4 novembre

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Stellina788
00giovedì 4 novembre 2010 09:39

Sant' Amanzio di Rodez Vescovo

4 novembre

Martirologio Romano: A Rodez in Aquitania, ora in Francia, sant’Amanzio, vescovo, che si ritiene sia stato il primo presule di questa città.


Stellina788
00giovedì 4 novembre 2010 09:39

San Carlo Borromeo Vescovo

4 novembre

Arona, Novara, 1538 - Milano, 3 novembre 1584

Nato nel 1538 nella Rocca dei Borromeo, sul Lago Maggiore, era il secondo figlio del Conte Giberto e quindi, secondo l'uso delle famiglie nobiliari, fu tonsurato a 12 anni. Studente brillante a Pavia, venne poi chiamato a Roma, dove venne creato cardinale a 22 anni. Fondò a Roma un'Accademia secondo l'uso del tempo, detta delle «Notti Vaticane». Inviato al Concilio di Trento, nel 1563 fu consacrato vescovo e inviato sulla Cattedra di sant'Ambrogio di Milano, una diocesi vastissima che si estendeva su terre lombarde, venete, genovesi e svizzere. Un territorio che il giovane vescovo visitò in ogni angolo, preoccupato della formazione del clero e delle condizioni dei fedeli. Fondò seminari, edificò ospedali e ospizi. Utilizzò le ricchezze di famiglia in favore dei poveri. Impose ordine all'interno delle strutture ecclesiastiche, difendendole dalle ingerenze dei potenti locali. Un'opera per la quale fu obiettivo di un fallito attentanto. Durante la peste del 1576 assistì personalmente i malati. Appoggiò la nascita di istituti e fondazioni e si dedicò con tutte le forze al ministero episcopale guidato dal suo motto: «Humilitas». Morì a 46 anni, consumato dalla malattia il 3 novembre 1584. (Avvenire)

Patronato: Catechisti, Vescovi

Etimologia: Carlo = forte, virile, oppure uomo libero, dal tedesco arcaico

Emblema: Bastone pastorale

Martirologio Romano: Memoria di san Carlo Borromeo, vescovo, che, fatto cardinale da suo zio il papa Pio IV ed eletto vescovo di Milano, fu in questa sede vero pastore attento alle necessità della Chiesa del suo tempo: indisse sinodi e istituì seminari per provvedere alla formazione del clero, visitò più volte tutto il suo gregge per incoraggiare la crescita della vita cristiana ed emanò molti decreti in ordine alla salvezza delle anime. Passò alla patria celeste il giorno precedente a questo.
(3 novembre: A Milano, anniversario della morte di san Carlo Borromeo, vescovo, la cui memoria si celebra domani).

Ascolta da RadioVaticana:
  
Ascolta da RadioRai:
  
Ascolta da RadioMaria:
  

Quella che oggi ci giunge dalla pagina del Calendario, è la voce di uno dei più grandi Vescovi nella storia della Chiesa: grande nella carità, grande nella dottrina, grande nell'apostolato, ma grande soprattutto nella pietà e nella devozione.
"Le anime - dice questa voce, la voce di San Carlo Borromeo - si conquistano con le ginocchia ". Si conquistano cioè con la preghiera, e preghiera umile. San Carlo Borromeo fu uno dei maggiori conquistatori di anime di tutti i tempi.
Era nato nel 1538 nella Rocca dei Borromeo, padroni e signori del Lago Maggiore e delle terre rivierasche. Era il secondo figlio del Conte Giberto e quindi, secondo l'uso delle famiglie nobiliari, fu tonsurato a 12 anni. Il giovane prese la cosa sul serio: studente a Pavia, dette subito prova delle sue doti intellettuali. Chiamato a Roma, venne creato Cardinale a soli 22 anni. Gli onori e le prebende piovvero abbondanti sul suo cappello cardinalizio, poiché il Papa Pio IV era suo zio. Amante dello studio, fondò a Roma un'Accademia secondo l'uso del tempo, detta delle " Notti Vaticane ". Inviato al Concilio di Trento vi fu, secondo la relazione di un ambasciatore, " più esecutore di ordini che consigliere ". Ma si rivelò anche un lavoratore formidabile, un vero forzato della penna e della carta.
Nel 1562, morto il fratello maggiore, avrebbe potuto chiedere la secolarizzazione, per mettersi a capo della famiglia. Restò invece nello stato ecclesiastico, e fu consacrato Vescovo nel 1563, a 25 anni.
Entrò trionfalmente a Milano, destinata ad essere il campo della sua attività apostolica. La sua arcidiocesi era vasta come un regno, stendendosi su terre lombarde, venete, genovesi e svizzere. Il giovane Vescovo la visitò in ogni angolo, preoccupato della formazione del clero e delle condizioni dei fedeli. Fondò seminari, edificò ospedali e ospizi. Profuse, inoltre, a piene mani, le ricchezze di famiglia in favore dei poveri.
Nello stesso tempo, difese i diritti della Chiesa contro i signorotti e i potenti. Riportò l'ordine e la disciplina nei conventi, con un tal rigore da buscarsi un colpo d'archibugio, sparato da un frate indegno, mentre pregava nella sua cappella. La palla non lo colpì, e il foro sulla cappamagna cardinalizia fu la più bella decorazione dell'Arcivescovo di Milano.
Durante la terribile peste del 1576 quella stessa cappa divenne coperta dei miti, assistiti personalmente dal Cardinale Arcivescovo. La sua attività apparve prodigiosa, come organizzatore e ispiratore di confraternite religiose, di opere pie, di istituti benefici.
Milano, durante il suo episcopato, rifulse su tutte le altre città italiane. Da Roma, i Santi della riforma cattolica guardavano ammirati e consolati al Borromeo, modello di tutti i Vescovi.
Ma per quanto robusta, la sua fibra era sottoposta a una fatica troppo grave. Bruciato dalla febbre, continuò le sue visite pastorali, senza mangiare, senza dormire, pregando e insegnando.
Fino all'ultimo, continuò a seguire personalmente tutte le sue fondazioni, contrassegnate dal suo motto, formato da una sola parola: Humilitas.
Il 3 novembre dei 1584, il titanico Vescovo di Milano crollò sotto il peso della sua insostenibile fatica. Aveva soltanto 46 anni, e lasciava ai Milanesi il ricordo di una santità seconda soltanto a quella di un altro grande Vescovo milanese, Sant'Ambrogio.



