6 gennaio

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Stellina788
00martedì 6 gennaio 2009 14:22

Sant' Abo di Tiflis Martire

6 gennaio

+ 6 gennaio 786


Il racconto vero e proprio della “passio” è preceduto da due lettere scambiate tra Samiele, katholicòs di Mtzkhétha, e il prete Giovanni Sabanidze circa la necessità di porre per iscritto gli avvenimenti di cui questi sarebbe stato testimone. La relazione comincia con un prologo parenetico in cui s. Abo non viene nominato. Seguono due parti distinte da due sottotitoli che raccontano l’arrivo del santo in Kharthli e il martirio. Un lungo elogio sugella il racconto. Secondo i compilatori della “passio” Abo nacque a Bagdad dall’arabo ismaelita Abramo e fu educato nella religione musulmana. All’età di 17 o 18 anni entrò come esperto di profumeria e di lettere arabe al seguito di Nerses figlio del curopalata Ardanases, etnarca di Kharthli, che caduto in disgrazia del califfo abbasside Abd-Allah al Mansur, (754-775), era stato rinchiuso nelle carceri di Bagdad. Quando Nerses, liberato dal successore di al-Mansur, Mohammad al-Mahdi (775-785), con l’amnistia del 776, lasciò Bagdad, Abo lo seguì in patria dove arricchì la sua eterogenea cultura con lo studio dell’iberico, della Bibbia e dei primi rudimenti della religione cristiana che, introdotta in Georgia sotto Costantino, era, ormai dai tempi di Giustiniano, religione di stato. Nonostante la rapida adesione alla verità di fede, tratteneva Abo dal battesimo il timore dei musulmani padroni della Georgia fin dal 650 e nemici del cristianesimo tradizionale, baluardo filo-bizantino del nazionalismo georgiano. Però Nerses non tardò a perdere il favore del nuovo califfo: lasciò il suo paese per l’Osseth insieme a trecento profughi e ad Abo, che da questo momento lo avrebbe seguito in ogni peregrinazione. Nerses guidò il drappello nelle terre settentrionali dove erano le sedi dei figli di Magog, i Khazari, uomini agresti di aspetto terribile e di spietati costumi, bevitori di sangue e disobbedienti di qualunque legge “tranne quella di un Dio creatore”. I Khazari lo accolsero come nemico dei loro nemici offrendogli vitto e alloggio. Abo confortato dall’umanime consenso trovò finalmente il coraggio di professarsi cristiano, di dedicarsi alle orazioni e ai digiuni, di ricevere il battesimo. Nerses chiese al re dei Khazari di poter proseguire attraverso la sua terra fino a quella degli Abasgi, dove aveva inviato i suoi familiari e i suoi averi fin dal tempo in cui la burocrazia araba incominciava a mostrarglisi ostile.
Intanto Stefano, nipote di Nerses, aveva ottenuto dal califfo Al Mahdi l’etnarcato di Tiflis e, giudicando ormai impossibile il ritorno, Abo decise di rientrare in patria. Invano tutti dissuasero Abo dal gettarsi in mano ai suoi antichi correligionari, che, impossessatisi del potere, avevano imposto la religione musulmana. Abo, divenuto ormai per gli arabi un infedele, seguì Nerses a Tiflis, dove rimase tre anni vivendo della carità e acquistandosi fama di perfetto cristiano. Verso la fine del 785 il governo arabo fece arrestare Abo, ma l’etnarca Stefano riuscì a farlo rilasciare. Gli arabi si vendicarono rimuovendo dalle sue funzioni il giudice che si era fatto intimorire dai georgiani. Ormai la coraggiosa schiettezza con cui professava la nuova la nuova religione consegnò Abo ai musulmani che gli imposero l’abiura. Il rifiuto provocò la sua condanna a morte, e lo strazio della salma, che fu parte arsa, parte dispersa nelle acque del fiume Mtcwar. Abo fu martirizzato, sotto il califfo Musa al-Hadi (785-786), il 6 gennaio del 786; la festa fu spostata, perchè non coincidesse con l’Epifania. Secondo la tradizione, una colonna di fuoco indicò ai cristiani il luogo in cui si trovavano, casualmente raccolti nella melma del fondo, i resti del santo. Le reliquie furono recuperate e traslate in Tiflis nella cappella eretta sul luogo del martirio. Abo venne canonizzato dopo la morte del katholicòs Samuele III (789-794), il quale aveva dato ordine a Giovanni Sabanidze, testimone del martirio, di lasciarne memoria scritta.
Una leggendario su pergamena, letto da Brosset in Tiflis nel 1847, rivelò il racconto della “passio”, che, pubblicato in numerose opere, non fu, però, oggetto di uno studio critico prima del 1934. Lo studio, condotto da P. Peeters, chiarì fino a qual punto le convenisse il titolo di documento storico. La “passio”, redatta nell’VIII secolo, localizza gli avvenimenti nel tempo e nello spazio in modo piuttosto vago, per la mancanza di un sistema cronologico e le numerose reticenze ispirate da trasparenti motivi politici; però la sequenza dei fatti è oltremodo chiara e permette di determinare precisamente il nome e il ruolo delle popolazioni e delle persone che vi sono citate. La “passio” fu dunque una prudente relazione, redatta in un’epoca molto vicina agli avvenimenti, nei primi anni del califfato di Harun ar-Rasid (786-809) e si svolge in quel periodo della dominazione araba in Georgia caratterizzato dal malcontento dei principi indigeni legati all’impero bizantino da antichi vincoli di fedeltà e sottomessi dai primi califfi abbassidi.



Stellina788
00martedì 6 gennaio 2009 14:27

Beato Andrea Bessette (Alfredo) Religioso

6 gennaio

Saint-Gregoire-d’Iberville, Montreal, Canada, 9 agosto 1845 – Montreal, 6 gennaio 1937

Nella solennità dell'Epifania si ricorda anche il beato canadese Alfredo Bessette. Orfano a nove anni, nel 1854, fu cresciuto da una zia. Lavorò nelle filande ed emigrò negli Usa, improntando la vita alla spiritualità di san Giusppe. Tornato in patria, entrò come fratel Andrea nella Congregazione della Santa Croce, nata per far rinascere le scuole cattoliche francesi, abolite un secolo prima dagli inglesi. Fu per 40 anni portinaio del collegio di Notre-Dame a Montreal, operando guarigioni. Sul monte cittadino edificò una cappella a san Giuseppe, divenuta un importante santuario. Morì 91enne nel 1937 e fu lutto nazionale. (Avvenire)

Martirologio Romano: A Montréal nel Québec in Canada, beato Andrea (Alfredo) Bessette, religioso della Congregazione della Santa Croce, che fece edificare in questo luogo un insigne santuario in onore di san Giuseppe.


