31 gennaio

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scri789
00lunedì 31 gennaio 2011 14:24

San Giovanni Bosco Sacerdote

31 gennaio

Castelnuovo d’Asti, 16 agosto 1815 – Torino, 31 gennaio 1888

Grande apostolo dei giovani, fu loro padre e guida alla salvezza con il metodo della persuasione, della religiosità autentica, dell’amore teso sempre a prevenire anziché a reprimere. Sul modello di san Francesco di Sales il suo metodo educativo e apostolico si ispira ad un umanesimo cristiano che attinge motivazioni ed energie alle fonti della sapienza evangelica. Fondò i Salesiani, la Pia Unione dei cooperatori salesiani e, insieme a santa Maria Mazzarello, le Figlie di Maria Ausiliatrice. Tra i più bei frutti della sua pedagogia, san Domenico Savio, quindicenne, che aveva capito la sua lezione: “Noi, qui, alla scuola di Don Bosco, facciamo consistere la santità nello stare molto allegri e nell’adempimento perfetto dei nostri doveri”. Giovanni Bosco fu proclamato Santo alla chiusura dell’anno della Redenzione, il giorno di Pasqua del 1934. Il 31 gennaio 1988 Giovanni Paolo II lo dichiarò Padre e Maestro della gioventù, “stabilendo che con tale titolo egli sia onorato e invocato, specialmente da quanti si riconoscono suoi figli spirituali”.

Patronato: Educatori, Scolari, Giovani, Studenti, Editori

Etimologia: Giovanni = il Signore è benefico, dono del Signore, dall'ebraico

Martirologio Romano: Memoria di san Giovanni Bosco, sacerdote: dopo una dura fanciullezza, ordinato sacerdote, dedicò tutte le sue forze all’educazione degli adolescenti, fondando la Società Salesiana e, con la collaborazione di santa Maria Domenica Mazzarello, l’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, per la formazione della gioventù al lavoro e alla vita cristiana. In questo giorno a Torino, dopo aver compiuto molte opere, passò piamente al banchetto eterno.

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San Giovanni Bosco è indubbiamente il più celebre santo piemontese di tutti i tempi, nonché su scala mondiale il più famoso tra i santi dell’epoca contemporanea: la sua popolarità è infatti ormai giunta in tutti i continenti, ove si è diffusa la fiorente Famiglia Salesiana da lui fondata, portatrice del suo carisma e della sua operosità, che ad oggi è la congregazione religiosa più diffusa tra quelle di recente fondazione.
Don Bosco fu l’allievo che diede maggior lustro al suo grande maestro di vita sacerdotale, nonché suo compaesano, San Giuseppe Cafasso: queste due perle di santità sbocciarono nel Convitto Ecclesiastico di San Francesco d’Assisi in Torino.
Giovanni Bosco nacque presso Castelnuovo d’Asti (oggi Castelnuovo Don Bosco) in regione Becchi, il 16 agosto 1815, frutto del matrimonio tra Francesco e la Serva di Dio Margherita Occhiena. Cresciuto nella sua modesta famiglia, dalla santa madre fu educato alla fede ed alla pratica coerente del messaggio evangelico. A soli nove anni un sogno gli rivelò la sua futura missione volta all’educazione della gioventù. Ragazzo dinamico e concreto, fondò fra i coetanei la “società dell’allegria”, basata sulla “guerra al peccato”.
Entrò poi nel seminario teologico di Chieri e ricevette l’ordinazione presbiterale nel 1841. Iniziò dunque il triennio di teologia morale pratica presso il suddetto convitto, alla scuola del teologo Luigi Guala e del santo Cafasso. Questo periodo si rivelò occasione propizia per porre solide basi alla sua futura opera educativa tra i giovani, grazie a tre provvidenziali fattori: l’incontro con un eccezionale educatore che capì le sue doti e stimolo le sue potenzialità, l’impatto con la situazione sociale torinese e la sua straordinaria genialità, volta a trovare risposte sempre nuove ai numerosi problemi sociali ed educativi sempre emergenti.
Come succede abitualmente per ogni congregazione, anche la grande opera salesiana ebbe inizi alquanto modesti: l’8 dicembre 1841, dopo l’incontro con il giovane Bartolomeo Garelli, il giovane Don Bosco iniziò a radunare ragazzi e giovani presso il Convitto di San Francesco per il catechismo. Torino era a quel tempo una città in forte espansione su vari aspetti, a causa della forte immigrazione dalle campagne piemontesi, ed il mondo giovanile era in preda a gravi problematiche: analfabetismo, disoccupazione, degrado morale e mancata assistenza religiosa. Fu infatti un grande merito donboschiano l’intuizione del disagio sociale e spirituale insito negli adolescenti, che subivano il passaggio dal mondo agricolo a quello preindustriale, in cui si rivelava solitamente inadeguata la pastorale tradizionale.
Strada facendo, Don Bosco capì con altri giovani sacerdoti che l’oratorio potesse costituire un’adeguata risposta a tale critica situazione. Il primo tentativo in tal senso fu compiuto dal vulcanico Don Giovanni Cocchi, che nel 1840 aveva aperto in zona Vanchiglia l’oratorio dell’Angelo Custode. Don Bosco intitolò invece il suo primo oratorio a San Francesco di Sales, ospite dell’Ospedaletto e del Rifugio della Serva di Dio Giulia Colbert, marchesa di Barolo, ove dal 1841 collaborò con il teologo Giovanni Battista Borel. Quattro anni dopo trasferì l’oratorio nella vicina Casa Pinardi, dalla quale si sviluppò poi la grandiosa struttura odierna di Valdocco, nome indelebilmente legato all’opera salesiana.
Pietro Stella, suo miglior biografo, così descrisse il giovane sacerdote: “Prete simpatico e fattivo, bonario e popolano, all’occorrenza atleta e giocoliere, ma già allora noto come prete straordinario che ardiva fare profezie di morti che poi si avveravano, che aveva già un discreto alone di venerazione perché aveva in sé qualcosa di singolare da parte del Signore, che sapeva i segreti delle coscienze, alternava facezie e confidenze sconvolgenti e portava a sentire i problemi dell’anima e della salvezza eterna”.
Spinto dal suo innato zelo pastorale, nel 1847 Don Bosco avviò l’oratorio di San Luigi presso la stazione ferroviaria di Porta Nuova. Nel frattempo il cosiddetto Risorgimento italiano, con le sue articolate vicende politiche, provocò anche un chiarimento nell’esperienza degli oratori torinesi, evidenziando due differenti linee seguite dai preti loro responsabili: quella apertamente politicizzata di cui era fautore Don Cocchi, che nel 1849 aveva tentato di coinvolgere i suoi giovani nella battaglia di Novara, e quella più religiosa invece sostenuta da Don Bosco, che prevalse quando nel 1852 l’arcivescovo mons. Luigi Fransoni lo nominò responsabile dell’Opera degli Oratori, affidando così alle sue cure anche quello dell’Angelo Custode.
La principale preoccupazione di Don Bosco, concependo l’oratorio come luogo di formazione cristiana, era infatti sostanzialmente di tipo religioso-morale, volta a salvare le anime della gioventù. Il santo sacerdote però non si accontentò mai di accogliere quei ragazzi che spontaneamente si presentavano da lui, ma si organizzò al fine di raggiungerli ed incontrarli ove vivevano.
Se la salvezza dell’anima era l’obiettivo finale, la formazione di “buoni cristiani ed onesti cittadini” era invece quello immediato, come Don Bosco soleva ripetere. In tale ottica concepì gli oratori quali luoghi di aggregazione, di ricreazione, di evangelizzazione, di catechesi e di promozione sociale, con l’istituzione di scuole professionali.
L’amorevolezza costituì il supremo principio pedagogico adottato da Don Bosco, che faceva notare come non bastasse però amare i giovani, ma occorreva che essi percepissero di essere amati. Ma della sua pedagogia un grande frutto fu il cosiddetto “metodo preventivo”, nonché l’invito alla vera felicità insito nel detto: “State allegri, ma non fate peccati”.
Don Bosco, sempre attento ai segni dei tempi, individuò nei collegi un valido strumento educativo, in particolare dopo che nel 1849 furono regolamentati da un’opportuna legislazione: fu così che nel 1863 fu aperto un piccolo seminario presso Mirabello, nella diocesi di Casale Monferrato.
Altra svolta decisiva nell’opera salesiana avvenne quando Don Bosco si sentì coinvolto dalla nuova sensibilità missionaria propugnata dal Concilio Ecumenico Vaticano I e, sostenuto dal pontefice Beato Pio IX e da vari vescovi, nel 1875 inviò i suoi primi salesiani in America Latina, capeggiati dal Cardinale Giovanni Cagliero, con il principale compito di apostolato tra gli emigrati italiani. Ben presto però i missionari estesero la loro attività dedicandosi all’evangelizzazione delle popolazioni indigene, culminata con il battesimo conferito da Padre Domenico Milanesio al Venerabile Zeffirino Namuncurà, figlio dell’ultimo grande cacico delle tribù indios araucane.
Uomo versatile e dotato di un’intelligenza eccezionale, con il suo fiuto imprenditoriale Don Bosco considerò la stampa un fondamentale strumento di divulgazione culturale, pedagogica e cristiana. Scrittore ed editore, tra le principali sue opere si annoverano la “Storia d’Italia”, “Il sistema metrico decimale” e la collana “Letture Cattoliche”. Non mancarono alcune biografie,tra le quali spicca quella del più bel frutto della sua pedagogia, il quindicenne San Domenico Savio, che aveva ben compreso la sua lezione: “Noi, qui, alla scuola di Don Bosco, facciamo consistere la santità nello stare molto allegri e nell’adempimento perfetto dei nostri doveri”. Scrisse inoltre le vite di altri due ragazzi del suo oratorio, Francesco Besucco e Michele Magone, nonché quella di un suo indimenticabile compagno di scuola, Luigi Comollo.
Pur essendo straordinariamente attivo, Don Bosco non avrebbe comunque potuto realizzare personalmente dal nulla tutta questa immane opera ed infatti sin dall’inizio godette del prezioso ausilio di numerosi sacerdoti e laici, uomini e donne. Al fine di garantire però una certa continuità e stabilità a ciò che aveva iniziato, fondò a Torino la Società di San Francesco di Sales (detti “Salesiani”), congregazione composta di sacerdoti, e nel 1872 a Mornese con Santa Maria Domenica Mazzarello le Figlie di Maria Ausiliatrice.
L’opinione pubblica contemporanea apprezzò molto la preziosa opera di promozione sociale da lui svolta, anche se la stampa laica gli fu sempre avversa, tanto che alla sua morte la Gazzetta del Popolo si limitò a citarne cognome, nome ed età nell’elenco dei defunti, mentre la Gazzetta Piemontese (l’odierna “La Stampa”) gli riservò l’articolo redazionale dosando accuratamente meriti e demeriti del celebre sacerdote: “Il nome di Don Bosco è quello di un uomo superiore che lascia e suscita dietro di sé un vivo contrasto di apprezzamenti e opposti giudizi e quasi due opposte fame: quello di benefattore insigne, geniale, e quello di prete avveduto e procacciate”.
Personalità forte ed intraprendente, bisognosa di particolare autonomia nella sua azione a tutto campo, non lasciava affatto indifferenti coloro che gli erano per svariati motivi a contatto. Ciò costituisce inoltre una spiegazione ai ripetuti scontri che ebbe con ben due arcivescovi torinesi: Ottaviano Riccardi di Netro e soprattutto Lorenzo Gastaldi. Lo apprezzò e lo appoggiò invece costantemente e senza riserve papa Pio IX, che con la sua potente intercessione permise all’opera salesiana di espandersi non solo a livello locale, sorte invece subita da numerosissime altre minute congregazioni.
Giovanni Bosco morì in Torino il 31 gennaio 1888, giorno in cui è ricordato dal Martyrologium Romanum e la Chiesa latina ne celebra la Memoria liturgica. Alla guida della congregazione gli succedette il Beato Michele Rua, uno dei suoi primi fedeli discepoli. La sua salma fu in un primo tempo sepolta nella chiesa dell’istituto salesiano di Valsalice, per poi essere trasferita nella basilica di Maria Ausiliatrice, da lui fatta edificare. Il pontefice Pio XI, suo grande ammiratore, beatificò Don Bosco il 2 giugno 1929 e lo canonizzò il 1° aprile 1934. La città di Torino ha dedicato alla memoria del santo una strada, una scuola ed un grande ospedale. Nel centenario della morte, nel 1988 Giovanni Paolo II, recatosi in visita ai luoghi donboschiani, lo dichiarò Padre e Maestro della gioventù, “stabilendo che con tale titolo egli sia onorato e invocato, specialmente da quanti si riconoscono suoi figli spirituali”.
La venerazione che Don Bosco ebbe, in vita ed in morte, per sua madre fu trasmessa alla congregazione, che negli anni ’90 del XX secolo ha pensato di introdurre finalmente la causa di beatificazione di Mamma Margherita. Merita infine ricordare la prolifica stirpe di santità generata da Don Bosco, tanto che allo stato attuale delle cause, la Famiglia Salesiana può contare ben 5 santi, 51 beati, 8 venerabili ed 88 servi di Dio.