Stellina788
00giovedì 4 novembre 2010 09:40

San Chiaro Martire

4 novembre

Emblema: Palma

Non si sa perché - o meglio si immagina perché - alla straordinaria diffusione del nome femminile di Chiara, o Clara, non corrisponda un'uguale fortuna del nome maschile di Chiaro. Lo si immagina, perché dietro il nome di Chiara c'è la luminosa figura della compagna di San Francesco, e ciò giustifica ampiamente la fortuna del suo nome, dal Duecento a oggi.
Tuttavia, qualche volta è dato di trovare anche il nome di Chiaro, e uno ne risona, abbastanza chiaro, nella storia della letteratura italiana: quello del poeta stilnovista Chiaro Davanzati, noto in modo particolare per le sue maledizioni alle " parti ", cioè ai partiti politici del suo tempo: " Chi in pria disse "parte ", - fra li tuoi figli tormentato sia ".
San Chiaro oggi festeggiato, a dire il vero, non sembra far troppo onore al nome, dal punto di vista della fama. Con un facile giuoco di parole si potrebbe dire che San Chiaro ha una storia oscurissima. Dal lato umano, s'intende, perché quello che è oscuro nel mondo può essere chiarissimo e risplendente nel cielo.
Il suo nome si trova iscritto nel Martirologio, senza nessun'altra indicazione, fuor che quella di Martire. E a lui s'intitolò, fin dall'antichità, un paese della Francia, Saint-Clair.
Si capisce però facilmente come un nome simile dovesse avere una leggenda totalmente fantastica, nata sul tardi, dopo il valico del Mille.
Si narrò allora la novella di un principe inglese di straordinaria bellezza (riflesso evidente del nome!), fuggito in Francia per farsi monaco.
Ma per quanto Chiaro cercasse di velare la propria avvenenza sotto il cappuccio monacale, una gentildonna s’invaghì perdutamente di lui. Per sfuggire a una vera e propria persecuzione della nobile dama innamorata, il monaco si celò nelle forre della montagna, dove però la sua bellezza non cessava di render chiari anche i recessi più oscuri.
La gentildonna, delusa e irritata, volle vendicarsi di lui. Lo fece perciò cacciare come un selvaggio, ed uccidere dai suoi armati, orso se che gli tagliarono il collo. Il monaco allora, raccolta la testa caduta tra i cespugli del bosco, ritrovò la via del monastero, rischiarando il cammino con il suo volto, bellissimo anche nella morte. Venne sepolto con devozione nella chiesa abbaziale, che i suoi miracoli resero chiara e famosa in tutta la Francia medievale.
Oggi però San Chiaro non attrae più con la sua bellezza le gentildonne, né innamora di sé le nobili dame. Donne più modeste e più laboriose lo invocano come loro protettore, insieme con Santa Chiara.
Sono le lavandaie francesi, che probabilmente non ricordano più la sua storia di amore e di morte. Basta il suo nome, il nome di Chiaro, a renderlo benvoluto da chi, nel quotidiano lavoro, non ha altro scopo che di render chiara e pulita la biancheria dei bucati.


