31 luglio

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Stellina788
00domenica 25 luglio 2010 16:08

San Calimero di Milano Vescovo

31 luglio

sec. III

Emblema: Bastone pastorale, Palma

Martirologio Romano: A Milano, san Calimero, vescovo.

Nato da nobile famiglia, dopo un viaggio a Roma, fu consacrato prete. Alla morte del vescovo di Milano, S. Castriziano, di cui fu fedele coadiutore, s. Calimero fu eletto dalla gente a succedergli.
L’episcopato di S. Calimero si pone nel periodo che va dal 270 al 280.
La tradizione vuole S. Calimero martire, in quanto gettato alcuni pagani in un pozzo dove trovò la morte.
San Calimero è sepolto nella basilica a lui dedicata a Milano. Nel VIII secolo, nella cripta della basilica, le sue reliquie furono ritrovate in un pozzo, ancora oggi esistente, immerse nell’acqua.
Un tempo in occasione della festa del santo, l’acqua del pozzo veniva distribuita ai malati.
La chiesa milanese commemora il suo quarto vescovo martire il 31 luglio. Insieme agli altri santi vescovi milanesi, S. Calimero è festeggiato anche il 25 settembre.


Stellina788
00domenica 25 luglio 2010 16:08

Beata Caterina di Lovanio Monaca

31 luglio

XIII secolo

Nacque all’inizio del tredicesimo secolo da famiglia ebraica e il suo nome era Rachele. Avendo deciso, contro la volontà dei genitori, di abbracciare la religione cristiana, una notte abbandonò la sua casa e si rifugiò nel monastero di Parcum Damarum, presso Lovanio. Qui, battezzata pubblicamente, le fu imposto il nome di Caterina e vestì l’abito cistercense. Il padre tentò con ogni mezzo di farla tornare indietro, ma alla fine prevalse la volontà di Caterina, che poté trascorrere in pace il resto della vita, durante la quale ebbe estasi e visioni e operò vari miracoli. La sua morte avvenne nella prima metà del tredicesimo secolo.
L’Ordine Benedettino la festeggia il 31 luglio.

Nacque al­l'inizio del sec. XIII da famiglia ebraica, e il suo nome era Rachele. Avendo deciso, contro la vo­lontà dei genitori, di abbracciare la religione cri­stiana in cui si era istruita di nascosto, una notte abbandonò la sua casa e si rifugiò nel monastero detto Parcum Damarum presso Lovanio (Sainte Marie du Parc). Qui, battezzata pubblicamente, le fu imposto il nome di Caterina e vestì l'abito religioso dell'Ordine cistercense. Il padre, appreso ciò, tentò ogni mezzo affinché gli fosse riconsegnata la figlia, e sembra riuscisse con il denaro ad avere l'appog­gio di persone autorevoli, tra cui il vescovo di Liegi, mentre incontrò la fiera opposizione di altri, come l'abate di Viviers.
Nacque allora un'aspra e lunga lite, alla quale partecipò anche l'arcivescovo di Colonia, Engel-berto : infine prevalse la giustizia e Caterina potè trascor­rere in pace il resto della vita, durante la quale ebbe estasi e visioni e operò miracoli. La sua morte avvenne nella prima metà del sec. XIII. È ricor­data il 4 magg. ora col titolo di beata, ora con quello di santa.



Stellina788
00domenica 25 luglio 2010 16:09

Santi Democrito, Secondo e Dionigi Martiri

31 luglio

Martirologio Romano: A Sinnada in Frigia, nell’odierna Turchia, santi Democrito, Secondo e Dionigi, martiri.


Stellina788
00domenica 25 luglio 2010 16:10

Beati Dionigi Vicente Ramos e Francesco Remon Jativa Francescani, martiri

31 luglio

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+ Los Tres Pinos, Granollers, Spagna, 31 luglio 1936

Martirologio Romano: Nella città di Granollers vicino a Barcellona in Spagna, beati martiri Dionigi Vicente Ramos, sacerdote, e Francesco Remón Játiva, religioso, dell’Ordine dei Frati Minori Conventuali, che durante la persecuzione contro la fede seguirono con il loro martirio le orme di Cristo.


Dionisio Vicente Ramos sacerdote
Caudé, Spagna, 9 ottobre 1871 – Granollers, Spagna, 31 luglio 1936

Dionisio Vicente Ramos nacque il 9 ottobre 1871 a Caudé, nel territorio della diocesi spagnola di Teruel. All’età di soli quindici anni entrò nella casa religiosa di Montalto Marche, in provincia di Ascoli Piceno in Italia, poiché a quel tempo in Spagna non vi era alcun convento dell’Ordine dei Frati Minori Conventuali. Nel 1888, a San Miniato vicino a Pisa, emise i voti temporanei ed infine, nel seminario serafico di Bagnoregio, la professione solenne. Fu ordinato sacerdote nel 1894 a Roma, ove aveva frequentato gli studi superiori, conseguendo anche il dottorato in teologia. Svolse vari incarichi nell’Ordine: parroco ad Anzio, penitenziere nella basilica di Loreto e professore in vari seminari diocesani e religiosi.
Tornò in patria a Granollers per una grave infermità agli occhi, dedicandosi principalmente al ministero della riconciliazione. Fu ardente apostolo e uomo di fede, carità e umiltà. Allo scoppio della guerra civile spagnola, ormai in età avanzata ed ormai cieco, il 19 luglio 1936 si rifugiò nell’ospedale. Arrestato il 31 luglio, venne fucilato lo stesso giorno insieme con il Fra’ Francisco Remon Jativa, nella località detta “Los Tres Pinos”, nei pressi di Granollers, dimostrando una fede tale da suscitare ammirazione nei suoi stessi carnefici.

Francisco Remon Jativa religioso
Caudé, Spagna, 22 settembre 1890 – Granollers, Spagna, 31 luglio 1936

Francisco Remon Jativa nacque il 22 settembre 1890 a Caudé, nella diocesi spagnola di Teruel. Entrò come postulante nell’Ordine dei Frati Minori Conventuali a Granollers. Nel 1906 fu inviato in Italia e destinato ad Assisi, ove nel 1912 emise i voti temporanei e nel 1916 quelli solenni. Qui esercitò il compito di sagrestano nella basilica sino al 1935, Fece poi ritorno in patria a Granollers, dove fu sagrestano della chiesa e portinaio del convento. Svolse gli incarichi affidatigli con diligenza, esemplare per tutti coloro che lo avvicinavano.
Allo scoppio della guerra civile Fra’ Francisco si rifugiò in casa di alcuni amici, però mentre scappava verso un altro luogo fu riconosciuto dai rivoluzionari, arrestato ed incarcerato. Percosso crudelmente sino a provocargli una emorragia interna, fu portato in ospedale, ove incontrò Padre Dionisio Vicente Ramos, con il quale si confessò. Il 31 luglio 1936 furono fucilati insieme in località detta “Los Tres Pinos”.Dionisio Vicente Ramos, Francisco Remon Jativa e quattro loro confratelli appartenenti all’Ordine dei Frati Minori Conventuali furono beatificati l’11 marzo 2001 da Papa Giovanni Paolo II con un gruppo composto complessivamente di ben 233 martiri della medesima persecuzione.



Stellina788
00domenica 25 luglio 2010 16:10

Sant' Elena (Elin) di Skovde

31 luglio

Etimologia: Elena = la splendente, fiaccola, dal greco

Martirologio Romano: A Skövde in Svezia, santa Elena, vedova, che, ingiustamente uccisa, è ritenuta martire.

