31 ottobre

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Stellina788
00mercoledì 27 ottobre 2010 09:49

Sant' Alfonso Rodriguez

31 ottobre

Segovia, Spagna, 25 luglio 1533 - Palma di Maiorca, 30 ottobre 1617

Alfonso era un mercante, nato a Segovia, in Spagna, nel 1533. Si era sposato e aveva avuto due figli ma fu sconvolto dalla perdita della moglie e dei beni. A 35 anni tornò a scuola, proseguendo faticosamente gli studi interrotti in gioventù. Si presentò, quasi vecchio, come novizio in un convento della Compagnia di Gesù. Venne accolto, ma volle restare fratello coadiutore, addetto al servizio materiale della comunità. Divenne così portinaio nel convento dell'isola di Maiorca, da dove passavano i missionari diretti in America. Per tutti l'incontro con il santo portinaio era un'esperienza illuminante e a volte decisiva, come nel caso di san Pietro Claver, l'«apostolo degli schiavi». I suoi scritti furono raccolti dopo la morte, avvenuta il 31 ottobre del 1617. (Avvenire)

Etimologia: Alfonso = valoroso e nobile, dal gotico

Martirologio Romano: Nell’isola di Palma di Maiorca, sant’Alfonso Rodríguez, che, perduti la moglie, i figli e tutti i suoi beni, fu accolto come religioso nella Compagnia di Gesù, dove svolse per molti anni la mansione di portinaio nel Collegio, divenendo un esempio di umiltà, obbedienza e costanza nel sacrificio.

Ascolta da RadioVaticana:
  
Ascolta da RadioMaria:
  

" Dio - scriveva Alfonso Rodriguez - non ci ha chiamati alla vita religiosa e ritirata dal mondo affinché noi ci prendiamo cura delle cose che riguardano il corpo... Egli stesso, nostro Signore e nostro Dio, si prende cura dei nostro corpo, come & Ila nostra anima, e provvede a tutti i suoi bisogni per mezzo dei superiori ".
E ancora: '" La strada che l'anima deve seguire per giungere alla santità, è quella di mortificarsi con l'aiuto della preghiera... 1 passi da fare sono gli atti interiori del cuore, con i quali ci si vince ".
Diceva anche: " Ah, Signore! Se lo sapessi, e se lo potessi fare, vi servirei come tutte le creature del cielo e della terra messe insieme ".
E: " La più grande carità è obbedire a Dio ". Eppure non era né un teologo né un erudito, e neanche uno scrittore ascetico nel senso rigoroso del termine. Era semplicemente il frate portinaio nel convento dei Gesuiti a Palma di Maiorca, nelle Baleari.
Vero è che Alfonso Rodriguez; era giunto a quell'umile lavoro, che svolse fino alla morte, nel 1617, non perché sprovveduto o ignorante, ma per obbedienza e per spirito di mortificazione.
Aveva avuto, nel mondo, vita movimentata. Figlio di un mercante di Segovia era stato egli stesso mercante, dopo aver studiato sotto i primi Gesuiti. Sposato, padre di due figli, aveva perso la moglie, i bambini e tutti i beni, restando simile a un dolorante Giobbe cristiano. A trentacinque anni tornò a scuola, e proseguì faticosamente gli studi interrotti in gioventù. Si presentò, quasi vecchio, come novizio in un convento della Compagnia di Gesù. Venne accolto, ma volle restare fratello coadiutore, addetto al servizio materiale della comunità.
Fu e restò così portinaio nel convento dell'isola di Maiorca, che era come l'avamposto della riscossa cattolica proteso verso le terre dell'Islam e quelle, ancor più lontane, del Nuovo Mondo.
Da Maiorca passavano i missionari diretti in America, e per tutti l'incontro con il Santo portinaio fu un'esperienza illuminante e a volte decisiva, come nel caso di San Pietro Claver, l'Apostolo degli schiavi, discepolo spirituale di Sant'Alfonso Rodriguez.
Proverbiale fu la sua obbedienza ai Superiori, al punto di non aprire la porta, un giorno, allo stesso Viceré, dato che il Rettore gli aveva prescritto di non aprire a nessuno prima di una certa ora. 0 al punto di tentare di fare a pezzi e inghiottire un piatto che gli era stato detto di mangiare intendendo, naturalmente, il contenuto!
La sua lezione fu soprattutto quella dell'esempio. Più tardi, dopo la sua morte, furono raccolte le sue parole e i suoi detti, come quelli che abbiamo ascoltato e che ci tramandano la sua voce. Ma è una voce che, più la si ascolta, più lascia il rimpianto di non averla udita di persona, e soprattutto di non averla vista tradotta in vita.