Stellina788
00giovedì 4 novembre 2010 09:41

Beata Elena Enselmini Monaca

4 novembre

Padova, 1208 – ivi 1242

Della nobile famiglia Enselmini, ancor giovinetta si consacrò allo Sposo celeste nel piccolo e solitario monastero suburbano dell’Arcella (Ara Coeli), fondato da san Francesco per le Clarisse, in un suo passaggio per quella città. Quando sant’Antonio giunse a Padova come Ministro Provinciale conobbe Elena, la quale, da quel momento, godette della direzione e dei conforti spirituali che le venivano rivolti dall’ardente predicatore e superiore. Tra le due grandi anime si strinse subito un nodo di santa amicizia spirituale, fatta di scambievoli aiuti: Antonio dava alla eroica paziente l’aiuto del suo consiglio; Elena dava in cambio, nelle sue infermità corporali, al suo Padre spirituale il merito delle sue sofferenze, divenendo anche lei missionaria di desiderio, di amore.

Martirologio Romano: A Padova, beata Elena Enselmini, vergine dell’Ordine delle Clarisse, che sopportò con mirabile pazienza infinite sofferenze e perfino la perdita della parola.


Nel 1220, San Francesco passò da Padova. Pose la prima pietra del convento dell'Arcella, dove sarebbe esplosa, pochi anni dopo, la santità di Antonio da Padova, che vi mori nel 1231.
Passando da Padova, sembra che San Francesco avesse compiuto anche un altro gesto: quello di dare l'abito di Santa Chiara a una bambina di appena tredici anni, oggi onorata come Beata.
Si chiamava Elena Enselmini, ed era figlia di una nobile famiglia padovana. Bambina, era stata educata ai più alti principi religiosi e ai più puri ideali di virtù. Quando la fanciulla desiderò, per sé e per sempre, la vita religiosa, la famiglia non soltanto non si oppose, ma si rallegrò di tale decisione.
Elena si sottrasse così ai genitori secondo la carne, per acquistare un nuovo padre secondo lo spirito, Francesco, e una nuova madre, Chiara.
Nel convento delle Clarisse, Elena Enselmini, dopo aver conosciuto il poverello d'Assisi, conobbe anche il taumaturgo di Padova, Sant'Antonio. Fu lui, sembra, a dare formazione teologica e preparazione morale alla fanciulla che, per età e per sesso, aveva ricevuto, dalla famiglia, soltanto una sommaria educazione intellettuale.
Per sei anni, la vita della Clarissa fu un'esperienza luminosa e gioiosa, nonostante gli apparenti rigori materiali, le privazioni e le durezze. Ma sui vent'anni, sopraggiunsero gli anni delle tenebre. Tenebre anche in senso fisico, con malattie e infermità, ma soprattutto tenebre dell'anima, provata dal dubbio e dall'aridità spirituale.
Veniva tentata a credere che tutto era inutile; che la salvezza eterna le sarebbe stata per sempre negata. Ma anche nei momenti di maggior disorientamento intimi, Elena Enselmini si attaccò alle certezze della fede e all'obbedienza ai superiori. Con la tenacia di una volontà ben temprata, riuscì a riconquistare la pace, e la certezza che la Provvidenza guidava il suo destino per il meglio.
Restavano le infermità del corpo, che non potevano spaventare però la donna forte. Impedita nella parola, comunicava con cenni, corrispondenti alle lettere dell'alfabeto. Con questo linguaggio da sordomuti dettò anche il resoconto di numerose visioni dalle quali fu favorita.
In una di tali visioni contemplò, nella gloria dei Paradiso, gran numero di anime di religiosi vissuti in comunità. Ciò meravigliò la Clarissa di Padova, che riteneva, da buona donna del Medioevo, che maggior titolo di gloria fosse costituito dai rigori e dalle austerità degli eremiti e dei penitenti, così frequenti allora. Gli fu rivelato che c'era invece qualcosa di ancor più prezioso: l'obbedienza, quotidiana ginnastica spirituale di chi viva in comunità. Nell'elogio di tale obbedienza, c'era già l'annunzio della certa gloria della Beata di Padova, morta a soli ventiquattro anni, verso il 1231, o secondo altri nel 1242.



Stellina788
00giovedì 4 novembre 2010 09:42

Sant' Emerico d’Ungheria Principe

4 novembre

Ungheria, 1007 ca. – Alba Regale (Ungheria), 1031

Il principe Emerico fu figlio di santo Stefano (primo re d'Ungheria, detto «il Santo» (969-1038), promotore della conversione al cristianesimo del popolo magiaro) e di Gisella, sorella dell'imperatore Enrico II. Nacque in un anno imprecisato fra il 1000 e il 1007 e venne educato dal 1015 al 1023 da san Gerardo abate benedettino veneziano, divenuto consigliere del re e precettore del figlio, il quale fu successivamente vescovo di Csanád. Emerico sposò una principessa bizantina, ma secondo una sua biografia redatta fra il 1109 e 1116, egli visse durante il matrimonio in perfetta castità, collaborando con il padre re Stefano alla conversione dei sudditi. In seguito ad un incidente di caccia Emerico morì nel 1031 ad Alba Regale in Ungheria. Due antiche fonti agiografiche ungheresi, composte alla fine del secolo XI, riportano che papa Gregorio VII sancì nel 1083 l'«elevazione del corpo», cioè la ricognizione e sistemazione delle reliquie, di tutti quelli che convertirono alla fede cristiana l'antica Pannonia, fra i quali, appunto, figura anche Emerico. (Avvenire)

Emblema: Corona, Scettro, Globo

Martirologio Romano: Ad Székesfehérvár in Pannonia, nell’odierna Ungheria, sant’Emerico o Enrico, figlio di santo Stefano re d’Ungheria, colto da morte prematura.