E' chiamata anche s. Elin di Vastergotland, dal nome della provincia svedese dove si trova Skovde. Era donna di origine aristocratica, rimasta ben presto vedova, che visse piamente facendo elemosine e contribuendo con larghezza alla costruzione della chiesa della sua città. La leggenda racconta che, essendo stato ucciso suo genero dai propri dipendenti per la crudeltà usata verso la moglie, i parenti di lui accusarono la santa di essere stata l'assassina o per lo meno, di aver preso parte all'omicidio. In seguito a ciò, per sottrarsi alla vendetta, E. fece un pellegrinaggio in Terra Santa, rimanendo assente per quasi un anno. Ma, ritornata in patria, mentre si recava alla festa della consacrazione della chiesa di Gotene, fu assalita a tradimento e uccisa il 31 luglio 1160. Narra ancora la leggenda che la sera della sua morte un cieco, accompagnato da un bambino, si trovò a passare presso il luogo dell'uccisione ed il bambino scoprì in un roseto, illuminato da una luce che ardeva vivamente, un dito mozzato di Elena, nel quale era infilato l'anello, che aveva portato dalla Terra Santa. Quando il cieco, curvatosi, con l'aiuto del bambino, poté toccare il sangue di Elena e stropicciarsene gli occhi, riacquistò la vista. La leggenda aggiunge che nel luogo dove la santa era caduta, a circa due chilometri da Skovde, sgorgò una sorgente d'acqua, per cui fu chiamato Elins Kalla. Nel 1596, per ordine delI'arcivescovo luterano Angermannus, la sorgente fu riempita di terra, ma l'acqua continuò a sgorgare ugualmente. Vicino alla sorgente esisteva anche una cappella dedicata alla santa, gli ultimi avanzi della quale furono adoperati nel 1759 per la ricostruzione della chiesa di Skovde, divorata da un incendio. Elena fu sepolta nella chiesa di Skovde e il popolo la venerò come santa, specialmente per i prodigi che avvennero, subito dopo la morte, sulla sua tomba.
Secondo la tradizione, il papa Alessandro III, vivamente pregato dal primo arcivescovo della Svezia, la iscrisse nell'albo dei santi nel 1164. Elena era molto venerata anche in Danimarca; infatti nelle vicinanze di Tisvilde, già villaggio peschereccio nel Kattegat che diventò poi stazione balneare, esisteva una località chiamata Helenes Kilde che era visitata, specialmente la vigilia di s. Giovanni, perché restituiva la salute agli ammalati. Parecchi pittori danesi trassero da questa sorgente il motivo per alcuni dei loro quadri. La festa di Elena si celebra il 31 luglio. E' raffigurata con una spada e il dito mozzato su un libro.



Stellina788
00domenica 25 luglio 2010 16:11

Beato Everardo Hanse Sacerdote e martire

31 luglio

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+ Londra, Inghilterra, 31 luglio 1581

Martirologio Romano: A Londra in Inghilterra, beato Everardo Hanse, sacerdote e martire, che, fin dal giorno in cui aveva abbracciato la fede cattolica, la custodì premurosamente, la propagò tra i concittadini e la confermò con il suo glorioso martirio a Tyburn sotto la regina Elisabetta I.

Nato nella contea di Northampton da famiglia protestante, compi gli studi a Cambridge per diventare ministro del culto e fu ben presto sistemato con un buon beneficio. Colpito da una grave malattia nel 1579, comprese la situazione della sua anima e fece perciò chiamare suo fratello Guglielmo, prete cattolico, nelle cui mani pronunziò l'abiura. Rinunziò poi al beneficio e parti per la Francia dove, nel seminario di Reims, studiò teologia per circa un anno e fu ordinato sacerdote il 25 marzo 1581.
Subito dopo venne inviato in Inghilterra insieme ad altri sacerdoti, sotto altro nome e cor incarichi apparentemente diversi; ma il suo ministero in patria durò pochi mesi appena. Un giorno mentre visitava i prigionieri cattolici a Marshalsea fu preso e sottoposto ad interrogatorio e, avendo subito confessato la sua qualifica di sacerdote cat tolico, fu rinchiuso nelle carceri di Newgate ed incatenato (26 giug. 1581).
Il processo si svolse tra vari tentativi di comprometterlo sulle questioni della supremazia papale nelle cose spirituali e in quelle materiali, e dell'infallibilità e impeccabilità del papa stesso. Il beato seppe illustrare e difendere molto bene la dottrina cattolica e rimase ben saldo di fronte ai tentativi di farlo ritrattare, mentre era in carcere respinse sia l'accusa di tradimento, poiché riconosceva la regina come legittima sovrana e la sua supremazia nelle cose non di fede, sia l'invito a pregare con i ministri di culto.
La sentenza di morte fu pronunciata il 28 lugl. ed eseguita il 31 seguente al Tyburn. Sul carro pregava ad alta voce e faceva la sua professione di fede; impiccato, fu deposto ancora vivente e straziato in modo orrendo. Durante i supplizi fu udito dire ancora: « Oh felice giorno! ». In un ms. conservato a Douai si parla di miracoli verificatisi alla sua morte e particolarmente del suo cuore che, gettato sulle fiamme, ne balzò fuori.
Del beato è rimasta una lettera scritta il giorno prima della morte al fratello sacerdote, nella quale lo pregava di sistemare alcuni piccoli affari pendenti; da quelle poche righe spira serenità di spirito ed una grande precisione nelle questioni materiali. La lettera termina ricordando l'espressione di Gesù: « Tolle crucem tuam et sequere me », a cui aggiunge Vale in Domino.
L'Hanse fu beatificato da Leone XIII nel 1886 e la sua festa viene celebrata nella diocesi di Northampton il 30 lugl., sebbene egli sia morto il 31.


Stellina788
00domenica 25 luglio 2010 16:12

San Fabio il Vessilifero Martire

31 luglio

+ Cesarea di Mauritania, 303/304

Emblema: Palma

Martirologio Romano: A Cesarea di Mauritania, nell’odierna Algeria, san Fabio, martire, che, rifiutandosi di portare nell’assemblea generale della provincia il vessillo del governatore, fu dapprima gettato in carcere e, continuando a dichiararsi cristiano, fu poi condannato a morte dal giudice.

Diversi martirologi latini riportano al 31 luglio l’elogio del martire San Fabio il Vessillifero, ad oggi unico santo con tale nome a comparire nel calendario ufficiale cattolico, il Martyrologium Romanum. Ripercorrendo le scarse notizie sulla sua vicenda terrena è facile comprendere l’origene dello strano appellativo conferitogli.
Nella prima parte della sua “passio” sono narrati la confessione, il processo ed il martirio, racconto che pare fornire sufficiente garanzia di veridicità, mentre la parte conclusiva, assai fantasiosa, non costituisce che un evidente tentativo di giustificare il possesso delle reliquie del santo da parte della città di Cartenna.
Verso il 303 o 304, mentre imperversava la persecuzione anticristiana indetta dall’imperatore Diocleziano, il preside romano della Mauritania convocò un’assemblea presso Cesarea e proprio per tale occasione si sarebbe svolto in cui Fabio era stato incaricato di portare il vessillo del governatore. Poiché però la cerimonia avrebbe avuto un carattere religioso pagano, Fabio rifiutò fermamente di parteciparvi e per punizione venne incarcerato. Dopo qualche giorno fu condotto dinanzi ad un tribunale, ove fu esaminato il suo caso. Egli rimase fermo nel suo proposit e perciò fu inevitabile la condanna alla decapitazione.
La narrazione successiva, come detto, fornisce elementi fantastici: il giudice non volle che Fabio ricevesse conveniente sepoltura, onde evitare una venerazione popolare nei suoi confronti, ed ordinò quindi che il capo ed il corpo venissero gettati separatamente in mare. Essi però si ricongiunsero miracolosamente e, così uniti, furono spinti dalle onde sino al lido di Cartenna, sulle coste della Mauritania sua patria, ove finalmente trovarono degna sepoltura.



Stellina788
00domenica 25 luglio 2010 16:13

Beato Francesco (Franciszek) Stryjas Padre di famiglia, martire

31 luglio

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Popowo, Polonia, 26 gennaio 1882 – Kalisz, Polonia, 31 luglio 1944

Franciszek Stryjas, laico della diocese di Kalisz, padre di famiglia, morì vittima dei nazisti dopo atrici sofferenze. Papa Giovanni Paolo II il 13 giugno 1999 lo elevò agli onori degli altari con ben altre 107 vittime della medesima persecuzione.

Martirologio Romano: A Kalisz in Polonia, beato Francesco Stryjas, martire, che nello stesso periodo, sfinito dai innumerevoli supplizi, passò gloriosamente al Signore.



Stellina788
00domenica 25 luglio 2010 16:13

Beato Francesco da Milano Eremita

31 luglio

sec. XVII

Nel Menologio camaldolese è ricordato il 31 luglio.



