 ottobre 2010 09:43

San Massimo di Apamea Martire

30 ottobre

Martirologio Romano: A Cuma in Campania, san Massimo, martire.



Stellina788
00mercoledì 27 ottobre 2010 09:44

Beato Raimondo da Cardona Mercedario

30 ottobre

Commendatore fino alla morte del convento di San Martino in Perpignano (Francia), il Beato Raimondo da Cardona, fu elevato da un'angelica purezza.Famoso per la santità della vita non mancò di essere ricompensato da Dio con favori straordinari e felicemente salì alla patria celeste.
L'Ordine lo festeggia il 30 ottobre.



Stellina788
00mercoledì 27 ottobre 2010 09:45

San Saturnino di Cagliari

30 ottobre

sec. III

Etimologia: Saturnino = di carattere malinconico, dal latino

Può far sorridere i moderni Cagliaritani che ben conoscono la loro bella chiesa dei santi Cosma e Damiano, sapere che il fondatore del monastero accanto a quella chiesa scelse tale luogo perché si trovava, allora, "lontano dal rumore della città di Cagliari ".
Oggi la chiesa, situata a oriente del centro cittadino, si trova in piena città moderna ed è circondata dal rumore dell'attività giornaliera e della vita di una moderna comunità, e la cornice è dunque ben diversa da quella del VI secolo, quando visse San Fulgenzio di Ruspe. Questo personaggio, originario dell'Oriente, dove era diventato Vescovo, venne esiliato in Sardegna, dove dovette trattenersi una quindicina di anni. In quel tempo volle costruire un monastero e scelse appunto il luogo "lontano dal rumore della città", ad oriente di Cagliari.
Già allora esisteva lì una chiesa, anzi una basilica. Era intitolata a San Saturnino, e soltanto più tardi ha preso il nome dei due fratelli medici, Cosma e Damiano.
Si capisce quindi come questo monumento sia interessante dal punto di vista storico e artistico. Infatti, questa chiesa cagliaritana presenta le caratteristiche di un'architettura di tipo bizantino influenzata dalle costruzioni di quel periodo e di quello stile che un tempo si trovavano nelle regioni mediterranee dell'Africa. Questo particolare tipo di arte bizantina, scomparso quasi del tutto in Africa, si è conservato nell'isola che, simile a un grande parco nazionale dell'arte e della civiltà, custodisce memorie e vestigia antiche non soltanto di secoli, ma di molti millenni, con la freschezza di fiori di serra.
Ma chi era il San Saturnino, al quale, già nel VI secolo, era dedicata la basilica oggi intitolata ai Santi Cosma e Damiano?
La risposta non è facile, o meglio le risposte sono più d'una, e non è facile dire quale sia la più soddisfacente.
Secondo una tradizione, Saturnino è un Martire locale, di cui si narra una leggendaria Passione. Gli storici però osservano che tale tradizione è piuttosto tardiva, risalendo al Mille. Sembra costruita a posteriori per dare un volto e una storia al Santo al quale era dedicata l'antica basilica.
Per di più, il racconto della Passione di San Saturnino di Cagliari ricalca quello di un altro San Saturnino, quello di Tolosa, e di San Sergio.
Più probabile è l'ipotesi che vedrebbe in San Saturnino un Martire africano venerato in Sardegna, dati i frequenti contatti tra l'isola e le regioni mediterranee del continente africano, testimoniati anche, come abbiamo detto, nel campo dell'architettura medievale.
Ma di quale Saturnino Martire africano può trattarsi? I Martiri di questo nome sono piuttosto numerosi, e nessun indizio aiuta a scegliere quello giusto, o almeno probabile.
In conclusione, la personalità storica di San Saturnino di Cagliari è nebulosa, anzi francamente oscura. Resta la realtà del suo culto millenario nell'isola forte e generosa, e la sostanza di un monumento fuor del comune, a Cagliari, che ne ricorda la gloria e ne celebra i fasti, aggiungendo alla suggestione della leggenda e al calore della devozione il tocco fiorito della bellezza.