Il principe Emerico fu figlio di s. Stefano primo re d’Ungheria, detto ‘il Santo’ (969-1038), promotore della conversione al cristianesimo del popolo magiaro e di Gisella sorella dell’imperatore Enrico II il Santo.
Nacque in un anno imprecisato fra il 1000 e il 1007 e venne educato dal 1015 al 1023 da s. Gerardo abate benedettino veneziano, divenuto consigliere del re e precettore del figlio, il quale fu successivamente vescovo di Csanád e morì assassinato dai pagani nel 1046.
Emerico sposò una principessa bizantina, ma secondo una sua biografia redatta fra il 1109 e 1116, egli visse durante il matrimonio in perfetta castità, collaborando con il padre re Stefano alla conversione dei sudditi.
Il suo nome è legato ad uno “speculum regum” intitolato “De institutione morum ad Emericum ducem”, la tradizione vuole che il padre Stefano il Santo l’abbia fatto comporre per lui.
In seguito ad un incidente di caccia Emerico premorì al padre nel 1031 ad Alba Regale in Ungheria, la sua prematura morte a 24 anni, creò una difficile situazione riguardo la successione al trono del giovane regno ungherese.
Due antiche fonti agiografiche ungheresi, composte alla fine del secolo XI, riportano che papa s. Gregorio VII (1073-1085) sancì nel 1083 con una ‘constitutio’ andata persa, l’”elevazione del corpo” cioè la ricognizione e sistemazione delle reliquie, di tutti quelli che convertirono alla fede cristiana l’antica Pannonia (Regione storica dell’Europa nord orientale, divenuta provincia romana nel 9 d.C.; nell’XI secolo fu occupata dagli Ungari).
Nella storiografia ungherese sono nominati i re Stefano I e Ladislao, col vescovo Gerardo e anche il principe Emerico. A seguito di questa ‘constitutio’, si sviluppò in Ungheria una fioritura di testi agiografici, fra i quali la “Vita b. Hemerici”.
La celebrazione della sua festa, riportata dal Martyrologium Romanun è al 4 novembre, mentre in Ungheria dove è chiamato s. Imre è al 5 novembre.



Stellina788
00giovedì 4 novembre 2010 09:43

San Felice di Valois

4 novembre

1127 - 1212

Etimologia: Felice = contento, dal latino

Martirologio Romano: Presso Cerfroid nel territorio di Meaux in Francia, san Felice di Valois, che, dopo avere condotto per lungo tempo vita solitaria, si ritiene sia stato compagno di san Giovanni de Matha nel fondare l’Ordine della Santissima Trinità per la liberazione degli schiavi.

Ascolta da RadioRai:
  

Felice, illustre rampollo della stirpe reale dei Valois, nacque in Francia nell'anno 1127. Di indole dolce e compassionevole, fin da bambino diede prove insigni di quella pietà e carità che poi lo resero l'apostolo degli schiavi.
Ricco di beni, dava ai poveri quanto gli era permesso, e spesso si privava anche della frutta e del pane per soccorrerli. Lo zio duca un giorno condannò a, morte un omicida: il giovane Felice gli chiese per amor di Dio di non punire quel delinquente, ma di darlo a lui: ne avrebbe fatto un ottimo cristiano. Fu esaudito, e il disgraziato liberato dalla morte, condusse d'allora vita esemplarissima.
Felice compì regolarmente gli studi, e ricevuti gli ordini sacri rinunziò a ogni diritto e ricchezza terrena. La gente lo lodava per le sue rare doti di animo e di corpo ed egli, per sottrarsene, un giorno si ritirò in un bosco a vivere da anacoreta. La fama della sua santità però non poteva rimanere ignota.
L'amico, S. Giovanni di Matha, che aveva deliberato di consacrare il suo ministero alla liberazione degli schiavi cristiani dalle mani dei Turchi, si portò presso il nostro eremita pregandolo di volerlo ricevere per prepararsi al grande apostolato. Lo studio, la preghiera e la penitenza furono i tre grandi mezzi che maturarono i loro animi per l'eroica impresa. E quando Giovanni conobbe essere giunto il tempo di iniziare l'ordine da lui vagheggiato, Felice rispose: “Io sarò il primo a seguirti”. Si portarono quindi a Roma presso la Santa Sede per averne l'approvazione. Papa Innocenzo III li accolse con deferenza e approvò il nuovo ordine, sotto il nome di Trinilari o Frati della SS. Trinità colla divisa di abito bianco ed una croce rosso-azzurra sul petto.
Ritornati in Francia, vennero favoriti dall’autorità. Re Filippo offrì loro le terre per edificare il primo convento; S. Giovanni s'impose viaggi lunghi e faticosi nell'Africa e a Roma, mentre S. Felice in Francia consacrò libertà, averi e vita per la formazione e propagazione dell'ordine.
Il primo gagliardo manipolo di Trinitari coronarono le loro fatiche con un felice successo. Circa 200 cristiani furono liberati nell'anno 1201 e nel seguente altri 100. Non si può dire però quanto fosse difficile strapparli di mano a quei barbari tiranni. Il mezzo più opportuno era il denaro; ma quando non si poteva raggiungere le somme da loro richieste, bisognava offrire la propria vita.
E S. Felice seppe così bene preparare i suoi figli a questa missione che molti, seguendo l'esempio del loro fondatore S. Giovanni, fecero l'eroico sacrificio.
Già più che ottantacinquenne il nostro Santo meritò di contemplare la Vergine e di sapere il momento della sua morte. Convocò allora i numerosissimi figli, li esortò a perseverare generosamente nella vocazione, indi spirò nella casa madre di Cerfroi nell'anno 1212.