Stellina788
00mercoledì 27 ottobre 2010 09:52

Beato Cristoforo di Romagna Sacerdote

31 ottobre

+ Cahors, Francia, 1272

Cristoforo, inizialmente sacerdote diocesano, esercitava il ministero di parroco, forse presso Cesena in Romagna, nache se il suo culto presso tale città potrebbe risalire solo al XVIII secolo. All'età di circa quarant'anni lasciò tutto per farsi seguace di San Francesco d'Assisi ed entrare nel nascente Ordine dei Frati Minori. Svolse il suo apostolato tra i lebbrosi e si distinse per l'austerità della sua vita. Venne poi inviato a predicare in Francia contro gli albigesi. Fondò inoltre vari conventi francescani, il primo dei quali fu quello di Chaors nella Guyenne, regione della Francia meridionale. Ebbe dunque il grande merito di riuscire a diffondere nelle Gallie il francescanesimo. Morì infine nel 1272, forse addirittura centenario. Le sue reliquie andarono perse nel 1580, quando gli ugonotti incendiarono il monastero di Cahors. Quanto al suo titolo di beato, i bollandisti ritennero non duraturo il culto tributatogli, ma finalmente nel 1902 fu avviato un processo che portò tre anni dopo all'approvazione ufficiale della venerazione nei suoi confronti. (Avvenire)

Martirologio Romano: A Cahors in Aquitania, ora in Francia, beato Cristoforo di Romagna, sacerdote dell’Ordine dei Minori, che, mandato da san Francesco, morì centenario dopo molte fatiche intraprese per la salvezza delle anime.


Cristoforo, inizialmente sacerdote diocesano, esercitava il ministero di parroco, forse presso Cesena in Romagna, nache se il suo culto presso tale città potrebbe risalire solo al XVIII secolo. All’età di circa quarant’anni lasciò tutto per farsi seguace di San Francesco d’Assisi ed entrare nel nascente Ordine dei Frati Minori. Svolse il suo apostolato tra i lebbrosi e si distinse per l’austerità della sua vita.
Venne poi inviato a predicare in Francia contro gli albigesi. Fondò inoltre vari conventi francescani, il primo dei quali fu quello di Chaors nella Guyenne, regione della Francia meridionale. Ebbe dunque il grande merito di riuscire a diffondere nelle Gallie il francescanesimo. Morì infine nel 1272, forse addirittura centenario.
Le sue reliquie andarono perse nel 1580, quando gli ugonotti incendiarono il monastero di Cahors. Quanto al suo titolo di beato, i bollandisti ritennero non duraturo il culto tributatogli, ma finalmente nel 1902 fu avviato un processo che portò tre anni dopo all’approvazione ufficiale della venerazione nei suoi confronti.



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00mercoledì 27 ottobre 2010 09:52

Sant' Antonino di Milano Vescovo

31 ottobre

Martirologio Romano: A Milano, sant’Antonino, vescovo, che si adoperò molto per estinguere tra i Longobardi l’eresia ariana.



Stellina788
00mercoledì 27 ottobre 2010 09:53

Beato Domenico Collins Religioso gesuita, martire

31 ottobre

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Youghal, Irlanda, 1566 circa – 31 ottobre 1602

Si ritiene che Domenico Collins nacque intorno all'anno 1566 nella città di Youghal, nella regione di Cork in Irlanda. Di là, quando era più o meno ventenne, si trasferì in Francia. Ivi abbracciò la carriera militare, e compì progressi tali da essere promosso in breve tempo capitano. Nell'anno 1598 prese la decisione di seguire una vita radicalmente diversa. Mentre si trovava in Spagna, entrò con disponibilità nel noviziato della Compagnia di Gesù a Santiago di Compostella, dove pronunciò poi i voti perpetui come Fratello. Nel 1601 ritornò nella sua Irlanda. Venne arrestato il 17 giugno 1602 dagli Inglesi, che cercarono invano di fargli rinnegare la fede cattolica. Per questo fu condannato a morte e salì sul patibolo nella sua città natale il 31 ottobre 1602. È stato beatificato da Giovanni Paolo II il 27 settembre 1992, insieme ad altri sedici martiri irlandesi.