Stellina788
00domenica 25 luglio 2010 16:14

San Germano d’Auxerre Vescovo

31 luglio

Auxerre, Francia, 378 ca. – Ravenna, 31 luglio 448

Germano nacque ad Auxerre in una famiglia di grandi proprietari terrieri. Studiò le arti liberali e poi andò a Roma per acquisire il dottorato in Diritto ed esercitare la professione di avvocato. In seguito, tornato in Francia, divenne governatore della Provincia Lionese Quarta, cui apparteneva Auxerre. Alla morte del vescovo della città sant'Amatore il clero, la nobiltà e il popolo acclamarono Germano.Ceduti tutti i suoi averi ai poveri, durante il suo episcopato diede prova di uno stile di vita umile e austero, rianimò la vita monastica in Gallia e fu protagonista di importanti opere di pacificazione tra popolazioni in conflitto. In Inghilterra, inviato dal papa Celestino I, Germano combatté con successo l'eresia pelagiana e si adoperò in una fruttuosa opera di diffusione della fede cristiana. Morì in missione diplomatica a Ravenna nel 448. Il suo corpo fu immediatamente riportato ad Auxerre. Si racconta che quando il corteo funebre, arrivato a Vercelli entrò nella locale cattedrale, le candele che erano spente si accesero da sole tutte insieme. Il culto di san Germano culto presto si diffuse in tutta la Gallia. (Avvenire)

Martirologio Romano: A Ravenna, transito di san Germano, vescovo di Auxerre, che difese per due volte la fede dei Britanni dall’eresia pelagiana e, giunto a Ravenna per propiziare la pace nella Bretagna francese, fu accolto con onore dagli augusti Valentiniano e Galla Placidia, salendo poi da qui al regno dei cieli.

Ascolta da RadioVaticana:
  

Ecco un altro santo che proviene, come tanti altri vissuti nell’antichità, specie nell’Alto Medioevo; dalle file dei laureati in Diritto e come professione l’avvocatura.
Figlio di Rustico e Germanilla, il vescovo Germano, nacque ad Auxerre (dipartimento dell’Yonne, Francia); i suoi genitori erano grandi proprietari terrieri, forse di rango senatoriale. Studiò le arti liberali (che nel Medioevo erano sette e divise in due gruppi: arti del ‘trivio’ o letterarie, cioè grammatica, retorica, dialettica e arti del ‘quadrivio’ o scientifiche, cioè aritmetica, geometria, musica, astronomia); quindi studiò quelle del ‘trivio’, e poi andò a Roma per acquisire il dottorato in Diritto ed esercitare la professione di avvocato.
In seguito divenne governatore della Provincia Lionese Quarta, cui apparteneva Auxerre; il 1° maggio 418 morì il vescovo della città s. Amatore, e il clero, la nobiltà e il popolo, come si usava allora, lo scelsero per loro vescovo, pur essendo sposato; le leggi sul celibato ecclesiastico e della nomina dei vescovi da parte del papa vennero più tardi.
Germano comunque si mostrò degno della scelta operata dai suoi fedeli e dal clero; distribuì i suoi beni ai poveri, adottò uno stile di vita umile e mortificato, si comportò con la sua sposa come fosse una sorella.
La sua opera di vescovo fu importante, ammaestrò i suoi chierici e i suoi monaci; sviluppò la vita monastica in Gallia, fondò un monastero maschile sulla riva destra del fiume Yonne dedicato ai Ss. Cosma e Damiano; eresse una basilica a S. Albano martire inglese e un’altra più piccola destinata alla propria sepoltura, dedicata a S. Maurizio e compagni martiri e che in seguito sarà chiamata di S. Germano.
Fece da mediatore verso il capo degli Alani nella regione di Orléans, convincendolo a trattare, salvando così l’Armorica (gli Alani erano una popolazione caucasica, che al seguito degli Unni, penetrarono nell’Europa centrale, contribuendo alla caduta dell’impero romano); prese posizione contro l’eccessivo peso delle imposte pagate dai suoi diocesani.
Ma Germano fu impegnato anche in iniziative pastorali in Inghilterra, delegato dal papa s. Celestino I nel 429-30, contro l’eresia pelagiana ottenendo un netto successo. (Il pelagianesimo fu un movimento ereticale iniziato da Pelagio (360-422) monaco britannico, che accentuando le capacità naturali del libero arbitrio, negava la necessità della Grazia divina per il retto uso della volontà umana).
Nella Pasqua del 430, contribuì alla vittoria dei Brettoni sui Pitti e i Sassoni, facendo gridare loro un fragoroso ‘Alleluia’ che spaventò gli avversari; ritornò in Gran Bretagna una seconda volta nel 445 e certi studiosi dicono, che Germano avesse portato nella grande isola il testo delle ‘Epistole’ di s. Paolo, riprodotto dal ‘Libro di Armagh’; si dice che s. Patrizio, apostolo dell’Irlanda, vivesse ad Auxerre, già al tempo del vescovo s. Amatore e che fosse discepolo di s. Germano.
Suscitò e incoraggiò fra i Brettoni, la vocazione religiosa della giovane s. Genoveffa (patrona di Parigi). Nel 448 infine si recò alla corte imperiale di Ravenna, per perorare la causa dell’Armorica (antico nome della Bretagna) in conflitto con Ezio, vicario imperiale della Gallia, che minacciava di farla invadere dagli Alani.
E durante quest’ultima missione, Germano morì a Ravenna il 31 luglio 448, fra il compianto generale, specie dell’imperatrice madre Galla Placidia e dei vescovi presenti, in particolare di s. Pier Crisologo, vescovo di Ravenna.
Il suo corpo fu imbalsamato, deposto in una cassa di cipresso e riportato ad Auxerre, come da suo desiderio. Il trasporto fu organizzato dalla corte imperiale per mezzo di squadre di soldati; viaggio difficoltoso per un vivo, visto la distanza e la viabilità di allora, figuriamoci per una bara, che ad ogni modo fu venerata al suo passaggio, dalle popolazioni locali.
Il corteo entrò ad Auxerre il 22 settembre 448 e dopo otto giorni di esposizione solenne nella cattedrale, la salma venne inumata il 1° ottobre nella basilica da lui fatta costruire.
Il culto fu immediato non solo ad Auxerre, dove fu il primo santo locale, ma anche in tutta la Gallia, soprattutto presso i re franchi; la festa fu fissata al 31 luglio e la sua tomba divenne meta di pellegrinaggio.
Ancora vivo gli si attribuivano numerosi miracoli; a questo proposito si racconta che quando il corteo funebre, arrivato a Vercelli entrò nella locale cattedrale, le candele che erano spente si accesero da sole tutte insieme, illuminando il tempio dalle prime ombre serali.
Alla sua intercessione, si rivolsero re e regine di Francia in tutti i secoli successivi. Accanto a lui riposano altri cinque vescovi di Auxerre, fra cui s. Gregorio. Parte delle reliquie furono distrutte nel 1567 durante il sacco di Auxerre, operato dagli Ugonotti (denominazione dei protestanti francesi, ispirati al calvinismo ginevrino, responsabili delle Guerre di religione, che insanguinarono la Francia, nella seconda metà del secolo XVI).
Più di 120 Comuni francesi portano il nome di Saint-Germain, anche se non tutti sono riconducibili a lui, perché vi sono altri santi francesi con il medesimo nome.



Stellina788
00domenica 25 luglio 2010 16:15

Beato Giacomo (Jaime) Buch Canals Coadiutore salesiano, martire

31 luglio

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Descano, Spagna, 9 aprile 1889 – El Saler, Spagna, 31 luglio

Martirologio Romano: A Valencia sempre in Spagna, beato Giacomo Buch Canals, religioso della Società Salesiana e martire, che nella medesima persecuzione morì professando la sua fede in Cristo.

Nato a Bescano (Gerona) il 9 aprile 1889. Quando aveva quattordici anni entrò dai salesiani di Gerona. Fece la professione come salesiano coadiutore a Sarrioi (Barcellona) nel 1908.A Valenza fu molto stimato dagli ex allievi e dai ragazzi dell'oratorio. Ad Alicante diede un grande impulso alla devozione a Maria Ausiliatrice; fu l'anima di quella casa,finché non fu messaa fuoco durante la Repubblica. Da Alicante fu trasferito a Valenza, dove lo sorprese l'inizio della guerra civile. Uscito dal carcere, tentò di rifugiarsi in diversi luoghi, ma ad un certo momento qualcuno lo riconobbe e venne arrestato. Fu ucciso in una di quelle cosiddette "passeggiate" il 30 luglio.



