4 maggio

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Stellina788
00mercoledì 4 maggio 2011 10:43

Sant' Afra di Brescia Matrona, martire

4 maggio

Brescia, 120 ca

Etimologia: Afra = originaria dell'Africa, dal latino


Una santa martire di cui si sa poco, a volte secondo alcuni studiosi, viene identificata con s. Afra di Augusta, nonostante ciò è stata molte volte raffigurata nelle opere di pittura, da artisti che operarono nell’ambiente bresciano; sempre in abiti sontuosi e con i simboli del suo martirio: la palma e la lama seghettata.
La ‘passio’ di autore ignoto, inserita negli atti dei santi Faustino e Giovita, non fornisce alcuna notizia precisa circa l’identità della santa; in qualche codice è riportata come moglie di Italico il nobile bresciano, che secondo la ‘passio’ avrebbe recato il simulacro di Saturno nell’anfiteatro, perché ai suoi piedi, i cristiani fossero sbranati dalle belve feroci.
La ‘passio’ dipende da un racconto molto conosciuto nell’VIII e IX secolo; Afra presente nell’anfiteatro di Brescia alle torture e supplizi dei martiri Faustino e Giovita, tracciando un segno di croce, avrebbe fermato la furia di cinque tori, che docilmente si accosciarono ai piedi dei santi.
Alla vista del prodigio, circa tremila degli spettatori presenti, si convertirono al cristianesimo; Afra venne denunciata all’imperatore Adriano (117-138) come cristiana, subendo il martirio insieme alla schiava Samaritana, dopo la decapitazione di Faustino e Giovita.
La chiesa, che alla fine del III secolo era dedicata ai santi Faustino e Giovita, costruita sul luogo del martirio, nell’806 fu dedicata a s. Afra, dopo che i corpi dei due martiri, vennero traslati in un’altra chiesa, cui in seguito si aggiunsero vari edifici ecclesiastici.
Tutti e tre sono patroni della città di Brescia, a volte s. Afra è raffigurata con il modello della città.



Stellina788
00mercoledì 4 maggio 2011 10:44

Santi Agapio e Secondino Martiri di Lambesa

4 maggio

Martiri a Cirta e Lambesa (Numidia) nel 259

Martirologio Romano: A Costantine in Numidia, nell’odierna Algeria, commemorazione dei santi martiri Agapio e Secondino, vescovi, che, durante la persecuzione dell’imperatore Valeriano, nella quale la ferocia dei pagani si era quanto mai scatenata mettendo alla prova la fede dei giusti, dopo un lungo esilio in questa città da esimi sacerdoti divennero gloriosi martiri. Insieme a loro subirono il martirio anche i santi Emiliano, soldato, Tertulla e Antonia, sacre vergini, e una donna con i suoi gemelli.


SANTI MARTIRI DI LAMBESA
Agapio, Secondino, Giacomo, Mariano, Tertulla, Antonia, Emiliano e compagni

Martiri a Cirta e Lambesa (Numidia) nel 259

Si tratta di un gruppo di martiri africani, che l’ultima edizione del Martirologio Romano celebra in due distinti giorni; Agapio, Secondino, Tertulla, Antonia, Emiliano il 4 maggio e Giacomo e Mariano il 6 maggio.
In effetti pur avendo subito il martirio in giorni e luoghi diversi, essi furono accomunati nel racconto dell’antica ‘Passio’ e così si è andato avanti nei successivi testi storici, fra i quali gli ‘Atti dei Martiri’ e la ‘Bibliotheca Sanctorum’.
La ‘Passio’ dei santi martiri denominati “di Lambesa”, fu scritta da un altro cristiano arrestato insieme a loro e il cui nome è rimasto sconosciuto; per questa comunanza di sofferenza, il testo in XV capitoli, riflette la reale situazione prima del martirio, fornendo particolari della massima attendibilità, cosa abbastanza rara nelle ‘Passio’ degli antichi martiri, compilate in tempi successivi ed integrate per lo più da elementi leggendari.
Nella ‘Passio’ suddetta, il ruolo di protagonisti è coperto dal diacono Giacomo e dal lettore Mariano compagni del cronista; i tre cristiani mentre erano in viaggio attraverso la Numidia (provincia romana dal I secolo), sembra provenienti dall’Africa proconsolare, si fermarono a Mugnae, sobborgo di Cirta (odierna Costantina in Algeria) prendendo alloggio in una villa.
Nello stesso luogo sopraggiunsero due vescovi Agapio e Secondino, che il preside della provincia aveva richiamato dall’esilio, inflitto loro a seguito del primo editto di Valeriano (Valeriano Publio Licinio, imperatore romano dal 253 al 260, successore di Emilio, emanò due editti contro i cristiani, nel 257 e nel 258).
A causa del secondo editto che condannava a morte, subito e senza processo, vescovi, preti e diaconi, i due vescovi, che ebbero l’opportunità di esortare al martirio i due giovani chierici e gli altri cristiani lì radunati per essere interrogati, furono trasferiti a Cirta per essere giudicati dai magistrati civili.
Dopo la loro partenza, qualche giorno dopo la villa fu circondata e Mariano, Giacomo e lo sconosciuto scrittore, furono arrestati insieme ad altri; i due chierici in effetti si erano traditi per aver esortato gli altri alla fermezza nella fede.
Portati davanti ai magistrati di Cirta e sottoposti ad interrogatorio, Giacomo confessò il suo stato di diacono, mentre Mariano fu sottoposto a tortura perché non fu creduto che fosse un semplice lettore, qualificandosi così per salvarsi la vita.
I due giovani chierici cristiani avevano già sofferto per la persecuzione precedente, la settima, ordinata nel 249 dall’imperatore romano Decio (200-251); la loro grandezza d’animo e il loro desiderio di martirio, traspariva dall’atteggiamento nobile e sereno, in occasione dell’arresto e dei tormenti cui furono sottoposti in seguito, nel capitolo V è detto che furono sospesi per le dita delle mani con due pesi ai piedi; nel capitolo XIII l’autore sottolinea l’eroico comportamento della madre di Mariano, che pur angosciata, esultò quando vide il figlio avviarsi al martirio.
Durante il periodo del carcere, il diacono Giacomo vide in sogno Agapio, che già aveva subito il martirio, il quale si mostrava lieto fra i convitati di un’agape fraterna cui partecipavano ex compagni di carcere e di tormenti già martirizzati, mentre dal gruppo si staccava un bambino per annunciare a Mariano e Giacomo, il martirio che avrebbero subito il giorno dopo.
Durante la loro permanenza in carcere, molti altri cristiani, pur non essendo vescovi, preti o diaconi, subirono il martirio, infine il 6 maggio 259 anche i due chierici Giacomo e Mariano, furono decapitati sull’alto di una rupe a strapiombo sul torrente che attraversava Lambesa, capitale della Numidia e dove risiedeva il legato imperiale; i tronchi dei loro corpi furono precipitati nelle acque.
Ai due vescovi Agapio e Secondino, secondo la ‘Passio’ scritta dal cristiano che evidentemente scampò alla morte, sono associate due fanciulle Tertulla e Antonia, che Agapio aveva in custodia.
Il vescovo ormai prossimo a lasciarle sole, pregò ripetutamente il Signore che facesse loro il dono del martirio; ebbe una rivelazione particolare nella quale udì una voce che diceva: “Perché chiedi con tanta insistenza ciò che hai già ottenuto con una sola delle tue preghiere?” (cap. XI).
Nella medesima ‘Passio’ è ricordato anche il soldato Emiliano cavaliere cinquantenne, che per tutta la vita aveva conservato una pura continenza della carne; egli aveva un fratello rimasto pagano che era solito prenderlo in giro per la sua professione cristiana.
Mentre era in carcere, Emiliano sognò il fratello che con voce canzonatoria gli domandava come si trovassero lui e gli altri nelle tenebre del carcere; essendogli stato risposto che per il cristiano splende una chiara luce anche nelle tenebre, insistette chiedendo se per tutti i martiri vi sarebbe stata un’uguale corona in cielo o, altrimenti, a chi tra i presenti sarebbe spettato un premio maggiore.
Gli fu replicato che le stelle sono tutte luminose, anche se diverse fra loro, e che tra i martiri sarebbe stato destinato a splendere di più, chi più fortemente e lungamente avesse sofferto.
Il Martirologio Romano porta al 4 maggio, la commemorazione dei santi martiri Agapio e Secondino vescovi, Emiliano soldato e Tertulla e Antonia vergini, che subirono il martirio a Cirta in Numidia; la data del martirio è posta fra l’anno 258 e 259, il 4 maggio deve essere stato inserito per avvicinare precedendola, la data certa del 6 maggio 659, quando furono martirizzati Giacomo e Mariano; in realtà fra le due esecuzioni dovettero passare dei mesi.
Infine la ‘Passio’ al capitolo X, fa menzione di numerosi martiri laici, caduti prima e dopo i quattro ecclesiastici ricordati, riportando alcuni nomi e fra loro c’erano anche dei bambini: Floriano, Secondino, Gabro, Postumo, Gaiano, Mommino, Quintiano, Cassio, Fasilo, Fiorenzo, Demetrio, Gududo, due Crispino, Donato, e Zeone.
Il culto dei martiri di Lambase dovette essere molto diffuso, se s. Agostino tenne un celebre sermone in loro onore (Sermo, 380); le vicissitudini politiche che nei secoli investirono il Nord Africa, fecero sì che le reliquie di alcuni dei martiri di Lambesa, dalla Numidia, furono trasferite dai profughi verso l’Italia dove si diffuse il loro culto.
Le reliquie dei santi Giacomo e Mariano, approdarono in un primo tempo ad Amelia (Terni), e poi forse tra il V e il VI secolo furono trasferite a Gubbio e deposte nella cattedrale a loro intitolata.
Il culto per i due santi, in parallelo con l’importanza assunta dalla città, ebbe larga diffusione e intensità in tutto il Medioevo, tanto che s. Pier Damiani (1007-1072) vescovo e cardinale, ne scisse, fra le tante sue opere, una narrazione approfondita di due episodi (due visioni) della loro ‘Passio’, in occasione della solennità annuale dei due martiri.
Ad ogni modo il gruppo dei martiri africani di Lambesa, fu sempre inserito in tutti i ‘Martirologi’ e negli ‘Acta Sanctorum’ editi lungo i secoli; le date della ricorrenza però furono varie e diverse da un testo all’altro; nel Martirologio Geronimiano i martiri sono commemorati in parte il 30 aprile e in parte il 6 maggio, mentre precedenti edizioni del Martirologio Romano li celebravano il 29 e 30 aprile; ma come già detto, i due gruppi subirono il martirio in giorni diversi e solo per Giacomo e Mariano, il Calendario Cartaginese indica con certezza il 6 maggio.