Il canadese Alfredo Bessette, questo il suo nome di nascita, nacque il 9 agosto 1845 nel villaggio di Saint-Grégoire-d’Iberville, nella diocesi di Montréal, posta nella provincia del Québec.
Era l’ottavo figlio di Isacco Bessette e Clotilde Foisy, a nove anni divenne orfano del padre ed a dodici della madre, mentre lui crebbe con disturbi allo stomaco, che non gli permettevano di cibarsi come gli altri.
Fu preso in casa della zia materna Marie-Rosalie Foisy, coniugata con Timoteo Nadeau; dove le condizioni economiche non erano floride, pertanto sapeva appena leggere e scrivere e dovette lavorare ben presto per guadagnarsi da vivere.
Il suo stato di salute malferma, non gli permise di avere un lavoro stabile, infatti dal 1858 al 1870 cambiò vari mestieri nella provincia del Québec, con un intervallo dal 1863 al 1867 quando lavorò, sempre saltuariamente negli Stati Uniti, specie nel campo della filatura.
Alfredo Bessette fu molto devoto di S. Giuseppe, che aveva come lui provato la povertà, il lavoro e l’esilio. Poi ritornò in Canada e qui il suo parroco poté constatare che la sua permanenza negli Stati Uniti, non aveva fatto cambiare la sua inclinazione religiosa e la sua fede; quindi gli consigliò di entrare nella Congregazione della Santa Croce.
Alla fine del 1870 entrò nel Noviziato dei Fratelli della Santa Croce, prendendo il nome di fratel Andrea; questa Congregazione era stata fondata in Francia da padre Basile Moriau, comprendendo padri, fratelli e sorelle ed era arrivata in Canada nel 1847, su invito del vescovo Bourget, per restaurare il sistema scolastico di lingua francese, che più di un secolo prima nel 1759, gli inglesi avevano abolito ma senza mai riuscire ad assimilare la popolazione cattolica e francese.
Il suo parroco inviò un messaggio ai suoi superiori, che diceva: “Vi mando un santo”; il suo noviziato si prolungò più degli altri, per le sue condizioni di salute, venendo poi ammesso alla professione religiosa il 22 agosto 1872.
Gli fu dato il compito di portinaio del Collegio di Notre-Dame di Montréal, dove restò per quarant’anni; soleva dire con quell’umorismo che lo distingueva: “Per 40 anni alla porta, ma non mi hanno mai messo fuori!”.
Pur essendo un giovane portinaio, fu sempre di mente vivace e sensibile, con capacità di giudizio e senso dell’umorismo e divenne ben presto il rifugio dei poveri, dei malati e degli afflitti, i quali si affidavano alle sue preghiere.
Già a 30 anni operò delle guarigioni straordinarie; la stampa il 9 maggio 1878 riportò la notizia di cinque guarigioni, attribuite alle preghiere di qul piccolo frate Andrea. Tutto ciò scatenò l’affluenza di migliaia di ammalati e bisognosi, che l’attorniavano giorno e notte.
A tutti fratel Andrea raccomandò la devozione a s. Giuseppe, la fiducia in Dio; frizionava con l’olio della lampada che ardeva davanti alla statua del santo, le membra dei fedeli, i quali partivano sollevati nell’animo e spesso anche nel corpo.
Nel 1894 fratel Andrea ottenne il permesso dai superiori di erigere una piccola cappella in legno, dedicata a S. Giuseppe, sul fianco del Mont-Royal che sovrasta la città di Montréal e di fronte al Collegio e che venne inaugurata nel 1904.
Anche questa cappella divenne meta di numerosi pellegrinaggi, per cui nell’estate del 1905, i superiori nominarono fratel Andrea, custode della cappella. I numerosi prodigi di guarigioni e le conversioni degli spiriti si moltiplicarono, meritandogli l’appellativo di “taumaturgo”, inoltre la cappella diventata un Santuario dedicato a S. Giuseppe, ebbe un grande sviluppo, con un fermento religioso di tanti fedeli, attratti dal carisma di fratel Andrea; le autorità ecclesiastiche e civili, non interferirono nella sua opera apostolica.
Nel dicembre 1917 fu inaugurata una cripta e la benedizione della pietra angolare di una chiesa superiore, che dopo molte interruzioni e difficoltà, diventò il più grande santuario in onore di S. Giuseppe, padre putativo di Gesù e uno dei centri religiosi più frequentati del mondo.
Spronò sempre la costruzione del grande Santuario, terminato il 15 maggio 1955, ma non poté vederlo finito perché morì il 6 gennaio 1937, all’età di 91 anni; la sua morte fu un lutto nazionale.
Nel 1951 fu aperta la causa per la sua beatificazione e venne proclamato beato il 23 maggio 1982 da papa Giovanni Paolo II.


Autore:
Antonio Borrelli

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Aggiunto il 13-Dec-2003
Letto da 2708 persone



Stellina788
00martedì 6 gennaio 2009 14:34

Sant' Andrea Corsini Vescovo

6 gennaio - Comune

Firenze, 1301 - Firenze, 6 gennaio 1373

Andrea della nobile famiglia fiorentina dei Corsini, nacque nel 1301. Vestì l'abito di frate carmelitano. Dopo la sua ordinazione sacerdotale, venne mandato a completare gli studi nell'università di Parigi. Tornò a Firenze quando già imperversava l'epidemia della peste, descritta da Boccaccio. Venne eletto superiore provinciale dell'Ordine nel 1348 e, due anni dopo, essendo morto di peste il vescovo di Fiesole, Andrea fu chiamato a succedergli. Per ventiquattro anni resse la diocesi di Fiesole. Della sua carità beneficiarono i poveri. Della sua opera di pacificatore trassero vantaggio non solo i battaglieri comuni toscani, ma anche la città di Bologna, dove il papa Urbano V lo mandò a mettere pace tra i cittadini, sobillati dai Visconti, e che lo compensarono anche con il carcere. Morì il 6 gennaio 1373 e il suo corpo venne seppellito nella fiorentina chiesa del Carmine. Fu canonizzato nel 1629. (Avvenire)

Etimologia: Andrea = virile, gagliardo, dal greco

Emblema: Bastone pastorale

Martirologio Romano: A Fiesole in Toscana, sant’Andrea Corsini, vescovo, dell’Ordine dei Carmelitani: insigne per la sua vita austera e per l’assidua meditazione delle sacre Scritture, restaurò i conventi devastati dalla peste e governò con saggezza la sua Chiesa, portando conforto ai poveri e riconciliando i nemici.


Andrea, della nobile famiglia fiorentina dei Corsini, nacque nel 1301, l'anno in cui Dante Alighieri veniva bandito dalla sua città, divisa e turbolenta. Sua madre, prima di metterlo al mondo, disse di aver visto in sogno il suo figliolo nelle sembianze di un lupo, trasformato poi in agnello. In gioventù Andrea pare sia stato davvero "una testa calda", un lupo, o meglio un giovane leone, come si direbbe oggi per definire quel tipo di giovane arrogante, spendaccione e ozioso. Andrea, pur nel frastuono della gaia e rissosa Firenze, udì il soffio dello Spirito, che si tradusse in un irresistibile richiamo alla mistica pace del Carmelo.
A uno zio che tentava di riportarselo a casa, prospettandogli un eccellente matrimonio, rispondeva: "Che ne farei di questi beni, se poi non avessi la pace del cuore?". Andrea nascondeva sotto il saio un cilicio, ancora conservato, tutto irto di punte di ferro, e andava di porta in porta a chiedere l'elemosina, senza evitare quelle case in cui un tempo si recava a far baldoria con gli amici. Dopo la sua ordinazione sacerdotale, venne mandato a completare gli studi nell'università di Parigi.
Tornò dal soggiorno parigino più irrobustito non solo culturalmente, ma anche nello spirito. Durante il viaggio di ritorno, narrano i suoi biografi, operò alcune prodigiose guarigioni. Tornò a Firenze quando già imperversava l'epidemia della peste, descritta dal Boccaccio. Venne eletto superiore provinciale dell'Ordine nel 1348 e, due anni dopo, essendo morto di peste il vescovo di Fiesole, Andrea fu chiamato a succedergli. Cercò di sottrarsi all'alto incarico, di cui si reputava indegno, andando a nascondersi in un lontano eremo, ma il suo nascondiglio venne scoperto da un fanciullo.
Andrea interpretò quell'episodio come un invito all'obbedienza e accettò la nomina. Per ventiquattro anni resse la diocesi di Fiesole, non sempre con la mansuetudine dell'agnello, poiché il suo rigore ascetico e la sua assoluta dedizione al ministero pastorale non erano sempre graditi a coloro che non ponevano eccessivo zelo nel servizio del Signore. Della sua carità beneficiarono soprattutto i poveri. Della sua opera di pacificatone trassero vantaggio non solo i battaglieri comuni toscani, ma anche la città di Bologna, dove il papa Urbano V lo mandò a mettere pace tra i cittadini, sobillati dai Visconti, e che lo compensarono anche con il carcere. Morì il 6 gennaio 1373 e il suo corpo venne seppellito nella fiorentina chiesa del Carmine. Fu canonizzato nel 1629.