Stellina788
00domenica 25 luglio 2010 16:15

Beato Giovanni Colombini Fondatore dei Gesuati

31 luglio

m. Siena, 1367

Nato nel 1304 da una ricca famiglia di Siena, diventava ben presto agiato mercante di lana, tessendo un’ampia rete di rapporti commerciali che lo portano ad entrare nel governo della città. Segue un felice matrimonio, allietato da due figli. Ma una occasionale lettura della vita di una S. Maria eremita in Egitto gli procura una profonda crisi spirituale, una svolta di vita decisiva. Restituisce con l’interesse i ricavati dell’usura e convince anche la moglie ad abbracciare la più austera povertà. I gravi sommovimenti politici della Siena del ‘300 spingono Giovanni a forme pubbliche e perfino plateali di conversione. Lui e la moglie decidono per una “sfacciata pubblicità” al Vangelo. Così diventano sguatteri nel palazzo dove Giovanni era stato governatore di Siena e i loro seguaci, anch’essi nobili, devono farsi mendicanti. La classica cerimonia dell’investitura cavalleresca del tempo diventa il rito con cui i novizi si spogliano in pubblico (come S. Francesco) per vestire di soli stracci, nel bel mezzo della piazza del palio di Siena, davanti all’immagine della Madonna, patrona della città. I suoi seguaci adottavano lo stile dei giullari del tempo nella predicazione per le strade e per le piazze, guadagnandosi l’appellativo di “folli di Dio”. Il governo di Siena decide di allontanarlo come pericoloso, ma lui si trasforma “bandito dagli uomini in banditore di Dio” utilizzando l’esilio per diffondere il suo richiamo al radicalismo evangelico. Morì in pace con la Chiesa dopo esserne stato fieramente perseguitato.

Martirologio Romano: Ad Acquapendente nel Lazio, transito del beato Giovanni Colombini, che, ricco mercante di vesti, si convertì alla povertà e radunò i suoi discepoli nell’Ordine dei Gesuati, che volle poveri di Cristo e sposi di signora Povertà.


Potrebbe essere, a buon diritto, il protettore della nostra epoca, dominata dalla fretta ed in preda ad una perpetua agitazione. Anche lui va sempre di fretta ed è continuamente agitato, anche se è nato 700 anni fa: segno che la fretta è vecchia quanto il mondo e che l’agitazione fa parte del patrimonio genetico dell’uomo. Il beato Giovanni Colombini, un giorno, smette di aver fretta per colpa della fretta e vediamo subito come. Uomo d’affari, banchiere, titolare in Siena di una florida azienda per la vendita all’ingrosso di tessuti di lana con addirittura una filiale a Perugia, si sposa a 40 anni, perché prima, per la fretta, non ne ha mai trovato il tempo e prende in moglie, naturalmente, una nobile ereditiera, Biagia Cerretani, che gli dà due figli, un maschietto e una femminuccia. Ha ritmi frenetici, un’attività intensa, gli piacciono i pasti raffinati innaffiati da vino generoso. Tutto questo fino ai 50 anni e, precisamente, al giorno in cui, tornando a casa, trova il pranzo non ancora pronto, come succede nelle migliori famiglie. Lui, che ha sempre fretta, quel giorno ha più fretta del solito e ci scappa una bella litigata con la moglie. Sbuffa, si agita, protesta, elenca tutti gli impegni che quel pomeriggio lo attendono e che la moglie gli fa ritardare, mentre questa, per calmarlo un po’, gli mette tra le mani un libro preso a caso nella libreria, una Vita dei Santi, che Giovanni, quel giorno davvero furente e più agitato che mai, scaglia in mezzo alla cucina. Perché lui vuole mangiare, non leggere. Si pente però quasi subito di quel gesto, va a raccogliere il libro e, quasi senza accorgersi, comincia a leggere dalla pagina rimasta aperta. E’ la vita di Santa Maria Egiziaca, la prostituta diventata penitente, che gli fa passare di colpo la fretta e la voglia di mangiare. A lettura ultimata, Giovanni è un altro uomo, che vuole solo più imitare quella santità eroica e quella rinunzia totale: un cambiamento completo del suo stile di vita che, come suo solito, vuole fare in fretta. Perché il tempo stringe, ed è urgente dare a Dio quello che finora per la fretta gli ha negato. Comincia a disfarsi della sua florida azienda, dalla cui vendita ricava la bellezza di diecimila fiorini, che utilizza in beneficenza e per sistemare economicamente moglie e figli. Perché anche di loro deve “disfarsi”, anche se il distacco è più duro di quanto potesse immaginare. Povertà, preghiera, penitenza, costante imitazione di Gesù sono il nuovo indirizzo che vuole dare alla sua vita. A piedi nudi, con una tonaca malconcia, comincia a predicare e ad impegnarsi in opere di carità Il gesto di Giovanni Colombini fa scandalo o fa ridere. Soprattutto preoccupa le autorità della ricca Siena, che hanno paura diventi contagiosa quella ventata di rinunzia e povertà che egli si porta dietro. Non mancano, infatti, suoi ferventi imitatori, a cominciare dalla di lui cugina Caterina: tutti “pazzi” per Cristo, in nome del quale Giovanni e Caterina operano anche cose prodigiose se non veri e propri miracoli. Meglio, molto meglio, mandarli in esilio e farli oggetto di scherno, prima che sia troppo tardi. Anche la Chiesa indaga su di lui, ma non trova ombra di eresia, anzi il Papa si affretta ad approvare la regola di quella brigata di “Poveri di Cristo”, alla quale il popolo ha dato il nome di Gesuati, perché “ingesuati”, cioè trasformati in Gesù, essi si sforzano di diventare. Giovanni percorre le città e le campagne della Toscana, mendicando, cantando laudi, recitando preghiere, parlando della bontà di Dio e raccogliendo insulti e derisioni “per amor di Dio”. E’ solito dire: “Pregovi che non vi facciate male per la troppa penitenza, ma datevi più alla carità di Dio e del prossimo e alle mortificazioni”. Oggi la Chiesa fa memoria di lui e della cugina Caterina, fondatrice delle “Povere Gesuate” , perché anche se i loro Ordini sono stati soppressi da tempo il loro esempio continua a scuotere e ad interpellare la nostra debole fede.



Stellina788
00domenica 25 luglio 2010 16:16

Beato Giovanni Francesco Jarrige de la Morelie du Breuil Martire

31 luglio

Martirologio Romano: Nel braccio di mare antistante Rochefort in Francia, beato Giovanni Francesco Jarrige de la Morélie du Breuil, sacerdote e martire, che, durante la persecuzione contro la Chiesa nel corso della rivoluzione francese, fu gettato in una sordida galera, dove morì di tisi.


Stellina788
00domenica 25 luglio 2010 16:17

Beato Girolamo Michele Calmell Mercedario

31 luglio

+ Barcellona, Spagna, 1557

Dopo il 1500 oltre all’azione redentrice ed evangelizzatrice si accentua nell’Ordine Mercedario anche la linea docente, infatti i frati continuarono a frequentare le Università per ottenere gradi e titoli accademici. Il Beato Girolamo Michele Calmell, era dottore in teologia ed in entrambi i diritti e notaio apostolico, che scrisse in Bordeaux (Francia): “Super cantica canticorum” ed altre opere di carattere spirituale. Ardente difensore del dogma dell’Immacolata Concezione, meritò spesso, in estasi, di contemplarla fra il coro degli angeli. Con fama di santità morì nella pace del Signore nell’anno 1557 a Barcellona (Spagna) e fu tumulato in un sepolcro d’onore nella chiesa del convento mercedario di Sant’Eulalia.
L’Ordine lo festeggia il 31 luglio.



