7 agosto

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Stellina788
00sabato 7 agosto 2010 10:03

Santa Afra Martire

7 agosto

Etimologia: Afra = originaria dell'Africa, dal latino

Martirologio Romano: Ad Augsburg nella Rezia, oggi in Germania, santa Afra, martire: convertitasi a Cristo da una vita di peccato, si narra che, non ancora battezzata, sia stata data al rogo per aver confessato la sua fede in Cristo.



Stellina788
00sabato 7 agosto 2010 10:04

Beati Agatangelo de Vindocino (Francesco) Nourry e Cassiano da Nantes (Gundisalvo) Vaz Lopez-Netto Sacerdoti cappuccini, martiri

7 agosto

+ Gondar, Etiopia, 7 agosto 1638

Agatangelo Noury, entrato nell'Ordine Cappuccino, si dedicò all'attività missionaria dal 1629 alla sua morte. Fu Superiore, prima della Missione al Cairo, dove si prodigò per l'unione dei Copti, poi nella nuova Missione di Etiopia, dove lo raggiunse come collaboratore Cassiano Lopez-Netto. Questi aveva emesso i voti nell'Ordine Cappuccino nel 1623. Ambedue dopo pochi mesi furono fatti prigionieri dagli Abissini e coronarono il loro apostolato col martirio. Furono beatificati il 1° gennaio 1905 da papa Pio X.

Emblema: Palma

Martirologio Romano: Nella città di Gondar in Etiopia, beati Agatangelo (Francesco) Nourry da Vendôme e Cassiano (Gonsalvo) Vaz López-Netto da Nantes, sacerdoti dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini e martiri, che in Siria, Egitto ed Etiopia cercarono di riconciliare con la Chiesa cattolica i cristiani separati, ma furono per ordine del re d’Etiopia appesi a degli alberi con il loro stesso cordone e lapidati.