Autore:
Piero Bargellini

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Aggiunto il 1-Feb-2001
Letto da 4561 persone




Stellina788
00martedì 6 gennaio 2009 14:41

San Carlo da Sezze Frate laico francescano

6 gennaio

Sezze (Latina), 19 ottobre 1613 - San Francesco a Ripa, 6 gennaio 1670

Giancarlo Marchionne nacque a Sezze (Latina) nel 1613 da genitori contadini. Fece anche lui il pastore e l'agricoltore. A 17 anni fece voto di castità in onore della Vergine e poco dopo entrò nell'Ordine dei Frati minori come fra Carlo. Fu in numerosi conventi del Lazio come cuoco. portinaio, questuante e sacrestano. Ma, nonostante gli scarsi studi, aveva doni di scienza straordinari e ciò gli permise di realizzare una vasta produzione di opere ascetico-letterarie. Fu consigliere di Alessandro VII e Clemente IX. Morì nel 1670 ed è santo dal 1959. E' patrono di Sezze e della diocesi di Latina-Terracina Sezze-Priverno. (Avvenire)

Etimologia: Carlo = forte, virile, oppure uomo libero, dal tedesco arcaico

Martirologio Romano: A Roma, san Carlo da Sezze, religioso dell’Ordine dei Frati Minori: costretto fin dalla fanciullezza a procurarsi il vitto quotidiano, esortava i compagni all’imitazione di Cristo e dei santi; indossato finalmente, come desiderava, l’abito francescano, si dedicò all’adorazione del Santissimo Sacramento.


Nato a Sezze (Latina) il 19 ottobre 1613 da Ruggero Melchiori (o Marchionne) e Antonia Maccione, contadini piissimi e di buona condizione, Carlo fu battezzato il 22 dello stesso mese, come risulta dall'unico registro contemporaneo esistente tuttora presso la cattedrale di S. Maria. Per motivi di salute dovette sospendere gli studi elementari: fece il pastore e poi il contadino. A diciassette anni emise il voto di perpetua castità in onore della Vergine e quindi, contro il parere dei genitori e dei parenti che lo avrebbero voluto sacerdote, preferì, per spirito di umiltà, rendersi religioso converso. Vestì, pertanto, l'abito dei Frati Minori nel convento di S. Francesco in Nazzano il 18 maggio 1635 e, dopo aver superato molte difficoltà, professò il 18, o il 19 maggio dell'anno seguente. Risiedette successivamente nei conventi di S. Maria Seconda in Morlupo, di S. Maria delle Grazie in Ponticelli, di S. Francesco in Palestrina, di S. Pietro in Carpineto Romano, di S. Pietro in Montorio e di S. Francesco a Ripa in Roma. Tra il 1640 e il 1642 dimorò per breve tempo nei conventi di S. Giovanni Battista al Piglio e in quello di S. Francesco in Castelgandolfo. NelI'ottobre 1648, ascoltando la Messa nella chiesa di San Giuseppe a Capo le Case in Roma, al momento dell'elevazione, ricevette dall'Ostia divina una ferita di amore al petto.
Impiegato negli uffici propri del suo stato, di cuoco, ortolano, portinaio, questuante e sagrestano, Carlo si distinse per l'umiltà, l'ubbidienza, la pietà serafica e l'amore verso il prossimo, riuscendo ad unire alla più intensa vita interiore e contemplativa una instancabile attività caritativa e apostolica che lo condusse a Urbino, a Napoli, a Spoleto e in altre città.
Laici, sacerdoti, religiosi, vescovi, cardinali e pontefici si giovarono dell'opera di Carlo, che aveva avuto da Dio doni straordinari, tra i quali, in particolare, quelli del consiglio e della scienza infusa (riconosciuto, questo prorsus mirabile dal breve stesso della beatificazione). Ad Alessandro VII, che lo interrogava su Girolama Spada, giustiziata come eretica a Campo de' Fiori il 5 luglio 1659, Carlo rispose che non si era mai recato a casa della donna, sapendo che in lei non v'era nulla di buono. Clemente IX lo inviò a Montefalco per esaminarvi lo spirito di una monaca, falsamente ritenuta santa. Carlo predisse il supremo pontificato ai cardinali Fabio Chigi (Alessandro VII), Giulio Rospigliosi (Clemente IX), Emilio Altieri (Clemente X) e Gianfrancesco Albani (Clemente XI).
Dopo la morte, avvenuta il 6 gennaio 1670 a San Francesco a Ripa, comparve sul petto di Carlo un singolare stigma, che fu riconosciuto di origine soprannaturale da un'apposita commissione medica e fu addotto come uno dei due miracoli richiesti per la beatificazione. I processi canonici, iniziati poco dopo la morte, subirono notevoli ritardi dovuti a contingenze storiche. Clemente XIV dichiarò l'eroicità delle virtù il 14 giugno 1772; Leone XIII, con breve del 1° ottobre 1881, lo beatificò il 22 gennaio 1882, e Giovanni XXIII lo canonizzò il 12 aprile 1959. La sua festa si celebra il 6 gennaio. Benché a scuola avesse imparato a leggere e a scrivere malamente, Carlo fu autore straordinariamente fecondo.


Autore:
Severino Gori


Fonte:
Bibliotheca Sanctorum

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Aggiunto il 1-Feb-2001
Letto da 4617 persone



Stellina788
00martedì 6 gennaio 2009 14:45

Epifania del Signore

6 gennaio

Questa festa è la prima occasione in cui Dio si rivela all’umanità tramite il Figlio Gesù diviene visibile a tutti: Tale rivelazione fu prima rivolta ai pagani per mezzo dei Re Magi, i quali andarono a visitare il Bambino Gesù simbolo della chiamata alla salvezza delle popolazioni pagane. Successivamente le meraviglie del Signore si sono manifestate ai Giudei, poi ai discepoli a partire dal miracolo delle nozze di Cana.

Martirologio Romano: Solennità dell’Epifania del Signore, nella quale si venera la triplice manifestazione del grande Dio e Signore nostro Gesù Cristo: a Betlemme, Gesù bambino fu adorato dai magi; nel Giordano, battezzato da Giovanni, fu unto dallo Spirito Santo e chiamato Figlio da Dio Padre; a Cana di Galilea, alla festa di nozze, mutando l’acqua in vino nuovo, manifestò la sua gloria.