Stellina788
00domenica 25 luglio 2010 16:17

San Giustino De Jacobis da San Fele Vescovo

31 luglio - Comune

San Fele (Potenza), 9 ottobre 1800 - Zula (Eritrea), 31 luglio 1860

Giustino de Jacobis divenne Abuna Jacob per le popolazioni etiopi. E quando Paolo VI lo proclamò santo nel 1975, l'episcopato di quel Paese lo definì «il padre della Chiesa d'Etiopia». Nato a San Fele (Potenza) nel 1800, nel 1824 divenne prete nella Congregazione della missione di san Vincenzo de' Paoli. Curò i colerosi a Napoli nel 1836-37 e due anni dopo partì per il Tigrè, operando ad Adua e Adi Kwala. Qui eresse un seminario per preti locali, il Collegio dell'Immacolata. Ma non fu la sua unica intuizione in anticipo sui tempi. Entrò, infatti, in dialogo con i cristiani copti. Uno di essi, Ghebrè Michail, passò al cattolicesimo e aiutò il missionario nell'opera di inculturazione della fede. Ma quando Abuna Jacob venne ordinato vescovo - da Guglielmo Massaia - ne sorse un contrasto con il vescovo copto. E una persecuzione: Ghebrè Michail morì in carcere, mentre Giustino, espulso, si spense a Zula (Eritrea) il 31 luglio 1860. (Avvenire)

Etimologia: Giustino = onesto, probo (sign. Intuitivo)

Emblema: Bastone pastorale

Martirologio Romano: Nella valle di Alighede in Etiopia, san Giustino De Iacobis, vescovo della Congregazione della Missione, che, mite e pieno di carità, si impegnò nelle opere di apostolato e nella formazione del clero locale, patendo poi la fame, la sete, le tribolazioni e il carcere.


San Giustino de Jacobis nasce in San Fele (Potenza) il 9 ottobre 1800 da Giovanni Battista e Giuseppina Muccia. Intorno al 1812, la famiglia, forse per motivi economici, si trasferisce a Napoli. Nel 1818, il padre carmelitano Mariano Cacace, intuita la vocazione del giovane, lo indirizza verso la comunità dei missionari vincenziani; proseguendo i suoi studi, Giustino de Jacobis si sposta in Puglia e proprio in questa terra, il 18 giugno 1824, a Brindisi, nella cattedrale, è ordinato sacerdote dall'arcivescovo Giuseppe Maria Tedeschi (1819 - 1825). Nella stessa Puglia il de Jacobis trascorre i suoi primi anni di sacerdozio e tra il 1824 ed il 1836 è a Monopoli e Lecce. Nel 1836 rientra a Napoli dove imperversa un'epidemia di colera; il sacerdote sanfelese ha modo allora di dimostrare il suo spirito di dedizione verso i tantissimi malati che i vincenziani curano. In coincidenza della processione dell'Immacolata, l'epidemia è completamente sconfitta; a Napoli, nella chiesa di San Nicola, si conserva tuttora la statua della Vergine che anche Giustino de Jacobis trasportò a spalla.
Nel 1838, il padre vincenziano Giuseppe Sapeto avvia una missione ad Adua che viene rafforzata con l'arrivo, il 13 ottobre 1839, su sollecitazione di Propaganda Fide, di Giustino de Jacobis, allora superiore alla napoletana casa dei Vergini, che assume la responsabilità della regione del Tigrè erigendosi così la prima vera missione col titolo di vicariato d'Abissinia. Nel 1841 è affiancato da due confratelli italiani: padre Lorenzo Bianchieri e Giuseppe Abbatini. Altri risultati della missione giungeranno più avanti con la conversione al cattolicesimo del monaco etiopico Gebre Mikael e circa 5.000 indigeni Si fondano altri centri missionari a Gondar, Enticciò, Guala, con annesso seminario da cui nel 1852 usciranno 15 sacerdoti, Alitiena, Halai, Hebo, Cheren. Tra tutti i luoghi attraversati, nella vita missionaria di Giustino de Jacobis, ricopre una notevole importanza la città di Hebo dove le sue spoglie sono conservate e venerate.
Il vescovo cappuccino mons. Guglielmo Massaia lo consacra vescovo titolare di Nilopoli l'8 gennaio 1849. Col martirio del primo sacerdote indigeno, l'abba Gebre Mikael, nel 1855, l'esilio del de Jacobis e la sua morte il 31 luglio 1860, ad Eidale, nella valle Alighedé, lungo il sentiero che da Massaua porta all'altopiano, in seguito alla persecuzione del negus Teodoro II (1855 - 68), si chiude questa prima esperienza missionaria.
Il 25 luglio 1939 Giustino de Jacobis è beatificato e nel 1975, in coincidenza con l'anno santo, proclamato santo. In Brindisi il santo è ricordato nel titolo della parrocchiale del quartiere Bozzano, canonicamente eretta il 14.5.1978, e da un'epigrafe nella basilica Cattedrale:
IN QUESTO SACRO TEMPIO
IL BEATO GIUSTINO DE JACOBIS
MISSIONARIO DI S.VINCENZO DE PAOLI
PRIMO VICARIO AP[OSTOLICO] D'ABISSINIA
FU CONSACRATO SACERDOTE
IL 18 GIUGNO 1824
LE FIGLIE DELLA CARITÀ CON ARCIVESCOVO – CAPITOLO
POPOLO ESULTANTE
RICORDANDOLO CON SOLENNI FESTEGGIAMENTI IL 21




Fa le sue prime esperienze e corre i suoi primi rischi nel 1836-37 curando i colerosi di Napoli, nell’epidemia che provoca quindicimila morti in città, dopo aver colpito il Nord e il Centro Italia (e farà altre stragi in Sicilia). Giustino De Jacobis appartiene alla “Congregazione della Missione” di san Vincenzo de’ Paoli.
Settimo dei 14 figli di una famiglia lucana, Giustino è stato ordinato sacerdote a Brindisi nel 1824. Nel 1839 arriva come missionario in Etiopia e il suo campo di lavoro è il Tigré: principalmente Adua, e poi Guala (Adi Kwala) dove pensa subito a formare preti etiopici, dando vita a un seminario chiamato “Collegio dell’Immacolata”.
Questo è già territorio cristiano (con una presenza di islamici): c’è la Chiesa copta, che non è stata mai unita a Roma, e la cui dottrina monofisita non ammette in Cristo una natura umana insieme a quella divina. Giustino De Jacobis avvicina i copti con rispetto e amicizia; ne porta alcuni con sé in un viaggio a Roma e in Terrasanta, senza chiedere conversioni. Uno di essi, però, Ghebré Michaïl, nato nel Goggiam, si fa cattolico, diventa sacerdote e maestro del seminario, pubblicando una grammatica e un dizionario della lingua locale. Valorizzare le culture che incontra: anche questo fa parte della “linea De Jacobis” in missione.
Nella regione cresce la popolarità di Abuna (padre) Jacob, come lo chiamano, e si sviluppa la comunità cattolica, che entra però in conflitto col vescovo copto Abuna Salama, specie quando De Jacobis viene nominato vescovo e vicario apostolico (lo consacra il grande Guglielmo Massaia, vescovo dei Galla sull’altopiano etiopico, nel 1849).
Il contrasto diviene persecuzione quando un piccolo capo della zona di Gondar, Kasa, sottomette i ras proclamandosi imperatore col nome di Teodoro II. Spinto dall’Abuna Salama, fa poi imprigionare De Jacobis con i suoi sacerdoti; e uno di essi, il dotto Ghebré Michaïl, muore di stenti in catene (sarà beatificato nel 1926). A questo punto Salama scrive a Teodoro: "Devi cacciare l’Abuna Jacob. Ma non lo uccidere: è un santo!". Così il vescovo Giustino viene espulso con un gruppetto dei suoi fedelissimi, e muore di sfinimento nella zona più torrida dell’Eritrea, presso Zula, mentre cerca di raggiungere il porto di Massaua.
"Giustino De Jacobis è stato padre per la Chiesa d’Etiopia", scrivono i vescovi etiopici nell’Anno santo 1975 al papa Paolo VI, che lo ha proclamato santo il 26 ottobre. In quell’occasione, ricordando l’anticipatrice visione ecumenica di Giustino, il Pontefice affermava: "Volle accostare i Copti etiopici, e anche i fedeli musulmani; e, pur se per questo andò incontro a gravi ostilità e incomprensioni, intese dare incremento ai valori cristiani ivi esistenti, mirando all’unità e all’integrità della fede". E ha poi aggiunto: "Ha un solo torto, quello d’essere troppo poco conosciuto".

Le sue ultime parole furono di raccomandazione e di affetto verso i suoi discepoli:
"Figli miei, tutti voi avrete parte del mio affetto, voglio benedirvi!"
"Non piangete, non piangete, continuò Giustino, non abbiate timore perché se vi conformerete alle raccomandazioni che vi ho fatto, nessuna cosa potrà nuocervi. Trasmettete questi avvisi a quelli che sono ad Hebo, Alitiena, Halai, Moncullo. Che tutti si ricordino di me nelle preghiere".