Francesco Noury nacque a Vendome il 31 luglio 1598. Aveva una famiglia numerosa e discretamente agiata, il padre, presidente del tribunale, era un buon cristiano. Fu in prima fila quando i cappuccini raccolsero i fondi per aprire in città un convento e il bambino rimase affascinato dalla semplice religiosità di quei frati che ispiravano la loro vita al grande santo di cui portava il nome. Fatti gli studi classici, sentì chiara la vocazione intorno ai vent’anni ed entrò nel noviziato di Mans con il nome di Agatangelo. Si trasferì quindi a Poitier, sotto la guida di validi insegnati. Ordinato sacerdote a ventisette anni, per qualche tempo prese parte alle missioni popolari del Poitou. Durante la quaresima del 1626 ebbe il privilegio di predicare nella sua cittadina sentendo però forte la volontà di partire missionario. Realizzerà il desiderio unendo il proprio destino ad un giovane di Nantes, Gundisalvo Lopez-Neto, che era nato in una casa di mercanti portoghesi, insieme ad una sorella gemella, il 14 gennaio 1607. Anch’egli studiò in collegio, distinguendosi per l’intelligenza e l’ottima condotta. Fin da giovane amava ritirarsi nel silenzio della cappella dei cappuccini, poco distante da casa e a nove anni voleva già farsi cappuccino e missionario. A sedici anni vestì il saio, entrando nel noviziato di Angers con il nome di Cassiano. Studiò a Rennes con lo stesso insegnante di Agatangelo e venne ordinato sacerdote. Prima di partire per l’Africa visse la dura esperienza della pestilenza che nel 1631-1632 infuriò in Francia: il giovane frate assistette generosamente i malati rimanendo illeso dal contagio. Passata l’emergenza finalmente i superiori lo destinarono in Egitto. Si imbarcò a Marsiglia, atteso oltremare, tra gli altri, da Agatangelo. Il frate di Vendome era ad Aleppo (Siria) già dal 1629. Assisteva i mercanti francesi e italiani e studiava la lingua araba per poter lavorare al riavvicinamento tra la Chiesa cattolica e l’antichissima Chiesa ortodossa copta. Scopo nobile quanto arduo da realizzare. Aveva stabilito buoni rapporti con le popolazioni arabe, si adoperava per la liberazione degli schiavi cristiani ed era soprannominato “l’apostolo del Libano”. L’incontro tra i due futuri martiri avvenne ad Alessandria nel 1633: uno con alle spalle un po’ d’esperienza missionaria, l’altro pieno del vigore della giovane età. Insieme verseranno il loro sangue per Cristo.
Con l’obbiettivo di avvicinare a Roma la chiesa copta, Agatangelo e Cassiano studiarono la lingua gheez e instaurarono buoni rapporti col patriarca Matteo III che permise loro di celebrare nelle chiese del posto. Nel 1636 Agatangelo e un altro frate andarono nel celebre convento di Der Antonio, nella Bassa Tebaide, conquistando il rispetto dei monaci. A una restrizione della Congregazione di Propaganda Fide circa la celebrazione delle Messe nelle chiese locali non cattoliche, Agatangelo scrisse a Roma e ottenne il permesso di proseguire, vedendo in questo un modo di avvicinare le due confessioni religiose. Nel 1637 si riunì un sinodo del patriarcato copto per discutere sulle intese con la Chiesa cattolica, ma molti dissentirono a causa della cattiva condotta di alcuni cristiani locali. Agatangelo scrisse a Roma chiedendo che i responsabili venissero scomunicati. Matteo III decise comunque la nomina di un nuovo arcivescovo per l’Abissinia (Etiopia) che sarebbe stato accompagnato dai cappuccini e da un luterano di Lubecca, le cui malvagie intenzioni si manifesteranno in seguito. I due frati vollero prima visitare la Palestina e i luoghi di Gesù. Quindi, con l’aiuto di un mercante veneziano, attraversarono il deserto della Nubia diretti alle coste del Mar Rosso. Correva l’anno 1638.
Lo scontro con la gerarchia ecclesiastica locale fu violento quanto inatteso. Giunti sull’altopiano eritreo Agatangelo e Cassiano furono imprigionati proprio dal neo arcivescovo e dal luterano. Non c’era nessuno a difenderli. Il 5 agosto, incatenati agli animali che trasportavano i propri carcerieri, sotto un sole cocente, furono condotti a Gondar. Il luterano li coprì di calunnie di fronte al Re (Negus) Basilides. Il primate locale non li ricevette accusandoli di proselitismo. Per aver salva la vita avrebbero dovuto abiurare ma, impavidi, i due cappuccini difesero il proprio credo e Cassiano, che conosceva l’amarico, rinnovò la professione di fede. Furono condannati all’impiccagione. Ironia della sorte, mancando le corde i due frati, ormai pronti al premio eterno, offrirono allo scopo i loro cingoli e davanti ad una folla inferocita furono giustiziati. Ci fu poi la lapidazione e i loro corpi vennero coperti da un cumulo di pietre. Un’autorevole personaggio abissino, di fronte a tanto coraggio, si fece cattolico. Quella notte, sopra quel cumulo si vide una grande colonna di luce.
La notizia dell’assassinio dei due cappuccini giunse in Europa, ma soprattutto il loro eroico esempio rimase vivo nelle popolazioni locali. I tentativi, nei secoli successivi, dei missionari di avvicinare i cristiani di quelle terre al cattolicesimo fallirono. Solo nell’Ottocento sorsero alcune chiese uniate grazie all’influenza italiana. Nel 1889 Papa Leone XIII aprì una prefettura apostolica, qualche anno dopo la fondazione della colonia italiana.
La causa di beatificazione di Agatangelo e Cassiano ebbe esito positivo solo grazie all’impegno del Cardinale Guglielmo Massaia (1809-1889), missionario in Etiopia per trentacinque anni. Il frate piemontese ritrovò le tombe, raccolse i documenti e le ancora numerose cronache trasmesse oralmente sul sacrificio dei due missionari francesi che furono quindi beatificati da S. Pio X il 1° gennaio 1905.



Stellina788
00sabato 7 agosto 2010 10:05

Beato Alberto da Sassoferrato Monaco camaldolese

7 agosto

XIV secolo

Etimologia: Alberto = di illustre nobiltà, dal tedesco

Martirologio Romano: Presso Sassoferrato nelle Marche, beato Alberto, monaco dell’Ordine Camaldolese, insigne per austerità e scrupolosa osservanza della regola.