DALLE “LETTERE” DI SAN GIOVANNI BOSCO
Se vogliamo farci vedere amici del vero bene dei nostri allievi, e obbligarli a fare il loro dovere, bisogna che voi non dimentichiate mai che rappresentate i genitori di questa cara gioventù, che fu sempre tenero oggetto delle mie occupazioni, dei miei studi, del mio ministero sacerdotale, e della nostra Congregazione salesiana. Se perciò sarete veri padri dei vostri allievi, bisogna che voi ne abbiate anche il cuore; e non veniate mai alla repressione o punizione senza ragione e senza giustizia, e solo alla maniera di chi vi si adatta per forza e per compiere un dovere.
Quante volte, miei cari figliuoli, nella mia lunga carriera ho dovuto persuadermi di questa grande verità! E’ certo più facile irritarsi che pazientare: minacciare un fanciullo che persuaderlo: direi ancora che è più comodo alla nostra impazienza e alla nostra superbia castigare quelli che resistono, che correggerli col sopportarli con fermezza e con benignità. La carità che vi raccomando è quella che adoperava san Paolo verso i fedeli di fresco convertiti alla religione del Signore, e che sovente lo facevano piangere e supplicare quando se li vedeva meno docili e corrispondenti al suo zelo.
Difficilmente quando si castiga si conserva quella calma, che è necessaria per allontanare ogni dubbio che si opera per far sentire la propria autorità, o sfogare la propria passione.
Riguardiamo come nostri figli quelli sui quali abbiamo da esercitare qualche potere. Mettiamoci quasi al loro servizio, come Gesù che venne a ubbidire e non a comandare, vergognandoci di ciò che potesse aver l’aria in noi di dominatori; e non dominiamoli che per servirli con maggior piacere. Così faceva Gesù con i suoi apostoli, tollerandoli nella loro ignoranza e rozzezza, nella loro poca fedeltà, e col trattare i peccatori con una dimestichezza e familiarità da produrre in alcuni lo stupore, in altri quasi scandalo, e in molti la Santa speranza di ottenere il perdono da Dio. Egli ci disse perciò di imparare da lui ad essere mansueti e umili di cuore (4r.Mt 11,29).
Dal momento che sono i nostri figli, allontaniamo ogni collera quando dobbiamo reprimere i loro falli, o almeno moderiamola in maniera che sembri soffocata del tutto. Non agitazione dell’animo, non disprezzo negli occhi, non ingiuria sul labbro; ma sentiamo la compassione per il momento, la speranza per l’avvenire, e allora voi sarete i veri padri e farete una vera correzione.
In certi momenti molto gravi, giova più una raccomandazione a Dio, un atto di umiltà a lui, che una tempesta di parole, le quali, se da una parte non producono che male in chi le sente, dall’altra parte non arrecano vantaggio a chi le merita.
Ricordatevi che l’educazione è cosa del cuore, e che Dio solo ne è il padrone, e noi non potremo riuscire a cosa alcuna, se Dio non ce ne insegna l’arte, e non ce ne mette in mano le chiavi.
Studiamoci di farci amare, di insinuare il sentimento del dovere, del santo timore di Dio, e vedremo con mirabile facilità aprirsi le porte di tanti cuori e unirsi a noi per cantare le lodi e le benedizioni di colui, che volle farsi nostro modello, nostra via, nostro esempio in tutto, ma particolarmente nell’educazione della gioventù.

NOVENA A SAN GIOVANNI BOSCO
1° giorno - O gloriosissimo San Giovanni Bosco, per l'amore ardente che portasti a Gesù nel Santissimo Sacramento e per lo zelo con cui ne propagasti il culto, soprattutto con l'assistenza alla Santa Messa, con la Comunione frequente e con la visita quotidiana, ottienici di crescere sempre più nell'amore, nella pratica di queste sante devozioni e di terminare i nostri giorni rinvigoriti e confortati dal cibo celeste della Santa Eucaristia. Gloria al Padre...
2° giorno - O gloriosissimo San Giovanni Bosco, per l'amore tenerissimo che portasti alla Vergine Ausiliatrice che fu sempre tua Madre e Maestra, ottienici una vera e costante devozione alla nostra dolcissima Mamma, affinché possiamo meritare la sua potentissima protezione durante la nostra vita e specialmente nell'ora della morte. Gloria al Padre...
3° giorno - O gloriosissimo San Giovanni Bosco, per l'amore filiale che portasti alla Chiesa e al Papa, di cui prendesti costantemente le difese, ottienici di essere sempre degni figli della Chiesa Cattolica e di amare e venerare nel Sommo Pontefice l'infallibile vicario di Nostro Signore Gesù Cristo. Gloria al Padre...
4° giorno - O gloriosissimo San Giovanni Bosco, per il grande amore con cui amasti la gioventù, della quale fosti Padre e Maestro e per gli eroici sacrifici che sostenesti per la sua salvezza, fa' che anche noi amiamo con amore santo e generoso questa parte eletta dei Cuore di Gesù e che in ogni giovane sappiamo vedere la persona adorabile del nostro Salvatore Divino. Gloria al Padre...
5° giorno - O gloriosissimo San Giovanni Bosco che per continuare ad estendere sempre più il tuo santo apostolato fondasti la Società Salesiana e l'istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, ottieni che i membri delle due Famiglie Religiose siano sempre pieni del tuo spirito e fedeli imitatori delle tue eroiche virtù. Gloria al Padre...
6° giorno - O gloriosissimo San Giovanni Bosco che per ottenere nel mondo più abbondanti frutti di fede operosa e di tenerissima carità istituisti l'Unione dei Cooperatori Salesiani, ottieni che questi siano sempre modelli di virtù cristiane e sostenitori provvidenziali delle tue Opere. Gloria al Padre...
7° giorno - O gloriosissimo San Giovanni Bosco che amasti con amore ineffabile tutte le anime e per salvarle mandasti i tuoi figli fino agli estremi confini della terra, fa' che anche noi pensiamo continuamente alla salvezza della nostra anima e cooperiamo per la salvezza di tanti nostri poveri fratelli. Gloria al Padre...
8° giorno - O gloriosissimo San Giovanni Bosco che prediligesti con amore particolare la bella virtù della purezza e la inculcasti con l'esempio, la parola e gli scritti, fa' che anche noi, innamorati di così indispensabile virtù, la pratichiamo costantemente e la diffondiamo con tutte le nostre forze. Gloria al Padre...
9° giorno - O gloriosissimo San Giovanni Bosco che fosti sempre tanto compassionevole verso le sventure umane, guarda a noi tanto bisognosi dei tuo aiuto. Fa' scendere su di noi e sulle nostre famiglie le materne benedizioni di Maria Ausiliatrice; ottienici tutte le grazie spirituali e temporali che ci sono necessarie; intercedi per noi durante la nostra vita e nell'ora della morte, affinché possiamo giungere tutti in Paradiso e inneggiare in eterno alla Misericordia divina. Gloria al Padre...