Stellina788
00domenica 25 luglio 2010 16:18

Sant' Ignazio di Loyola Sacerdote

31 luglio

Azpeitia, Spagna, c. 1491 - Roma, 31 luglio 1556

Il grande protagonista della Riforma cattolica nel XVI secolo, nacque ad Azpeitia, un paese basco, nel 1491. Era avviato alla vita del cavaliere, la conversione avvenne durante una convalescenza, quando si trovò a leggere dei libri cristiani. All'abbazia benedettina di Monserrat fece una confessione generale, si spogliò degli abiti cavallereschi e fece voto di castità perpetua. Nella cittadina di Manresa per più di un anno condusse vita di preghiera e di penitenza; fu qui che vivendo presso il fiume Cardoner decise di fondare una Compagnia di consacrati. Da solo in una grotta prese a scrivere una serie di meditazioni e di norme, che successivamente rielaborate formarono i celebri Esercizi Spirituali. L'attività dei Preti pellegrini, quelli che in seguito saranno i Gesuiti, si sviluppa un po'in tutto il mondo. Il 27 settembre 1540 papa Paolo III approvò la Compagnia di Gesù. Il 31 luglio 1556 Ignazio di Loyola morì. Fu proclamato santo il 12 marzo 1622 da papa Gregorio XV. (Avvenire)

Etimologia: Ignazio = di fuoco, igneo, dal latino

Emblema: IHS (monogramma di Cristo)

Martirologio Romano: Memoria di sant’Ignazio di Loyola, sacerdote, che, nato nella Guascogna in Spagna, visse alla corte del re e nell’esercito, finché, gravemente ferito, si convertì a Dio; compiuti gli studi teologici a Parigi, unì a sé i primi compagni, che poi costituì nella Compagnia di Gesù a Roma, dove svolse un fruttuoso ministero, dedicandosi alla stesura di opere e alla formazione dei discepoli, a maggior gloria di Dio.

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Il primo scritto che racconta la vita, la vocazione e la missione di s. Ignazio, è stato redatto proprio da lui, in Italia è conosciuto come “Autobiografia”, ed egli racconta la sua chiamata e la sua missione, presentandosi in terza persona, per lo più designato con il nome di “pellegrino”; apparentemente è la descrizione di lunghi viaggi o di esperienze curiose e aneddotiche, ma in realtà è la descrizione di un pellegrinaggio spirituale ed interiore.
Il grande protagonista della Riforma cattolica nel XVI secolo, nacque ad Azpeitia un paese basco, nell’estate del 1491, il suo nome era Iñigo Lopez de Loyola, settimo ed ultimo figlio maschio di Beltran Ibañez de Oñaz e di Marina Sanchez de Licona, genitori appartenenti al casato dei Loyola, uno dei più potenti della provincia di Guipúzcoa, che possedevano una fortezza padronale con vasti campi, prati e ferriere.
Iñigo perse la madre subito dopo la nascita, ed era destinato alla carriera sacerdotale secondo il modo di pensare dell’epoca, nell’infanzia ricevé per questo anche la tonsura.
Ma egli ben presto dimostrò di preferire la vita del cavaliere come già per due suoi fratelli; il padre prima di morire, nel 1506 lo mandò ad Arévalo in Castiglia, da don Juan Velázquez de Cuellar, ministro dei Beni del re Ferdinando il Cattolico, affinché ricevesse un’educazione adeguata; accompagnò don Juan come paggio, nelle cittadine dove si trasferiva la corte allora itinerante, acquisendo buone maniere che tanto influiranno sulla sua futura opera.
Nel 1515 Iñigo venne accusato di eccessi d’esuberanza e di misfatti accaduti durante il carnevale ad Azpeitia e insieme al fratello don Piero, subì un processo che non sfociò in sentenza, forse per l’intervento di alti personaggi; questo per comprendere che era di temperamento focoso, corteggiava le dame, si divertiva come i cavalieri dell’epoca.
Morto nel 1517 don Velázquez, il giovane Iñigo si trasferì presso don Antonio Manrique, duca di Najera e viceré di Navarra, al cui servizio si trovò a combattere varie volte, fra cui nell’assedio del castello di Pamplona ad opera dei francesi; era il 20 maggio 1521, quando una palla di cannone degli assedianti lo ferì ad una gamba.
Trasportato nella sua casa di Loyola, subì due dolorose operazioni alla gamba, che comunque rimase più corta dell’altra, costringendolo a zoppicare per tutta la vita.
Ma il Signore stava operando nel plasmare l’anima di quell’irrequieto giovane; durante la lunga convalescenza, non trovando in casa libri cavallereschi e poemi a lui graditi, prese a leggere, prima svogliatamente e poi con attenzione, due libri ingialliti fornitagli dalla cognata.
Si trattava della “Vita di Cristo” di Lodolfo Cartusiano e la “Leggenda Aurea” (vita di santi) di Jacopo da Varagine (1230-1298), dalla meditazione di queste letture, si convinse che l’unico vero Signore al quale si poteva dedicare la fedeltà di cavaliere era Gesù stesso.
Per iniziare questa sua conversione di vita, decise appena ristabilito, di andare pellegrino a Gerusalemme dove era certo, sarebbe stato illuminato sul suo futuro; partì nel febbraio 1522 da Loyola diretto a Barcellona, fermandosi all’abbazia benedettina di Monserrat dove fece una confessione generale, si spogliò degli abiti cavallereschi vestendo quelli di un povero e fece il primo passo verso una vita religiosa con il voto di castità perpetua.
Un’epidemia di peste, cosa ricorrente in quei tempi, gl’impedì di raggiungere Barcellona che ne era colpita, per cui si fermò nella cittadina di Manresa e per più di un anno condusse vita di preghiera e di penitenza; fu qui che vivendo poveramente presso il fiume Cardoner “ricevé una grande illuminazione”, sulla possibilità di fondare una Compagnia di consacrati e che lo trasformò completamente.
In una grotta dei dintorni, in piena solitudine prese a scrivere una serie di meditazioni e di norme, che successivamente rielaborate formarono i celebri “Esercizi Spirituali”, i quali costituiscono ancora oggi, la vera fonte di energia dei Gesuiti e dei loro allievi.
Arrivato nel 1523 a Barcellona, Iñigo di Loyola, invece di imbarcarsi per Gerusalemme s’imbarcò per Gaeta e da qui arrivò a Roma la Domenica delle Palme, fu ricevuto e benedetto dall’olandese Adriano VI, ultimo papa non italiano fino a Giovanni Paolo II.
Imbarcatosi a Venezia arrivò in Terrasanta visitando tutti i luoghi santificati dalla presenza di Gesù; avrebbe voluto rimanere lì ma il Superiore dei Francescani, responsabile apostolico dei Luoghi Santi, glielo proibì e quindi ritornò nel 1524 in Spagna.
Intuì che per svolgere adeguatamente l’apostolato, occorreva approfondire le sue scarse conoscenze teologiche, cominciando dalla base e a 33 anni prese a studiare grammatica latina a Barcellona e poi gli studi universitari ad Alcalà e a Salamanca.
Per delle incomprensioni ed equivoci, non poté completare gli studi in Spagna, per cui nel 1528 si trasferì a Parigi rimanendovi fino al 1535, ottenendo il dottorato in filosofia.
Ma già nel 1534 con i primi compagni, i giovani maestri Pietro Favre, Francesco Xavier, Lainez, Salmerón, Rodrigues, Bobadilla, fecero voto nella Cappella di Montmartre di vivere in povertà e castità, era il 15 agosto, inoltre promisero di recarsi a Gerusalemme e se ciò non fosse stato possibile, si sarebbero messi a disposizione del papa, che avrebbe deciso il loro genere di vita apostolica e il luogo dove esercitarla; nel contempo Iñigo latinizzò il suo nome in Ignazio, ricordando il santo vescovo martire s. Ignazio d’Antiochia.
A causa della guerra fra Venezia e i Turchi, il viaggio in Terrasanta sfumò, per cui si presentarono dal papa Paolo III (1534-1549), il quale disse: “Perché desiderate tanto andare a Gerusalemme? Per portare frutto nella Chiesa di Dio l’Italia è una buona Gerusalemme”; e tre anni dopo si cominciò ad inviare in tutta Europa e poi in Asia e altri Continenti, quelli che inizialmente furono chiamati “Preti Pellegrini” o “Preti Riformati” in seguito chiamati Gesuiti.
Ignazio di Loyola nel 1537 si trasferì in Italia prima a Bologna e poi a Venezia, dove fu ordinato sacerdote; insieme a due compagni si avvicinò a Roma e a 14 km a nord della città, in località ‘La Storta’ ebbe una visione che lo confermò nell’idea di fondare una “Compagnia” che portasse il nome di Gesù.
Il 27 settembre 1540 papa Polo III approvò la Compagnia di Gesù con la bolla “Regimini militantis Ecclesiae”.
L’8 aprile 1541 Ignazio fu eletto all’unanimità Preposito Generale e il 22 aprile fece con i suoi sei compagni, la professione nella Basilica di S. Paolo; nel 1544 padre Ignazio, divenuto l’apostolo di Roma, prese a redigere le “Costituzioni” del suo Ordine, completate nel 1550, mentre i suoi figli si sparpagliavano per il mondo.
Rimasto a Roma per volere del papa, coordinava l’attività dell’Ordine, nonostante soffrisse dolori lancinanti allo stomaco, dovuti ad una calcolosi biliare e a una cirrosi epatica mal curate, limitava a quattro ore il sonno per adempiere a tutti i suoi impegni e per dedicarsi alla preghiera e alla celebrazione della Messa.
Il male fu progressivo limitandolo man mano nelle attività, finché il 31 luglio 1556, il soldato di Cristo, morì in una modestissima camera della Casa situata vicina alla Cappella di Santa Maria della Strada a Roma.
Fu proclamato beato il 27 luglio 1609 da papa Paolo V e proclamato santo il 12 marzo 1622 da papa Gregorio XV.
Si completa la scheda sul Santo Fondatore, colonna della Chiesa e iniziatore di quella riforma coronata dal Concilio di Trento, con una panoramica di notizie sul suo Ordine, la “Compagnia di Gesù”.