Martirologio Romano: A Youghall in Irlanda, beato Domenico Collins, religioso della Compagnia di Gesù e martire, che, a lungo detenuto e ripetutamente interrogato e sottoposto a tortura, professò con fermezza la sua fede cattolica e portò per questo a termine il suo martirio con l’impiccagione.




Stellina788
00mercoledì 27 ottobre 2010 09:54

Sant' Epimaco (Epimachio) di Melusio Martire

31 ottobre

Martirologio Romano: Ad Alessandria d’Egitto, sant’Epimachio di Pelusio, martire, che, come si tramanda, durante la persecuzione dell’imperatore Decio, vedendo che il prefetto costringeva i cristiani a sacrificare agli idoli, tentò di rovesciare l’altare e fu per questo arrestato, torturato e, infine, decapitato con la spada.



Stellina788
00mercoledì 27 ottobre 2010 09:54

San Foillano di Fosses Abate

31 ottobre

Martirologio Romano: A Fosses nel Brabante, nel territorio dell’odierno Belgio, san Foillano, sacerdote e abate, che, di origine irlandese, fu fratello e compagno di san Furséo e, sempre fedele alle norme monastiche della sua patria, fondò a Fosses e a Nivelles due monasteri, l’uno maschile e l’altro femminile, e fu ucciso da alcuni briganti mentre si recava in visita dall’uno all’altro.




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00mercoledì 27 ottobre 2010 09:55

Beato Leone (Leon) Nowakowski Sacerdote e martire

31 ottobre

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Byton, Polonia, 28 giugno 1913 - Piotrków Kujawski, Polonia, 31 ottobre 1939

Il beato Leon Nowakowski, sacerdote diocesano polacco, nacque a Byton (Cuiavia) il 28 giugno 1913 e morì a Piotrków Kujawski tra il 31 ottobre ed il 1° novembre 1939. Fu beatificato da Giovanni Paolo II a Varsavia (Polonia) il 13 giugno 1999 con altri 107 martiri polacchi.

Martirologio Romano: Nella cittadina di Piotrków Kujawski in Polonia, beato Leone Nowakowski, sacerdote e martire, che, durante l’occupazione militare della Polonia, fu fucilato per aver difeso strenuamente la fede davanti al regime nemico di Dio.




Stellina788
00mercoledì 27 ottobre 2010 09:56

Santa Lucilla di Roma Vergine e martire

31 ottobre

Lucilla è una santa poco conosciuta, dal nome antico e familiare. Era attribuito dagli antichi romani alle bambine nate alle prime luci del nuovo giorno. Lucilla, diminutivo di Lucia, vuol dire appunto ''nata all'alba'', così come Crepusca significa ''nata al tramonto'', o anche ''piccola luce''. Di Lucilla martire non sappiamo nulla di certo, se non la storia leggendaria che tanto favore incontrò nei primi anni del cristianesimo. La piccola martire cieca, riportata più volte alla luce da vari Papi si presenta, come simbolo della forza della fede, una fiaccola di carità, accesa sul mondo pagano, illuminando con una nuova alba le vie di Roma.