PREGHIERA A SAN GIOVANNI BOSCO
O San Giovanni Bosco, padre e maestro della gioventù,
che tanto lavorasti per la salvezza delle anime,
sii nostra guida nel cercare il bene delle anime nostre e la salvezza dei prossimo;
aiutaci a vincere le passioni e il rispetto umano;
insegnaci ad amare Gesù Sacramentato, Maria Ausiliatrice e il Papa;
e implora da Dio per noi una buona morte,
affinché possiamo raggiungerti in Paradiso. Amen.

ORAZIONE DAL MESSALE
O Dio, che in san Giovanni Bosco
hai dato alla tua Chiesa un padre e un maestro dei giovani,
suscita anche in noi la stessa fiamma di carità
a servizio della tua gloria per la salvezza dei fratelli.
Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio,
e vive e regna con Te, nell’unità dello Spirito Santo,
per tutti i secoli dei secoli. Amen.





scri789
00lunedì 31 gennaio 2011 14:25

Sant' Abramo Vescovo di Arbela

31 gennaio

Etimologia: Abramo = grande padre, dall'ebraico

Martirologio Romano: In Persia, passione di sant’Abramo, vescovo di Arbela, che sotto il re dei Persiani Sabor, avendo rifiutato l’ordine di adorare il sole, fu decapitato.





scri789
00lunedì 31 gennaio 2011 14:26

Santi Agostino Pak Chong-Won e cinque compagni Martiri

31 gennaio

>>> Visualizza la Scheda del Gruppo cui appartiene

+ Dangkogae, Corea del Sud, 31 gennaio 1840

Questo gruppo si compone di sei laici coreani che insieme subirono il martirio: Agostino Pak Chong-Won, Pietro Hong Pyong-Ju, Maddalena Son So-Byok, Agata Yi Kyong-I, Maria Yi In-Dok ed Agata Kwon Chin-I. Papa Giovanni Paolo II li canonizzò il 6 maggio 1984.

Martirologio Romano: In Corea, santi martiri Agostino Pak-Chŏng-wŏn, catechista, e cinque compagni, che, dopo aver subito molti supplizi, con impavida fortezza professarono la loro fede cristiana e glorificarono Dio con la loro decapitazione.





scri789
00lunedì 31 gennaio 2011 14:27

Sant' Aidano (Medhoc) di Ferns Vescovo

31 gennaio

Etimologia: Aidano = splendido capo, dall'antico normanno

Martirologio Romano: A Ferns in Irlanda, san Maedóc o Aidano, vescovo, che fondò in questo luogo un cenobio e rifulse per la grande austerità di vita.




scri789
00lunedì 31 gennaio 2011 14:28

Beata Candelaria di San Giuseppe (Susanna Paz-Castillo Ramirez) Fondatrice

31 gennaio

Altagracia di Orituco, Venezuela, 11 agosto 1863 – Cumaná, Venezuela, 31 gennaio 1940

La Serva di Dio Candelaria di San Giuseppe, nacque l’11 agosto 1863 a Altagracia de Orituco, nella diocesi di Caracas, in Venezuela, da Francisco de Paula Paz Castillo e da María del Rosario Ramírez. Fu battezzata il 27 febbraio 1864 e cresimata il 13 giugno 1870. A 16 anni ricevette la Prima Comunione. Fin da ragazza la Serva di Dio, spiritualmente diretta dal parroco don Alberto González, era molto devota della Madonna della Candelaria, a cui si rivolgeva con intensa pietà. Sentita la vocazione alla vita consacrata, la Serva di Dio, nel 1906, assieme a quattro compagne, vestì l’abito religioso nell’Istituto delle Suore dei Poveri di Altagracia de Orituco, assumendo il nome di Candelaria di San Giuseppe. Fece la professione religiosa il 31 dicembre 1910 e il 31 dicembre 1916 emise i voti perpetui. La Serva di Dio si dedicava intensamente al servizio dei poveri e degli ammalati, distinguendosi per l’instancabile zelo nell’apostolato. In seguito ad una serie di vicende, la Serva di Dio maturò la decisione di abbracciare la spiritualità carmelitana e chiese di entrare nell’Ordine del Carmelo, come fondatrice delle Carmelitane Terziarie Regolari in Venezuela. Il 25 marzo 1925 la richiesta fu accolta e il 10 luglio 1926 la Serva di Dio ed alcune compagne ricevette l’abito carmelitano; il 9 agosto 1926 Mons. Sixto Sosa, Vescovo di Cumaná, nominò la Serva di Dio Superio¬ra Generale e Maestra delle Novizie nel Noviziato di Porlamar. Seguirono anni di intenso lavoro, anche a causa dei terremoti che affissero il Venezuela; molte furono le opere avviate dalla Serva di Dio, tra cui ospedali e una scuola per bambine povere ad Altagracia de Orituco. La Serva di Dio morì il 31 gennaio 1940 a Cumaná, in odore di santità; la salma venne inumata nel cimitero di Santa Inés; in seguito, il corpo della Serva di Dio venne esumato e collocato nella Casa Madre di Caracas. Il 19 aprile 2004 S.S. Giovanni Paolo II ha riconosciuto l’eroicità delle virtù della Serva di Dio. E’ stata beatificata il 27 aprile 2008.


Nata l'11 agosto 1863 ad Altagracia de Orituco (Venezuela) fu battezzata col nome di Susanna, terza figlia di Francisco de Paula Paz Castillo.
La infanzia passa in una famiglia tipica del tempo, con molto un fondo cristiano ben formato e tradotto in un'atmosfera rispettosa e onesta, semplice, ordinata, e laboriose. In quell'atmosfera, impara e assume nella sua vita i valori umani e cristiani. Come si deduce dalla testimonianza della sorella Carmen.
I suoi studi scolastici, anche se ridotti e carenti, furono secondo l'istruzione del tempo e ciò non fu un impedimento per la sua formazione integrale: ha appreso le sue prime nozioni nella scrittura e nella cultura gettandosi con entusiasmo dalla lettura. In più, ha imparato il taglio e tutti i tipi di lavori domestici. Ciò le fu molto utile al servizio essenziale che svolse in futuro.
All'alba del secolo XX, il Venezuela visse una grande turbolenza politica economica e sociale come conseguenza della rivoluzione di liberazione. La madre Candelaria, curò i pazienti e i feriti, prodigandosi con attenzione e offrendo consolazione. Con altri giovani della sua città natale, un gruppo di medici e il supporto del sacerdote della parrocchia di Altagracia de Orituco, p. Sixto Sosa, fonda un ospedale per prendersi cura di tutto i bisognosi: in piccole barche e in accampamenti di tela di canapa, si occupava lei stessa di loro.
Questo centro di cura, nato nel 1903, ha segnato l'inizio della famiglia religiosa che oggi è conosciuta come Suore Carmelitane della madre Candelaria.
La vita di questa donna venezuelana, passata fra gli indigenti, è stata contraddistinta da umiltà profonda e da carità inesauribile verso loro, da una profonda fede, dalla preghiera e dall'amore alla Chiesa.
Oltre alla sua attenzione ai pazienti, si è occupata della formazione dei bambini, incarico questo che ha lasciato come eredità per le sue figlie Carmelitane.
Nella sua ultima malattia che è durata quasi due anni e l'ha lasciata disabile, è stata campione singolare di accettazione totale della volontà di Dio e di pazienza.
Prostrata nella soffereza, ha detto: “Non dobbiamo cercare per attenuare i dolori ma offrirli a Dio„. All'alba del 31 gennaio 1940 la madre Candelaria muore a Cumanà, pronunciando entro tre volte il nome di Gesù.





scri789
00lunedì 31 gennaio 2011 14:28

Beata Candelaria di San Giuseppe (Susanna Paz-Castillo Ramirez) Fondatrice

31 gennaio

Altagracia di Orituco, Venezuela, 11 agosto 1863 – Cumaná, Venezuela, 31 gennaio 1940