Le “Costituzioni” redatte da s. Ignazio fissano lo spirito della Compagnia, essa è un Ordine di “chierici regolari” analogo a quelli sorti nello stesso periodo, ma accentuante anche nella denominazione scelta dal suo Fondatore, l’aspetto dell’azione militante al servizio della Chiesa.
La Compagnia adattò lo spirito del monachesimo, al necessario dinamismo di un apostolato da svolgersi in un mondo in rapida trasformazione spirituale e sociale, com’era quello del XVI secolo; alla stabilità della vita monastica sostituì una grande mobilità dei suoi membri, legati però a particolari obblighi di obbedienza ai superiori e al papa; alle preghiere del coro sostituì l’orazione mentale.
Considerò inoltre essenziale la preparazione e l’aggiornamento culturale dei suoi membri. È governata da un “Preposito generale”.
I gradi della formazione dei sacerdoti gesuiti, comprendono due anni di noviziato, gli aspiranti sono detti ‘scolastici’, gli studi approfonditi sono inframezzati dall’ordinazione sacerdotale (solitamente dopo il terzo anno di filosofia), il giovane gesuita verso i 30 anni diventa professo ed emette i tre voti solenni di povertà, castità e obbedienza, più in quarto voto di obbedienza speciale al papa; accanto ai ‘professi’ vi sono i “coadiutori spirituali” che emettono soltanto i tre voti semplici.
Non c’è un ramo femminile né un Terz’Ordine. La spiritualità della Compagnia si basa sugli ‘Esercizi Spirituali’ di s. Ignazio e si contraddistingue per l’abbandono alla volontà di Dio espresso nell’assoluta obbedienza ai superiori; in una profonda vita interiore alimentata da costanti pratiche spirituali, nella mortificazione dell’egoismo e dell’orgoglio; nello zelo apostolico; nella totale fedeltà alla Santa Sede.
I Gesuiti non possono possedere personalmente rendite fisse, consentite solo ai Collegi e alle Case di formazione; i professi fanno anche il voto speciale di non aspirare a cariche e dignità ecclesiastiche.
Come attività, in origine la Compagnia si presentava come un gruppo missionario a disposizione del pontefice e pronto a svolgere qualsiasi compito questi volesse affidargli per la “maggior gloria di Dio”.
Quindi svolsero attività prevalentemente itinerante, facendo fronte alle più urgenti necessità di predicazione, di catechesi, di cura di anime, di missioni speciali, di riforma del clero, operante nella Controriforma e nell’evangelizzazione dei nuovi Paesi (Oriente, Africa, America).
Nel 1547, s. Ignazio affidò alla sua Compagnia, un ministero inizialmente non previsto, quello dell’insegnamento, che diventò una delle attività principali dell’Ordine e uno dei principali strumenti della sua diffusione e della sua forza, lo testimoniano i prestigiosi Collegi sparsi per il mondo.
Alla morte di s. Ignazio, avvenuta come già detto nel 1556, la Compagnia contava già mille membri e nel 1615, con la guida dei vari Generali succedutisi era a 13.000 membri, diffondendosi in tutta Europa, subendo anche i primi martiri (Campion, Ogilvie, in Inghilterra).
Ma soprattutto ebbe un’attività missionaria di rilievo iniziata nel 1541 con s. Francesco Xavier, inviato in India e nel Giappone, dove i successivi gesuiti subirono come gli altri missionari, sanguinose persecuzioni.
Più duratura fu la loro opera in Cina con padre Matteo Ricci (1552-1610) e in America Meridionale, specie in Brasile, con le famose ‘riduzioni’. Più sfortunata fu l’opera dei Gesuiti in America Settentrionale, in cui furono martiri i santi Giovanni de Brebeuf, Isacco Jogues, Carlo Garnier e altri cinque missionari.
Col passare del tempo, nei secoli XVII e XVIII i Gesuiti con la loro accresciuta potenza furono al centro di dispute dottrinarie e di violenti conflitti politico-ecclesiatici, troppo lunghi e numerosi da descrivere in questa sede; che alimentarono l’odio di tanti movimenti antireligiosi e l’astio dei Domenicani, dei sovrani dell’epoca e dei parlamentari e governi di vari Stati.
Si arrivò così allo scioglimento prima negli Stati di Portogallo, Spagna, Napoli, Parma e Piacenza e infine sotto la pressione dei sovrani europei, anche allo scioglimento totale della Compagnia di Gesù nel 1773, da parte di papa Clemente XIV.
I Gesuiti però sopravvissero in Russia sotto la protezione dell’imperatrice Caterina II; nel 1814 papa Pio VII diede il via alla restaurazione della Compagnia.
Da allora i suoi membri sono stati sempre presenti nelle dispute morali, dottrinarie, filosofiche, teologiche e ideologiche, che hanno interessato la vita morale e istituzionale della società non solo cattolica.
Nel 1850 sorse la prestigiosa e diffusa rivista “La Civiltà Cattolica”, voce autorevole del pensiero della Compagnia; altre espulsioni si ebbero nel 1880 e 1901 interessanti molti Stati europei e sud americani.
Nell’annuario del 1966 i Gesuiti erano 36.000, divisi in 79 province nel mondo e 77 territori di missione. In una statistica aggiornata al 2002, la Compagnia di Gesù annovera tra i suoi figli 49 Santi di cui 34 martiri e 147 Beati di cui 139 martiri; a loro si aggiungono centinaia di Servi di Dio e Venerabili, avviati sulla strada di un riconoscimento ufficiale della loro santità o del loro martirio.
L’alto numero di martiri, testimonia la vocazione missionaria dei Gesuiti, votati all’affermazione della ‘maggior gloria di Dio’, nonostante i pericoli e le persecuzioni a cui sono andati incontro, sin dalla loro fondazione.



Stellina788
00domenica 25 luglio 2010 16:19

Beato Michele (Michal) Ozieblowski Sacerdote e martire

31 luglio

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Izdebno, Polonia, 28 settembre 1900 – Dachau, Germania, 31 luglio 1942

Michal Ozieblowski, sacerdote dell’arcidiocesi di Varsavia, cadde vittima dei nazisti nel celebre campo di concentramento tedesco di Dachau. Papa Giovanni Paolo II il 13 giugno 1999 lo elevò agli onori degli altari con ben altre 107 vittime della medesima persecuzione.