Uno dei più importanti monumenti della cittadina di Sassoferrato, nelle Marche, in provincia di Ancona (ma più vicina all'Appennino che non al mare Adriatico), è la chiesa di Santa Croce, prossima al quartiere Borgo. Presso Sassoferrato sorgeva un tempo la città umbra di Sentinum, che Ottaviano Augusto assediò invano, e venne poi conquistata di sorpresa e distrutta. La chiesa medievale di Santa Croce venne in parte costruita con materiali provenienti dalla distrutta Sentinum. e oltre a questa curiosità di carattere archeologico, costituisce un edificio di solenne bellezza, con la sua struttura a tre navate, con tre absidi, più due sui fianchi. Edificata a partire dal XII secolo, è di stile romanico con influssi lombardi, di un tipo abbastanza frequente nelle antiche città marchigiane.
E nella chiesa di Santa Croce, presso Sassoferrato, è sepolto il corpo del Beato Alberto, la cui immagine è rappresentata in alcune opere d'arte conservate in questa stessa chiesa, sull'altare del Beato e sull'altar maggiore.
Il Beato Alberto fu monaco nel convento esistente presso la chiesa, e morì nel 1350. Viene considerato come appartenente alla famigli dei Camaldolesi, perché in seguito la chiesa e il monastero di Santa Croce vennero occupati dai monaci di San Romualdo. Ma ciò avvenne alcuni anni dopo la morte del nostro Beato, e quindi non possiamo dire con sicurezza a quale ramo dell'Ordine benedettino appartenne il monaco Alberto.
Il suo culto, approvato nel secolo scorso, fu assai vivace nella zona di Sassoferrato. Tra l'altro egli venne invocato - non sappiamo a quale titolo - contro i mali di testa e il mal di stomaco, e data la frequenza di questi penosi disturbi, è facile immaginare come il nome di un Beato capace di alleviarli potesse facilmente diventare popolare, almeno nella regione nella quale è circoscritto il suo culto! Insieme con il Beato Alberto, viene ricordato anche il Beato Gherardo, suo confratello, morto nel 1367 alla bella età di ottantasette anni.
Anche egli era marchigiano, non però di Sassoferrato. Visse nella non lontana Serra de' Conti, dove ebbe cura d'anime e dove temperò la propria anima con i rigori della vita eremitica.
Le sue spoglie furono riposte e venerate nella chiesa romanica detta de " Le Mòje ", altra bella costruzione medievale assai simile a Santa Croce di Sassoferrato, riportata non molti anni fa alle linee originarie.
Anche il Beato Gherardo di Serra de' Conti viene onorato nell'Ordine di Camaldoli, e non sappiamo quali motivi abbiano condotto a far memoria comune di lui insieme con il Beato Alberto, suo confratello.
0 forse i motivi sono facilmente intuibili dalla comunanza di epoca, di condizione, di intenti; dall'appartenenza a una stessa terra, opima di frutti spirituali, e finalmente dal fatto che il nome e il culto del Beato Alberto, come quello del Beato Gherardo, siano restati legati a due monumenti simili, e ambedue belli, a Sassoferrato e a Serra de' Conti.


Stellina788
00sabato 7 agosto 2010 10:06

Sant' Alberto degli Abati (da Trapani)

7 agosto

Trapani, 1250-1257 - Messina, 7 agosto 1306

Non si conosce con esattezza la data di nascita. Probabilmente nacque a Trapani nel secolo XIII. Alberto si distinse per la predicazione mendicante, operando anche numerosi miracoli. Negli anni 1280 e 1289 fu a Trapani, e più tardi si trasferì a Messina. Nel 1296 governò la provincia carmelitana di Sicilia come padre provinciale. Alberto era celebre per il suo amore per la purezza e per l'orazione. Con la sua instancabile predicazione, convertì molti ebrei. Morì a Messina probabilmente nel 1307. Fu il primo santo ad avere culto nell'Ordine, e pertanto venne considerato patrono e protettore. Ebbe anche il titolo di «padre», titolo condiviso con l'altro santo del suo tempo, Angelo di Sicilia. Nel secolo XVI fu stabilito che ogni chiesa carmelitana avesse un altare a lui dedicato. A sant'Alberto degli Abati furono particolarmente devote anche santa Teresa di Gesù e Maria Maddalena de' Pazzi. (Avvenire)

Patronato: Trapani

Etimologia: Alberto = di illustre nobiltà, dal tedesco

Martirologio Romano: A Messina, sant’Alberto degli Abbati, sacerdote dell’Ordine dei Carmelitani, che con la sua predicazione convertì molti Giudei a Cristo e provvide di viveri la città assediata.