Etimologia: Lucilla = luminosa, splendente, dal latino

Emblema: Palma


Due pregnanti termini esprimono l'inizio e la fine di un giorno: l'alba e il tramonto. Due splendidi nomi propri sono legati all'arco dello scorrere del bene luce: il comunissimo Lucia "nata all'alba" e il desueto Crepusca "nata al tramonto".
Lucilla è il graziosissimo diminutivo di Lucia; quale vergine e martire del III secolo viene ricordata dal calendario il 31 ottobre.
Poco di documentale intorno a S. Lucilla, ma molto di simbolico con uno stretto legame tra luce e fede che illumina.
Un "corpo santo" di Lucilla, estratto dal cimitero di Callisto nel 1642, fu portato a Reggio Emilia dapprima nella basilica di S. Prospero, patrono reggiano, e successivamente nella cappella della Madonna delle Grazie. Per integrare il semplice nome con dati biografici si volle, in quei tempi, ricordare la martire dell'alba dell'Era Cristiana.
Il racconto, lontano e leggendario, vuole che ai tempi della persecuzione di Valeriano nel 257 il tribuno Nemesio abbia chiesto e ottenuto dal Pontefice il battesimo per sé e per la figlia Lucilla. Questa, cieca dalla nascita, avrebbe poco dopo la cerimonia recuperato immediatamente la vista.
La nuova fede e il miracolo ottenuto dalla figlia rese il tribuno romano sordo alle esortazioni dell'imperatore che esigeva il suo ritorno sollecito alla vecchia religione. Per il reiterato rifiuto, padre e figlia furono condannati a morte e martirizzati l'uno tra la via Appia e la via Latina e l'altra sulla via Appia nei pressi del tempio di Marte.
I loro corpi furono sotterrati ed esumati diverse volte e, secondo alcune interpretazioni, le ripetute traslazioni avrebbero avuto e manterrebbero il significato simbolico di scintilla luminosa e santa che segna nel mondo l'itinerario tironfale del Cristianesimo.
A noi basta pensare al padre S. Nemesio e alla figlia S. Lucilla quale fiaccole di carità reciproca e di testimonianza convinta, poste nelle realtà della fede e nella poesia incerta delle ombre di ogni giorno.



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00mercoledì 27 ottobre 2010 09:57

Beata Maria de Requesens Vergine mercedaria

31 ottobre

+ 1345

Di nobile origine catalana, la Beata Maria de Requesens, distribuì il suo ricco patrimonio ai bisognosi ed entrò fra le prime religiose mercedarie appena fondate da Santa Maria de Cervellón. Ben presto si distinse in quel primo Ospedale convento di Sant'Eulalia in Barcellona, per grandissime virtù e per i tanti miracoli attribuiti tanto da essere considerata fra le più splendide stelle dell'Ordine Mercedario. Quasi centenaria raggiunse la pace del Signore nell'anno 1345.
L'Ordine la festeggia il 31 ottobre.