La Serva di Dio Candelaria di San Giuseppe, nacque l’11 agosto 1863 a Altagracia de Orituco, nella diocesi di Caracas, in Venezuela, da Francisco de Paula Paz Castillo e da María del Rosario Ramírez. Fu battezzata il 27 febbraio 1864 e cresimata il 13 giugno 1870. A 16 anni ricevette la Prima Comunione. Fin da ragazza la Serva di Dio, spiritualmente diretta dal parroco don Alberto González, era molto devota della Madonna della Candelaria, a cui si rivolgeva con intensa pietà. Sentita la vocazione alla vita consacrata, la Serva di Dio, nel 1906, assieme a quattro compagne, vestì l’abito religioso nell’Istituto delle Suore dei Poveri di Altagracia de Orituco, assumendo il nome di Candelaria di San Giuseppe. Fece la professione religiosa il 31 dicembre 1910 e il 31 dicembre 1916 emise i voti perpetui. La Serva di Dio si dedicava intensamente al servizio dei poveri e degli ammalati, distinguendosi per l’instancabile zelo nell’apostolato. In seguito ad una serie di vicende, la Serva di Dio maturò la decisione di abbracciare la spiritualità carmelitana e chiese di entrare nell’Ordine del Carmelo, come fondatrice delle Carmelitane Terziarie Regolari in Venezuela. Il 25 marzo 1925 la richiesta fu accolta e il 10 luglio 1926 la Serva di Dio ed alcune compagne ricevette l’abito carmelitano; il 9 agosto 1926 Mons. Sixto Sosa, Vescovo di Cumaná, nominò la Serva di Dio Superio¬ra Generale e Maestra delle Novizie nel Noviziato di Porlamar. Seguirono anni di intenso lavoro, anche a causa dei terremoti che affissero il Venezuela; molte furono le opere avviate dalla Serva di Dio, tra cui ospedali e una scuola per bambine povere ad Altagracia de Orituco. La Serva di Dio morì il 31 gennaio 1940 a Cumaná, in odore di santità; la salma venne inumata nel cimitero di Santa Inés; in seguito, il corpo della Serva di Dio venne esumato e collocato nella Casa Madre di Caracas. Il 19 aprile 2004 S.S. Giovanni Paolo II ha riconosciuto l’eroicità delle virtù della Serva di Dio. E’ stata beatificata il 27 aprile 2008.


Nata l'11 agosto 1863 ad Altagracia de Orituco (Venezuela) fu battezzata col nome di Susanna, terza figlia di Francisco de Paula Paz Castillo.
La infanzia passa in una famiglia tipica del tempo, con molto un fondo cristiano ben formato e tradotto in un'atmosfera rispettosa e onesta, semplice, ordinata, e laboriose. In quell'atmosfera, impara e assume nella sua vita i valori umani e cristiani. Come si deduce dalla testimonianza della sorella Carmen.
I suoi studi scolastici, anche se ridotti e carenti, furono secondo l'istruzione del tempo e ciò non fu un impedimento per la sua formazione integrale: ha appreso le sue prime nozioni nella scrittura e nella cultura gettandosi con entusiasmo dalla lettura. In più, ha imparato il taglio e tutti i tipi di lavori domestici. Ciò le fu molto utile al servizio essenziale che svolse in futuro.
All'alba del secolo XX, il Venezuela visse una grande turbolenza politica economica e sociale come conseguenza della rivoluzione di liberazione. La madre Candelaria, curò i pazienti e i feriti, prodigandosi con attenzione e offrendo consolazione. Con altri giovani della sua città natale, un gruppo di medici e il supporto del sacerdote della parrocchia di Altagracia de Orituco, p. Sixto Sosa, fonda un ospedale per prendersi cura di tutto i bisognosi: in piccole barche e in accampamenti di tela di canapa, si occupava lei stessa di loro.
Questo centro di cura, nato nel 1903, ha segnato l'inizio della famiglia religiosa che oggi è conosciuta come Suore Carmelitane della madre Candelaria.
La vita di questa donna venezuelana, passata fra gli indigenti, è stata contraddistinta da umiltà profonda e da carità inesauribile verso loro, da una profonda fede, dalla preghiera e dall'amore alla Chiesa.
Oltre alla sua attenzione ai pazienti, si è occupata della formazione dei bambini, incarico questo che ha lasciato come eredità per le sue figlie Carmelitane.
Nella sua ultima malattia che è durata quasi due anni e l'ha lasciata disabile, è stata campione singolare di accettazione totale della volontà di Dio e di pazienza.
Prostrata nella soffereza, ha detto: “Non dobbiamo cercare per attenuare i dolori ma offrirli a Dio„. All'alba del 31 gennaio 1940 la madre Candelaria muore a Cumanà, pronunciando entro tre volte il nome di Gesù.





scri789
00lunedì 31 gennaio 2011 14:29

San Ciro Martire

31 gennaio

Patronato: Portici (NA)

Emblema: Palma

Martirologio Romano: Sempre ad Alessandria, santi Ciro e Giovanni, martiri, che per la loro fede in Cristo, dopo molti tormenti furono decapitati.


CIRO e GIOVANNI, santi, martiri.
Sono ricordati nel Martirologio Romano alla data del 31 gennaio. Nello stesso giorno sono commemorati anche dai Greci nei cui libri si trovano molte notizie sulla loro vita e sui loro miracoli mescolate a leggende. I principali dati sui due martiri sono molto vaghi e generici e si basano su testimonianze incerte. Secondo questi racconti, Giovanni fu soldato e Ciro fu monaco dopo aver esercitato l'arte medica: ad Alessandria si mostrava, incorporata alla chiesa dei «Tre Fanciulli», la camera dove Ciro riceveva i clienti. Questa leggenda si è formata, senza dubbio, quando i miracoli da lui operati a Menouthis aumentarono la sua fama di guaritore. Ciro e Giovanni, avendo un giorno saputo che quattro cristiane di Canopo, Teodosia (o Teodota), Teotista, Eudossia, e la loro madre Atanasia erano state arrestate si portarono a Canopo per incoraggiarle a non venire meno alla loro fede, ma furono anch'essi arrestati e condannati a morte, come avveniva contemporaneamente per le quattro cristiane. Gli uni e le altre furono decapitati verso il 303, sotto Diocleziano. Al principio del sec. V le reliquie dei ss. Ciro e Giovanni risposavano nella chiesa di S. Marco ad Alessandria. Il Sinassario Costantinopolitano ricorda, insieme con i due santi, le suindicate Teodosia, Teotista, Eudossia e Atanasia.

SANTUARIO DEI SS. CIRO E GIOVANNI.
A Menouthis, distante circa due miglia da Canopo, sorgeva un tempio in onore della dea Iside, molto venerata nella zona. Distrutto il tempio dai cristiani, vi era stata edificata una chiesa in onore degli Evangelisti; ma ciò non era stato sufficiente a distruggere l'antico culto e a spegnere i resti del paganesimo. S. Cirillo di Alcssandria, per raggiungere questo scopo, pensò di fondarvi un santuario in onore dei ss. Ciro e Giovanni, traslandovi le reliquie. Fece aprire la tomba e ne fece trasportare i corpi a Menouthis. La traslazione avvenne in forma solenne e lo stesso s. Cirillo durante la cerimonia prese alcune volte la parola pronunziando discorsi che sono arrivati a noi. Le notizie relative a questo santuario a metà del sec. V ci fanno vedere come il fine voluto da s. Cirillo non fu raggiunto e occorsero altri interventi energici per distruggere il paganesimo. La chiesa acquistò un'importanza di prim'ordine nel sec. Vl, importanza dovuta alle guarigioni che vi avvenivano, divenendo, nel contempo, uno dei più celebri santuari del mondo orientale, facendo concorrenza all'altro dei SS. Cosma e Damiano di Costantinopoli. I santi indicavano, durante la notte, agli ammalati distesi sul pavimento della loro basilica i rimedi, alcune volte anodini e spesso curiosi. Agli eretici, accorrenti anch'essi, non venivano concesse grazie, se prima non fossero ritornati alla Chiesa cattolica. Nei primi anni del sec. VII Sofronio di Gerusalemme, amico di Giovanni Mosco e di s. Giovanni l'Elemosiniere, grato ai due santi per una guarigione agli occhi ottenuta per loro intercessione, fece una raccolta di settanta miracoli operati presso i1 loro sepolcro di Menouthis. Sofronio ricorda anche i nomi dei guariti e conosce alcuni ex voto di ringraziamento, ma spesso accetta le testimonianze con una estrema credulità. Il nome di Abukir è ancora oggi la migliore testimonianza del culto reso a questi martiri nella località, avendo sostituito quello di Menouthis (Abukir non è altro che la deformazione araba del nome di aba Ciro). Non si conosce esattamente l'epoca della rovina del santuario che, probabilmente, avvenne all'inizio dell'invasione araba. Le reliquie dei due martiri furono, in seguito, trasportate a Roma e deposte in una chiesetta sulla via Portuense, a destra del Tevere, il cui nome, S. Ciro, per una serie di trasformazioni linguistiche, da Abbaciro (abate Ciro) diventò per ~~ il popolo S. Passera. Essa fu meta di pellegrinaggi i durante il Medioevo ed è ricordata negli Itinerari romani. Altre quattro chiesette furono dedicate in Roma ai ss. Ciro e Giovanni.




scri789
00lunedì 31 gennaio 2011 14:30

Sant' Eusebio Monaco di San Gallo

31 gennaio

Martirologio Romano: A Viktorsberg vicino a Rankweil nella Baviera meridionale, oggi in Austria, sant’Eusebio, che, nato in Irlanda, fu pellegrino per Cristo e, divenuto poi monaco nel cenobio di San Gallo, visse infine da eremita.