Nacque a Trapani (Sicilia) nel secolo XIII. Si distinse per la dedizione alla predicazione mendicante e per la fama dei miracoli. Negli anni 1280 e 1289 fu a Trapani, e più tardi a Messina. Nell'anno 1296 governò la Provincia carmelitana di Sicilia come Provinciale. Celebre il suo amore appassionato per la purezza e l'orazione. Morì a Messina probabilmente nel 1307. Fu il primo santo ad avere culto nell'Ordine, e pertanto ne fu considerato patrono e protettore o "padre", titolo condiviso con l'altro santo del suo tempo, Angelo di Sicilia. Nel sec. XVI fu stabilito che ogni chiesa carmelitana avesse un altare a lui dedicato. Furono anche molto devote di questo santo Teresa di Gesù e Maria Maddalena de' Pazzi.



Stellina788
00sabato 7 agosto 2010 10:07

San Donato di Arezzo Vescovo e martire

7 agosto - Comune

m. Arezzo, 7 agosto 362

Nato a Nicomedia, studia da chierico a Roma. Suo compagno di formazione è Giuliano, ma mentre questi diventa suddiacono della Chiesa di Roma, Donato rimane semplice lettore. Tuttavia divenuto imperatore, Giuliano (l'Apostata) promulga una violenta persecuzione contro la Chiesa. Donato fugge ad Arezzo accolto dal monaco Ilariano a cui si affianca nell'apostolato, penitenza e preghiera; con lui opera tra il popolo prodigi e conversioni. La sua «passio» racconta di miracoli eclatanti: fra i tanti, durante la celebrazione di una Messa, al momento della Comunione, entra nel tempio un gruppo di pagani che mandano in frantumi il calice. Donato, dopo intensa preghiera, raccoglie i frammenti e li riunisce, ma manca un pezzo del fondo del calice. Il vescovo continua a servire il vino senza che esso cada dal fondo mancante; fra lo stupore generale ben 79 pagani si convertono. Un mese dopo Donato è arrestato e, sotto la persecuzione di Giuliano l'Apostata, viene decapitato ad Arezzo il 7 agosto. (Avvenire)

Etimologia: Donato = dato in dono, dal latino

Emblema: Bastone pastorale

Martirologio Romano: Ad Arezzo, san Donato, secondo vescovo di questa sede, di cui il papa san Gregorio Magno loda la virtù e l’efficacia della preghiera.