Stellina788
00mercoledì 4 maggio 2011 10:44

San Cassiano di Novellara Vescovo e martire

4 maggio


San Cassiano vescovo, martire sotto Diocleziano imperatore, il 26 marzo 303 d.C., con i suoi fedeli: Dionisio, Damiano, Apollo, Bono, Vespasiano, Castoro, Poliano, Tecla, Teodora, Lucilla e Leonida.
Le sue reliquie sono venerate parrocchiale omonima di Novellara (RE) dal 1603. La sua festa è celebrata, con sagra, il 4 maggio.
E' probabile che si tratti di un "corpo santo".


Stellina788
00mercoledì 4 maggio 2011 10:45

San Ciriaco di Gerusalemme Vescovo e martire

4 maggio

Data di nascita e morte incerte

Originario, secondo una tradizione, della Palestina. Un testo apocrifo racconta che, ebreo di nome Giuda , assunse il nome di Ciriaco dopo essersi convertito. Divenuto vescovo di Gerusalemme, subì il martirio insieme alla madre Anna, sotto Giuliano l’Apostata. Secondo un’altra tradizione, appena convertito Ciriaco sarebbe venuto in Italia, ad Ancona, dove è venerato fin dall’Alto Medioevo. Dopo un lungo episcopato, durante un pellegrinaggio sui luoghi santi, sarebbe stato martirizzato, sembra, verso il 135. Una terza tradizione racconta invece che egli non sarebbe mai giunto in Italia e che le sue reliquie furono trasportate ad Ancona nel secolo V, per volontà di Galla Placidia.

Patronato: Ancona

Etimologia: Ciriaco = padrone, signore, dal greco

Emblema: Bastone pastorale, Palma

Ascolta da RadioRai:
  
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In greco, Ciriaco significa “dedicato al Signore”. Così si chiamano vari santi, e tra essi quello che si ricorda qui, il patrono di Ancona, titolare della cattedrale che dal monte Guasco domina la città e il porto. Qui il culto per lui dura da un millennio e mezzo. Ma non c’è una storia certa della sua vita. Abbiamo solo tradizioni incomplete, discordi, e se ne tenta qui una succinta rassegna. Secondo una di esse, egli era un dotto ebreo di nome Giuda; e si fece poi cristiano (chiamandosi Ciriaco) dopo aver visto disseppellire nella zona del Calvario quella che fu ritenuta la vera Croce di Gesù. (Aveva promosso la ricerca, nella prima metà del IV secolo, Elena, madre dell’imperatore Costantino). Questa tradizione aggiunge che Ciriaco fu poi vescovo di Gerusalemme, e che morì martire sotto l’imperatore Giuliano, detto dai cristiani “l’Apostata” per il suo conflitto con la Chiesa.Una seconda tradizione dice che Ciriaco il convertito venne in Italia, fu vescovo di Ancona, e trovò poi morte violenta in Palestina, dove era tornato in visita. Però non c’è alcun indizio di un suo ministero episcopale ad Ancona; qui il primo vescovo sicuro è san Marcellino (V secolo), di cui si conserva tuttora un prezioso codice liturgico.Ma in base alla tradizione anconetana registrata anche dal Martirologio Romano, e a giudizio di studiosi moderni come Mario Natalucci, un altro scenario pare più attendibile: Ciriaco è venuto sì ad Ancona; ma solo da morto, avendo trascorso tutta la vita in Palestina, onorato come testimone del ritrovamento della Croce. A quel tempo gli anconetani insistevano per ricevere da Gerusalemme i resti del primo martire cristiano, santo Stefano (che erano stati ritrovati nel 415), per collocarli in una chiesa a lui dedicata. La richiesta non fu accolta, pur essendo “appoggiata” da un personaggio potentissimo: Galla Placidia, figlia dell’imperatore Teodosio I, sorella degli imperatori Onorio e Arcadio, moglie poi di Costanzo III e madre di Valentiniano III. Si volle tuttavia venire incontro a lei e agli anconetani, donando loro le spoglie di Ciriaco, anch’egli venerato e in fama di martire.Così incomincia la storia autentica del legame tra Ancona e Ciriaco: quelle spoglie arrivate nel V secolo si trovano oggi nell’alta cattedrale, dove Ciriaco e Stefano sono raffigurati in due plutei marmorei dell’XI secolo. La città farà di lui il suo patrono principale, incidendo poi la sua immagine nelle monete. Anche oggi, nel giorno della sua festa, continua a vivere un’amabile tradizione: si distribuiscono ai fedeli mazzolini di giunchi benedetti. È un richiamo alla leggenda secondo cui la cassa con i resti di Ciriaco arrivò galleggiando sulle onde; e poi, grazie appunto a una corda fatta di giunchi attorcigliati, a forza di braccia raggiunse la terra anconetana.


Stellina788
00mercoledì 4 maggio 2011 10:46

Sant' Etelredo Re di Mercia, abate

4 maggio

+ Monastero di Bardney, 716


Figlio del pagano Penda, re di Mercia, Etelredo succedette a Wulfhere nel 674. Durante la guerra contro il re del Kent, distrusse chiese, monasteri e la città di Rochester, ma in seguito, il leone, divenuto agnello, amaramente si pentì dei suoi eccessi. In seguito alla uccisione della moglie Osthryth, avvenuta nel 697, Etelredo, nel 704, dopo un regno di vent’anni, abdicò in favore del nipote Coenred ed entrò nel monastero di Bardney, dove divenne abate e morì nel 716. E’ ricordato il 4 maggio.


Stellina788
00mercoledì 4 maggio 2011 10:46

San Floriano di Lorch Martire

4 maggio

m. 4 maggio 304

La notizia più antica su questo santo si trova in un atto di donazione dell'ottavo secolo. Verso la metà dello stesso secolo fu composta una «Passio», che ricalca quella di sant'Ireneo vescovo di Sirmio, ma che ha delle particolarità proprie; poco dopo il suo nome fu inserito nei codici del Martirologio Geronimiano e nel Martirologio di Lione. Attraverso quindi i martirologi storici la sua festa è passata anche nel Romano, in cui è ricordata il 4 maggio, data tradizionale della sua morte. Secondo il racconto della passio, Floriano era un veterano dell'esercito romano che viveva a Mantem presso Krems. Avendo saputo che Aquilino, preside del Norico Ripense, durante la persecuzione di Diocleziano, aveva arrestato a Lorch quaranta cristiani, desiderando di condividerne la sorte si recò in quella città. Prima di entrarvi, però, si imbatté in alcuni soldati, ai quali manifestò di essere cristiano; fu perciò arrestato e condotto dal preside, il quale non riuscendo a farlo sacrificare agli dei, lo fece flagellare e quindi lo condannò a essere gettato nel fiume Enns con una pietra al collo: la sentenza fu eseguita il 4 maggio 304. I1 corpo del martire fu, in seguito, ritrovato e seppellito da una certa Valeria. (Avvenire)

Emblema: Palma, Macina, Brocca d'acqua, Vessillo

Martirologio Romano: A Lorch nel Norico ripense, nell’odierna Germania, san Floriano, martire, che sotto l’imperatore Diocleziano, per ordine del governatore Aquilino, fu precipitato da un ponte nel fiume Ens con un sasso legato al collo.