Stellina788
00mercoledì 27 ottobre 2010 09:46

San Saturnino di Cagliari

30 ottobre

sec. III

Etimologia: Saturnino = di carattere malinconico, dal latino


Può far sorridere i moderni Cagliaritani che ben conoscono la loro bella chiesa dei santi Cosma e Damiano, sapere che il fondatore del monastero accanto a quella chiesa scelse tale luogo perché si trovava, allora, "lontano dal rumore della città di Cagliari ".
Oggi la chiesa, situata a oriente del centro cittadino, si trova in piena città moderna ed è circondata dal rumore dell'attività giornaliera e della vita di una moderna comunità, e la cornice è dunque ben diversa da quella del VI secolo, quando visse San Fulgenzio di Ruspe. Questo personaggio, originario dell'Oriente, dove era diventato Vescovo, venne esiliato in Sardegna, dove dovette trattenersi una quindicina di anni. In quel tempo volle costruire un monastero e scelse appunto il luogo "lontano dal rumore della città", ad oriente di Cagliari.
Già allora esisteva lì una chiesa, anzi una basilica. Era intitolata a San Saturnino, e soltanto più tardi ha preso il nome dei due fratelli medici, Cosma e Damiano.
Si capisce quindi come questo monumento sia interessante dal punto di vista storico e artistico. Infatti, questa chiesa cagliaritana presenta le caratteristiche di un'architettura di tipo bizantino influenzata dalle costruzioni di quel periodo e di quello stile che un tempo si trovavano nelle regioni mediterranee dell'Africa. Questo particolare tipo di arte bizantina, scomparso quasi del tutto in Africa, si è conservato nell'isola che, simile a un grande parco nazionale dell'arte e della civiltà, custodisce memorie e vestigia antiche non soltanto di secoli, ma di molti millenni, con la freschezza di fiori di serra.
Ma chi era il San Saturnino, al quale, già nel VI secolo, era dedicata la basilica oggi intitolata ai Santi Cosma e Damiano?
La risposta non è facile, o meglio le risposte sono più d'una, e non è facile dire quale sia la più soddisfacente.
Secondo una tradizione, Saturnino è un Martire locale, di cui si narra una leggendaria Passione. Gli storici però osservano che tale tradizione è piuttosto tardiva, risalendo al Mille. Sembra costruita a posteriori per dare un volto e una storia al Santo al quale era dedicata l'antica basilica.
Per di più, il racconto della Passione di San Saturnino di Cagliari ricalca quello di un altro San Saturnino, quello di Tolosa, e di San Sergio.
Più probabile è l'ipotesi che vedrebbe in San Saturnino un Martire africano venerato in Sardegna, dati i frequenti contatti tra l'isola e le regioni mediterranee del continente africano, testimoniati anche, come abbiamo detto, nel campo dell'architettura medievale.
Ma di quale Saturnino Martire africano può trattarsi? I Martiri di questo nome sono piuttosto numerosi, e nessun indizio aiuta a scegliere quello giusto, o almeno probabile.
In conclusione, la personalità storica di San Saturnino di Cagliari è nebulosa, anzi francamente oscura. Resta la realtà del suo culto millenario nell'isola forte e generosa, e la sostanza di un monumento fuor del comune, a Cagliari, che ne ricorda la gloria e ne celebra i fasti, aggiungendo alla suggestione della leggenda e al calore della devozione il tocco fiorito della bellezza.


 
Stellina788
00mercoledì 27 ottobre 2010 09:46

San Serapione di Antiochia Vescovo

30 ottobre

Martirologio Romano: Commemorazione di san Serapione, vescovo di Antiochia, che, rinomato per erudizione e dottrina, lasciò non minore fama di santità.



Stellina788
00mercoledì 27 ottobre 2010 09:47

San Teonesto (o Teonisto o Tonisto) Vescovo e martire

30 ottobre

m. Altino sul Sile, 30 ottobre 380

Emblema: Bastone pastorale, Palma


Lo svolgersi della sua ‘Vita’ è ritenuto privo di validi fondamenti. Nel IX sec. uno storico dell’epoca lo classifica come vescovo. Abbiamo due versioni della Passio quella del sec. X e quella del sec. XI, e vari elementi sono confusi fra loro. Secondo quella del sec. X Teonesto vescovo proveniente dall’isola di Namsis,
Assieme ai discepoli Albano, Urso, Tabra e Tabrata sarebbe giunto in Gallia per la via di Milano; ad Augusta (forse Aosta) Urso morì martire.
S. Teonesto con i rimanenti compagni si portò dal re Sisemund che a sua volta lo inviò dal vescovo Paolino, ma a Magonza anche Albano fu martirizzato. Entrato nel paese dei Goti il vescovo fu abbandonato in mare con gli altri due discepoli su una nave difettosa, dopo un lungo viaggio, oltrepassata Otranto, giunse nel Golfo di Venezia dove appena sbarcato fu ucciso dagli ariani insieme a Tabra e Tabrata il 30 ottobre del 380, presso Altino sul Sile, precisamente a Musestre.
Secondo la versione del l’XI sec., il santo vescovo viene nominato per la prima volta con il nome di Teonesto, il quale esce da Filippi, partecipa al Concilio di Cartagine del 670, come si vede circa tre secoli dopo, per il resto le notizie coincidono più o meno fra le due versioni. Teonesto è onorato a Magonza insieme ai due martiri Albano ed Urso e a Treviso insieme ai due martiri Tabra e Tabrata.
A Treviso divenne patrono della sede episcopale solo dopo il Mille; vengono menzionati per la prima volta nel calendario locale nel 1184. Sue reliquie sono conservate a Treviso e nella chiesa di s. Lorenzo a Venezia.
Il santo da solo o in compagnia viene effigiato e scolpito in vari posti del trevigiano a partire dal Duomo, ai Comuni di Marano Veneziano, Possagno, ecc. La sua festa è al 30 ottobre.