Martirologio Romano: Vicino a Monaco di Baviera in Germania nel campo di prigionia di Dachau, beato Michele Oziębłowski, sacerdote e martire, che, deportato per la sua fede in un carcere straniero dalla Polonia, sua patria, costretta sotto un regime nemico della religione, portò a compimento il martirio sotto tortura.



Stellina788
00domenica 25 luglio 2010 16:19

Santi Pietro Doan Cong Quy e Emanuele Phung Martiri

31 luglio

Martirologio Romano: In località Cây Mét vicino a Saigon in Cocincina, ora Viet Nam, santi Pietro Đoàn Công Quỳ, sacerdote, ed Emanuele Phụng, martiri, che, dopo circa sette mesi in carcere, furono decapitati per Cristo sotto l’imperatore Tự Đức.



Stellina788
00domenica 25 luglio 2010 16:21

San Tertullino Martire

31 luglio

Martirologio Romano: A Roma sulla via Latina, san Tertullino, martire.


Stellina788
00domenica 25 luglio 2010 16:21

Beata Zdenka Cecilia Schelingova Martire

31 luglio

24 dicembre 1916 - 31 luglio 1955

Nel 1931, quindicenne, entrò nella congregazione delle Suore di carità della Santa Croce. Si dedicò così alla preghiera e al servizio infermieristico, nel quale si distinse tra le sue consorelle. Durante gli anni del regime comunista all'ospedale di Bratislava aiutò la fuga di un pr ete detenuto e picchiato a sangue. Il fatto segnò la sua condanna, fu infatti arrestata il 29 febbraio 1952, mentre tentava di far fuggire alcuni sacerdoti dal tribunale di Bratislava. Restò in carcere fino al 16 aprile 1955, ma a causa delle pessime condizioni di salute morì a 38 anni, il 31 luglio.

Martirologio Romano: A Trnava in Slovacchia, beata Sidonia (Cecilia) Schelingová, vergine della Congregazione delle Suore della Carità della Santa Croce e martire, che, in tempi di grande difficoltà per la Chiesa nella sua nazione, molto patì nel corpo e nello spirito per aver protetto un sacerdote e, colpita infine da malattia, rifulse quale instancabile e gioiosa testimone di Cristo.


Nel suo 102° viaggio apostolico per il mondo, papa Giovanni Paolo II il 14 settembre 2003, ha beatificato con una solenne celebrazione tenuta a Bratislava in Slovacchia, la suora Zdenka Cecilia Schelingova e il vescovo Vasil’ Hopko ambedue martiri slovacchi, testimoni del nostro tempo.
Il papa ha invitato i presenti e tutto il popolo slovacco, a rivolgere lo sguardo alla Croce, perché in quel giorno si celebrava appunto nella liturgia cattolica l’Esaltazione della Santa Croce, indicando ancora una volta alla Chiesa e al mondo la misteriosa fecondità di quel legno, sul quale: “s’incontrano la miseria dell’uomo e la misericordia di Dio. È certamente la meditazione di questo grande e mirabile mistero, che ha sostenuto i due Beati nella scelta di vita consacrata e particolarmente, nelle sofferenze affrontate durante la terribile prigionia. Entrambi rifulgono davanti a noi come esempi luminosi di fedeltà; in tempi di dura e spietata persecuzione religiosa il vescovo Vasil’ non ha mai rinnegato il suo attaccamento alla Chiesa Cattolica e al papa e suor Zdenka non ha esitato a mettere a repentaglio la sua stessa vita per aiutare i ministri di Dio”.
E alla presenza di tanti vescovi, qualche cardinale, sacerdoti e suore, ancora viventi, testimoni e vittime di quella che fu la ‘Chiesa del silenzio’ chiamata pure ‘Chiesa delle catacombe del XX secolo’, esistita nei Paesi della sfera comunista dell’Unione Sovietica, il papa ha riconfermato ancora una volta la riconoscenza della Chiesa Cattolica verso questi suoi figli e verso queste terre irrigate dal sangue dei martiri di ieri e di oggi, per la fedeltà dimostrata, nonostante tutte le persecuzioni; e di cui suor Zdenka è una delle tante e forse poco conosciute figure esemplari, di cui man mano emergono il loro soffrire e il loro martirio.
Cecilia Schelingova (questo il suo nome da laica), nacque il 25 dicembre 1916 a Krivá, nel distretto di Dolny in Slovacchia, penultima di 11 figli, i suoi genitori Pavol e Zugana, onesti contadini, impartirono ai loro figli un’educazione religiosa, fondata sulla preghiera e sull’onestà nel lavoro.
Si distinse fra i compagni di scuola per diligenza, obbedienza e nella prontezza ad aiutare gli altri; attratta dalla carità e dal prodigarsi delle Suore della Carità della Santa Croce, appena quindicenne volle entrare nella loro Congregazione, con il consenso orgoglioso dei suoi familiari.
Fece il suo noviziato, abbinando nel contempo la scuola infermieristica e il 30 gennaio 1937 emise i primi voti cambiando il nome in Zdenka (Sidonia). Con il diploma di infermiera svolse questa attività a Humenné e dal 1942 in poi, circondata da stima per le sue qualità, lavorò nel reparto di radiologia dell’Ospedale Statale di Bratislava con competenza, generosità e amore per gli ammalati, da molti considerata un “modello di suora e di infermiera professionale”.
Nel 1948 avvenne il cambiamento politico nell’ex Cecoslovacchia e il partito comunista incominciò una vera e propria persecuzione contro la Chiesa Cattolica, usando discriminazioni per i fedeli, lo scioglimento di Ordini religiosi, sacerdoti e religiosi mandati ai lavori forzati, vescovi e loro collaboratori perseguitati ed imprigionati.
Anche le suore della sua Congregazione vivevano nel timore e nelle difficoltà sempre più pesanti, suor Zdenka Schelingova condivise nel suo animo, le sofferenze della Chiesa Slovacca oppressa dal regime e secondo le sue possibilità, cercò di aiutare alcuni sacerdoti in difficoltà per la loro fede.
Con grande coraggio riuscì a far fuggire il 20 febbraio 1952, un sacerdote cattolico detenuto, ma in cura presso l’ospedale, per gli esiti delle torture subite durante gli interrogatori e già destinato ai lavori forzati in Siberia.
In uno slancio offrì a Dio la sua vita per la salvezza del suo ministro; ma la cosa non era passata inosservata del tutto, per cui il regime comunista totalitario spinse la Polizia segreta di Stato, a tendere una trappola per liquidare la suora ospedaliera, da tutti benvoluta.
E così otto giorni dopo, il 29 febbraio 1952, quando suor Zdenka cercò di far scappare altri sei sacerdoti, fu scoperta ed arrestata. Subì nei giorni seguenti terribili interrogatori in carcere, con umiliazioni e torture, finché il 17 giugno 1952 fu condannata a dodici anni di carcere, con l’accusa di alto tradimento, più dieci anni di perdita dei diritti civili; fu evidente che la condanna era inflitta nell’ambito della persecuzione contro la Chiesa Cattolica e non per un attentato alla sovranità dello Stato, del resto era questa la motivazione con cui venivano condannati tanti ecclesiastici.
Pur subendo percosse e sofferenze, non provò nessun rancore verso i suoi aguzzini, anzi perdonandoli e disposta anche a morire per Dio e il bene della Chiesa. Passò da un carcere all’altro (Rimavska Sabota, Brno, Praga, Pardubice) riportandone gravi conseguenze per la sua salute; avendo timore che morisse in carcere, il 15 aprile 1955 fu rimessa in libertà, ma per la paura dovuta alla situazione politica, non venne accolta nell’ospedale di Bratislava; fu invece accettata in quello di Trnava.
Dopo poco più di tre mesi, trascorsi sopportando la malattia con umiltà ed abbandono alla volontà di Dio, morì di cancro (questo è scritto sul certificato di morte) il 31 luglio 1955, a soli 38 anni.
Nel 1970 il tribunale di Bratislava e la Corte Suprema hanno riconosciuto l’innocenza di suor Zdenka dall’infamante accusa; le sue consorelle e il popolo slovacco ricordano la sempre sorridente suora, come una religiosa che ha camminato sulla via della perfezione, imitando Cristo soprattutto nella sopportazione delle sofferenze e considerandola come martire della fede.
Oggi le sue spoglie riposano nella Chiesa della Santa Croce in Podunajske Biskupice.



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