Stellina788
00giovedì 4 novembre 2010 09:44

Beata Francesca D'Amboise

4 novembre

Thouars, Francia, 1427 - Nantes, 4 novembre 1485

Nacque nell'anno 1427, forse a Thouars (Francia). A 15 anni andò in sposa a Pietro II, duca di Bretagna, insieme al quale fu incoronata nella cattedrale di Rennes nel 1450. Rimasta vedova nel 1457, si orientò verso la vita religiosa. A tale scopo costruì nel 1463 un Carmelo femminile a Bondon, sotto consiglio del beato Giovanni Soreth, priore generale dei Carmelitani. Nel 1477 passò al monastero di Nantes, anch'esso sua fondazione, di cui fu priora. A lei si deve l'introduzione della Comunione frequente (quotidiana per le malate) e il quarto voto di stretta clausura. Morì nel 1485. Fu beatificata da Pio IX nel 1866. (Avvenire)

Martirologio Romano: Nel convento degli Scozzesi presso Nantes in Francia, beata Francesca di Amboise, che, duchessa di Britannia, fondò a Vannes in Francia un Carmelo femminile, nel quale poi, rimasta vedova, si ritirò come ancella di Cristo.


Nacque nell'anno 1427, probabilmente in Thouars (Francia). A quindici anni passò sposa a Pietro II, duca di Bretagna, insieme al quale fu incoronata nella cattedrale di Rennes nel 1450. Rimase vedova nel 1457, non volle le seconde nozze, e si orientò anzi verso la vita religiosa. A tale scopo costruì nel 1463 un Carmelo femminile a Bondon, sotto consiglio del Beato Giovanni Soreth, Priore Generale dei Carmelitani. Però il suo ingresso in quel monastero si attuò solo nel 1468. Passò poi nel 1477 al monastero di Nantes, anch'esso sua fondazione. I documenti ce la presentano nell'ufficio della priora di carattere forte, dotata di materna comprensione e di senso psicologico. Si conserva copia delle sagge esortazioni con cui essa alimentava lo spirito delle sue religiose. A lei si deve l'introduzione della Comunione frequente (quotidiana per le malate) e il quarto voto di stretta clausura. Morì il 4 novembre 1485. Il suo testamento furono le parole più, volte pronunciate in vita: "Su tutte le cose fate sì che Dio sia sempre il più amato!" Il suo culto liturgico fu approvato nel 1863 da Pio IX, in premio dell'attaccamento dei bretoni alla Chiesa cattolica e alla loro duchessa. E' considerata come la fondatrice delle monache carmelitane di Francia.
Fu beatificata da Pio IX nel 1866.



Stellina788
00giovedì 4 novembre 2010 09:44

Santa Modesta di Treviri Vergine

4 novembre

La benedettina Modesta, badessa di Öhren, presso Treviri (VII sec.), ebbe un legame spirituale - anche se vivevano lontane e non si videro mai - con santa Getrude di Nivelles. Infatti, viene ricordata proprio in un libro sui miracoli di questa. A Modesta apparve l'anima di Gertrude che le rivelò di essere appena morta. Il giorno dopo lei ruppe la consegna del silenzio, quando giunse in visita il vescovo di Metz, che le descrisse Gertrude proprio come lei l'aveva vista. Nel Settecento il corpo di Modesta era nell'abbazia di Sankt Irminen. Oggi le sue ossa sarebbero nella chiesa di San Mattia. (Avvenire)

Martirologio Romano: A Treviri in Austrasia, nell’odierna Germania, santa Modesta, badessa, che, consacrata a Dio fin dall’infanzia, resse per prima in questa città il gregge delle vergini consacrate del monastero di Öhren e fu unita a santa Gertrude di Nivelles da grande amicizia in Dio.