Stellina788
00mercoledì 27 ottobre 2010 09:48

Beato Terenzio O'Brien Vescovo e martire

30 ottobre

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Irlanda 1601- 1647

Discendente dagli antichi re d'lrlanda e nato a Limerick, a 21 anni divenne domenicano. Fu inviato a studiare in Spagna dove ricevette anche il sacerdozio. Ritornato in Irlanda fu più volte priore di alcuni conventi e poi provinciale. Nel 1647 divenne vescovo di Emly, dedicandosi interamente al bene spirituale dei suoi fedeli e difendendo coraggiosamente la Chiesa cattolica contro Cromwell che aveva occupato il paese. Nel giugno del 1651 i protestanti iniziarono l'assedio della città di Limerick ed egli incitò i suoi concittadini alla più strenua difesa e a conservare intatta la fede cattolica. Dopo alcuni mesi di assedio Limerick dovette arrendersi a causa della fame e della peste. Il b. Terenzio venne arrestato, quindi impiccato e poi decapitato.

Emblema: Bastone pastorale, Palma

Martirologio Romano: A Limerick in Irlanda, passione del beato Terenzio Alberto O’Brien, vescovo e martire, che, membro dell’Ordine dei Predicatori, posto a capo della Chiesa di Emly, si adoperò intensamente per l’assistenza agli appestati, ma arrestato dai soldati sotto il governo di Oliviero Cromwell, fu condotto al patibolo in odio al sacerdozio e alla fede cattolica.


I beati Terenzio-Alberto O’Brien e Pietro Higgins nacquero entrambi in Irlanda nel 1601, ed entrambi entrarono nell’Ordine Domenicano nel 1622. Soffrirono il martirio per la costante fedeltà alla Chiesa di Cristo e al Papa. Ricusarono di riconoscere il Re d’Inghilterra come capo della Chiesa.

Terenzio Alberto O’Brian era un discendente diretto dell’antica e illustre stirpe dei Re d’Irlanda. Al suo nobile cuore brillò presto il fulgido ideale gusmano, e ancor giovane vestì il bianco Abito nel Convento di Limerik. Compiuti gli studi a Toledo, fu ordinato Presbitero nel 1627. Qui ricevette una più accurata formazione, sia nelle sacre scienze che nelle Leggi, oltre che nello spirito dell’Ordine. Tornato in Patria si distinse tanto nelle virtù e nel sapere, da essere più volte eletto Priore e Provinciale. Con tale titolo intervenne al Capitolo Generale di Roma nel 1644, dove ricevette il titolo di Maestro in Teologia. La fama del suo ardente zelo e della profonda dottrina giunse fino a Papa Urbano VIII il quale, ben sapendo quanto bisogno avessero quei popoli insidiati dall’eresia, di Pastori santi e coraggiosi, nel 1648 lo nominò Vescovo di Emly. Tornato in Patria il novello Vescovo non deluse le speranze del Pontefice e con indomito ardore si dedicò alla cura e alla difesa del suo gregge. Ma la prova non era lontana. L’empio eretico Ludovico Hirton cinse d’assedio la città episcopale, che però resistette eroicamente. Il crudele assalitore comprendendo allora che l’anima della resistenza era il Santo Vescovo Terenzio, e gli fece offrire in segreto una grossa somma di denaro, perché abbandonasse la città. Ne ebbe un nobile e sdegnoso rifiuto che costò la vita al povero prelato. Preso e condannato a morte, prima fece una calda esortazione al suo popolo, per poi, con animo lieto, offrirsi al carnefice. Dio, dopo la sua morte lo onorò con prodigi.
Con altri quindici compagni che ricevettero il medesimo martirio tra il 1579 e il 1654, furono solennemente beatificati il 27 settembre 1992 da Papa Giovanni Paolo II.



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