Benché manchi una Vita antica, la sua esistenza e i dati biografici che seguono sono sicuramente testimoniati dalle fonti storiche della vecchia abbazia di San Gallo (Svizzera). Era un irlandese che nel sec. IX venne in pellegrinaggio alla tomba di s. Gallo e, forse, diventò religioso nel monastero benedettino ivi esistente. Presto si ritirò come recluso al Viktorsberg (Mons S. Victoris martyris) nel Vorarlberg (Austria). Dotato del dono della profezia, predisse il futuro a molte persone, per esempio ai genitori del b. Iso e all'imperatore Carlo III. Presso di lui si stabilirono dei pellegrini irlandesi e sembra sia stato a capo di una piccola comunità religiosa. A sua richiesta, Carlo III donò a San Gallo il Viktorsberg nell'882 e altri possedimenti nell'885, affinché vi si potesse mantenere un ospizio per i pellegrini irlandesi. Secondo il contemporaneo Ratperto, Eusebio visse su quel monte trent'anni e morì il 31 genn. 884. Che sia morto martire è soltanto una tardiva leggenda. La S. Congregazione dei Riti ne concesse il culto nel 1730 al monastero di San Gallo e alla Congregazione benedettina svizzera. Dopo la traslazione delle reliquie a San Gallo (1730 e 1786), Eusebio fu venerato fra i patroni del monastero e della diocesi.




scri789
00lunedì 31 gennaio 2011 14:31

San Francesco Saverio Maria Bianchi Barnabita

31 gennaio

Arpino (Frosinone), 2 dicembre 1743 – Napoli, 31 gennaio 1815

Nato ad Arpino, nel Frusinate, il 2 dicembre 1743, Francesco Saverio Maria Bianchi studiò nel Seminario di Nola e all'università di Napoli. Nel 1762 entrò nell'Ordine dei Barnabiti e proseguì gli studi a Macerata, Roma e ancora Napoli dove fu ordinato sacerdote nel 1767. Dedicatosi all'insegnamento rivestì importanti incarichi. Ma oltre che allo studio si dedicò alle opere di carità. Dedito alla penitenza non vi rinunciò neanche quando fu colpito da una misteriosa malattia alle gambe che lo immobilizzò negli ultimi tredici anni della sua vita: anzi, negli ultimi tre anni riuscì prodigiosamente a celebrare Messa reggendosi in piedi sulle gambe gonfie e piagate. Morì a Napoli il 31 gennaio 1815. Leone XIII lo beatificò il 22 gennaio 1893 e Pio XII lo canonizzò il 21 ottobre 1951. Il suo corpo è conservato nella chiesa di Santa Maria di Caravaggio a Napoli. (Avvenire)

Martirologio Romano: A Napoli, san Francesco Saverio Maria Bianchi, sacerdote dell’Ordine dei Chierici regolari di San Paolo, che, ricco di doni mistici, indusse molti a vivere con lui nella grazia del Vangelo.


Papa Leone XIII lo proclamò nel 1893 “Apostolo di Napoli”. Francesco Saverio Bianchi nacque ad Arpino (Frosinone) il 2 dicembre 1743, crebbe in un’atmosfera di vita fervorosa e di carità verso il prossimo, infatti sua madre aveva trasformato parte della casa in un piccolo ospedale di sedici letti, per ammalati poveri e senza assistenza.
L’adolescenza la trascorse con i pregi e i difetti tipici dell’età, lui stesso si confessa goloso e commettendo anche piccoli furterelli di denaro in casa; come si vede, contrariamente alle biografie tradizionali, la santità in Francesco Saverio Bianchi, appare come una conquista lenta e sicura della sua volontà.
La sua vita fu tutto un conoscere e frequentare altre figure sante della spiritualità napoletana, cominciando con s. Alfonso Maria de’ Liguori, conosciuto nel seminario di Nola, che frequentava per studio nel 1758; frequentò anche l’Università di Napoli per gli studi di Diritto.
Vinte le iniziali resistenze dei genitori, finalmente nel 1762, riuscì ad entrare nell’Ordine dei Barnabiti fondato da s. Antonio Maria Zaccaria, nel 1530 a Milano, professando i voti nel 1763 nel noviziato di Zagarolo.
Continuò gli studi filosofici e teologici prima a Macerata poi a Roma e Napoli, dove fu ordinato sacerdote nel 1767; per un paio d’anni insegnò ad Arpino poi a Napoli, dove restò fino alla morte. La sua fama di dotto barnabita gli diede vari incarichi di prestigio che espletò con grande capacità. Superiore per 12 anni del Collegio di S. Maria in Cosmedin a Portanova; professore straordinario dal 1778 nella Regia Università; socio della Reale Accademia di Scienze e Lettere e dell’Accademia Ecclesiastica.
Ben presto fu conosciuto come un santo, perché sempre più in lui avveniva la sostituzione degli studi e della frequentazione dei circoli degli eruditi, con le opere di carità, la contemplazione e l’apostolato specie fra gli umili del suo quartiere.
Il cambiamento di vita porta, secondo i biografi, la data del giorno di Pentecoste del 1800, cioè dall’estasi da lui avuta davanti al S.mo Sacramento solennemente esposto nella chiesa del Divino Amore; da quel giorno si inasprirono le sue penitenze e l’impegno nell’apostolato divenne totale.
Non si arrestò neanche quando una misteriosa malattia alle gambe lo immobilizzò per gli ultimi tredici anni della sua vita; a questo punto divenne ancora di più il formatore di anime elette e sante.
Dal 1777 al 1791 fu confessore di s. Maria Francesca delle Cinque Piaghe (la santa dei Quartieri Spagnoli di Napoli); intorno a lui si formarono alla santità i venerabili Placido Baccher, Mariano Arciero, Francesco Maria Castelli, Giovanni Battista Jossa, il servo di Dio Agnello Coppola.
Ebbero relazioni spirituali con lui anche il beato Vincenzo Romano e la venerabile Maria Clotilde di Savoia in esilio a Napoli, il marito Carlo Emanuele IV e molti cardinali e vescovi.
Rimase nel suo convento, quando le leggi napoleoniche nel 1809 soppressero il suo Ordine, ebbe il dono della profezia e visioni di avvenimenti lontani, miracoli e doni carismatici aumentarono la sua fama di santità, come l’arresto della lava eruttata dal Vesuvio nel 1804 e 1805.
Simile nella giocondità a s. Filippo Neri, aveva come lui i misteriosi tremiti e le palpitazioni di cuore, durante la preghiera e la celebrazione della Messa, che officiava con un fervore da far stupire chi assisteva.
S. Maria Francesca delle Cinque Piaghe diceva: “Due Filippo abbiamo uno nero e uno bianco” riferendosi alle qualità spirituali simili e anche ai due cognomi ‘Neri e Bianchi’.
Negli ultimi tre anni, la celebrazione della Messa era l’unica azione che riusciva a fare, reggendosi in piedi sulle gambe orribilmente gonfie e piagate; morì a Napoli il 31 gennaio 1815.
Già nel 1816 furono avviati i processi per la sua beatificazione; papa Leone XIII lo beatificò il 22 gennaio 1893 e papa Pio XII lo canonizzò il 21 ottobre 1951.
Il suo corpo è conservato nella chiesa di Santa Maria di Caravaggio a Napoli, la sua festa liturgica è al 31 gennaio.



scri789
00lunedì 31 gennaio 2011 14:31

San Geminiano di Modena Vescovo

31 gennaio

m. 348

Emblema: Bastone pastorale

Martirologio Romano: A Modena, san Gimignano, vescovo, che riportò la sua Chiesa dall’eresia ariana alla retta fede.