D'origine orientale di questa solennità è nel suo stesso nome: "epifania", cioè rivelazione, manifestazione; i latini usavano la denominazione "festivitas declarationis" o "apparitio", col prevalente significato di rivelazione della divinità di Cristo al mondo pagano attraverso l'adorazione dei magi, ai Giudei col battesimo nelle acque del Giordano e ai discepoli col miracolo alle nozze di Cana. L'episodio dei magi, al di là di ogni possibile ricostruzione storica, possiamo considerarlo, come hanno fatto i Padri della Chiesa, il simbolo e la manifestazione della chiamata alla salvezza dei popoli pagani: i magi furono l'esplicita dichiarazione che il vangelo era da predicare a tutte le genti.
Per la Chiesa orientale ha grande rilievo il battesimo di Cristo, la "festa delle luci", come dice S. Gregorio Nazianzeno, anche come contrapposizione ad una festa pagana del "sol invictus". In realtà, sia in Oriente come in Occidente l'Epifania ha assunto il carattere di una solennità ideologica, trascendente singoli episodi storici: si celebra la manifestazione di Dio agli uomini nel suo Figlio, cioè la prima fase della redenzione. Cristo si manifesta ai pagani, ai Giudei, agli apostoli: tre momenti successivi della relazione tra Dio e l'uomo.
Al pagano è attraverso il mondo visibile che Dio parla: lo splendore del sole, l'armonia degli astri, la luce delle stelle nel firmamento sconfinato (nel cielo i magi hanno scoperto il segno divino) sono portatori di una certa presenza di Dio.
Partendo dalla natura, i pagani possono "compiere le opere della legge", poiché, come diceva S. Paolo agli abitanti di Listri, il "Dio vivente che ha fatto il cielo, la terra, il mare e tutte le cose che in essi si trovano... nelle generazioni passate ha lasciato che ogni popolo seguisse la sua strada; ma non ha cessato di dar prova di sé beneficando, concedendovi dal cielo piogge e stagioni ricche di frutti, fornendovi di cibo e riempiendo di letizia i vostri cuori" (At 14,15-17). Ora "in questi giorni, (Dio) ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha costituito erede di tutte le cose e per mezzo del quale ha fatto anche il mondo " (Eb 1,2). I molti mediatori della manifestazione della divinità trovano il loro termine nella persona di Gesù di Nazaret, nel quale risplende la gloria di Dio. Perciò noi possiamo oggi esprimere "l'umile, trepidante, ma piena e gaudiosa professione della nostra fede, della nostra speranza, del nostro amore" (Paolo VI).


Autore:
Piero Bargellini

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Aggiunto il 1-Feb-2001
Letto da 5651 persone



Stellina788
00martedì 6 gennaio 2009 14:49

Sant’ Erminoldo di Prufening Abate, martire

6 gennaio

+ 1121

Monaco dell’abbazia benedettina di Hirsau, Erminoldo venne nominato abate di Prufening dal vescovo Ottone di Bamberga. Morì nel 1121 a causa delle percosse subìte da un suo confratello, contrario al fatto che Erminoldo avesse vietato allo scomunicato Enrico V l’ingresso nel monastero. I suoi resti furono riesumati nel 1283.
L’Ordine Benedettino lo festeggia il 6 gennaio.


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Aggiunto il 29-May-2008
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Stellina788
00martedì 6 gennaio 2009 14:53

Beato Federico Prevosto di St-Vaast d'Arras

6 gennaio

m. 6 gennaio 1020


Terzo figlio del conte di Verdun, Goffredo il Barbuto, e di Matilde, figlia del duca di Sassonia, Ermanno, Federico, alla morte del fratello maggiore, Adalberone II, vescovo di Verdun, ereditò la contea paterna (997), ma, per spirito evangelico, vi rinunziò e partì per la Terra Santa.
Al ritorno, andò a trovare Riccardo, decano della chiesa metropolitana di Verdun e tutti e due decisero di abbracciare la vita monastica. Presero l'abito benedettino nel monastero di St-Vanne, in Verdun, diretto dall'abate Finger, irlandese. Alla morte di questo, Riccardo fu eletto abate (1005) e sotto di lui la casa godè di una prosperità spirituale e temporale notevole.
L'austerità più severa regnava in questo monastero da cui doveva partire la riforma detta di St-Vanne. Primo a trar profitto da tale riforma fu il monastero di St-Vaast d'Arras, non senza difficoltà, però, da parte di monaci che non volevano accettare il mutamento del loro modo di vivere. Riccardo, infatti, non ne potè prendere possesso che nel 1008 con l'aiuto del conte di Fiandra, Baldovino IV. Una colonia di monaci di St-Vanne, di cui faceva parte Federico, vi si andò ad insediare; Riccardo ne fu abate fino al 1012 e nominò suo prevosto Federico che vi morì il 6 gennaio 1020 in fama di santità.
Il suo corpo fu trasportato a St-Vanne.
La festa viene celebrata il giorno della morte.


Autore:
Pierre Villette


Fonte:
Bibliotheca Sanctorum

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Aggiunto il 13-Jun-2008
Letto da 403 persone


Stellina788
00martedì 6 gennaio 2009 15:03

San Giovanni de Ribera

6 gennaio

Siviglia, 27 dicembre 1532 - 6 gennaio 1611

Martirologio Romano: A Valencia in Spagna, san Giovanni de Ribera, vescovo, che svolse anche la funziona di viceré e, devoto della santissima Eucaristia e difensore della verità cattolica, educò il popolo con solidi insegnamenti.


In un periodo confuso e drammatico della storia della Chiesa, come fu quello della Riforma Protestante, lo Spirito Santo suscitò una straordinaria fioritura di santi, artefici della rinascita spirituale sancita dal Concilio di Trento: San Giovanni de Ribera fu, per la Spagna, uno di questi.
Nacque a Siviglia il 27 dicembre 1532 da illustre e importante famiglia, il padre Pedro era Duca di Alcalà, Vice Re di Catalogna e, per quattordici anni, Vice Re di Napoli; i Ribera si distinguevano per la generosità verso i poveri. Destinato alla carriera ecclesiastica, Giovanni ricevette all’età di dodici anni la tonsura. Dopo gli studi umanistici, si iscrisse all’Università di Salamanca e, alla cattedra di illustri prelati, conseguì la laurea in teologia. Ordinato sacerdote nel 1557, per cinque anni fu insegnante: era in pieno svolgimento il Concilio di Trento. Nel 1562, con dispensa papale perché aveva solo trent’anni, grazie alla posizione del padre e su interessamento del Re Filippo II, Papa Pio IV lo nominò Vescovo di Badajoz. Ebbe iniziò così un’instancabile attività pastorale che durerà tutta la vita. Visitò le varie parrocchie della diocesi e convocò un sinodo, secondo l’energico programma del Concilio. Le sue attenzioni erano anche rivolte ai poveri, destinando in elemosine parte del proprio patrimonio. Suoi consiglieri erano S. Giovanni d’Avila e Padre Luigi de Granata. Tanto zelo spinse S. Pio V, nel concistoro del 30 aprile 1568, a promuovere Giovanni de Ribera Patriarca di Antiochia e, due mesi dopo, Arcivescovo della grande diocesi di Valencia, dove era ancora vivo il ricordo di S. Tommaso da Villanova. Il neo-arcivescovo aveva solo trentasei anni.
Valencia, per un lungo periodo in mano araba, fu riconquistata definitivamente dai cristiani nel XIII secolo. Era però la roccaforte dei moriscos, i discendenti degli arabi solo nominalmente cristiani. Questi erano mal visti anche perché, essendo loro vietati gli impieghi pubblici, si erano notevolmente arricchiti con le attività commerciali legate alla scoperta del nuovo mondo. Giovanni trovò dunque una situazione complessa. Dopo qualche mese fu sul punto di ritirarsi, ma il Papa lo esortò a continuare: guiderà la diocesi per quarantadue anni e i frutti saranno grandi, soprattutto dopo la sua morte. Nessun ambito ecclesiale venne trascurato. Conobbe personalmente tutti i sacerdoti della diocesi, puntando molto sulla loro elevazione teologica e morale, a quei tempi estremamente necessaria. A tale scopo organizzò sette sinodi e scrisse molte lettere pastorali. Fece undici volte la visita completa di tutte le parrocchie, di cui duecentonovanta rurali, adattandosi alle situazioni più disagiate. Fu esigente con se stesso imponendosi, di nascosto, molte discipline. Il suo collaboratore testimoniò che molte volte non riposava neppure di notte. Uomo di intensa preghiera, era molto devoto dell’Eucaristia e, in suo onore, costruì una bellissima chiesa-monumento, affiancandovi un seminario. Aprì un collegio per i nobili, dove studiarono i più importanti uomini del tempo, ma era spesso visto catechizzare i bambini nella pubblica piazza. Provvide ai poveri ma, vista la sua indole modesta, senza alcuna ostentazione. Ottimo esegeta e studioso della Sacra Scrittura, meritò da Padre De Granata l’appellativo di “perfetta immagine del predicatore evangelico”. Amante delle arti, commissionò alcuni dipinti a El Greco.
Dal 1602 al 1604 venne nominato Vice Re di Valencia e Capitano Generale della Città per contrastare la piaga del brigantaggio. In quegli anni si cercava di uniformare la società composta da cristiani, giudei e mussulmani, imponendo a questi ultimi la conversione. Il De Ribera si adoperò a tale scopo, senza però alcun risultato e Filippo III, nel 1609, ne decretò l’espulsione. Fu un errore anche politico ed economico, da valutare, però, con la mentalità di quei tempi. San Giovanni favorì costantemente le congregazione religiose, il cui ruolo considerava molto importante: sorsero in diocesi ben trentatre conventi. Ebbe rapporti con molti santi suoi contemporanei: S. Carlo Borromeo, S. Francesco Borgia, S. Lorenzo da Brindisi, S. Pasquale Baylon, S. Luigi Bertran, S. Teresa di Gesù, S. Pietro d’Alcantara, S. Salvatore da Horta, S. Alfonso Rodriguez, S. Roberto Bellarmino, B. Gaspare de Bono, B. Nicolas Factor, B. Andrean Hibernon, oltre che S. Pio V e S. Giovanni d’Avila.
Morì il 6 gennaio 1611, all’età di settantanove anni, nel Collegio Corpus Christi, e fu seppellito nell’adiacente chiesa monumentale. Immediata fu la fama di santità. Iniziò il processo per la sua glorificazione che lo vide dichiarato beato nel 1796 e poi canonizzato, dal Beato Giovanni XXIII, il 12 giugno 1960.