Stellina788
00mercoledì 27 ottobre 2010 09:58

Beata Maria Purissima della Croce (Maria Isabel Salvat Romero) Vergine

31 ottobre

1926 - 31 ottobre 1998

Il suo postulatore, padre Alfonso Ramírez Peralbo OFMCap, la definisce “l'umiltà personificata”. Si tratta di madre María Purísima de la cruz, morta il 31 ottobre 1998, beatificata questo sabato a Siviglia da monsignor Angelo Amato, prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi, in rappresentanza di Papa Benedetto XVI.
“Nella casa di Dio non ci sono incarichi di poco conto, sono tutti importanti”, era la frase che ripeteva la futura beata, per 22 anni Superiora Generale delle Suore della Compagnia della Croce di Siviglia, fondate nel 1875 da Sant'Ángela de la Cruz.
Il suo nome di battesimo era María Isabel Salvat Romero. Nacque nel 1926 a Madrid, in una famiglia agiata e profondamente religiosa. Nel 1936, quando scoppiò la Guerra Civile Spagnola, si trasferì in Portogallo, tornando in patria due anni dopo.
Dopo aver scoperto la sua vocazione alla vita religiosa, nel 1944 entrò nell'Istituto delle Suore della Compagnia della Croce di Siviglia. In una documentazione inviata a ZENIT, padre Ramírez afferma che durante il periodo di formazione la futura beata manifestò “l'amore per la povertà, un comportamento umile e uno spirito di obbedienza disinteressato e convinto”.
Passò poi a dirigere il collegio di Lopera, vicino Jaén. Nel 1966 venne chiamata alla Casa madre di Siviglia, dove servì come ausiliare del noviziato e poi come maestra delle novizie.
Due anni dopo la Congregazione fece l'esperienza di vivere in Province, ed ella fu nominata Provinciale di una di esse. Questa esperienza non venne accettata, e quindi non prosperò; fu poi Consigliera Generale, e in seguito Superiora della comunità di Villanueva del Río y Minas (Siviglia); nel 1977 venne eletta Madre Generale dell'Istituto.
Durante il suo generalato venne beatificata la fondatrice, Ángela de la Cruz (novembre 1982), canonizzata nel 2003. Madre María Purísima de la Cruz ricevette in casa propria Giovanni Paolo II, che andò a fare una visita dopo aver presieduto la cerimonia di beatificazione.
Pur avendo ricoperto sempre incarichi importanti nella sua comunità, la futura beata non se ne vantò mai: “Il suo ideale era sempre passare senza rumore, cercava di attirare l'attenzione il meno possibile; non ha mai voluto apparire, cercava sempre i posti più bassi”, ha detto padre Ramírez.
“Era la prima a buttarsi per terra per pulire”, ricorda il suo postulatore. “Era sempre disposta a compiere i lavori più umili, rimboccandosi le maniche per lavare i mendicanti malati, avvolgendo nel lenzuolo funebre gli anziani più poveri, scendendo nelle profondità più recondite di quanti soffrono, amica del fango in cui vivevano i poveri, della gente solitaria, pulendo i bagni della casa senza che le consorelle se ne accorgessero”.
Si preoccupava per la formazione permanente delle consorelle, soprattutto di quelle che avevano problemi nella loro vocazione. “La sua testimonianza di vita rappresentò un punto di riferimento sicuro per molte di loro”, ha affermato padre Ramírez, che ha sottolineato anche il suo atteggiamento materno nei confronti delle compagne di comunità. “Sapeva correggere con affetto e comprensione, mettendosi sempre all'altezza dell'altra persona”.
La crescita vocazionale della comunità sotto l'autorità della futura beata fu tale da rendere necessaria l'apertura di nuove case in alcune località spagnole come Puertollano, Huelva, Cadice, Lugo, Linares e Alcázar de S. Juan, ma anche a Reggio Calabria.
Per il suo postulatore, una delle qualità principali della religiosa è stata “la sua personalità serena e gioviale”, che “contribuiva a creare un clima di fiducia e di comunione”. Doni che erano accompagnati da un'intensa vita spirituale, “vissuta con chiara consapevolezza della presenza di Dio e nella costante ricerca della sua volontà, e alimentata alle fonti della preghiera e della contemplazione”.
“Non permettiamoci il riposo, continuiamo a stare sulla breccia”, diceva. “L'amore per Gesù Cristo è il nostro ideale, e rivolgendoci costantemente a Lui la sua grazia non ci mancherà mai”.
Nel 1994 le venne diagnosticato un tumore maligno e dovette essere operata. “Affrontò la malattia con grande docilità alla volontà di Dio e con forza d'animo, e per quattro anni portò generosamente avanti la sua attività”. Morì il 31 ottobre 1998.
“Quanto più passa il tempo, più ci convinciamo che solo Dio resta, e che ringraziarlo deve essere la nostra unica missione”, diceva la futura beata.



Stellina788
00mercoledì 27 ottobre 2010 09:58

San Quintino di Vermand Martire

31 ottobre

Etimologia: Quintino = il quinto figlio nato, dal latino

Emblema: Palma

Martirologio Romano: Nella cittadina in seguito insignita del suo nome nel territorio dell’odierna Francia, san Quintino, martire, che, senatore, subì la passione per Cristo sotto l’imperatore Massimiano.

Ascolta da RadioRai:
  