Le poche notizie pervenutaci, sono tratte da un passo dell’opuscolo ‘De virtutibus s. Geretrudis’ che narra i miracoli di s. Gertrude di Nivelles († 659), questo opuscolo fu scritto da un autore contemporaneo di s. Gertrude e di santa Modesta e quindi attendibile.
Nella seconda metà del secolo VII nel monastero di Treviri in Germania, intitolato a ‘S. Maria ad Horreum’, viveva come badessa s. Modesta, la quale sin dall’infanzia era consacrata a Dio e aveva con santa Gertrude una grande e spirituale amicizia, anche se esse non si videro mai.
Dopo parecchi anni, mentre Modesta pregava nella chiesa del suo monastero, davanti all’altare della Madonna, improvvisamente vide alla destra dell’altare s. Gertrude che le rivelò di essere morta in quel giorno e in quella stessa ora.
Finita la visione Modesta rimase interdetta se parlarne con qualcuno, ma stette zitta per tutto quel giorno. Il mattino seguente, giunse al monastero il vescovo di Metz Clodolfo († 667) e lei gli chiese notizie di Gertrude, badessa di Nivelles, quindi lontano da Öhren di Treviri e su come fosse fatta di viso, la descrizione del vescovo corrispose alla donna della visione e allora Modesta raccontò al prelato quanto accaduto.
Clodolfo prese informazioni e così si poté confermare che proprio a quell’ora e giorno Gertrude era morta, era il 17 marzo 659.
Sembra che Modesta sia stata la prima badessa del monastero di Öhren di Treviri, fondato da s. Modoaldo († 640), nella prima metà del secolo VII. Morì il 4 novembre di un anno verso al fine del secolo VII e il suo corpo risulta venerato nel 1769 nella chiesa dell’abbazia di S. Irmina ad Öhren; nel 1770 la chiesa fu distrutta e ricostruita ma nessun altare risulta dedicato alla santa, secondo i fedeli della zona le sue reliquie furono trasferite nella chiesa di S. Mattia, dove riposerebbero frammiste a molte ossa di santi.
Il suo culto è documentato almeno dal secolo IX e il suo nome compariva fra le vergini nelle litanie dei santi, nei calendari e libri liturgici di Treviri e Utrecht.
Il ‘Martirologio Romano’ la celebra il 4 novembre.


Stellina788
00giovedì 4 novembre 2010 09:45

Santi Nicandro ed Ermeo (Ermete) Martiri

4 novembre

Martirologio Romano: A Mira in Licia, nell’odierna Turchia, santi martiri Nicandro, vescovo, e Ermete, sacerdote.


Una passio metafrastica, non compresa nel Menologio di Simeone Logoteta, ancora inedita, è il solo documento pervenutoci relativo a questi martiri.
Secondo la notizia dei sinassari bizantini, che commemorano Nicandro e Ermeo, al 4 novembre, il primo era vescovo di Myra in Licia e il secondo presbitero ordinati dall’apostolo Tito vescovo di Creta. Ci si troverebbe quindi nel I secolo. Per il loro zelo nel convertire gli abitanti alla fede cristiana essi furono denunciati al governatore della città Libanio. Questi li fece legare dietro dei cavalli che si lanciarono al galoppo. Trascinati così a terra, i santi ebbero la pelle tutta strappata bagnando il suolo del loro sangue. In seguito li sospese al cavalletto, colpendoli per mezzo di una tavola di legno e li si espose al fuoco. Giacché erano miracolosamente preservati dalle fiamme, il tiranno ordinò di piantar loro dei chiodi nel cuore e nelle viscere. Ancora vivi, furono gettati in un sepolcro e ricoperti di terra. Sconosciuti ai martirologi medievali dell’Occidente, i due martiri di Licia furono introdotti sempre al 4 novembre, da C. Baronio nel Martirologio Romano.



Stellina788
00giovedì 4 novembre 2010 09:46

San Perpetuo di Maastricht Vescovo

4 novembre

Martirologio Romano: A Maastricht nel Brabante, nell’odierna Olanda, san Perpetuo, vescovo.


Stellina788
00giovedì 4 novembre 2010 09:47

San Pierio Prete

4 novembre

Martirologio Romano: Commemorazione di san Pierio, sacerdote di Alessandria, che, insigne filosofo, ma ancor più illustre per l’integrità di vita e la volontaria povertà, istruì con cura il popolo nella Sacra Scrittura al tempo in cui Teona reggeva la Chiesa di Alessandria e, finita l’epoca delle persecuzioni, riposò a Roma nella pace.