PREGHIERA
O Signore,
che hai reso mirabile San Giovanni de Ribera,
Vescovo e Confessore,
per il suo zelo pastorale
e per il suo amore al Divin Sacramento del Tuo Corpo
e del Tuo Sangue fa, Te ne preghiamo,
che per sua intercessione siamo sempre partecipi
dei frutti della Tua redenzione.
Tu che vivi e regni con Dio Padre,
nell’unità dello Spirito Santo,
per i secoli dei secoli.
Amen.


Autore:
Daniele Bolognini

_______________________
Aggiunto il 16-Apr-2005
Letto da 1560 persone



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00martedì 6 gennaio 2009 15:06

Santi Giuliano e Basilissa Martire in Tebaide

6 gennaio

Giuliano e sua moglie Basilissa vengono ricordati assieme ad altri compagni martiri ad Antinoe. Secondo la «Passio» greca che ne racconta la vita, Basilissa in giovane età viene persuasa dalla sposo a vivere in castità il matrimonio, per il quale lo stesso Giuliano aveva ricevuto pressioni da parte dei genitori contro il suo desiderio segreto di conservare la verginità. Seguendo l'esempio del marito, alla morte dei genitori Basilissa fonda un monastero. È qui, secondo l'antica agiografia, che si inserisce, nella vita dei due santi sposi, la persecuzione di Diocleziano e Massimiano, fra il secondo e il terzo secolo. Basilissa e le sue compagne muoiono insieme piuttosto misteriosamente, mentre Giuliano è denunciato al governatore Marciano e imprigionato. Morirà anche lui martire assieme a un gruppo di anonimi ai quali va aggiunto di certo il neofita Anastasio, convertito al cristianesimo dallo stesso Giuliano in prigione. Il santo sposo, sembra assieme a venti soldati e sette fratelli, dopo una lunga serie di tormenti, subirà la decapitazione. (Avvenire)

Martirologio Romano: Ad Antinoe nella Tebaide, in Egitto, santi Giuliano e Basilissa, martiri.


GIULIANO, BASILISSA e COMPAGNI, santi, martiri.

La passio greca di questi santi non è stata ancora pubblicata (ne è stato però annunciato uno studio di F. Halkin); per contro hanno visto la luce numerose edizioni della traduzione, o meglio dell'adattamento latino di questa (in recensioni diverse), che permettono di conoscere la loro storia o almeno ciò che gli antichi agiografi hanno scritto a proposito di questi martiri di Antinoe (la lettura Antiochia è certamente da respingere e la confusione, come si è detto, viene probabilmente da una cattiva interpretazione del nome abbreviato Ant.).
Occorre distinguere due parti in questa passio: dapprima la giovinezza di Giuliano e il suo matrimonio. Egli riceve un'educazione raffinata e, a dire dell'agiografo, nulla gli sfugge del sapere umano. Verso i diciott'anni i suoi genitori vogliono dargli moglie contro il suo desiderio segreto di conservare la verginità. Egli accetta a condizione, però, di mantenere il suo proposito e ne persuade Basilissa, sua sposa, che consente a vivere con il marito senza consumare il matrimonio. Questo episodio ritorna nella Vita di altre coppie di santi: B. de Gaiffier, ad esempio, ha dimostrato che la Vita di Alessio dipende abbastanza letteralmente da quella di Giuliano e Basilissa. Si potrà anche avvicinare a questo genere di testi, che hanno per scopo di celebrare la verginità secondo una tendenza encratista - e talvolta in modo poco ortodosso - la passio di Crisanto e Daria.
Dopo la morte dei loro genitori, Giuliano e Basilissa fondano, lui un monastero di uomini e lei uno di donne. Occorre notare che questa attività tutta spirituale dei due sposi sarà, ad un certo punto, considerata sotto un aspetto caritativo e creerà quella confusione talvolta riscontrata tra la storia dei nostri due santi e quella di s. Giuliano l'Ospedaliere (v.).
A questo punto si scatena la persecuzione di Diocleziano e Massimiano ed entriamo nella seconda parte del racconto agiografico. Basilissa e le sue compagne muoiono insieme piuttosto misteriosamente, mentre Giuliano è denunciato al governatore Marciano e imprigionato. Riesce però a convertire Celso, figlio di Marciano, ed in seguito Marcianilla, madre di Celso, che sarà battezzata dal prete Antonino. Tutto questo gruppo al quale bisogna aggiungere il neofita Anastasio ed un certo numero di compagni anonimi (in particolare venti soldati e sette fratelli), dopo una lunga serie di tormenti, subirà la decapitazione.
Giuliano e Basilissa, come del resto i loro compagni martiri, sono sconosciuti ai calendari copti ed il Sinassario Alessandrino di Michele, vescovo di Atrib e Malig, li ignora completamente. Per contro il Martirologio Geronimiano li commemora al 6 gennaio e nei sinassari bizantini si trova la loro memoria sia l'8 gennaio sia il 21 giugno. Occorre notare che nella notizia di quest'ultimo giorno, il nome di Basilissa è portato dalla madre di Celso.
Lo stesso giorno i sinassari menzionano anche Giuliano di Anazarbo e fanno soffrire anche lui sotto il governatore Marciano. Per quanto riguarda il Martirologio Romano (che fa sua la lettura sbagliata: Antiochia), esso segue Adone che aveva trasferito al 9 gennaio la memoria del nostro gruppo commemorato, invece, in Floro, come nel Martirologio Geronimiano, al 6. Notiamo infine che nel Calendario marmoreo di Napoli (sec. IX) Giuliano e Basilissa sono iscritti da soli al 7 dello stesso mese.
A Costantinopoli, il 5 luglio si commemorava la dedicazione della chiesa di Giuliano e si celebravano in questo santuario le feste dell'8 gennaio e del 21 giugno oltre che la synaxis dei santi Angeli 1'8 novembre.