Un proverbio popolare dice: " Povero come San Quintino, che suonava a Messa con i tegoli del tetto ". Il detto, efficacissimo e colorito, rappresenta bene una estrema, eppur serena povertà; ma fa pensare a San Quintino nelle vesti di prete, anzi di parroco, dandocene una immagine che mal corrisponde alla figura del Santo che la Chiesa festeggia l'ultimo giorno di ottobre, e che fu missionario in Gallia, nei primissimi secoli cristiani.
E' vero che, per quanto sia il più celebre, egli non è l'unico Santo di questo nome. Un altro è festeggiato il 4 di questo stesso mese, ma neanche la sua figura corrisponde a quella di un povero prete che suoni i tegoli del tetto invece delle campane, forse perché le campane si incominciarono a fondere, nel " bronzo campano " di Nola, soltanto dopo il IV secolo.
Anche questo San Quintino fu francese, di Tours, e sarebbe stato al servizio di un nobile della Turingia, di nome Gontrano. La moglie di questo ultimo si sarebbe invaghita follemente del servitore, e invano avrebbe tentato di sedurlo. Delusa nelle sue voglie, ordì una crudele vendetta e, incaricato Quintino di portare i cavalli al fiume per l'abbeverata, ordinò agli altri servi di decapitarlo.
La sua testa fu gettata in una fontana, che divenne miracolosa, testimoniando la santità del casto servitore. E l'ignoto biografo del Santo, dopo aver narrato la sua storia, molto simile a quella biblica di Giuseppe Ebreo, inutilmente tentato e velenosamente calunniato dalla lasciva moglie di Putifarre, esce a questo punto in una aspra invettiva contro le donne malvagie, che noi però non riporteremo, per non dispiacere alle gentili lettrici.
Il San Quintino di oggi, vien detto romano di nascita, e sarebbe giunto in Gallia al seguito di San Luciano di Beauvais. Dopo aver evangelizzato alcune regioni del Nord-Est, avrebbe posto il centro della sua predicazione ad Ambianus, cioè ad Amiens. Qui anch'egli cadde vittima, non di una donna, ma dei celebre e leggendario persecutore francese Riziovaro, prefetto militare sotto Massimiano Imperatore, cioè agli inizi dei III secolo.
In mancanza di notizie precise sulla passione di questo celebre Martire francese, leggiamo quanto dice lacopo da Varagine nella sua Legenda Aurea: " Quintino, facendo molti miracoli, per comandamento di Massimiano Imperatore fu preso dal prefetto di Roma, e battuto tanto che i battitori vennero meno ne le battiture, poscia messo in prigione. Ma l'angelo di Dio sciolse i legami de la prigione, e andoe nel miluogo de la città, e predicava al popolo. Onde preso poi un'altra volta, e disteso alla colla infino a la rottura de le vene, battuto ancora co' nerbi crudi durissimamente, sostenne l'olio e la pece 'l grasso boglientissimo; e faccendosi scherno del prefetto, adirato il prefetto gittogli in bocca la calcina e l'aceto e la senape ".
Dopo questi e altri raffinatissimi tormenti, Quintino fu decapitato e il suo corpo gettato nel fiume. Per cinquantacinque anni non se ne seppe più nulla, finché a Vermand, sulla Somme, una " gentile dama romana " non ritrovò e riconobbe nelle acque il corpo del Santo.
Anche a Vermand, il corpo del Martire, nel corso dei secoli, venne smarrito, e fu ritrovato, nel VII secolo, da Sant'Eligio, il celebre orafo francese, che modellò una preziosa teca dove furon riposte le reliquie del Santo, il cui culto, da allora, si diffuse sempre di più, tanto che anche la città di Vermand prese il nome del Santo, e si chiamò, e ancora si chiama, Saint Quentin.
La città di Saint-Quentin è anche famosa per un avvenimento storico di grande importanza: la battaglia tra gli eserciti francese e spagnolo, che vi si scontrarono nel 1557. A San Quintino si concluse la decennale lotta per l'egemonia in Europa, prima tra Carlo V e Francesco I, poi tra Filippo Il ed Enrico 11.L'esercito vincitore a San Quintino, quello di Filippo 11, era comandato, come si ricorderà, da un condottiero italiano, Emanuele Filiberto, il quale, mentre gli Spagnoli assumevano il dominio dell'Italia, ebbe come ricompensa il territorio della Savoia, di cui fu primo Duca.



Stellina788
00mercoledì 27 ottobre 2010 09:59

San Stachys Discepolo di s. Paolo, vescovo di Costantinopoli

31 ottobre

I sec.

« Al 31 ott. a Costantinopoli, s. Stachys, vescovo, ordinato primo vescovo di quella città dal beato Andrea, apostolo », così il Martirologio Romano. Stachys è nome greco, che signi­fica « spiga, frutto ». È nominato in Rom. 16, 9: « Salutate Urbano e il mio carissimo Stachys ». Niente altro sappiamo di lui, al di fuori dei racconti conservatici dai greci: l'apostolo s. Andrea l'avrebbe consacrato primo vescovo di Bisanzio o di Argiropoli.
Queste leggende sorsero verso la fine del sec. VIII ad opera di ignoti che si presentavano sotto i nomi di Epifanio, Doroteo e Ippolito.
Esse passarono nella letteratura sui discepoli del Signore (De LXX apostolis, falsamente attribuito a s. Ippolito).