Della vita del santo si ha conoscenza da un’antica ‘Passio’ scritta secondo la tradizione da Severino vescovo, suo secondo successore sulla cattedra vescovile di Arezzo. Bisogna dire che l’intera ‘passio’ porta in sé notizie certe ma anche altre che nel tempo sono state confutate dagli stessi agiografi, perché non rispondenti alle date storiche abbinate a certuni personaggi che vi compaiono; la stessa qualifica di martire è posta in incertezza perché in tanti antichi documenti egli è menzionato come “episcopi et confessoris”, tenendo conto che già a partire dal IV secolo il termine “confessore” assumeva per i santi il significato attuale che non è di martire.
Donato sarebbe morto martire, secondo la tradizione, il 7 agosto 362 sotto Giuliano l’Apostata.
Nato a Nicomedia, ancora fanciullo venne a Roma con la famiglia, qui fu educato da Pimenio prete e fatto chierico; suo compagno di studi e di formazione religiosa era Giuliano, ma mentre costui giunse a diventare suddiacono della Chiesa di Roma, Donato rimase semplice lettore.
S. Pier Damiani nei suoi Sermoni così commenta: “ Ecco che nel campo del Signore crescono assieme due virgulti, Donato e Giuliano, ma uno di essi diverrà cedro del Paradiso, l’altro carbone per le fiamme eterne”.
Infatti divenuto imperatore ed apostata, Giuliano promulgò una nuova persecuzione contro la Chiesa, prima con l’interdizione ai cristiani dell’insegnamento nelle scuole, cariche pubbliche e carriera militare e poi nell’autunno del 362 anche con la violenza nei loro confronti.
Nella città di Roma, furono vittime fra gli altri i suoi devoti genitori ed il prete Pimenio, allora Donato fugge ad Arezzo accolto dal monaco Ilariano a cui si affianca nell’apostolato, penitenza e preghiera; con lui opera tra il popolo prodigi e conversioni.
La ‘passio’ racconta di miracoli eclatanti, fra i tanti, fa risuscitare una donna di nome Eufrosina che aveva in custodia una ingente somma di denaro, ma che con la sua improvvisa morte non si trovava più; fa vedere di nuovo ad una povera cieca a cui dona anche la luce della fede, di nome Siriana; libera dal demonio il figlio del prefetto di Arezzo, Asterio.
Viene poi ordinato diacono e sacerdote dal vescovo Satiro e prosegue così la sua opera con predicazioni in città e nelle circostanti campagne. Alla morte del vescovo, viene scelto a succedergli e quindi ordinato vescovo dal papa Giulio I, prosegue la sua opera con rinnovato zelo e altri prodigi lo confortano e gli danno popolarità.
Durante la celebrazione della Messa, al momento della Comunione ai fedeli nelle due specie, mentre egli distribuisce il pane e il suo diacono Antimo distribuisce con un calice di vetro il vino, entrano nel tempio i pagani che con violenza mandano in frantumi il calice fra la costernazione dei fedeli. Donato allora, dopo intensa preghiera, raccoglie i frammenti e li riunisce, ma manca un pezzo del fondo del calice, egli noncurante continua a servire il vino senza che esso cada dal fondo mancante; fra lo stupore generale provocato dal miracolo ben 79 pagani si convertono.
Ma un mese dopo l’episodio, il prefetto di Arezzo, Quadraziano, fa arrestare sia Ilariano che Donato, i quali vittime della nuova persecuzione indetta da Giuliano l’Apostata, vengono uccisi, Ilariano monaco ad Ostia il 16 luglio e Donato vescovo decapitato ad Arezzo il 7 agosto.
Donato è rappresentato nell’arte in vesti vescovili e i suoi attributi sono il calice di vetro riferendosi al miracolo suddetto e il drago da lui combattuto vittoriosamente.
Protettore di Arezzo, è celebratissimo in città, il suo busto si trova in un grosso d’argento della Repubblica Aretina del sec. XIII custodito al Museo Nazionale di Napoli; nella cattedrale di Arezzo vi è la ricca arca marmorea del suo corpo con decine di formelle a cui hanno lavorato artisti insigni, narranti la vita e i suoi miracoli.
Donato è un nome dato ad un figlio molto atteso, di origine latina, diminutivo: Donatello.



Stellina788
00sabato 7 agosto 2010 10:07

San Donato di Besançon Vescovo

7 agosto

Martirologio Romano: A Besançon in Burgundia, nell’odierna Francia, san Donato, vescovo, che compose una regola per le vergini secondo gli insegnamenti dei santi Benedetto, Colombano e Cesario.


Stellina788
00sabato 7 agosto 2010 10:09

San Donaziano Vescovo

7 agosto

Martirologio Romano: A Châlons nella Gallia belgica, ora in Francia, san Donaziano, vescovo.


Stellina788
00sabato 7 agosto 2010 10:10

Beato Edmund Bojanowski Laico, fondatore

7 agosto

Grabonóg (Pozna_), 14 novembre 1814 – Górka Duchowna (Pozna_), 7 agosto 1871

Martirologio Romano: Nella cittadina di Górka Duchowna vicino a Poznań in Polonia, beato Edmondo Bojanowski, che si adoperò con grande impegno per istruire i poveri e i contadini ai precetti del Vangelo e fondò la Congregazione delle Ancelle dell’Immacolata Concezione della Madre di Dio.