(ndr: Il Nuovo Martyrologium Romanum li pone alla data al 6 gennaio, correggendo l’errore “Antiochia” che diventa “Antinoe in Thebaide”) .

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00martedì 6 gennaio 2009 15:08

San Guido (Guy) di Auxerre Vescovo

6 gennaio

Auxerre, secolo X - † 6 gennaio 961

Etimologia: Guido = istruito, dall'antico tedesco


Non risulta che abbia avuto nel tempo una festa liturgica, ma alcuni antichissimi documenti gli danno il titolo di santo, inoltre la sua immagine posta nella cappella di S. Sebastiano della cattedrale di Auxerre, reca la dicitura “Beato Guido”.
L’intero capitolo XLV dei “Gesta episcoparum” della diocesi francese di Auxerre, è dedicato a lui, come vescovo che esercitò l’episcopato dal 933 al 961. Guido o Guy in lingua francese, nacque nella regione di Sens, il padre si chiamava Bosone e la madre Abigail; ancora fanciullo, venne affidato alla chiesa cattedrale di S. Stefano di Auxerre, uniche forme di scuole di rilievo dell’epoca, dove apprese la letteratura e le Sacre Scritture.
E rimanendo nell’ambiente ecclesiastico, ricevé la tonsura dal vescovo Erifrido (888-910). Da adulto scelse definitivamente la vita religiosa e fu cappellano e consigliere di corte del re Raoul (923-936) e della regina Emma; in seguito divenne arcidiacono, per quel tempo carica molto importante.
Il 21 aprile 933, quando morì il vescovo in carica Gauderico, gli succedette con il consenso del re, della regina, del clero e del popolo.
Dovette combattere, durante il suo episcopato, affinché i signori feudali non si appropriassero dei beni delle chiese; restaurò gli edifici sacri, soprattutto la cattedrale; fece costruire una cappella in onore dei santi più venerati nella diocesi di Auxerre; riportò la concordia su questioni pendenti con il suo metropolita, l’arcivescovo di Sens.
Compose degli inni in onore di s. Giuliano martire e infine concesse una reliquia di s. Ciro alla cattedrale di Nevers. Si disse di lui che “era un pastore che cercava di rendersi utile, piuttosto che comandare”.
Morì compianto da tutti il 6 gennaio 961.

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00martedì 6 gennaio 2009 15:09
San Guido (Guy) di Auxerre Vescovo 6 gennaio Auxerre, secolo X - † 6 gennaio 961 Etimologia: Guido = istruito, dall'antico tedesco Non risulta che abbia avuto nel tempo una festa liturgica, ma alcuni antichissimi documenti gli danno il titolo di santo, inoltre la sua immagine posta nella cappella di S. Sebastiano della cattedrale di Auxerre, reca la dicitura “Beato Guido”. L’intero capitolo XLV dei “Gesta episcoparum” della diocesi francese di Auxerre, è dedicato a lui, come vescovo che esercitò l’episcopato dal 933 al 961. Guido o Guy in lingua francese, nacque nella regione di Sens, il padre si chiamava Bosone e la madre Abigail; ancora fanciullo, venne affidato alla chiesa cattedrale di S. Stefano di Auxerre, uniche forme di scuole di rilievo dell’epoca, dove apprese la letteratura e le Sacre Scritture. E rimanendo nell’ambiente ecclesiastico, ricevé la tonsura dal vescovo Erifrido (888-910). Da adulto scelse definitivamente la vita religiosa e fu cappellano e consigliere di corte del re Raoul (923-936) e della regina Emma; in seguito divenne arcidiacono, per quel tempo carica molto importante. Il 21 aprile 933, quando morì il vescovo in carica Gauderico, gli succedette con il consenso del re, della regina, del clero e del popolo. Dovette combattere, durante il suo episcopato, affinché i signori feudali non si appropriassero dei beni delle chiese; restaurò gli edifici sacri, soprattutto la cattedrale; fece costruire una cappella in onore dei santi più venerati nella diocesi di Auxerre; riportò la concordia su questioni pendenti con il suo metropolita, l’arcivescovo di Sens. Compose degli inni in onore di s. Giuliano martire e infine concesse una reliquia di s. Ciro alla cattedrale di Nevers. Si disse di lui che “era un pastore che cercava di rendersi utile, piuttosto che comandare”. Morì compianto da tutti il 6 gennaio 961.
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00martedì 6 gennaio 2009 15:11

Beato Macario lo Scozzese Abate

6 gennaio

+ Würzburg, Germania, 1153

Martirologio Romano: A Würzburg nella Franconia, in Germania, beato Macario, abate, che per primo in questa città resse il monastero degli Scozzesi.


Divenuto benedettino ancor giovane, venne in Germania dalla Scozia, insieme con i confratelli Cristiano ed Euge­nio, nel 1138 ca. Secondo lo Zimmermann, fu priore del monastero di S. Giacomo a Regensburg e da qui l'abate Dermizio (Dermitius) lo mandò a Wurzburg con undici monaci. È attestato che il vescovo Embrico (1125-46) consacrò nel 1139 Macario quale primo abate del monastero scozzese di S. Gia­como, da poco fondato in Wurzburg. Le fonti ne esaltano l'erudizione, l'esemplare vita ascetica e riportano miracoli da lui compiuti. Morì nel 1153: l'anniversario della sua morte dovrebbe essere il 6 genn. (Zimmermann, Torsy), ma lo si celebra soprattutto il 23 genn. (secondo il Torsy ed altri, anche il 24 genn. e il 19 dic.) nel vescovado di Wurzburg.
Durante il Medioevo, per un lungo periodo, la tomba del santo fu dimenticata; ma quando, nel 1614, le reliquie furono scoperte e solennemente deposte in un sacrario, nel 1615, Macario divenne ogget­to di grande venerazione popolare: lo si invocava soprattutto nelle malattie febbrili. Si racconta che presso la sua tomba siano avvenute ventotto guari­gioni miracolose.
Nel 1731 fu fondata in suo onore una « Con­fraternita di Macario », arricchita di indulgenze, che ha cessato di esistere dopo la seconda guerra mon­diale. Nel 1823 avvenne la traslazione delle reliquie dal monastero, secolarizzato nel 1803, alla cappella della B. Vergine, distrutta nel 1945, e oggi rico­struita.
Nel Breve apostolico del 1734 alla Confrater­nita ed in altre testimonianze citate da Stammin-ger, Macario è detto « santo ».