Stellina788
00mercoledì 27 ottobre 2010 10:00

Beato Tommaso Bellacci da Firenze Religioso

31 ottobre

Firenze, ca. 1370 - Rieti, 31 ottobre 1447

Figlio di macellai, Tommaso Bellacci (o Tommaso di Scarlino) vive a Firenze una giovinezza irrequieta. Trentenne, nel 1400 entra tra i Minori osservanti di Fiesole. Resterà semplice fratello laico. Bernardino di Siena lo invia a Scarlino (Grosseto), dove fonda o riforma conventi. Tra essi quello di Monte Muro. In vista del Concilio di Firenze, viaggia in Oriente con Alberto di Sarteano, cercando di arrivare in Etiopia, via Arabia. Invano. Sarà più volte imprigionato e frustato. Muore nel 1447 a Rieti, mentre si reca a Roma per chiedere al Papa di tornare in Oriente. (Avvenire)

Patronato: Macellai

Martirologio Romano: A Rieti, beato Tommaso da Firenze Bellaci, religioso dell’Ordine dei Minori, che, partito per la Terra Santa e l’Etiopia, patì il carcere e le torture per Cristo da parte degli infedeli e, tornato infine in patria, riposò in pace quasi centenario.


I suoi di casa sono macellai: beccai, come si dice a quei tempi. Lui invece frequenta i peggiori teppisti fiorentini, ma quelli poi lo 'rinnegano' quando rischia il carcere a causa di una calunnia. Caduto in crisi nera, gli è di aiuto un concittadino dal nome augurale: Angelo Pace. Gli fa conoscere gli amici suoi, i 'confratelli del Ceppo', e Tommaso in mezzo a loro si ritrova.
Sui 30 anni, chiede di entrare tra i Frati minori osservanti di Fiesole; la cosa non scatena entusiasmi tra quei frati di buona memoria. Lo accettano, comunque, come fratello laico, senza gli Ordini. E tale resterà sempre. Ma presto diventa maestro dei novizi, poi capo dei conventi calabresi dell’Osservanza. Nel 1423, il futuro santo Bernardino da Siena lo manda a Scarlino, nel Grossetano, a guidare altre comunità fondate da lui.
Per questo viene chiamato anche Tommaso da Scarlino; ma è più noto come Tommaso da Firenze. Raggiunge e supera i 60 anni tra un convento e l’altro. Ma nel 1438 è mandato in Oriente al seguito di Alberto da Sarteano (una delle più illustri figure dell’Osservanza) per invitare le Chiese separate al concilio di Ferrara (poi spostato a Firenze) che papa Eugenio IV ha indetto con uno scopo grandioso: l’unità fra tutti i cristiani. I delegati svolgono la loro missione in Siria e poi passano in Egitto, dove anche il sultano li accoglie bene.
Lì, Alberto da Sarteano si ammala e torna in Italia: il capo è ora Tommaso, che cerca di arrivare in Etiopia via Arabia, perché il sultano vieta di percorrere la valle del Nilo. Tenta tre volte. E per tre volte è catturato coi compagni dai turchi. Tre prigionie successive, tra frustate e minacce di morte. Per due volte essi vengono liberati con riscatto da mercanti fiorentini. La terza volta è il Papa che paga, su richiesta di Alberto da Sarteano.
Tommaso e compagni tornano così in Italia nel 1444-45 (e intanto l’unione dei cristiani non s’è fatta). Ma quella terra gli è rimasta dentro. A dispetto degli anni e dei turchi, vuole tornarci come missionario. Così, nel 1447, ultrasettantenne, lascia con un compagno il convento abruzzese di Montepiano e s’incammina per Roma: chiederà direttamente al Papa di tornare in Oriente. Ma il suo viaggio e la sua vita terminano a Rieti, dove crolla stremato. Muore poco dopo nella casa dei Francescani conventuali, che gli danno sepoltura nella loro chiesa. Papa Clemente XIV ne approverà il culto come beato nel 1771.
Nel 2006 i resti mortali sono stati traslati nel santuario francescano di Fonte Colombo.