Non è possibile stabilire con esattezza la data del suo episcopato. Gli studi piú recenti lo collocano tra il 342-44 e il 396 ca. E' ritenuto originario del territorio modenese e probabilmente di famiglia romana, come indica il suo nome.
La tradizione ci dice che fu diacono del vescovo Antonio a cui successe per unanime designazione dei suoi concittadini, e che per sottrarsi al gravissimo compito, fuggi da Modena, ma ben presto raggiunto, dovette piegarsi al volere divino.
Il suo governo, sempre secondo la tradizione, fu particolarmente fecondo: la conversione totale della città al Cristianesimo e la consacrazione dei templi pagani al nuovo culto. Queste notizie trovano conferma nelle condizioni generali del tempo; è proprio infatti nel sec. IV, che si realizza quella maturazione ambientale che rese il Cristianesimo preminente sul paganesimo, e che determinò Teodosio I a proclamare il Cristianesimo religione ufficiale dell'impero e a bandire il culto pagano.
Geminiano ci è presentato come uomo di molta preghiera e pietà, inoltre è ricordato il suo potere sui demoni, ed è per questo che la fama della sua santità ne portò il nome fino alla corte di Costantinopoli, dove si recò per ridonare la salute alla figlia dell'imperatore Gioviano. Episodio da ritenersi leggendario perché facilmente ricorrente nella vita di altri santi del tempo. Cosí pure deve ritenersi leggendaria la presenza di s. Severo di Ravenna ai funerali di Geminiano, come riferito nel Liber Pontificalis di Agnello di Ravenna.
Con ogni probabilità il patrono di Modena è il vescovo Geminiano che nel 390 fu presente al concilio dei vescovi dell'Italia settentrionale, presieduto da s. Ambrogio per condannare l'eretico Gioviniano. Nella lettera sinodale di s. Ambrogio a papa Siricio tra le sottoscrizioni dei vescovi si legge: "ex jussu Domini Episcopi Geminiani, ipso praesente, Aper presbiter subscripsi".
I dubbi sorti, che il Geminiano presente a Milano nel 390 fosse il vescovo di Alba, possono dirsi superati dopo gli ultimi studi del Promis, del De Rossi, del Savio e del Lanzoni, che non conoscono nessun vescovo di questo nome ad Alba in quel tempo.
La ricognizione delle sue reliquie, compiuta nel 1955, ha permesso di constatare che il sarcofago, che attualmente le contiene, è certamente quello in cui originariamente è stato deposto il corpo del santo dopo la sua morte. Infatti questo sarcofago presenta tutte le caratteristiche e rispecchia tutte le condizioni di decadenza della fine del IV sec. a cui accenna s. Ambrogio, nella lettera ad Faustinum, descrivendo lo stato di miserevole abbandono, in cui si trovano le già fiorenti città dell'Emilia, tra cui Mutina, da lui visitate. E' in mezzo a tanta desolazione che si manifesta la grandezza di Geminiano ed è proprio questo il motivo fondamentale del piú che millenario culto verso di lui e delle espressioni appassionate dell'antica liturgia modenese che lo invoca a difensore contro le avversità: a qui nos ab errore duxit ad rectum tramitem, habeamus defensorem contra cunctam adversariam potestatem".
La Relatio translationis S. Giminiani, manoscritto del sec. XII, conservato nell'Archivio capitolare, descrive la traslazione e la ricognizione del corpo di s. Geminiano avvenute rispettivamente il 30 aprile ed il 7 ottobre 1106, alla presenza di papa Pasquale II, Matilde di Canossa e di tutta la cittadinanza modenese. Dopo questa del 1106 segue un'altra ricognizione per opera di Lucio III, il 12 luglio 1184, quando, in viaggio per Verona, si fermò a Modena per consacrarvi il duomo. La bellissima iscrizione sulla parete esterna del duomo testimonia il fervore con cui fu accolto il pontefice e la vivissima fede e devozione verso il santo patrono. Dopo il 1184 nessun'altra ricognizione fu compiuta fino al 1955 e ciò si deduce non solo dal silenzio delle cronache sull'argomento, ma anche dagli oggetti ritrovati nel sarcofago: due piccole croci d'argento, un anello e ca. settanta monete d'argento dell'epoca comunale di data anteriore al 1184, con l'esclusione di qualsiasi moneta modenese in circolazione solo dopo il 1200, argomento piú che sufficiente per concludere che la ricognizione del 1955 ha come sua precedente solo quella del 17 luglio 1184.
Tutta la storia modenese è permeata del ricordo di s. G. I piú antichi documenti dell'Archivio capitolare fanno continua menzione della Ecclesia s. Geminiani, il duomò di Modena nel rifacimento iniziato nel 1099 è la Domus clari Geminiani, il sigillo antico della comunità modenese e dell'Università portano l'immagine sua e cosí pure nelle monete modenesi costantemente viene efEigiato il santo patrono. La devozione non è solo diffusa nel modenese ma a San Gimignano in Toscana, a Pontremoli ed a Venezia dove sorgeva una chiesa, rifatta dal Sansovino ed ora abbattuta.
La festa si celebra il 31 gennaio, giorno anniversario della depositio, ed il 30 aprile anniversario della traslazione del corpo.




scri789
00lunedì 31 gennaio 2011 14:32

San Giovanni Martire

31 gennaio

Emblema: Palma

Martirologio Romano: Sempre ad Alessandria, santi Ciro e Giovanni, martiri, che per la loro fede in Cristo, dopo molti tormenti furono decapitati.


CIRO e GIOVANNI, santi, martiri.
Sono ricordati nel Martirologio Romano alla data del 31 gennaio. Nello stesso giorno sono commemorati anche dai Greci nei cui libri si trovano molte notizie sulla loro vita e sui loro miracoli mescolate a leggende. I principali dati sui due martiri sono molto vaghi e generici e si basano su testimonianze incerte. Secondo questi racconti, Giovanni fu soldato e Ciro fu monaco dopo aver esercitato l'arte medica: ad Alessandria si mostrava, incorporata alla chiesa dei «Tre Fanciulli», la camera dove Ciro riceveva i clienti. Questa leggenda si è formata, senza dubbio, quando i miracoli da lui operati a Menouthis aumentarono la sua fama di guaritore. Ciro e Giovanni, avendo un giorno saputo che quattro cristiane di Canopo, Teodosia (o Teodota), Teotista, Eudossia, e la loro madre Atanasia erano state arrestate si portarono a Canopo per incoraggiarle a non venire meno alla loro fede, ma furono anch'essi arrestati e condannati a morte, come avveniva contemporaneamente per le quattro cristiane. Gli uni e le altre furono decapitati verso il 303, sotto Diocleziano. Al principio del sec. V le reliquie dei ss. Ciro e Giovanni risposavano nella chiesa di S. Marco ad Alessandria. Il Sinassario Costantinopolitano ricorda, insieme con i due santi, le suindicate Teodosia, Teotista, Eudossia e Atanasia.

SANTUARIO DEI SS. CIRO E GIOVANNI.
A Menouthis, distante circa due miglia da Canopo, sorgeva un tempio in onore della dea Iside, molto venerata nella zona. Distrutto il tempio dai cristiani, vi era stata edificata una chiesa in onore degli Evangelisti; ma ciò non era stato sufficiente a distruggere l'antico culto e a spegnere i resti del paganesimo. S. Cirillo di Alcssandria, per raggiungere questo scopo, pensò di fondarvi un santuario in onore dei ss. Ciro e Giovanni, traslandovi le reliquie. Fece aprire la tomba e ne fece trasportare i corpi a Menouthis. La traslazione avvenne in forma solenne e lo stesso s. Cirillo durante la cerimonia prese alcune volte la parola pronunziando discorsi che sono arrivati a noi. Le notizie relative a questo santuario a metà del sec. V ci fanno vedere come il fine voluto da s. Cirillo non fu raggiunto e occorsero altri interventi energici per distruggere il paganesimo. La chiesa acquistò un'importanza di prim'ordine nel sec. Vl, importanza dovuta alle guarigioni che vi avvenivano, divenendo, nel contempo, uno dei più celebri santuari del mondo orientale, facendo concorrenza all'altro dei SS. Cosma e Damiano di Costantinopoli. I santi indicavano, durante la notte, agli ammalati distesi sul pavimento della loro basilica i rimedi, alcune volte anodini e spesso curiosi. Agli eretici, accorrenti anch'essi, non venivano concesse grazie, se prima non fossero ritornati alla Chiesa cattolica. Nei primi anni del sec. VII Sofronio di Gerusalemme, amico di Giovanni Mosco e di s. Giovanni l'Elemosiniere, grato ai due santi per una guarigione agli occhi ottenuta per loro intercessione, fece una raccolta di settanta miracoli operati presso i1 loro sepolcro di Menouthis. Sofronio ricorda anche i nomi dei guariti e conosce alcuni ex voto di ringraziamento, ma spesso accetta le testimonianze con una estrema credulità. Il nome di Abukir è ancora oggi la migliore testimonianza del culto reso a questi martiri nella località, avendo sostituito quello di Menouthis (Abukir non è altro che la deformazione araba del nome di aba Ciro). Non si conosce esattamente l'epoca della rovina del santuario che, probabilmente, avvenne all'inizio dell'invasione araba. Le reliquie dei due martiri furono, in seguito, trasportate a Roma e deposte in una chiesetta sulla via Portuense, a destra del Tevere, il cui nome, S. Ciro, per una serie di trasformazioni linguistiche, da Abbaciro (abate Ciro) diventò per ~~ il popolo S. Passera. Essa fu meta di pellegrinaggi i durante il Medioevo ed è ricordata negli Itinerari romani. Altre quattro chiesette furono dedicate in Roma ai ss. Ciro e Giovanni.





scri789
00lunedì 31 gennaio 2011 14:33

San Giovanni Bosco Sacerdote

31 gennaio

Castelnuovo d’Asti, 16 agosto 1815 – Torino, 31 gennaio 1888

Grande apostolo dei giovani, fu loro padre e guida alla salvezza con il metodo della persuasione, della religiosità autentica, dell’amore teso sempre a prevenire anziché a reprimere. Sul modello di san Francesco di Sales il suo metodo educativo e apostolico si ispira ad un umanesimo cristiano che attinge motivazioni ed energie alle fonti della sapienza evangelica. Fondò i Salesiani, la Pia Unione dei cooperatori salesiani e, insieme a santa Maria Mazzarello, le Figlie di Maria Ausiliatrice. Tra i più bei frutti della sua pedagogia, san Domenico Savio, quindicenne, che aveva capito la sua lezione: “Noi, qui, alla scuola di Don Bosco, facciamo consistere la santità nello stare molto allegri e nell’adempimento perfetto dei nostri doveri”. Giovanni Bosco fu proclamato Santo alla chiusura dell’anno della Redenzione, il giorno di Pasqua del 1934. Il 31 gennaio 1988 Giovanni Paolo II lo dichiarò Padre e Maestro della gioventù, “stabilendo che con tale titolo egli sia onorato e invocato, specialmente da quanti si riconoscono suoi figli spirituali”.

Patronato: Educatori, Scolari, Giovani, Studenti, Editori

Etimologia: Giovanni = il Signore è benefico, dono del Signore, dall'ebraico

Martirologio Romano: Memoria di san Giovanni Bosco, sacerdote: dopo una dura fanciullezza, ordinato sacerdote, dedicò tutte le sue forze all’educazione degli adolescenti, fondando la Società Salesiana e, con la collaborazione di santa Maria Domenica Mazzarello, l’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, per la formazione della gioventù al lavoro e alla vita cristiana. In questo giorno a Torino, dopo aver compiuto molte opere, passò piamente al banchetto eterno.