La più antica notizia di lui si trova in un atto di donazione del sec. VIII, con il quale il presbitero Reginolfo offriva ad una chiesa alcune possessioni site "in loco nuncupante ad Puoche ubi preciosus martyr Florianus corpore requiescit". Verso la metà dello stesso secolo fu composta una passio, che ricalca quella di s. Ireneo vescovo di Sirmio (v.), ma che ha delle particolarità proprie; poco dopo il suo nome fu inserito nei codd. del Martirologio Geronimiano (seconda redazione della fine del sec. VIII) e nel Martirologio di Lione. Attraverso quindi i martirologi storici la sua festa è passata anche nel Romano, in cui è ricordata il 4 maggio, data tradizionale della sua morte.
Secondo il racconto della passio, Floriano era un veterano dell'esercito romano che viveva a Mantem presso Krems. Avendo saputo che Aquilino, preside del Norico Ripense, durante la persecuzione di Diocleziano, aveva arrestato a Lorch quaranta cristiani, desiderando di condividerne la sorte si recò in quella città. Prima di entrarvi, però, si imbatté in alcuni soldati, ai quali manifestò di essere cristiano; fu perciò arrestato e condotto dal preside, il quale non riuscendo a farlo sacrificare agli dei, lo fece flagellare e quindi lo condannò ad essere gettato nel fiume Enns con una pietra al collo: la sentenza fu eseguita il 4 maggio 304. I1 corpo del martire fu, in seguito, ritrovato e seppellito da una certa Valeria.
Sul sepolcro fu costruita una chiesa che, affidata dapprima ai Benedettini, passò poi ai Canonici Regolari Lateranensi ed è ora il centro di una fiorente Congregazione. Nel 1183 alcune reliquie di Floriano furono portate dal vescovo Egidio di Modena a Cracovia dove il duca Casimiro di Polonia edificò in onore del martire una splendida basilica. Il suo culto è molto popolare in Austria e in Baviera ed egli è invocato contro le inondazioni e gli incendi.



Stellina788
00mercoledì 4 maggio 2011 10:47

San Fortunato Lettore e martire

4 maggio

m. 303


Il 24 febbraio del 303, l’imperatore Diocleziano pubblicò un editto che ordinava la distruzione delle chiese e dei libri dei Cristiani, ne scioglieva le comunità, ne confiscava i beni, proibiva le riunioni, escludeva dalle cariche pubbliche e dalla cittadinanza romana i sudditi che appartenevano alla religione di Cristo e rimetteva nella schiavitù i liberti se non ritornavano al paganesimo. Il magistrato di una località non molto lontana da Cartagine, Thibiuca, oggi Zoustina, obbedendo alle disposizioni imperiali, nel giugno del 303, convocò in giudizio il presbitero Afro ed i lettori Cirillo e Vitale.
Alla pretesa di consegnare i libri sacri, Afro rispose che erano in possesso del vescovo Felice, in quel giorno lontano dalla città. Il giorno successivo furono convocati il vescovo, i presbiteri Adautto e Gennaro con i lettori Fortunato e Settimio i quali anch'essi, alla richiesta del magistrato di consegnare i libri sacri, opposero un deciso rifiuto. Furono concessi tre giorni per riflettere, passati i quali il vescovo Felice con i suoi compagni furono inviati a Cartagine al proconsole Anulino. Dopo quindici giorni di permanenza in prigione furono sottoposti ad interrogatorio e gli furono richiesti un'altra volta i libri sacri che gli ardimentosi eroi della fede non vollero consegnare, e di conseguenza furono trasferiti in Italia.
Dopo aver soggiornato ad Agrigento, Taormina, Catania e Messina raggiunsero finalmente Venosa dove il prefetto Maddelliano li decapitò il 24 ottobre.
Le spoglie del luminoso martire e lettore Fortunato sono degnamente onorate e custodite nella Chiesa Parrocchiale Maria SS.ma Addolorata in Bari e la sua festività è stata stabilita dal fu Arcivescovo di Bari-Bitonto, Mons. Mariano Andrea Magrassi, il 4 maggio in memoria della traslazione delle sante reliquie dalla Cattedrale di Bari alla Chiesa Parrocchiale.
È considerato il patrono dei lettori istituiti della Parola di Dio della Diocesi di Bari-Bitonto.


Stellina788
00mercoledì 4 maggio 2011 10:48

Beato Giovanni Haile Sacerdote e martire

4 maggio

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+ Londra, Inghilterra, 4 maggio 1535

Martirologio Romano: A Londra in Inghilterra, santi sacerdoti martiri Giovanni Houghton, Roberto Lawrence e Agostino Webster, priori delle certose di Londra, Bellavalle e Haxholmie, e Riccardo Reynolds, dell’Ordine di Santa Brigida, che, avendo professato senza paura la fede dei padri, sotto il re Enrico VIII furono trascinati a Tyburn al supplizio dello squartamento. Insieme a loro anche il beato Giovanni Haile, sacerdote, parroco di Isleworth, sobborgo della città, fu impiccato allo stesso patibolo.


Cinque sacertodi inglesi furono i primi martiri ad essere uccisi per aver professato la fede cattolica sotto il regno di Enrico VIII, fautore dello scisma anglicano: i certosini Giovanni Houghton, Roberto Lawrence e Agostino Webster, il brigidino Riccardo Reynolds ed il parroco Giovanni Haile. Tutti beatificati da Papa Leone XIII il 29 dicembre 1886, solamente i primi quattro sono stati anche canonzzati da Paolo VI il 25 ottobre 1970, mentre Giovanni Haile è ancora oggi venerato solo come beato. A quest’ultimo è dedicata in particolare la presente scheda agiografica.
Quasi nulla sappiamo circa la vita e le attività svolte da John Haile prima della sua eroica morte: già titolare di un beneficio presso Chelmsford nell’Essex, passò poi il 13 agosto 1521 ad Isleworth nel Middlesex, in qualità di vicario. Il matrimonio illegittimo tra il re Enrico VIII ed Anna Bolena scatenò l’ira del sacerdote cattolico, che non esitò ad elargire copiose accuse nei confronti del sovrano, ritenuto eretico, responsabile dei danni causati all’unità della Chiesa inglese, nonché uno dei peggiori uomini mai seduti sul trono d’Inghilterra.
Seppur John Haile fosse assai stimato per la sua vasta cultura e la santità della sua vita, a causa di uno scritto che testimoniava la sua avversione alla condotta di Enrico VIII redatto da un giovane prete, un certo Feron di Teddington, entrambi furono arrestati. Insieme ai tre priori certosini ed al monaco brigidino, anche Haile e Feron vennero chiamati a rispondere all’accusa di alto tradimento per aver rifiutato di riconoscere l’atto di supremazia promulgato dal re il 18 novembre 1534, volto a disconoscere l’autorità pontificia sulla Chiesa inglese. In un primo momento, il 28 aprile 1535, i due vennero riconosciuti innocenti, ma poi furono volutamente incolpati e condannati all’esecuzione capitale. Il giovane Feron fu però graziato.
Il 4 maggio 1535 i tre certosini, Padre Reynolds ed il parroco di Isleworth, indossati gli abiti religiosi furono legati stesi su delle stuoie e trascinati per le vie sassose e fangose che portavano dalla Torre di Londra al Tyburn, famigerato luogo delle esecuzioni capitali. Dalla finestra della sua cella il cancelliere Thomas More poté constatare assieme a sua figlia, in visita da lui, la felicità di questi santi uomini che si apprestavano ad essere i primi martiri di questa nuova persecuzione.
John Houghton, priore di Londra, salì per primo il patibolo e collaborò con il boia per l’impiccagione proferendo parole di perdono e di fiducia in Dio. Non era ancora morto soffocato, che uno dei presenti tagliò la corda ed il padre cadde a terra, il boia lo denudò e gli cavò ancora vivo le viscere per poter mostrare il cuore ai consiglieri del re. Seguì poi l’esecuzione degli altri quattro.
John Haile fu così il primo sacerdote secolare ad essere ucciso in odio alla fede cattolica in questa feroce persecuzione che ebbe inizio sotto Enrico VIII. I corpi dei martiri furono fatti a pezzi ed esposti al popolo per incutere terrore ai ‘papisti’, ma la Chiesa, che mai si dimentica dei suoi servitori più fedeli, li ha glorificati concedendo loro l’onore degli altari.


Stellina788
00mercoledì 4 maggio 2011 10:49

Santi Giovanni Houghton, Roberto Lawrence, Agostino Webster e Riccardo Reynolds Sacerdoti e martiri

4 maggio

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+ Londra, Inghilterra, 4 maggio 1535

Martirologio Romano: A Londra in Inghilterra, santi sacerdoti martiri Giovanni Houghton, Roberto Lawrence e Agostino Webster, priori delle certose di Londra, Bellavalle e Haxholmie, e Riccardo Reynolds, dell’Ordine di Santa Brigida, che, avendo professato senza paura la fede dei padri, sotto il re Enrico VIII furono trascinati a Tyburn al supplizio dello squartamento. Insieme a loro anche il beato Giovanni Haile, sacerdote, parroco di Isleworth, sobborgo della città, fu impiccato allo stesso patibolo.