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00martedì 6 gennaio 2009 15:12

San Nilammone Anacoreta

6 gennaio



Era uno dei santi anacoreti egiziani del IV-V secolo e conduceva «una vita sconosciuta agli uomini» - come racconta un suo antico biografo - in una cella in cui si era chiuso ostruendo l’entrata con delle pietre, preoccupato solo di «onorare e servire il Signore» attraverso la penitenza e la preghiera. In quegli anni, precisamente nel 403, san Giovanni Crisostomo, patriarca di Costantinopoli, in un raduno di vescovi conosciuto come il Sinodo della Quercia fu deposto dalla sua carica ed esiliato per le mene del suo avversario Teofilo, arcivescovo di Alessandria, ma l’opinione pubblica era così fortemente a suo favore che venne rapidamente ristabilito dall’imperatore Arcadio alla testa della sua Chiesa; tuttavia, volendo una riabilitazione completa, ottenne che fosse convocato un concilio: a questa notizia Teofilo, preoccupatissimo, si imbarcò di notte insieme ai vescovi e ad altri personaggi che aveva portato con sé, per tornare al più presto in Egitto. Lo storico Sozomeno racconta nella Storia ecclesiastica che a causa di una tempesta la nave di Teofilo finì sulla costa presso una città non lontana da Pelusio, chiamata Geres, il cui vescovo era appena morto. A succedergli i fedeli avevano eletto Nilammone, noto per le sue virtù «che lo avevano portato al sommo della pratica di vita monastica». Poiché però il santo eremita si rifiutò di ricevere la consacrazione episcopale, l’arcivescovo Teofilo fu pregato di recarsi da lui per convincerlo a sottomettersi alla volontà popolare e, attraverso questa, a quella della Divina Provvidenza. Nilammone - il cui eremo era nei pressi della città - dapprima non cedette, ma alla fine propose a Teofilo di aspettare fino al giorno seguente, in modo che egli avesse il tempo di prepararsi a partire. L’indomani, come convenuto, l’arcivescovo tornò. Prima di aprire la porta della sua cella Nilammone gli chiese di pregare insieme a lui; e mentre Teofilo era inginocchiato in orazione fuori della cella, l’anacoreta cominciò a fare altrettanto all’interno; ma poco dopo rese pacificamente l’anima a Dio, senza che coloro che erano all’esterno se ne accorgessero; soltanto verso la fine della giornata, essendo rimasti senza risposta i ripetuti appelli, fu deciso di liberare dai massi l’entrata della cella. Con generale sorpresa, Nilammone fu trovato morto. «Chiuso nella propria cella - osserva il biografo - il sant’uomo aveva pregato anche lui il Signore, chiedendogli di toglierlo da questo mondo prima che gli fosse conferito un onore di cui non si riteneva degno, e la sua preghiera fu esaudita». Sozomeno racconta anche che gli abitanti di Geres fecero all’eremita solenni funerali e costruirono sulla sua tomba una chiesa in cui ogni anno ne celebravano la memoria. «Quando il solitario ama sinceramente il suo ritiro - commentano le Vies des Saints Pères des deserets d’Orient - Dio preferisce fare dei miracoli piuttosto che permettere che lo si forzi a lasciarlo».

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00martedì 6 gennaio 2009 15:24

San Pier Tommaso Patriarca latino di Costantinopoli

6 gennaio

Périgod meridionale, Francia, 1305 circa - Famagosta, Cipro, 1366

Martirologio Romano: A Famagosta nell’isola di Cipro, transito di san Pietro Tommaso, vescovo di Costantinopoli, dell’Ordine dei Carmelitani, che svolse la missione di legato del Romano Pontefice in Oriente.


Nacque nel Périgod meridionale (Francia) nel 1305 circa. A vent'anni entrò nell'Ordine del Carmelo. Esercitò l'ufficio di Procuratore Generale dell'Ordine presso la Curia papale ad Avignone e quello di predicatore apostolico, fu nominato nel 1354 vescovo di Patti e Lipari. Svolse le funzioni di legato pontificio presso re e imperatori del tempo per consolidare la pace e promuovere l'unione con le Chiese Orientali. Fu trasferito ad altre sedi: Corone (Peloponneso) anche con l'incarico di legato pontificio in Oriente (1363) ed infine Costantinopoli (1364) come patriarca latino. I suoi sforzi per l'unità della Chiesa fanno di questo santo nel secolo XIV un precursore dell'ecumenismo. Morì in Famagosta (Cipro) nel 1366.

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00martedì 6 gennaio 2009 15:25

Santa Raffaella Maria del Sacro Cuore (Rafaela Porras y Aillón) Fondatrice

6 gennaio

Pedro Abad (Cordova), 1 marzo 1850 – Roma, 6 gennaio 1925

Martirologio Romano: Sempre a Roma, santa Raffaella Maria del Sacro Cuore Porras Ayllón, vergine, che istituì la Congregazione delle Ancelle del Sacratissimo Cuore di Gesù, e, ritenuta insana di mente, portò santamente a termine la sua vita tra le sofferenze e nella penitenza.


La Spagna è una Nazione che da secoli dà alla Chiesa un’abbondante fioritura di Santi e Beati, frutto di una intensa spiritualità cristiana, che la pone come numero di figure sante, forse al secondo se non al primo posto in Europa culla del cristianesimo.
E fra i suoi degni figli si annovera santa Raffaella Maria del Sacro Cuore, al secolo Rafaela Porras y Aillón, che nacque il 1° marzo 1850 a Pedro Abad (Cordova), decima dei tredici figli di Idelfonso Porras e Rafaela Aillón, appartenenti alla agiata borghesia.
A quattro anni perse il padre, pur avendo la possibilità di frequentare la migliore società di Cordova, Cadice e Madrid, non si lasciò attirare dalla vita mondana e a 15 anni si consacrò a Dio facendo il voto di castità.
A diciannove anni perse anche la madre e vincendo l’ostilità dei fratelli, si dedicò con l’unica sorella della numerosa famiglia Dolores, alla pratica della carità, assistendo gli ammalati e aiutando i poveri.
Avendo avvertita in loro la chiamata allo stato religioso, nel febbraio 1874 le due sorelle lasciarono di nascosto il paese e si ritirarono nel monastero di Santa Croce in Cordova, per poter comprendere nel raccoglimento la strada che il Signore voleva indicare loro.
Ci furono varie consultazioni con la Curia vescovile, la quale alla fine chiamò a Cordova le religiose di Maria Riparatrice da poco stabilite a Siviglia e provenienti dalla Francia; le due sorelle Porras si accollarono le spese per la fondazione in città.
Rafaela e Dolores vestirono l’abito delle religiose il 4 giugno 1874 iniziando così il Noviziato; a loro si unirono altre ragazze di Cordova formando un bel gruppo di 21 novizie.
Ma un anno dopo, le suore francesi ritornarono a Siviglia conducendo con loro quattro novizie; il vescovo di Cordova allora nominò Rafaela Porras superiora delle 16 novizie rimaste.
Si trovò nei due anni successivi a contrastare la stessa Curia diocesana, che intendeva modificare le ‘Regole’ ignaziane da lei adottate, pertanto si ritirò con le altre novizie a Andújar prima e poi a Madrid, dove il 14 aprile 1877 l’arcivescovo madrileno, cardinale Moreno, approvò il nuovo Istituto delle “Ancelle del Sacro Cuore” nome suggerito da lei e non più legato alle suore di Maria Riparatrice, confermando Rafaela Porras come superiora, la quale prese il nome di suor Raffaella Maria del Sacro Cuore di Gesù.
L’8 giugno 1877 le due sorelle emisero i voti temporanei e mentre Dolores ebbe ampia libertà di gestire l’aspetto economico, suor Raffaella Maria si dedicò alla formazione spirituale delle sue figlie, infondendo lo spirito specifico dell’Istituzione, che è quello di riparazione; attuato con l’adorazione continua del Ss. Sacramento e con l’opera di apostolato: Catechesi, case di esercizi, insegnamento, laboratori, ecc.
Nel 1887 ottenne l’approvazione definitiva della Santa Sede, sia della Congregazione che delle Costituzioni; il 4 novembre 1888 la madre generale Raffaella Maria fece la professione perpetua.
Più passavano gli anni, più evidente era la sua intensa spiritualità e l’appassionato amore per Gesù Cristo, fino a giungere negli ultimi suoi anni, alla santa ossessione della “follia della croce”, considerata un dono dell’amore di Dio.
Già quattro anni dopo l’approvazione, nel 1892, la Congregazione si era consolidata con nove Case di cui una a Roma; anche a lei come a tante altre fondatrici, toccò la sorte dell’incomprensione delle sue assistenti, che avrebbero dovuto aiutarla nel governo della Congregazione; esse la circondarono di un atmosfera di sfiducia che appannava la sua attività, procurando sofferenza alla sua anima nobile e retta.
Madre Raffaella Maria reagì sacrificandosi e immediatamente diede le sue dimissioni; le fu proposto di passare la carica alla sorella e lei accettò umilmente; così il 3 marzo 1893 divenne una semplice suora, aveva 43 anni, ed era nel pieno vigore fisico e intellettivo, ma la sua santità le fece accettare tutto ciò.
Per giunta non le fu assegnato nessun incarico, nemmeno dei più umili e per altri 32 anni visse in profondissima umiltà, obbedendo alle superiore che si avvicendavano, compreso due che avevano provocato la sua emarginazione, pregando per il bene e la diffusione della sua Congregazione e senza nutrire nessun risentimento per quanto le era capitato.
Per otto anni soffrì dolori atroci per una osteo-sinovite alla gamba, a chi cercava di confortarla diceva: “Prendete tutte le cose come se venissero dalla mano di Dio”; ripeteva spesso che si lasciava volentieri ‘squadrare’ per diventare una solida pietra di sostegno dell’Istituto.
Morì santamente il 6 gennaio 1925, nella Casa di Roma dove aveva trascorso gli ultimi anni e dove è sepolta, per ricevere in cielo la ricompensa ampiamente meritata; la sua santità fu così evidente a tutti, che già dopo undici anni dopo la morte, si aprì il processo informativo sulle sue virtù; il 22 novembre 1939 fu introdotta la causa di beatificazione e il 13 maggio 1949, madre Raffaella Maria Porras y Aillón, riceveva da papa Pio XII il titolo di venerabile.
Lo stesso papa la beatificò il 18 maggio 1952; a seguito di un miracolo attribuito alla sua intercessione, ottenuto dalla spagnola signora Encarnación García Gallardo, papa Paolo VI la proclamò santa il 13 gennaio 1977 nella Basilica di S. Pietro in Vaticano. La sua festa religiosa è il 6 gennaio.