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San Giovanni Bosco è indubbiamente il più celebre santo piemontese di tutti i tempi, nonché su scala mondiale il più famoso tra i santi dell’epoca contemporanea: la sua popolarità è infatti ormai giunta in tutti i continenti, ove si è diffusa la fiorente Famiglia Salesiana da lui fondata, portatrice del suo carisma e della sua operosità, che ad oggi è la congregazione religiosa più diffusa tra quelle di recente fondazione.
Don Bosco fu l’allievo che diede maggior lustro al suo grande maestro di vita sacerdotale, nonché suo compaesano, San Giuseppe Cafasso: queste due perle di santità sbocciarono nel Convitto Ecclesiastico di San Francesco d’Assisi in Torino.
Giovanni Bosco nacque presso Castelnuovo d’Asti (oggi Castelnuovo Don Bosco) in regione Becchi, il 16 agosto 1815, frutto del matrimonio tra Francesco e la Serva di Dio Margherita Occhiena. Cresciuto nella sua modesta famiglia, dalla santa madre fu educato alla fede ed alla pratica coerente del messaggio evangelico. A soli nove anni un sogno gli rivelò la sua futura missione volta all’educazione della gioventù. Ragazzo dinamico e concreto, fondò fra i coetanei la “società dell’allegria”, basata sulla “guerra al peccato”.
Entrò poi nel seminario teologico di Chieri e ricevette l’ordinazione presbiterale nel 1841. Iniziò dunque il triennio di teologia morale pratica presso il suddetto convitto, alla scuola del teologo Luigi Guala e del santo Cafasso. Questo periodo si rivelò occasione propizia per porre solide basi alla sua futura opera educativa tra i giovani, grazie a tre provvidenziali fattori: l’incontro con un eccezionale educatore che capì le sue doti e stimolo le sue potenzialità, l’impatto con la situazione sociale torinese e la sua straordinaria genialità, volta a trovare risposte sempre nuove ai numerosi problemi sociali ed educativi sempre emergenti.
Come succede abitualmente per ogni congregazione, anche la grande opera salesiana ebbe inizi alquanto modesti: l’8 dicembre 1841, dopo l’incontro con il giovane Bartolomeo Garelli, il giovane Don Bosco iniziò a radunare ragazzi e giovani presso il Convitto di San Francesco per il catechismo. Torino era a quel tempo una città in forte espansione su vari aspetti, a causa della forte immigrazione dalle campagne piemontesi, ed il mondo giovanile era in preda a gravi problematiche: analfabetismo, disoccupazione, degrado morale e mancata assistenza religiosa. Fu infatti un grande merito donboschiano l’intuizione del disagio sociale e spirituale insito negli adolescenti, che subivano il passaggio dal mondo agricolo a quello preindustriale, in cui si rivelava solitamente inadeguata la pastorale tradizionale.
Strada facendo, Don Bosco capì con altri giovani sacerdoti che l’oratorio potesse costituire un’adeguata risposta a tale critica situazione. Il primo tentativo in tal senso fu compiuto dal vulcanico Don Giovanni Cocchi, che nel 1840 aveva aperto in zona Vanchiglia l’oratorio dell’Angelo Custode. Don Bosco intitolò invece il suo primo oratorio a San Francesco di Sales, ospite dell’Ospedaletto e del Rifugio della Serva di Dio Giulia Colbert, marchesa di Barolo, ove dal 1841 collaborò con il teologo Giovanni Battista Borel. Quattro anni dopo trasferì l’oratorio nella vicina Casa Pinardi, dalla quale si sviluppò poi la grandiosa struttura odierna di Valdocco, nome indelebilmente legato all’opera salesiana.
Pietro Stella, suo miglior biografo, così descrisse il giovane sacerdote: “Prete simpatico e fattivo, bonario e popolano, all’occorrenza atleta e giocoliere, ma già allora noto come prete straordinario che ardiva fare profezie di morti che poi si avveravano, che aveva già un discreto alone di venerazione perché aveva in sé qualcosa di singolare da parte del Signore, che sapeva i segreti delle coscienze, alternava facezie e confidenze sconvolgenti e portava a sentire i problemi dell’anima e della salvezza eterna”.
Spinto dal suo innato zelo pastorale, nel 1847 Don Bosco avviò l’oratorio di San Luigi presso la stazione ferroviaria di Porta Nuova. Nel frattempo il cosiddetto Risorgimento italiano, con le sue articolate vicende politiche, provocò anche un chiarimento nell’esperienza degli oratori torinesi, evidenziando due differenti linee seguite dai preti loro responsabili: quella apertamente politicizzata di cui era fautore Don Cocchi, che nel 1849 aveva tentato di coinvolgere i suoi giovani nella battaglia di Novara, e quella più religiosa invece sostenuta da Don Bosco, che prevalse quando nel 1852 l’arcivescovo mons. Luigi Fransoni lo nominò responsabile dell’Opera degli Oratori, affidando così alle sue cure anche quello dell’Angelo Custode.
La principale preoccupazione di Don Bosco, concependo l’oratorio come luogo di formazione cristiana, era infatti sostanzialmente di tipo religioso-morale, volta a salvare le anime della gioventù. Il santo sacerdote però non si accontentò mai di accogliere quei ragazzi che spontaneamente si presentavano da lui, ma si organizzò al fine di raggiungerli ed incontrarli ove vivevano.
Se la salvezza dell’anima era l’obiettivo finale, la formazione di “buoni cristiani ed onesti cittadini” era invece quello immediato, come Don Bosco soleva ripetere. In tale ottica concepì gli oratori quali luoghi di aggregazione, di ricreazione, di evangelizzazione, di catechesi e di promozione sociale, con l’istituzione di scuole professionali.
L’amorevolezza costituì il supremo principio pedagogico adottato da Don Bosco, che faceva notare come non bastasse però amare i giovani, ma occorreva che essi percepissero di essere amati. Ma della sua pedagogia un grande frutto fu il cosiddetto “metodo preventivo”, nonché l’invito alla vera felicità insito nel detto: “State allegri, ma non fate peccati”.
Don Bosco, sempre attento ai segni dei tempi, individuò nei collegi un valido strumento educativo, in particolare dopo che nel 1849 furono regolamentati da un’opportuna legislazione: fu così che nel 1863 fu aperto un piccolo seminario presso Mirabello, nella diocesi di Casale Monferrato.
Altra svolta decisiva nell’opera salesiana avvenne quando Don Bosco si sentì coinvolto dalla nuova sensibilità missionaria propugnata dal Concilio Ecumenico Vaticano I e, sostenuto dal pontefice Beato Pio IX e da vari vescovi, nel 1875 inviò i suoi primi salesiani in America Latina, capeggiati dal Cardinale Giovanni Cagliero, con il principale compito di apostolato tra gli emigrati italiani. Ben presto però i missionari estesero la loro attività dedicandosi all’evangelizzazione delle popolazioni indigene, culminata con il battesimo conferito da Padre Domenico Milanesio al Venerabile Zeffirino Namuncurà, figlio dell’ultimo grande cacico delle tribù indios araucane.
Uomo versatile e dotato di un’intelligenza eccezionale, con il suo fiuto imprenditoriale Don Bosco considerò la stampa un fondamentale strumento di divulgazione culturale, pedagogica e cristiana. Scrittore ed editore, tra le principali sue opere si annoverano la “Storia d’Italia”, “Il sistema metrico decimale” e la collana “Letture Cattoliche”. Non mancarono alcune biografie,tra le quali spicca quella del più bel frutto della sua pedagogia, il quindicenne San Domenico Savio, che aveva ben compreso la sua lezione: “Noi, qui, alla scuola di Don Bosco, facciamo consistere la santità nello stare molto allegri e nell’adempimento perfetto dei nostri doveri”. Scrisse inoltre le vite di altri due ragazzi del suo oratorio, Francesco Besucco e Michele Magone, nonché quella di un suo indimenticabile compagno di scuola, Luigi Comollo.
Pur essendo straordinariamente attivo, Don Bosco non avrebbe comunque potuto realizzare personalmente dal nulla tutta questa immane opera ed infatti sin dall’inizio godette del prezioso ausilio di numerosi sacerdoti e laici, uomini e donne. Al fine di garantire però una certa continuità e stabilità a ciò che aveva iniziato, fondò a Torino la Società di San Francesco di Sales (detti “Salesiani”), congregazione composta di sacerdoti, e nel 1872 a Mornese con Santa Maria Domenica Mazzarello le Figlie di Maria Ausiliatrice.
L’opinione pubblica contemporanea apprezzò molto la preziosa opera di promozione sociale da lui svolta, anche se la stampa laica gli fu sempre avversa, tanto che alla sua morte la Gazzetta del Popolo si limitò a citarne cognome, nome ed età nell’elenco dei defunti, mentre la Gazzetta Piemontese (l’odierna “La Stampa”) gli riservò l’articolo redazionale dosando accuratamente meriti e demeriti del celebre sacerdote: “Il nome di Don Bosco è quello di un uomo superiore che lascia e suscita dietro di sé un vivo contrasto di apprezzamenti e opposti giudizi e quasi due opposte fame: quello di benefattore insigne, geniale, e quello di prete avveduto e procacciate”.
Personalità forte ed intraprendente, bisognosa di particolare autonomia nella sua azione a tutto campo, non lasciava affatto indifferenti coloro che gli erano per svariati motivi a contatto. Ciò costituisce inoltre una spiegazione ai ripetuti scontri che ebbe con ben due arcivescovi torinesi: Ottaviano Riccardi di Netro e soprattutto Lorenzo Gastaldi. Lo apprezzò e lo appoggiò invece costantemente e senza riserve papa Pio IX, che con la sua potente intercessione permise all’opera salesiana di espandersi non solo a livello locale, sorte invece subita da numerosissime altre minute congregazioni.
Giovanni Bosco morì in Torino il 31 gennaio 1888, giorno in cui è ricordato dal Martyrologium Romanum e la Chiesa latina ne celebra la Memoria liturgica. Alla guida della congregazione gli succedette il Beato Michele Rua, uno dei suoi primi fedeli discepoli. La sua salma fu in un primo tempo sepolta nella chiesa dell’istituto salesiano di Valsalice, per poi essere trasferita nella basilica di Maria Ausiliatrice, da lui fatta edificare. Il pontefice Pio XI, suo grande ammiratore, beatificò Don Bosco il 2 giugno 1929 e lo canonizzò il 1° aprile 1934. La città di Torino ha dedicato alla memoria del santo una strada, una scuola ed un grande ospedale. Nel centenario della morte, nel 1988 Giovanni Paolo II, recatosi in visita ai luoghi donboschiani, lo dichiarò Padre e Maestro della gioventù, “stabilendo che con tale titolo egli sia onorato e invocato, specialmente da quanti si riconoscono suoi figli spirituali”.
La venerazione che Don Bosco ebbe, in vita ed in morte, per sua madre fu trasmessa alla congregazione, che negli anni ’90 del XX secolo ha pensato di introdurre finalmente la causa di beatificazione di Mamma Margherita. Merita infine ricordare la prolifica stirpe di santità generata da Don Bosco, tanto che allo stato attuale delle cause, la Famiglia Salesiana può contare ben 5 santi, 51 beati, 8 venerabili ed 88 servi di Dio.