Cinque sacertodi inglesi furono i primi martiri ad essere uccisi per aver professato la fede cattolica sotto il regno di Enrico VIII, fautore dello scisma anglicano: i certosini Giovanni Houghton, Roberto Lawrence e Agostino Webster, il brigidino Riccardo Reynolds ed il parroco Giovanni Haile. Tutti beatificati da Papa Leone XIII il 29 dicembre 1886, solamente i primi quattro sono stati anche canonzzati da Paolo VI il 25 ottobre 1970, mentre Giovanni Haile è ancora oggi venerato solo come beato. Ai quattro santi è dedicata in particolare la presente scheda agiografica.


Giovanni Houghton, Roberto Lawrence ed Agostino Webster, priori certosini

I certosini, per quanto benvoluti essendo monaci non dediti ad alcuna attività politica, ricevettero anch’essi nella Certosa di Londra la visita dei funzionari regi che, in base al decreto emanato, chiedevano a tutti i maggiorenni, religiosi compresi, l’approvazione del ripudio da parte del re della moglie Caterina d’Aragona e dunque l’accettazione quale sovrana di Anna Bolena. Il priore, John Houghton, ed il procuratore finirono in carcere per aver obiettato circa la legittimità del ripudio, ma un mese dopo, convinti che tale giuramento non toccasse la fede, finirono per giurare e furono quindi liberati. Ritornati alla Certosa, convinsero i loro confretelli delle loro argomentazioni e così il 25 maggio 1534 tutti giurarono dinanzi ai funzionari, che erano tornati accompagnati dai soldati.
La pace tanto auspicata durò però ben poco, infatti verso la fine del 1534 un nuovo decreto promulgato dal re e dal Parlamento ordinò a tutti i sudditi di disconoscere l’autorità del papa, attribuendo al sovrano il ruolo di capo della Chiesa anglicana anche in ambito spirituale, prevedendo il reato di lesa maestà per coloro i quali non avessero approvato tale novità. Avutane notizia, il priore John Houghton riunì tutti i certosini ed all’unanimità si dissero pronti a morire per la fedeltà alla Chiesa di Roma.
Nella certosa erano arrivati anche Robert Lawrence ed Augustine Webster, priori delle certose di Bellavalle e Haxholmie, i quali, messi al corrente della pericolosa situazione dei monaci, di comune accordo si recarono dal vicario del re Thomas Cromwell per implorarlo di convincere Enrico VIII ad esentarli da questo giuramento contrario alla loro fede, ma questi indignato li fece arrestare e rinchiudere nella Torre di Londra quali ribelli e traditori. Una settimana dopo furono processati presso Westminster, ove ribadirono il loro rifiuto, e vennero quindi condannati a morte e nuovamente incarcerati. Lì furono raggiunti da altri due sacerdoti condannati per il medesimo motivo: il brigidino Richard Reynolds e John Haile, parroco di Isleworth.


Riccardo Reynolds

Non conosciamo con esattezza la data di nascita di Richard Reynolds, ma dal fatto che fu accettato quale novizio dall’Ordine di Santa Brigina nel 1512 e prese i voti l’anno seguente, deduciamo che sia nato tra il 1488 ed il 1489. Tale ordine religioso prevede infatti che i novizi possano professare i voti solo al raggiungimento dei venticinque anni di età. Trascorsi alcuni anni all’università di Cambridge, nel 1513 conseguì il baccellierato in teologia e dalla medesima università fu assunto quale predicatore. Prima del Concilio di Trento queste attività non erano ritenute incompatibili con lo stato di novizio di un ordine religioso.
I monasteri brigidini erano composti da due comunità, maschile e femminile, separate dalla chiesa: i monaci fungevano da cappellani per le suore e la badessa era superiora di ambe le comunità. Come i suoi contemporanei, quali ad esempio i celeberrimi San John Fisher e San Thomas More, anche il Reynolds aveva ricevuto un’ottima formazione umanistica ed il cardinal Pole testimonia che “non solo era un uomo dalla vita santissima, ma era anche l’unico monaco inglese che conoscesse bene le tre lingue fondamentali, cioè il latino, il greco e l’ebraico”. Il Registro della biblioteca del monastero di Syon, fondato nel 1415 dal re Enrico V, annoverava ben 94 volumi a lui attribuiti ed egli fu indubbiamente un’eminente personalità della Londra del tempo.
Nel 1535 fu anch’egli imprigionato nella Torre di Londra per essersi rifiutato di prestare il giuramento di supremazia. Il 28 aprile, durante il processo, non demordette dall’opporsi ad un’ingiusta legge contraria alla sua fede: “Per essere a posto con la coscienza mia e di quelli che sono presenti qui con me, io dichiaro che la nostra fede ha maggior peso ed è sorretta da maggiori testimonianze di quella vostra, perché invece delle poche testimonianze che voi avete ricavato dal Parlamento di questo solo regno, io ho dalla mia parte l’intero mondo cristiano”. Un testimone oculare descrisse Riccardo quale “uomo di contegno angelico, amato da tutti, e pieno di Spirito Santo”.
Ormai prossimo al martirio, chiese di rinviare l’esecuzione di alcuni giorni, onde potesse “preparare la sua anima all’incontro con la morte come si conviene ad un religioso e a un buon cristiano”. Il cardinal Pole, nella sua “Difesa dell’unità della Chiesa”, ebbe a scrivere: “Non posso tralasciare di dare notizie di uno di questi martiri: è Reynolds che ho conosciuto intimamente; fu un uomo che, per la santità di vita, potrebbe essere paragonato ai primissimi che furono di esempio e di guida agli altri... era stabilito che egli dovesse dare testimonianza della verità col proprio sangue. E lo fece veramente... e con tale fermezza che, secondo quanto ho appreso da un testimone oculare, offrì il capo al mortale capestro come se lo porgesse per ricevere una collana regale piuttosto che uno strumento di morte”.


Insieme verso il martirio

Il 4 maggio 1535 i tre certosini, Padre Reynolds ed il parroco di Isleworth, indossati gli abiti religiosi furono legati stesi su delle stuoie e trascinati per le vie sassose e fangose che portavano dalla Torre di Londra al Tyburn, famigerato luogo delle esecuzioni capitali. Dalla finestra della sua cella il cancelliere Thomas More poté constatare assieme a sua figlia, in visita da lui, la felicità di questi santi uomini che si apprestavano ad essere i primi martiri di questa nuova persecuzione.
John Houghton, priore di Londra, anch’egli arrestato e condannato, salì per primo il patibolo e collaborò con il boia per l’impiccagione proferendo parole di perdono e di fiducia in Dio. Non era ancora morto soffocato, che uno dei presenti tagliò la corda ed il padre cadde a terra, il boia lo denudò e gli cavò ancora vivo le viscere per poter mostrare il cuore ai consiglieri del re.
Seguì poi l’esecuzione degli altri quattro. Ultimo a morire fu il Reynolds, dopo aver incoraggiato i compagni senza impallidire e perdersi d’animo nel vederli squartare e sventrare, ma prima dell’esecuzione si rivolse alla folla presente invitandola a pregare per il re, “affinché il re che, all’inizio del suo regno aveva governato con saggezza e pietà, come Salomone, non dovesse, come lui, nei suoi ultimi tempi essere sedotto dalle donne fino alla rovina”.
I corpi dei martiri furono fatti a pezzi ed esposti al popolo per incutere terrore ai ‘papisti’, ma la Chiesa, che mai si dimentica dei suoi servitori più fedeli, li ha glorificati concedendo loro l’onore degli altari.



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00mercoledì 4 maggio 2011 10:50

Beato Giovanni Martino Moye Fondatore

4 maggio

Cutting, Francia, 27 gennaio 1730 - Treviri, Germania, 4 maggio 1793

Fondatore delle Suore della Divina Provvidenza di Porthieu

Martirologio Romano: A Treviri in Germania, beato Giovanni Martino Moyë, sacerdote della Società per le Missioni Estere di Parigi, che in Lorena istituì le Suore della Provvidenza e in Cina le vergini insegnanti e, espulso dalla patria durante la rivoluzione francese, si mostrò sempre animato da vero zelo per le anime.