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00martedì 6 gennaio 2009 15:26

San Raimondo de Blanes Protomartire mercedario

6 gennaio

+ Granada, Spagna, 6 gennaio 1235

Il cavaliere laico, San Raimondo de Blanes è il primo martire dell’Ordine Mercedario. Catturato dai terribili invasori mussulmani, per odio della fede cattolica venne incarcerato, percosso e flagellato ed infine decapitato, nella città di Granada nel giorno dell’Epifania del Signore dell’anno 1235.
L’Ordine lo festeggia il 6 gennaio.

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00martedì 6 gennaio 2009 15:27

Beata Rita Amata di Gesù (Rita López de Almeida) Fondatrice

6 gennaio

Casalmedinho (Viseu), Portogallo, 5 marzo 1848 – 6 gennaio 1913

E' vissuta in un periodo storico particolarmente difficile per il Portogallo. Aspirò alla santità fin dalla giovinezza e cominciò a svolgere un audace apostolato per riportare sulla retta via persone traviate. Allo stesso tempo insegnava il catechismo in parrocchia. Dopo anni di discernimento fondò nella povertà il suo primo collegio per le bambine povere ed abbandonate, lavorando così alla promozione umana e cristiana della donna. Con le sue collaboratrici dette vita alla Congregazione delle Suore di Gesù Maria Giuseppe. La Serva di Dio e la sua opera attraversarono difficoltà, umiliazioni e persecuzioni. Per assicurare un futuro al suo Istituto inviò alcune suore in Brasile.


Quarta dei cinque figli di Emanuele López e di Giuseppa di Gesù, Rita López de Almeida, nacque a Casalmedinho (Viseu, Portogallo) il 5 marzo 1848; i genitori ebbero molta cura nell’impartirle una buona educazione e formazione.
Crebbe in un ambiente familiare molto religioso e fin da ragazzina, rivelò una speciale devozione per l’Eucaristia, per la Madonna e per s. Giuseppe; nel contempo era molto interessata alle vicende che vedevano protagonista papa Pio IX, costretto a fuggire dallo Stato Pontificio.
Da giovane avvertì sempre più forte la chiamata di Dio ad una vita consacrata, maturata nel contatto con le Suore Benedettine del Convento di Gesù di Viseu; ma le condizioni politiche del Portogallo, che negli anni ’30 dell’Ottocento, era in mano alla Massoneria, non erano favorevoli, in quanto furono requisiti i beni ecclesiastici e chiuse tutte le Case religiose, sia maschili che femminili impedendo l’ammissione di nuove novizie.
Pertanto Rita López de Almeida, con l’aiuto del suo confessore, in attesa di tempi migliori per attuare la sua vocazione, prese a dedicarsi alla formazione delle fanciulle, andando per i villaggi a pregare con la gente, insegnando a recitare il Rosario, avvicinava le persone che non vivevano cristianamente per riportarle sulla retta via; ricevendo anche minacce di morte.
Sentendosi intimamente ‘consacrata’, rifiutò sempre qualsiasi offerta di matrimonio anche di persone ricche. A 29 anni, riuscì ad entrare in una Congregazione di suore di origine francese e per questo tollerate in Portogallo, ma l’esperienza non diede buon esito, quindi lasciò l’Istituto e d’accordo con il gesuita padre Francesco Pereira, entrò in un collegio, per acquisire esperienza pratica per le relazioni burocratiche con le Autorità.
A 32 anni forte di un bagaglio culturale e pratico, uscì dal collegio e vincendo tutte le difficoltà incontrate, riuscì a fondare nella Parrocchia di Ribafeita il 24 settembre 1880, un collegio e l’Istituto delle “Suore di Gesù, Maria e Giuseppe”, con la finalità dell’educazione delle giovani.
Nonostante le avversità delle autorità civili di Viseu, Lamego e Guarda, tendenti a farle chiudere l’Opera, l’Istituzione si estese in breve tempo in altre diocesi portoghesi.
Madre Rita Amata di Gesù, come poi si chiamò prendendo i voti, aprì il primo Noviziato a Tourais sotto la guida dei Gesuiti; l’approvazione pontificia si ebbe il 10 maggio 1902, da parte di papa Leone XIII.
Non mancarono difficoltà di ordine economico e personale, specie nel 1910 quando con l’inizio della Repubblica si scatenò una dura persecuzione contro la Chiesa Cattolica, con l’abolizione degli Istituti Religiosi, anche Rita si vide confiscati i beni della Comunità e dovette ritirarsi nel suo paese natale.
Riuscendo a mantenere un contatto con alcune delle suore disperse, riprese a fare vita comune in una umile casa e inviando poi alcune suore in Brasile, le quali l’8 dicembre 1912 aprirono un collegio a Igarapava (Ribeiráo Preto), primo nucleo dell’Istituto di Gesù, Maria e Giuseppe, che con successive partenze negli anni seguenti dal Portogallo, si stabilì con numerosa presenza di religiose e novizie brasiliane, così da trasferire nel 1914 la Casa Generalizia a S. Paolo del Brasile.
Nel 1934 un gruppo di suore sbarcò in Portogallo e vi fondarono una provincia religiosa; oggi l’Istituto è presente anche in Angola, Bolivia, Paraguay e Mozambico.
Ma madre Rita Amata di Gesù non poté vedere tutto questo, dopo aver salvato l’Istituzione, trasferendola in Brasile, appena un mese dopo il 6 gennaio 1913, moriva nel suo paese natio Casalmedinho (Viseu); il funerale fu celebrato dal Vicario Generale della Diocesi, come atto di riconoscenza per il dono che Rita era stata per la Chiesa e il mondo.
La Santa Sede concesse il 2 settembre 1991 il nulla osta per l’inizio della causa di beatificazione, che essendosi conclusa, ha portato alla sua proclamazione come Beata il 28 maggio 2006.

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