Edmund Bojanowski appartenente a nobile famiglia, nacque il 14 novembre 1814 a Grabonóg nel granducato di Pozna_. Studiò filosofia prima nell’Università di Breslavia nel 1835 e poi a Berlino.
Verso la metà del secolo XIX la Polonia era divisa e soggetta alle tre Nazioni vicine, Russia, Prussia e Austria, e fino al 1918 quando divenne indipendente, vi furono fiere rivolte e ribellioni creando imprevisti mutamenti di carattere politico-sociale ed industriale; di fronte a questi sconvolgimenti che creavano vaste fasce di povertà, Edmund decise di andare incontro alle classi più bisognose, ideando un suo operare nell’insegnamento e nell’evangelizzazione delle popolazioni contadine.
Cominciò con l’aprire asili per i bambini, prima del Granducato di Pozna_ e poi nelle province della Polonia Minore e della Slesia; divenendo così un pioniere nell’assistenza per l’infanzia nelle campagne.
Per potere dare stabilità e futuro alle sue istituzioni, fondò il 13 maggio 1850, la Congregazione delle “Ancelle dell’Immacolata Concezione della Madre di Dio”; le suore in buona parte provenivano dalle zone rurali; e dalle campagne fece assumere ragazze, che dopo opportuna preparazione, lavoravano negli asili; egli stesso le preparava intellettualmente e moralmente.
Le suore ebbero anche il compito di interessarsi delle ragazze e delle madri, mediante le cosiddette “serate”, per prepararle ai doveri della famiglia cattolica, inserendo così il fermento della fede cattolica, nel mondo contadino.
Organizzò sale di lettura con buoni libri, con le suore impegnate ad aiutare i poveri e assistere gli ammalati, maggiormente sofferenti per la solitudine delle campagne. Nel 1849 l’epidemia di colera che colpì la regione lo vide in prima fila, chiamò in aiuto da Poznan le Figlie della Carità.
Ebbe riconoscimenti prestigiosi, nel 1857 fu chiamato nella Società degli ‘Amici della Scienza’ di Poznan; nel 1863 divenne preside della Conferenza di S. Vincenzo de’ Paoli a Gosty_; nel 1869 a 55 anni, entrò in Seminario a Gnienzo, ma nel 1871 dovette uscirne per il rapido declino della sua salute, con suo grande dispiacere, perché ormai desiderava consacrarsi completamente a Dio; ma la sua santificazione doveva avvenire nello stato laicale, del resto da laico indicò le vie della vita spirituale e scrisse le regole per le sue suore; qualche anno dopo anche in Italia vi fu un fondatore laico simile, Bartolo Longo anch’egli beato.
Di Edmund Bojanowski ci è pervenuto un suo ‘Diario’ e varie lettere tuttora inediti; morì a Górka Duchowna (Poznan) il 7 agosto 1871; alla sua morte esistevano due noviziati, 197 suore e 40 Case. In seguito alla politica della spartizione della Polonia si ebbero quattro diverse Congregazioni con rispettive Case Generalizie, attualmente a Lubo_ (Poznan), Wroclawm, Debica, Stara Wies con circa 4000 suore sparse per il mondo.
Il processo diocesano di introduzione della causa per la sua beatificazione si concluse il 24 ottobre 1960.
Papa Giovanni Paolo II, durante il suo settimo viaggio apostolico in Polonia, l’ha beatificato il 13 giugno 1999 a Varsavia.
È una delle più grandi figure della cattolica Polonia, che ha preceduto di molto, con la sua ricca attività, ciò che il Concilio Vaticano II, ha detto sul tema dell’apostolato dei laici.



Stellina788
00sabato 7 agosto 2010 10:11

San Fausto Martire a Milano

7 agosto

Etimologia: Fausto = propizio, favorevole, dal latino

Emblema: Palma

Il Martirologio Geronimiano al 7 agosto ha il seguente testo corrotto, di non facile interpretazione: "...Ausenti (et Carpefori) Mediolano Faustini...". Adone ed Usuardo nei loro Martirologi hanno fatto di Faustino un martire sotto l'imperatore Commodo (180-192).
Dai martirologi sopra ricordati, Faustino passò nel Liber notitiae sanctorum Mediolani, della fine del sec. XIII, con il nome di Fausto. Il suo martirio sarebbe avvenuto nel 188, nel quinto anno del pontificato di papa Eleuterio e nel secondo anno dell'episcopato del vescovo milanese s. Mona. Egli sarebbe stato figlio di quel Filippo, ricco signore di Milano, che fu uno dei primi e più grandi benefattori della primitiva comunità cristiana milanese ai tempi del vescovo s. Caio (v.) e sarebbe stato anche il fondatore di una delle più antiche chiese di Milano: la basilica Fausta. Dal Liber notitiae sanctorum Mediolani la notizia è poi passata nel Martirologio Romano. I libri liturgici milanesi, tuttavia, hanno sempre ignorato questo santo: la qual cosa era già stata rilevata dallo stesso autore del Liber notitiae sanctorum Med iolani.
Il corpo di Fausto sarebbe stato donato, insieme con la chiesa di S. Apollinare, alle Clarisse stabilitesi a Milano, dall'arcivescovo Enrico da Settala, nell'anno 1224 per intervento del card. Ugolino da Ostia. Tuttavia documenti milanesi posteriori dichiarano di non conoscere il luogo in cui si trova il corpo del santo.