Il fondatore delle Suore della Divina Provvidenza di Porthieu nacque il 27-1-1730 a Cutting (Moselle), nella diocesi di Metz (Francia), sesto tra i tredici figli che ebbero i suoi genitori, modesti contadini. In Martino si manifestò presto, come in altri due suoi fratelli, la vocazione allo stato ecclesiastico. Egli fece i suoi studi nei collegi che i Gesuiti avevano aperto a Pont-à-Mousson e a Strasburgo, ma si preparò al sacerdozio nel seminario di Metz.
Il rettore avrebbe voluto farne un professore di belle lettere, ma il beato, dopo l'ordinazione sacerdotale (1754), preferì darsi al ministero sacro come vicario in diverse parrocchie. Molto pio, decisamente austero con sé e con gli altri, predicò un po' ovunque a Metz e nei paesi più abbandonati. Non era un oratore, ma sapeva esporre con semplicità e convinzione quello che pensava e soprattutto quello che praticava. I fedeli rimanevano colpiti dal suo spirito di povertà, dall'amore ai poveri, dalle penitenze che praticava e dalla devozione che nutriva per la Passione del Signore.
Nel corso delle sue predicazioni, vedendo in quale miseria materiale e spirituale versavano gli abitanti delle campagne, pensò di fondare le Suore della Provvidenza, perché facessero scuola alla gioventù che cresceva analfabeta. Trovò presto delle candidate alla vita religiosa disposte ad assecondarlo nei suoi disegni, di modo che, con il permesso del vicario capitolare, riuscì ad aprire le prime due scuole a Vigy e a Béfey (1672) fidando unicamente nell'aiuto dei buoni. A Metz però influenti laici ed ecclesiastici biasimarono lo zelo del beato. Non avendo fondato la sua opera su rendite fisse credevano che fosse necessariamente votata al fallimento. In un primo momento il vescovo gli proibì di aprire altre scuole, ma quando vide che Dio benediceva l'impresa di lui gli restituì la libertà d'azione.
Le scuole di campagna non erano sufficienti ad appagare lo zelo del beato. Vivendo continuamente a contatto del prossimo, costatava con amarezza come, di frequente, molti bambini morissero senza battesimo. Scrisse allora un opuscolo per segnalare la negligenza delle ostetriche e dei parroci della città, ma costoro non gradirono la lezione. Per pacificarli, i vicari generali dovettero allontanare il Moye dall'ufficio di direttore spirituale del seminario e nominarlo vicario di Dieuze. Anziché scoraggiarsi, il beato ne approfittò per reclutare nuove istitutrici e fondare altre scuole. Perché la sua opera si stabilisse su solide basi scrisse per le sue Suore un Progetto delle scuole delle Figlie dette della Provvidenza per le campagne e alcune Regole e Istruzioni per la condotta delle Suore.
Nella direzione spirituale egli insisteva soprattutto sull'abbandono alla Provvidenza, la semplicità, la povertà e la carità. Si rendeva conto che, il vivere senza rendite fisse, poteva sembrare una follia per molti, ma diceva: "O questo progetto è secondo la volontà di Dio o no; se è secondo la sua volontà, essendo onnipotente, Egli ha mille mezzi per condurlo a termine; se non è conforme al beneplacito di Dio, ci rinuncio fin da questo momento". Alle suore insegnava: "Non dobbiamo ostinarci in niente, ma conservarci nella santa indifferenza, non volendo né una cosa né l'altra fino a tanto che non avremo modo di conoscere il beneplacito di Dio".
L'attività del beato da molti non fu bene accetta. Un giorno, chiamato da una madre accanto al figlio caduto nel fuoco, le disse: "Pregate, non desolatevi, vostro figlio guarirà". Essendo avvenuto conforme alla sua parola, la madre si affrettò a spargere la voce che il vicario faceva miracoli. Qualcuno ne rimase scandalizzato e si ritenne in dovere di sporgere denuncia al vescovo, quasi che Moye assumesse atteggiamenti di profeta e di taumaturgo. Nella settimana santa del 1767 egli ricevette l'interdizione di esercitare il ministero a Dieuze. Non avendo un posto fisso, approfittò allora della libertà per predicare un po' ovunque e fondare altre scuole. Nel 1768 il prevosto del capitolo di St-Dié gli offerse la direzione del seminario di quel territorio nullius diocesis, ma dopo un anno la fondazione fu chiusa.
Essendo ancora una volta rimasto senza un'occupazione fissa, il Moyè pensò di mandare ad effetto un progetto che accarezzava da tempo; partire missionario. Alla fine del 1769 si recò al seminario delle Missioni Estere di Parigi e vi trascorse diversi mesi. Nell'attesa di un battello che lo trasportasse fino a Macao, ritornò in diocesi a predicare e a fondare scuole. Partì alla volta di Se-Tchuen (Cina) il 7-9-1771, affidando le sue Suore alla Provvidenza. Scrisse loro da Parigi: "Abbiate fiducia in essa ed ella non vi abbandonerà mai. Amate la povertà; rallegratevi nelle pene e nelle persecuzioni; amatevi le une le altre; siate sottomesse alle vostre superiore, sempre pronte ad andare dove esse vi manderanno. Se dovete scegliere, preferite i posti più difficili, i più umilianti e i meno lucrativi... Insegnate gratuitamente, e non aspettatevi per salario che disprezzi e rimproveri. Aspettatevi di essere considerate come delle insensate; così sarete crocifisse al mondo e il mondo sarà crocifisso per voi. Nelle vostre pene cercate la consolazione presso il SS. Sacramento e ai piedi della croce".
In viaggio verso Macao scrisse ancora loro: "Non attaccatevi a niente, al denaro meno che a qualsiasi altra cosa. Niente provviste per l'avvenire, ma un perfetto spogliamento, una completa fiducia e un totale abbandono alla Provvidenza... Date il poco che avete ai poveri, e Dio vi nutrirà, vi vestirà, vi alloggerà... Se manchiamo di pane, è perché manchiamo di fede". Naturalmente timido, confidò al fratello parroco come si comportava con i viaggiatori: "Io fuggo gli uomini perché preferisco conversare con Dio e con i santi; ma quando si presenta qualche buona azione da fare, qualche anima da guadagnare, mi sento infiammare il cuore. Non c'è conversazione più insipida per me di quella che ha per unico oggetto le cose del mondo". E ancora: "Benedetto sia il Signore"! Non mi aspetto più alcun piacere umano sulla terra. La natura non vede più nulla nell'avvenire che la colpisca... Io vedo ora da quanti pericoli Dio mi ha preservato... Ho provato nella mia vita molte umiliazioni e tribolazioni. Ebbene, tutto ciò mi era necessario!".
A Macao, il Moyè dovette travestirsi da mercante per raggiungere, dopo tre mesi di viaggio sul fiume Azzurro, la sua residenza, perché ai missionari era interdetta l'entrata in Cina. Il vicario apostolico, Mons. Pottier, gli affidò, da evangelizzare, la parte orientale del paese con il titolo di provicario. Il beato apprese il cinese con sorprendente rapidità e, nonostante la persecuzione, sì diede a percorrere, da un capo all'altro, il suo vasto distretto. Per attirare le benedizioni di Dio sulla cristianità alla quale si dirigeva, indiceva subito dei digiuni e delle preghiere, e poi faceva due prediche oltre le istruzioni particolari. Per facilitare ai fedeli la preghiera, compose egli stesso in cinese diverse raccolte di orazioni.
La sua accortezza e le attenzioni dei cristiani che lo ospitavano per la celebrazione notturna della Messa, non riuscirono a impedirgli di cadere almeno due volte nelle mani dei persecutori, dalle quali fu sottratto quasi miracolosamente dal Signore dopo schiaffi e bastonate. Lieto di essere ritenuto "criminale di Gesù Cristo", scrisse il 15-4-1773 alle sue Suore: "La sola consolazione di soffrire non è poca cosa; un'anima senza croce langue e cade a terra con il suo proprio peso. Un'anima che soffre sente non so quale forza che l'eleva verso Dio e che la rende conforme a Gesù Cristo. Io ero felice di vedere che Dio mi faceva la grazia di partecipare in qualche cosa alle pene e alle umiliazioni di suo Figlio. La vista delle sofferenze di Gesù Cristo mi faceva trovare le mie ben piccole, benché, in certi momenti, avessi visto di buon occhio la morte, se tale fosse stato il beneplacito di Dio".Spostandosi da una cristianità all'altra il beato pregava sempre.
Scrisse ad un amico: "Questi rosari durano quasi un'ora, talora quasi mezza giornata. Quando sono seduto in una barca, in viaggio, i discorsi dei battellieri pagani non mi distraggono. Saluto ancora tre volte al giorno le cinque piaghe di nostro Signore, il suo adorabile Volto, il suo santo Nome, con delle preghiere tratte dalla Sacra Scrittura... I lunedì, quando ne ho il tempo, recito l'ufficio dei morti; il mercoledì i salmi graduali; il venerdì i salmi penitenziali e le preghiere degli agonizzanti". Alle sue Suore raccomandava: "Adorate, sera e mattina, il Sacro Cuore di Gesù. Per parte mia, l'ho incessantemente sulla bocca e nel cuore".