Un prete e probabilmente un supervisore dell’Alta scuola di catechesi di Alessandria, congiuntamente con Achille, fiorito mentre Theonas era vescovo di quella città; morto a Roma dopo 309. Per la sua abilità di scrittore esegeta e come predicatore guadagnò la denominazione, "il più giovane". Philip del lato, di Photius e di altri asseriscono che era un martire. Tuttavia, poiché St. Jerome li assicura che è sopravvissuto alle persecuzioni di Diocleziano ed ha trascorre il resto della sua vita a Roma; il termine "martire" può significare soltanto che ha subito i suffragi, non la morte, per la sua fede: il Martirologio romano lo commemora il 4 novembre.
Ha scritto un’opera (biblica) che contiene dodici trattati o sermoni (logoi), in alcuni di essi ripete gli errori dogmatici attribuiti ad altri autori - come a Origen - quale la subordinazione dello Spirito Santo al padre ed al figlio e la preesistenza delle anime umane.
I suoi sermoni più noti sono: uno sul Vangelo di San Luca; un sermone di Pasqua; un sermone sulla Madre del Dio; alcuni altri sermoni di Pasqua; e un’elegia su San Pamphilus, che era stato uno dei suoi discepoli.


Stellina788
00giovedì 4 novembre 2010 09:47

Beata Teresa Manganiello Terziaria francescana

4 novembre

1 gennaio 1849 - 4 novembre 1876

Fondatrice delle Suore Francescane Immacolatine.

È “l’Analfabeta Sapiente” di Montefusco in provincia di Avellino; Teresa Manganiello nacque appunto a Montefusco il 1° gennaio 1849, undicesima di dodici figli da genitori contadini.
Verso i sette anni ricevette la Prima Comunione nella chiesa di S. Egidio, annessa all’omonimo convento dei Cappuccini.
Come tanti bambini delle campagne del Sud di quell’epoca, non frequentò nessuna scuola e crebbe sempre all’ombra della casa colonica posta nella campagna sottostante il paese. Ancora adolescente manifestò il desiderio di consacrare la sua vita al Signore; quando aveva 18 anni, nel convento di S. Egidio arrivò padre Ludovico Acernese, il quale istituì a Montefusco il Terz’Ordine Francescano per il risveglio della vita cristiana nel paese e contrade vicine.
Teresa fu attratta fortemente dall’ideale francescano e corse subito ad iscriversi, divenendo la prima terziaria di Montefusco, eleggendo il padre Acernese come sua guida e confessore. Il 15 maggio 1870 a 21 anni, vestì l’abito di terziaria e l’anno seguente fece la professione dei voti prendendo il nome di sorella Maria Luisa.
Il padre Ludovico Acernese seppe cogliere in lei tutti gli aspetti più speciali della sua anima e la nominò prima consigliera e poi maestra delle novizie, per la perfezione del suo ideale francescano.
La famiglia non appoggiò mai il suo desiderio di farsi suora, per non privarsi del suo prezioso aiuto e Teresa pur vivendo in casa, conduceva uno stile di vita monacale; era comunemente chiamata “monachella santa”, sempre presente alla Messa quotidiana nella chiesa di S. Egidio, unì alla preghiera incessante, le aspre mortificazioni corporali per la riparazione degli scandali; nonostante ciò aveva sempre e dovunque un incantevole sorriso sul volto che attraeva tutti.
Sebbene analfabeta, rispondeva con saggezza anche a persone di cultura; fu l’artefice dell’estensione del Movimento Terziario Francescano in Irpina e nel Sannio, insieme al padre guida Acernese, il quale visto il persistere in Teresa Manganiello dell’ideale religioso e parlandone con altre terziarie, progettò la fondazione di una Comunità per loro.
Per avere un’approvazione speciale, la inviò nel 1873 dal papa Pio IX, a prospettargli la loro intenzione; il beato pontefice la benedisse e la incoraggiò ad andare avanti; e quando ormai veniva già considerata come la prima superiora della costituenda Congregazione delle Suore Terziarie Francescane, la salute cominciò però a declinare.
Il 14 febbraio 1874, mentre pregava in chiesa ebbe la prima emottisi accompagnata da una grave artrite; purtroppo a quell’epoca era una malattia subdola che attaccava a tutte le età ed ogni condizione sociale.
Il futuro andò avanti fra alti e bassi della malattia, finché nell’estate del 1876 si mise definitivamente a letto; ai tantissimi sacerdoti e fedeli che si recavano a visitarla, dava ad ognuno il suo meraviglioso sorriso; tutta abbandonata al Signore e alla Madonna che pregava fervorosamente.
Morì il 4 novembre 1876 a soli 27 anni e sepolta nel cimitero di Montefusco; cinque anni dopo la sua morte, il padre Ludovico Acernese, confidando nella sua spirituale protezione, fondò in Pietradefusi (AV) la Congregazione delle ‘Suore Francescane Immacolatine’ di cui Teresa è “Pietra angolare” e “Madre spirituale”.
Nel suo patrimonio spirituale ogni suora trova ricchissimi esempi ed insegnamenti, per una vita di totale consacrazione al servizio di Dio e della Chiesa.
A 100 anni dalla sua morte, nel 1976, le Suore Francescane Immacolatine, avviarono la causa per la sua beatificazione, riconoscendo il lei, il ruolo fondamentale nell’istituzione della Congregazione.
Il processo si chiuse nell’archidiocesi di Benevento il 29 settembre 1991 e gli atti furono approvati dalla Santa Sede il 12 dicembre 1992.
Intanto proseguono più frequenti le segnalazioni di grazie, guarigioni e favori di ordine morale e spirituale, ottenuti per la sua intercessione.
E' stata beatificata il 22 maggio 2010, a Benevento, in una celebrazione presieduta da mons. Angelo Amato.