Stellina788
00mercoledì 27 ottobre 2010 10:00

San Volfango di Ratisbona Vescovo

31 ottobre

Svevia, Germania, ca. 924 - Pupping, Austria, 994

Nato nel 924 in Svevia, diventò monaco a Ginsiedeln. Inviato missionario in Ungheria nel 971, l'anno successivo fu eletto vescovo di Ratisbona. Riorganizzazò la diocesi e operò per la sua prosperità fino alla morte che giunse nel 994.

Patronato: Taglialegna

Etimologia: Volfango = che cammina come il lupo

Emblema: Bastone pastorale

Martirologio Romano: A Ratisbona nella Baviera, in Germania, san Volfango, vescovo, che, dopo aver svolto l’ufficio di maestro di scuola e aver fatto professione di vita monastica, elevato alla sede episcopale, ristabilì la disciplina del clero e morì umilmente mentre era in visita nel territorio di Pupping.


E’ riuscito addirittura a farsi aiutare dal diavolo a costruire una chiesa. Questa è una delle molte leggende sorte intorno alla popolarissima figura del vescovo Volfango, uomo di Chiesa e organizzatore della vita civile; costruttore di edifici sacri, e anche di case e di villaggi nelle campagne germaniche. E questo nel X secolo, in prossimità dell’anno Mille. Cioè nell’epoca in cui, secondo invenzioni messe in giro vari secoli dopo, l’Europa sarebbe vissuta nel terrore apatico della “fine del mondo”.
Al contrario, questi sono anni di grandi speranze fondate su realtà evidenti: fine delle aggressioni ungare in Germania e in Italia; cacciata degli arabi dalle teste di ponte sulle coste italiane e francesi. Nell’imminenza dell’anno Mille, si fondano addirittura nuovi Stati (Polonia e Ungheria). E anche la piccola Boemia conia la sua prima moneta d’argento: il “denaro”. Tra i costruttori dell’Europa nuova c’è appunto Volfango, tedesco di Svevia. Educato nel monastero benedettino di Reichenau, sul lago di Costanza, dal 956, pur non essendo prete, ha diretto la scuola arcivescovile di Treviri, in Renania.
Nel 965 lascia l’incarico e si ritira nell’abbazia di Einsiedeln (attuale Svizzera), e tre anni dopo viene ordinato sacerdote. Vorrebbe lavorare alla cristianizzazione degli Ungari che, smesse le razzie, stanno diventando agricoltori. Ma i suoi sforzi hanno poca fortuna. Nel 972 viene nominato vescovo di Ratisbona, la città bavarese che le valli dei fiumi Regen e Naab collegano con le terre boeme; e queste, dal punto di vista ecclesiastico, dipendono da lui, dalla diocesi di Ratisbona.
Ma questo non piace a Volfango, che vede il futuro d’Europa meglio di molti altri, e fa perciò una cosa che sbalordisce: vuole rimpicciolire la sua diocesi, per dare ai cristiani boemi una diocesi boema, con sede a Praga e con un loro vescovo. Intorno a lui si protesta: ma come, se quasi tutti i vescovi cercano di ingrandire le loro diocesi, perché questo qui vuole mutilare la sua? Volfango sa che per incarnare il cristianesimo in un popolo bisogna riconoscerne e valorizzarne la personalità, anche con sede e gerarchia ecclesiastica locale. Un problema che occuperà anche il XX secolo, e che Volfango aveva già compreso. Infatti lascia che a Ratisbona si mormori e si protesti, ma la diocesi di Praga si fa. E nel 976 ha il suo primo vescovo, Tiethmaro, predecessore del grande sant’Adalberto.
Nel 974 la lotta del duca Enrico II di Baviera e l’imperatore Ottone II lo costringe a rifugiarsi nel monastero di Mondsee (regione di Salisburgo). E lì vicino egli innalza una chiesa dedicata a san Giovanni (quella appunto di cui parla la leggenda). Ingrandita e abbellita, essa verrà più tardi dedicata al suo nome. Volfango muore sul lavoro, durante una campagna di predicazione, in Austria. Nel 1052 il papa Leone IX lo proclamerà santo.



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