Le continue persecuzioni, le fatiche dei viaggi e l'impossibilità di adattarsi al riso dei cinesi non arrestarono lo zelo del Moye. Giunto in Cina in età matura, forte della propria esperienza e per temperamento poco portato alle concessioni, ancora una volta andò incontro a difficoltà con i confratelli. Costoro rimasero difatti sorpresi quando dichiarò immorali i "contratti di pignoramento" per cui i prestatori conservavano in pegno gli immobili dei loro creditori, in cambio di somme molto inferiori al loro valore. Ne seguirono aspre discussioni, ma quando la Congregazione di Propaganda Fede li dichiarò illeciti, tutti si sottomisero (15-2-1781).
Anche in Cina il beato si pose il problema del battesimo ai bambini. Ritenendo di poter battezzare tutti i figli dei pagani che si trovavano in probabile pericolo di morte, durante la peste e la fame del 1778 e 1779 riuscì a farne battezzare 30.000 nel suo distretto, con l'aiuto delle donne raggruppate nella ''Opera angelica per il battesimo dei fanciulli". Gli altri missionari fecero ricorso a Roma. La Congregazione di Propaganda Fede permise di battezzare soltanto i bambini già personalmente colpiti da grave malattia, ed il beato vi si attenne senza discutere.
I confratelli rimproveravano pure al Moyè un eccessivo rigorismo. Difatti consigliava ai cristiani di non fare uso di grasso nei giorni di digiuno, benché ne avessero ricevuto la dispensa; organizzava delle lunghe riunioni di preghiera; imponeva agli apostati, desiderosi di essere riammessi nella Chiesa, delle penitenze rigide non in armonia con quelle più miti suggerite da Benedetto XIII. Ciononostante, i missionari erano costretti a costatare con meraviglia che i cristiani più ferventi erano proprio quelli catechizzati da lui.
La spiegazione di tanti frutti spirituali va ricercata nell'intensità della vita inferiore del beato, quale traspare dalle sue lettere e nelle quali si firmava sempre: "Moyè, l'ultimo e il più indegno di tutti i missionari". Il 21-4-1775 raccomandò alle sue Suore: "Non riponete la vostra fiducia negli uomini, ma in Dio solo. Amate le croci, e troverete il paradiso sulla terra, sarete ripiene di gioia spirituale... E con la croce che Gesù Cristo ci ha generati; è con la croce che io pure vi ho generate. Posso dirvi che le pene, le pene interiori soprattutto, che ho sofferto a vostro riguardo, sorpassano l'immaginazione... Soffro oggi altre pene per la conversione dei pagani; tocca a voi soffrire per i progressi delle scuole e la conversione dei bambini... Il vostro genere di vita ed il mio sono simili. Voi siete senza dimora fissa, ed io pure.
Voi siete povere, ed io pure. Coloro che vi danno da mangiare mancano sovente del necessario; capita sovente che se avessi, come voi, delle patate, mi riterrei felice. Voi avete un saccone per coricarvi mentre io non ho sovente due dita di paglia; io dormo sopra una semplice stuoia, sul duro legno. Ciò che dico, non lo dico per lamentarmi, ma per consolarmi e rallegrarmi con voi. Io amo il mio stato".
Nell'ottobre del 1775 in una lettera alle sue Suore ritornò sul medesimo argomento per stimolarle allo spirito di povertà: "Si vive molto poveramente su queste montagne. Io mangio, con i nostri bravi cristiani, del grano saraceno schiacciato e cotto nell'acqua con qualche legume o erba salata; ma la soddisfazione che provo al vedere questi stranieri farsi cristiani è un cibo più delizioso per me che le più squisite carni". Il 19-2-1776 confidò loro; "Io sono, gotto molti aspetti, più povero di voi. Non ho che due camicie, che porto da due o tre anni. Dispongo soltanto di un fazzoletto e di un lenzuolo. Non ho sedie per sedermi, ma un piccolo banco della larghezza di una mano. Per casa ho delle capanne. Quando posso avere del pane di grano saraceno cotto sotto la cenere, mi ritengo felice, perché non posso abituarmi al cibo dei cinesi".
A causa della deficiente alimentazione il Moye non era in grado di praticare i digiuni o di macerare il proprio corpo con flagelli e cilici come aveva fatto nella Lorena. Allora verso sera, credendosi non visto, s'inoltrava tra i canneti ed i cespugli degli acquitrini, ed esponeva le proprie spalle ai morsi delle zanzare fino a sanguinarne. Il desiderio di prendere parte alle sofferenze del Figlio di Dio era in lui veemente. Scriveva difatti: "La Passione del Signore è il mio tesoro. La mia più grande devozione è ripassarne ogni giorno i misteri... Ero così commosso delle sofferenze di nostro Signore, soprattutto il venerdì, che fin dal mio risveglio mi sentivo penetrato da uno di questi misteri dolorosi o da una circostanza particolare della Passione. Questo ricordo s'imprimeva così fortemente nel mio spirito che vi perseveravo tutta la giornata e per molto tempo dopo. Ne risultava che non osavo prendere nessun piacere, né alcun sollievo naturale, né bere, né mangiare, né riscaldarmi, né sedermi fino alle tre pomeridiane, ora in cui il Signore è morto, perché la vista delle sue sofferenze era sempre nel mio spirito... La sera non prendevo che del pane e dell'acqua. Questa devozione è una delle più grandi grazie che Dio mi ha fatto nella vita".
Fin dal suo arrivo in Cina il beato aveva pensato alla creazione delle scuole, ma vi attese soltanto dopo sei anni. Scelse qualche vedova e qualche giovane, le istruì convenientemente e poi le lanciò all'azione. Alle prime riservò i compiti di amministrazione e di assistenza; alle seconde affidò il colpito dell'insegnamento ai bambini all'interno delle loro case. Queste ultime vivevano come vere religiose ed il missionario cercava di dare loro una formazione spirituale vasta e solida. I primi risultati furono talmente soddisfacenti che, diversi suoi confratelli, gli chiesero di mandare alcune vergini cristiane nei loro distretti oppure di formare alla loro scuola le giovani che gli avrebbero affidato. Il fondatore il 13-3-1778 le propose all'imitazione delle Suore scrivendo loro: "Esse pregano con molto fervore e digiunano sovente. Esse hanno un meraviglioso talento per parlare solidamente, metodicamente, chiaramente. Persino i pagani le rispettano e le ascoltano... Sono veramente dei miracoli della Provvidenza".
Tra tante opere di zelo il beato non poteva sfuggire alle contrarietà. Il suo più rude avversario fu Giovanni Didier de St-Martin. Costui mal sopportava l'influsso che il Moye esercitava sul vicariato anche perché gli aveva fatto qualche osservazione sul modo con cui egli amministrava il proprio, il meno fiorente di tutti. Mons. Pottier si lasciò influenzare da lui anziché continuare a incoraggiare il beato come aveva fatto all'inizio. Il St-Martin pubblicò le preghiere che il Moye aveva messo in onore introducendovi importanti modifiche senza prevenirlo. Le Vergini Cinesi si videro esposte al pericolo della soppressione. Furono tanti i litigi e le prepotenze alle quali andarono incontro, che una di loro ne morì di dispiacere.Le persecuzioni dei pagani, le incomprensioni dei confratelli e l'impossibilità di nutrirsi indussero il beato a chiedere di ritornare in patria. Lasciò definitivamente la Cina il 2-7-1783. Nel viaggio di ritorno, che durò quasi un anno, scrisse una Relazione dei suoi dieci anni di apostolato. A Parigi era stato preceduto da relazioni a lui sfavorevoli da parte dei superiori. I dirigenti delle Missioni Estere ne rimasero male impressionati. Senza chiedergli di abbandonare il seminario, gli permisero di ritornare nel paese natio perché si desse alla predicazione, si occupasse della formazione delle Suore della Provvidenza e raccogliesse fondi per le missioni cinesi.
Pochi mesi dopo il suo arrivo in Europa, la Congregazione di Propaganda Fede approvò le opere alle quali aveva dato vita in Cina, in particolare l'Istituto delle Vergini Cristiane. La loro prosperità indusse i missionari a cambiare opinione nei riguardi del loro fondatore. Oggi il Moye è pure considerato un precursore dell'Opera della Santa Infanzia, fondata a Parigi nel 1843 da Mons. Carlo Augusto de Forbin-Janson, vescovo di Nancy.
Quando, durante la rivoluzione francese, fu imposto ai sacerdoti di giurare la costituzione civile del clero, il Moye incoraggiò i confratelli alla resistenza finché fu costretto a rifugiarsi a Treviri con le Suore e il noviziato. Si preparò alla morte trascorrendo il tempo nel pregare, nell'assistere i poveri e nel visitare i malati dell'ospedale, a contatto dei quali contrasse il morbo che lo portò alla tomba il 4-5-1793. Fu sepolto nel cimitero di San Lorenzo che nel 1803 fu trasformato in piazza di armi. Il corpo del Moyè non fu ritrovato. Pio XII lo beatificò il 21-11-1954.