Stellina788
00giovedì 4 novembre 2010 09:48

Santi Vitale e Agricola Protomartiri bolognese

4 novembre

Alle radici della Chiesa bolognese c'è la figura di due martiri, distinti per classe sociale ma uniti dalla palma della morte a causa della fede. Vitale e Agricola, servo e padrone, lanciarono con la loro testimonianza un messaggio di uguaglianza e di solidarietà che avrà pubblico riconoscimento al sorgere del libero Comune con il decreto di liberazione dei servi della gleba (Liber Paradisus). La più antica memoria dei due protomartiri risale a sant'Ambrogio e a san Paolino da Nola, che ne attestano la «colleganza e il consorzio nel martirio». I loro corpi, riscoperti nel cimitero ebraico dal vescovo Eustasio, furono traslati da Ambrogio nel 393 alla Santa Gerusalemme stefaniana. Il loro culto era già diffuso nel V e VI secolo. Le loro reliquie sono venerate nella Chiesa madre di Bologna. (Avvenire)

Emblema: Palma

Martirologio Romano: A Bologna, santi Vitale e Agricola, martiri, dei quali, secondo quanto racconta sant’Ambrogio, il primo fu dapprima schiavo dell’altro, poi compagno di martirio: Vitale, infatti, patì tali tormenti da non esserci più parte del suo corpo senza ferita; Agricola, per nulla atterrito dal supplizio del suo schiavo, lo imitò nel martirio subendo la crocifissione.


Santi VITALE e AGRICOLA, protomartiri bolognesi.

Sul finire del VI secolo, San Gregorio di Tours in una sua opera lamentò l’inisistenza di una “passio” circa i Santi Vitale ed Agricola. Ciò però non era propriamente esatto, in quanto le notizie sui due protomartiri bolognesi si fondano su un’autentica affermazione del vescovo milanese Sant’Ambrogio nel 392, nonché una di San Paolino di Nola del 403. Negli Acta Sanctorum sono inoltre stati inclusi due racconti fittizi arbitrariamente attribuiti anch’essi allo stesso Ambrogio.
In realtà assolutamente sconosciuti erano stati Vitale ed Agricola sino al 392, anno in cui il vescovo bolognese Eusebio annunciò il ritrovamento dei loro resti in un cimitero ebreo dell’odierno capoluogo emiliano. Egli diede loro nuova sepoltura con rito cristiano, evento al quale presenziò anche Sant’Ambrogio, rivolgendosi ai martiri nell’omelia ed invitando la popolazione a venerarne le reliquie.
Il culto dei due santi martiri si diffuse in Occidente grazie all’impulso dato da Ambrogio che, oltre a scrivere di loro, volle traslare a Milano parte delle reliquie e ne donò poi parte a Firenze. Numerosi vescovi si sentirono così spinti a richiederne per le loro cattedrali. Il culto mantenne comunque il suo epicentro a Bologna, ove una basilica fu edificata appositamente per custodire le loro spoglie, in seguito trasferite nell’adiacente cappella.
Poco sappiamo dunque circa la vita dei due santi. Pare che Agricola fosse un cittadino cristiano di Bologna e Vitale il suo servitore. Questi aveva seguito il padrone anche nella sua religione e fu il primo a coronare la sua vita con il martirio: condotti infatti entrambi nell’arena, Vitale fu torturato in tutto il corpo sino alla morte. Gli aguzzini pensavano che alla vista delle sue sofferenze, Agricola avrebbe perso la sua determinazione nel dichiararsi cristiano, ma invece tutto ciò ebbe l’effetto inverso di quanto sperato. Agricola fu infatti fortificato ed incoraggiato dalla morte del suo fedele servo ed affronto con grande coraggio la crocifissione, testimoniando sino alla fine la sua fede cristiana. Il suo corpo fu anche trafitto con chiodi.

PREGHIERA

Ti benediciamo e ti ringraziamo, Padre,
per il dono del martirio nei nostri fratelli Vitale e Agricola:
dal loro sangue fecondo hai fatto germogliare la Chiesa di Bologna
e nella fraterna solidarietà dello schiavo e del padrone
ci hai dato un fulgido esempio di umanità riconciliata nell’amore di Cristo.
Per la loro solidale intercessione donaci di essere testimoni coraggiosi della fede,
pietre vive della tua Chiesa, operatori di comunione e di pace.
Te lo chiediamo, Padre, nello Spirito Santo, per Cristo nostro Signore. Amen.



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