DALLE “LETTERE” DI SAN GIOVANNI BOSCO
Se vogliamo farci vedere amici del vero bene dei nostri allievi, e obbligarli a fare il loro dovere, bisogna che voi non dimentichiate mai che rappresentate i genitori di questa cara gioventù, che fu sempre tenero oggetto delle mie occupazioni, dei miei studi, del mio ministero sacerdotale, e della nostra Congregazione salesiana. Se perciò sarete veri padri dei vostri allievi, bisogna che voi ne abbiate anche il cuore; e non veniate mai alla repressione o punizione senza ragione e senza giustizia, e solo alla maniera di chi vi si adatta per forza e per compiere un dovere.
Quante volte, miei cari figliuoli, nella mia lunga carriera ho dovuto persuadermi di questa grande verità! E’ certo più facile irritarsi che pazientare: minacciare un fanciullo che persuaderlo: direi ancora che è più comodo alla nostra impazienza e alla nostra superbia castigare quelli che resistono, che correggerli col sopportarli con fermezza e con benignità. La carità che vi raccomando è quella che adoperava san Paolo verso i fedeli di fresco convertiti alla religione del Signore, e che sovente lo facevano piangere e supplicare quando se li vedeva meno docili e corrispondenti al suo zelo.
Difficilmente quando si castiga si conserva quella calma, che è necessaria per allontanare ogni dubbio che si opera per far sentire la propria autorità, o sfogare la propria passione.
Riguardiamo come nostri figli quelli sui quali abbiamo da esercitare qualche potere. Mettiamoci quasi al loro servizio, come Gesù che venne a ubbidire e non a comandare, vergognandoci di ciò che potesse aver l’aria in noi di dominatori; e non dominiamoli che per servirli con maggior piacere. Così faceva Gesù con i suoi apostoli, tollerandoli nella loro ignoranza e rozzezza, nella loro poca fedeltà, e col trattare i peccatori con una dimestichezza e familiarità da produrre in alcuni lo stupore, in altri quasi scandalo, e in molti la Santa speranza di ottenere il perdono da Dio. Egli ci disse perciò di imparare da lui ad essere mansueti e umili di cuore (4r.Mt 11,29).
Dal momento che sono i nostri figli, allontaniamo ogni collera quando dobbiamo reprimere i loro falli, o almeno moderiamola in maniera che sembri soffocata del tutto. Non agitazione dell’animo, non disprezzo negli occhi, non ingiuria sul labbro; ma sentiamo la compassione per il momento, la speranza per l’avvenire, e allora voi sarete i veri padri e farete una vera correzione.
In certi momenti molto gravi, giova più una raccomandazione a Dio, un atto di umiltà a lui, che una tempesta di parole, le quali, se da una parte non producono che male in chi le sente, dall’altra parte non arrecano vantaggio a chi le merita.
Ricordatevi che l’educazione è cosa del cuore, e che Dio solo ne è il padrone, e noi non potremo riuscire a cosa alcuna, se Dio non ce ne insegna l’arte, e non ce ne mette in mano le chiavi.
Studiamoci di farci amare, di insinuare il sentimento del dovere, del santo timore di Dio, e vedremo con mirabile facilità aprirsi le porte di tanti cuori e unirsi a noi per cantare le lodi e le benedizioni di colui, che volle farsi nostro modello, nostra via, nostro esempio in tutto, ma particolarmente nell’educazione della gioventù.

NOVENA A SAN GIOVANNI BOSCO
1° giorno - O gloriosissimo San Giovanni Bosco, per l'amore ardente che portasti a Gesù nel Santissimo Sacramento e per lo zelo con cui ne propagasti il culto, soprattutto con l'assistenza alla Santa Messa, con la Comunione frequente e con la visita quotidiana, ottienici di crescere sempre più nell'amore, nella pratica di queste sante devozioni e di terminare i nostri giorni rinvigoriti e confortati dal cibo celeste della Santa Eucaristia. Gloria al Padre...
2° giorno - O gloriosissimo San Giovanni Bosco, per l'amore tenerissimo che portasti alla Vergine Ausiliatrice che fu sempre tua Madre e Maestra, ottienici una vera e costante devozione alla nostra dolcissima Mamma, affinché possiamo meritare la sua potentissima protezione durante la nostra vita e specialmente nell'ora della morte. Gloria al Padre...
3° giorno - O gloriosissimo San Giovanni Bosco, per l'amore filiale che portasti alla Chiesa e al Papa, di cui prendesti costantemente le difese, ottienici di essere sempre degni figli della Chiesa Cattolica e di amare e venerare nel Sommo Pontefice l'infallibile vicario di Nostro Signore Gesù Cristo. Gloria al Padre...
4° giorno - O gloriosissimo San Giovanni Bosco, per il grande amore con cui amasti la gioventù, della quale fosti Padre e Maestro e per gli eroici sacrifici che sostenesti per la sua salvezza, fa' che anche noi amiamo con amore santo e generoso questa parte eletta dei Cuore di Gesù e che in ogni giovane sappiamo vedere la persona adorabile del nostro Salvatore Divino. Gloria al Padre...
5° giorno - O gloriosissimo San Giovanni Bosco che per continuare ad estendere sempre più il tuo santo apostolato fondasti la Società Salesiana e l'istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, ottieni che i membri delle due Famiglie Religiose siano sempre pieni del tuo spirito e fedeli imitatori delle tue eroiche virtù. Gloria al Padre...
6° giorno - O gloriosissimo San Giovanni Bosco che per ottenere nel mondo più abbondanti frutti di fede operosa e di tenerissima carità istituisti l'Unione dei Cooperatori Salesiani, ottieni che questi siano sempre modelli di virtù cristiane e sostenitori provvidenziali delle tue Opere. Gloria al Padre...
7° giorno - O gloriosissimo San Giovanni Bosco che amasti con amore ineffabile tutte le anime e per salvarle mandasti i tuoi figli fino agli estremi confini della terra, fa' che anche noi pensiamo continuamente alla salvezza della nostra anima e cooperiamo per la salvezza di tanti nostri poveri fratelli. Gloria al Padre...
8° giorno - O gloriosissimo San Giovanni Bosco che prediligesti con amore particolare la bella virtù della purezza e la inculcasti con l'esempio, la parola e gli scritti, fa' che anche noi, innamorati di così indispensabile virtù, la pratichiamo costantemente e la diffondiamo con tutte le nostre forze. Gloria al Padre...
9° giorno - O gloriosissimo San Giovanni Bosco che fosti sempre tanto compassionevole verso le sventure umane, guarda a noi tanto bisognosi dei tuo aiuto. Fa' scendere su di noi e sulle nostre famiglie le materne benedizioni di Maria Ausiliatrice; ottienici tutte le grazie spirituali e temporali che ci sono necessarie; intercedi per noi durante la nostra vita e nell'ora della morte, affinché possiamo giungere tutti in Paradiso e inneggiare in eterno alla Misericordia divina. Gloria al Padre...

PREGHIERA A SAN GIOVANNI BOSCO
O San Giovanni Bosco, padre e maestro della gioventù,
che tanto lavorasti per la salvezza delle anime,
sii nostra guida nel cercare il bene delle anime nostre e la salvezza dei prossimo;
aiutaci a vincere le passioni e il rispetto umano;
insegnaci ad amare Gesù Sacramentato, Maria Ausiliatrice e il Papa;
e implora da Dio per noi una buona morte,
affinché possiamo raggiungerti in Paradiso. Amen.

ORAZIONE DAL MESSALE
O Dio, che in san Giovanni Bosco
hai dato alla tua Chiesa un padre e un maestro dei giovani,
suscita anche in noi la stessa fiamma di carità
a servizio della tua gloria per la salvezza dei fratelli.
Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio,
e vive e regna con Te, nell’unità dello Spirito Santo,
per tutti i secoli dei secoli. Amen.





scri789
00lunedì 31 gennaio 2011 14:34

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