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00mercoledì 4 maggio 2011 10:51

Beato Ladislao da Gielnow

4 maggio

Gielniow (Polonia), 1440 – 1505

Patronato: Lituania, Galizia, Polonia

Martirologio Romano: A Varsavia in Polonia, beato Ladislao di Gielniów, sacerdote dell’Ordine dei Minori, che predicò con straordinario zelo la Passione del Signore e la celebrò con pii inni.


Il beato Ladislao nacque nella città polacca di Gielniow. Frequentò l’università di Varsavia, per poi entrare nel convento cittadino dei Frati Minori Francescani riformati da San Giovanni da Capestrano. Nel giro di pochi anni fu eletto superiore provinciale dell’ordine, carica che ricoprì a lungo, facendosi promotore della revisione delle costituzioni che furono poi approvate dal capitolo generale dell’ordine che si tenne ad Urbino nel 1498. Selezionò accuratamente i frati più idonei da inviare in Lituania per l’evangelizzazione di quel paese. Rammentò però loro la maggiore importanza da attribuire alla santità personale, che è da anteporre sempre all’annuncio del Vangelo al prossimo. Questa iniziativa riuscì a riconciliare parecchi scismatici con la Chiesa ed ottenne anche la conversione di numerosi pagani, tanto da valere a Ladislao il titolo di “Apostolo della Lituania”.
Ardente ed eloquente predicatore, Ladislao fu sempre assai ricercato ed apprezzato dal popolo. Le sue omelie, come ricorda anche il Martyrologium Romanum”, erano solite sottolineare in modo particolare il valore salvifico intrinseco alla Passione di Cristo. Fu dunque autore di vari inni proprio su questo tema, destinati al canto nei Vespri.
Quando nel 1498 la Polonia si trovò a dover affrontare l’invasione da parte dei tartari e dei turchi, cioè complessivamente un armata di 70000 uomini, Ladislao non poté far altro che ritirarsi in preghiera per invocare un repentino intervento divino. Proprio a ciò la tradizione attribuisce le conseguenti straordinarie inondazioni dei fiumi Dnepr e Prut che bloccarono gli invasori stranieri.
Questa particolare intercessione non fece che accrescere per Ladislao la sua fama di grande uomo di preghiera. Si narra inoltre che, durante l’ultimo Venerdì Santo della sua vita, sperimentò anche la levitazione assumendo la posizione del Crocifisso.
A causa della sua debolezza dovette poi essere ricoverato e morì nel 1505. Beatificato nel 1586, il suo culto ricevette conferma ufficiale nel 1769.


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00mercoledì 4 maggio 2011 10:51

Beato Luca da Toro Mercedario

4 maggio

XIII-XIV secolo

Nobile castigliano, il Beato Luca da Toro, entrò nell’Ordine Mercedario, e fu molto più nobile per le virtù della vita. Nominato redentore ed inviato in Marocco nell’anno 1403, liberò 118 schiavi dalle catene degli oppressori e predicò la fede ai mori finché raggiunse il regno celeste.
L’Ordine lo festeggia il 4 maggio.



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00mercoledì 4 maggio 2011 10:52

Beato Marco Ongaro da Conegliano Francescano

4 maggio

Conegliano (TV), XII sec. - † 1248


Marco Ongaro, nacque certamente alla fine del secolo XII a Conegliano, oggi importante centro industrioso e vinicolo in provincia di Treviso; l’appellativo ‘Ongaro’ indicherebbe l’origine ungherese della sua famiglia, la quale si era stabilita nella cittadina veneta, in occasione di una delle ricorrenti invasioni da parte degli ungari.
Da giovane, Marco entrò come fratello laico, tra i frati Minori francescani, i quali si erano stabiliti nel 1225 a Conegliano, cioè un anno prima della morte di s. Francesco il fondatore, e avevano preso ad abitare in un piccolo convento al di fuori delle mura della città.
La storia della sua vita si svolse tutta in questo luogo, esercitando l’umile compito di cuoco; durante questa permanenza, nel 1227 si incontrò con s. Antonio di Padova (1195-1231) il grande mistico francescano, taumaturgo e Dottore della Chiesa, il quale eletto quell’anno Provinciale dell’Ordine, aveva iniziato la visita ai vari conventi della sua provincia e per questo si fermò anche a Conegliano.
Ancora in vita, Marco Ongaro da Conegliano, godette fama di santità, operando anche vari miracoli, ciò è testimoniato da vari documenti e dalla tradizione. Morì nel 1248 e fu sepolto nella chiesa di S. Francesco Vecchio.
I coneglianesi tributarono da subito un culto al loro frate, considerandolo come un beato; nel 1337 egli era già venerato come santo compatrono della città. Conegliano come tutta la regione in quell’epoca, era soggetta ad ogni tipo di calamità, come invasioni, guerre locali di piccoli tiranni, epidemie virulenti e mortali; allora il Magnifico Consiglio unanimemente deliberò di portare in processione, l’arca del beato Marco con l’intervento di ogni ceto sociale della città e dintorni, per impetrarne la protezione.
Diverse tradizioni del secolo XVII, affermano che in quel tempo erano ancora frequenti i pellegrinaggi di devozione alla sua tomba, essi provenivano anche dall’Ungheria.
Costruito all’interno delle mura cittadine, il nuovo convento di S. Francesco, le sue reliquie furono trasportate nel 1464, nella nuova chiesa conventuale.
Quando entrarono in vigore le leggi napoleoniche di scioglimento degli Ordini religiosi, anche la comunità di Conegliano venne soppressa, nel 1808 le reliquie furono traslate nell’attuale duomo e oggi conservate in un’urna di bronzo fatta costruire nel 1948 dai coneglianesi, per adempiere al voto fatto dalla città, che durante la Seconda Guerra Mondiale, si era posta sotto la particolare protezione del beato Marco.
Ancora nel 1965, dopo gli ultimi restauri del duomo, l’urna venne sistemata a fianco dell’altare dedicato ai due santi compatroni s. Antonio di Padova e il beato Marco da Conegliano; una pala di recente esecuzione, raffigura l’antico incontro dei due francescani nel 1227.
Esiste un’immagine ritenuta vero ritratto del beato, che fortunosamente, attraverso copie di originale andato perduto, è arrivato fino a noi.
La festa del beato Marco Ongaro, a Conegliano è celebrata il martedì dopo la Pentecoste, invece nel Martirologio Francescano è posta al 4 maggio.


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00mercoledì 4 maggio 2011 10:53

Santi e Beati Martiri Certosini di Londra 18 monaci

4 maggio

m. 1535/7

Diciotto monaci Certosini di Londra morirono martiri tra il 1535 e il 1537, durante la persecuzione scatenata dal re d'Inghilterra Enrico VIII dopo lo scisma. Per aver rifiutato di disconoscere l'autorità del Papa i priori padre Roberto Laurance e padre Agostino Webster furono imprigionati nella Torre di Londra come ribelli e traditori. Al patibolo il 4 maggio 1535 salirono insieme a padre Giovanni Houghton che si presentò al boia pronunciando parole di perdono e di fiducia in Dio. Ma la persecuzione non si fermò: altri tre Certosini furono arrestati, torturati e martirizzati poche settimane dopo. E dieci ancora vennero imprigionati il 29 maggio 1537 nel carcere di Newgate, dove morirono di stenti. Beatificati da Leone XIII il 9 dicembre 1886, tre di loro poi sono stati anche canonizzati da Paolo VI il 25 ottobre 1970. Sono comunemente festeggiati al 4 maggio, anniversario del martirio dei primi tre.


Nella grande persecuzione contro i cattolici, decretata da Enrico VIII re d’Inghilterra, ogni Ordine religioso dell’epoca, unitamente al clero diocesano, lasciò un tributo di sangue e martirio per la difesa della Chiesa Cattolica.
Anche i certosini, per quanto benvoluti essendo monaci non dediti a nessuna attività politica, contribuirono a questo martirio; i monaci della Certosa di Londra ricevettero anch’essi la visita dei funzionari del re che in base al decreto emanato, chiedevano a tutti i maggiorenni, religiosi compresi, l'approvazione del ripudio da parte del re, della regina Caterina d'Aragona e quindi l'accettazione come sovrana di Anna Bolena.
Il priore e il procuratore finirono in carcere per aver obiettato sulla legittimità del ripudio, ma dopo un mese, convinti che questo giuramento non toccava la fede, finirono per giurare e quindi liberati; ritornati alla Certosa convinsero gli altri monaci delle loro argomentazioni e così il 25 maggio 1534, essi giurarono ai funzionari, che erano tornati accompagnati dai soldati.
La pace così sperata durò poco, perché a fine anno 1534 un nuovo decreto del re e del Parlamento, stabilì che tutti i sudditi dovevano disconoscere l’autorità del papa e riconoscere invece il re come capo della Chiesa anglicana anche nelle cose spirituali e chi non consentiva era reo di lesa maestà.
Avutane notizia, il priore Giovanni Houghton riunì tutti i certosini comunicando ciò e tutti questa volta si dissero pronti a morire per la Chiesa romana. Nella certosa erano arrivati anche due priori di altre case, i quali messi al corrente della pericolosa situazione dei monaci, si recarono di comune accordo presso il vicario del re Tommaso Cromwell, per chiedergli di convincere il re Enrico VIII di esentarli da questo giuramento che non era possibile fare.
I due priori dopo aver fatto le loro richieste, furono fatti arrestare dal Cromwell indignato e rinchiusi nella Torre di Londra come ribelli e traditori. Dopo una settimana subirono un processo a Westminster dove ribadirono il loro rifiuto e quindi condannati a morte e di nuovo rinchiusi, lì furono raggiunti da altri due religiosi condannati per lo stesso motivo.
Il 4 maggio 1535 i due priori padre Roberto Laurence e padre Agostino Webster, unitamente al padre Riccardo Reynolds dell’Ordine di s. Brigida e al sacerdote Giovanni Haile, parroco di Isleworth, indossati gli abiti religiosi furono legati stesi su delle stuoie e trascinati per le vie sassose e fangose che portavano al Tyburn, famigerato luogo delle esecuzioni capitali.
Il padre Giovanni Houghton, priore di Londra, anch’egli arrestato e condannato, salì per primo il patibolo e collaborò con il boia per l’impiccagione proferendo parole di perdono e di fiducia in Dio; ma non era ancora morto soffocato che uno dei presenti tagliò la corda e il padre cadde a terra, il boia lo denudò e gli cavò ancora vivo le viscere per poter mostrare il cuore ai consiglieri del re; seguì l’esecuzione degli altri quattro e i loro corpi furono fatti a pezzi ed esposti al popolo per incutere terrore ai ‘papisti’.
Altri tre certosini Umberto Middlemore vicario, Guglielmo Exmew dotto latinista e Sebastiano Newdigate di nobili origini furono arrestati, torturati e martirizzati il 19 giugno 1535. Altri due che si erano trasferiti da Londra alla Certosa di Hull furono denunziati, arrestati e impiccati l’11 maggio 1537.
Ancora altri dieci certosini furono imprigionati il 29 maggio 1537 nel carcere di Newgate e lì morirono di stenti e patimenti in breve tempo, tranne uno Guglielmo Horn che sopravvissuto al carcere, venne impiccato il 4 novembre 1540.
Nella certosa rimasero diciotto monaci, che speranzosi di salvare il monastero avevano aderito al giuramento, ma dopo qualche tempo essi vennero espulsi e la certosa venduta a privati.
I 18 Certosini di Londra, unitamente ad altri 35 martiri di quel periodo, furono beatificati da papa Leone XIII il 9 dicembre 1886. I primi tre morti nel 1535 sono stati canonizzati da papa Paolo VI il 25 ottobre 1970 compresi in un gruppo di 40 martiri della medesima persecuzione inglese. Festività religiosa il 4 maggio.


Ecco l’elenco completo dei 18 martiri certosini di Londra:

3 SANTI
93215 - John Houghton, Sacerdote certosino, 4 maggio
93215 - Robert Lawrence, Sacerdote certosino, 4 maggio
93215 - Augustine Webster, Sacerdote certosino, 4 maggio

15 BEATI
93217 - William Exmew, Sacerdote certosino, 19 giugno
93217 - Humphrey Middlemore, Sacerdote certosino, 19 giugno
93217 - Sebastian Newdigate, Sacerdote certosino, 19 giugno
93329 - John Rochester, Sacerdote certosino, 11 maggio
93329 - James Walworth, Sacerdote certosino, 11 maggio
93331 - William Greenwood, Sacerdote certosino, 6 giugno
93332 - John Davy, Diacono certosino, 8 giugno
93333 - Robert Salt, Monaco certosino, 9 giugno
93219 - Walter Pierson, Religioso certosino, 10 giugno
93219 - Thomas Green, Sacerdote certosino, 10 giugno
93334 - Thomas Scryven, Monaco certosino, 15 giugno
93220 - Thomas Reding, Religioso certosino, 16 giugno
93335 - Richard Bere, Sacerdote certosino, 9 agosto
93336 - Thomas Johnson, Sacerdote certosino, 20 settembre
90547 - William Horne, Monaco certosino, 4 agosto

Stellina788
00mercoledì 4 maggio 2011 10:54

Beati Martiri della Gran Bretagna

4 maggio

85 martiri dal 1535 al 1681 - † Inghilterra, Galles, Scozia


La storia delle persecuzioni anticattoliche in Inghilterra, Scozia, Galles, parte dal 1535 e arriva al 1681; il primo a scatenarla fu come è noto il re Enrico VIII, che provocò lo Scisma d’Inghilterra con il distacco della Chiesa Anglicana da Roma.
Artefici più o meno cruenti furono oltre Enrico VIII, i suoi successori Edoardo VI (1547-1553), la terribile Elisabetta I, la “regina vergine” († 1603), Giacomo I Stuart, Carlo I, Oliviero Cromwell, Carlo II Stuart.
Morirono in 150 anni di persecuzione, migliaia di cattolici inglesi appartenenti ad ogni ramo sociale, testimoniando il loro attaccamento alla fede cattolica e al papa e rifiutando i giuramenti di fedeltà al re, nuovo capo della religione di Stato.
Primi a morire come gloriosi martiri, il 4 maggio e il 15 giugno 1535, furono 19 monaci Certosini, impiccati nel tristemente famoso Tyburn di Londra, l’ultima vittima fu l’arcivescovo di Armagh e primate d’Irlanda Oliviero Plunkett, giustiziato a Londra l’11 luglio 1681.
L’odio dei vari nemici del cattolicesimo, dai re ai puritani, dagli avventurieri agli spregevoli ecclesiastici eretici e scismatici, ai calvinisti, portò ad inventare efferati sistemi di tortura e sofferenze per i cattolici arrestati.
In particolare per tutti quei sacerdoti e gesuiti, che dalla Francia e da Roma, arrivavano clandestinamente come missionari in Inghilterra per cercare di riconvertire gli scismatici, per lo più essi erano considerati traditori dello Stato, in quanto inglesi rifugiatosi all’estero e preparati in opportuni Seminari per il loro ritorno.
Tranne rarissime eccezioni, come i funzionari di alto rango (Tommaso Moro, Giovanni Fisher, Margherita Pole) decapitati o uccisi velocemente, tutti gli altri subirono prima della morte, indicibili sofferenze, con interrogatori estenuanti, carcere duro, torture raffinate come “l’eculeo”, la “figlia dello Scavinger”, i “guanti di ferro” e dove alla fine li attendeva una morte orribile; infatti essi venivano tutti impiccati, ma qualche attimo prima del soffocamento venivano liberati dal cappio e ancora semicoscienti venivano sventrati.
Dopo di ciò con una bestialità che superava ogni limite umano, i loro corpi venivano squartati ed i poveri tronconi cosparsi di pece, erano appesi alle porte e nelle zone principali della città.
Solo nel 1850 con la restaurazione della Gerarchia Cattolica in Inghilterra e Galles, si poté affrontare la possibilità di una beatificazione dei martiri, perlomeno di quelli il cui martirio era comprovato, nonostante i due - tre secoli trascorsi.
Nel 1874 l’arcivescovo di Westminster inviò a Roma un elenco di 360 nomi con le prove per ognuno di loro. A partire dal 1886, i martiri a gruppi più o meno numerosi, furono beatificati dai Sommi Pontefici, una quarantina sono stati anche canonizzati nel 1970.
Per altri 85 nel 1987, si sono conclusi gli adempimenti necessari e così il 22 novembre 1987 papa Giovanni Polo II li ha beatificati a Roma, con il capofila Giorgio Haydock, confermando il giorno della loro celebrazione al 4 maggio.
Di essi 63 sono sacerdoti, di cui 2 gesuiti, 1 domenicano, 5 francescani e 55 diocesani; gli altri 22 sono laici, fra cui il tipografo William Carter.



Stellina788
00mercoledì 4 maggio 2011 10:54

San Paolino Bigazzini

4 maggio

 


Paolino della nobile famiglia dei Bigazzini, si fece monaco nel monastero dei Ss. Marco e Lucia del Sambuco, fondato intorno al 1260 nel territorio di Perugia, non lontano dal castello di Coccorano, feudo di famiglia. Fu ricevuto da san Silvestro Guzzolini, abate e fondatore del monastero di Montefano, e raggiunse in breve un alto grado di perfezione monastica, comprovato da vari miracoli. Alla morte di Silvestro, Paolino sentì suonare a distesa la campana maggiore dell’eremo di Montefano. Egli annunciò ai fratelli il transito del padre spirituale; in seguito si ebbe la conferma che ciò era avvenuto precisamente nell’ora da lui indicata. Fu sepolto nella chiesa del monastero di Sambuco, poi fu trasferito nella chiesa di S. Maria Nuova di Perugia. Il suo culto è attestato fin dal sec. XIV a Perugia.



Stellina788
00mercoledì 4 maggio 2011 10:55

San Silvano di Gaza e 39 compagni Vescovo e martiri

4 maggio

m. 304 circa

Martirologio Romano: Nelle miniere di Mismiyā in Palestina, passione dei santi martiri Silvano, vescovo di Gaza, e trentanove compagni, che, condannati ai lavori forzati, nella medesima persecuzione, su mandato del cesare Massimino Daia, ricevettero con la decapitazione la corona del martirio.



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