Stellina788
00sabato 7 agosto 2010 10:12

San Gaetano Thiene Sacerdote

7 agosto - Memoria Facoltativa

Vicenza, ottobre 1480 - Napoli, 7 agosto 1547

Nacque a Vicenza dalla nobile famiglia dei Thiene nel 1480, e fu battezzato con il nome di Gaetano, in ricordo di un suo celebre zio, il quale si chiamava così perché era nato a Gaeta.Protontario apostolico di Giulio II, lasciò sotto Leone X la corte pontificia maturando, specie nell'Oratorio del Divino Amore, l'esperienza congiunta di preghiera e di servizio ai poveri e agli esclusi. È restauratore della vita sacerdotale e religiosa, ispirata al discorso della montagna e al modello della Chiesa apostolica. Devoto del presepe e della passione del signore, fondò (1524) con Gian Pietro Carafa, vescovo di Chieti (Teate), poi Paolo IV (1555-1559), i Chierici Regolari Teatini. Per la sua illimitata fiducia in Dio è venerato come il santo della provvidenza. (Avvenire)

Etimologia: Gaetano = nativo di Gaeta, dal latino

Martirologio Romano: San Gaetano da Thiene, sacerdote, che a Napoli si dedicò a pie opere di carità, in particolare adoperandosi per i malati incurabili, promosse associazioni per la formazione religiosa dei laici e istituì i Chierici regolari per il rinnovamento della Chiesa, rimettendo ai suoi discepoli il dovere di osservare l’antico stile di vita degli Apostoli.

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Nacque a Vicenza dalla nobile famiglia dei Thiene nel 1480, e fu battezzato con il nome di Gaetano, in ricordo di un suo celebre zio, il quale si chiamava così perché era nato a Gaeta.
Laureatosi a Padova in materie giuridiche a soli 24 anni, si dedicò allo stato ecclesiastico, senza però farsi ordinare sacerdote, perché non si sentiva degno; fondando nel contempo nella tenuta di famiglia a Rampazzo, una chiesa dedicata a S. Maria Maddalena, che è ancora oggi la parrocchia del luogo.
Trasferitosi a Roma nel 1506, divenne subito segretario particolare di papa Giulio II, ed ebbe l’incarico di scrittore delle lettere pontificie, ufficio questo che gli diede l’opportunità di conoscere e collaborare con tante persone importanti.
Siamo nel periodo dello splendore rinascimentale, che vede concentrati a Roma grandi artisti, intenti a realizzare quanto di più bello l’arte era in grado di offrire, e che ancora oggi il Vaticano e Roma offrono all’ammirazione del mondo; nel contempo però la vita morale della curia papale, del popolo e del clero, a Roma come altrove, non brillava certo per santità di costumi.
Gaetano non si lasciò abbagliare dallo splendore della corte pontificia, né si scoraggiò per la miseria morale che vedeva; egli ripeteva: “Roma un tempo santa, ora è una Babilonia”; invece di fuggire e ritirarsi in un eremo, da uomo intelligente e concreto, passò all’azione riformatrice, cominciando da sé stesso; incoraggiato da una suora agostiniana bresciana Laura Mignani, che godeva di fama di santità.
Prese ad assistere gli ammalati dell’ospedale di San Giacomo, si iscrisse all’Oratorio del Divino Amore, associazione che si riprometteva di riformare la Chiesa partendo dalla base, il tutto alternandolo con il lavoro in Curia; anche in queste attività conobbe altre personalità, che avevano lo stesso ideale riformista.
Nel settembre 1516 a 36 anni, accettò di essere ordinato sacerdote, ma solo a Natale di quell’anno, volle celebrare la prima Messa nella Basilica di S. Maria Maggiore. In una lettera scritta a suor Laura Mignani a cui era legato da filiale devozione, Gaetano confidò che durante la celebrazione della Messa, gli apparve la Madonna che gli depose tra le braccia il Bambino Gesù; per questo egli è raffigurato nell’arte e nelle immagini devozionali con Gesù Bambino tra le braccia.
Ritornato nel Veneto, nel 1520 fondò alla Giudecca in Venezia l’Ospedale degli Incurabili. Instancabile nel suo ardore di apostolato e di aiuto verso gli altri, ritornò a Roma e nel 1523 insieme ad altri tre compagni: Bonifacio Colli, Paolo Consiglieri, Giampiero Carafa (vescovo di Chieti, diventerà poi papa con il nome di Paolo IV), chiese ed ottenne dal papa Clemente VII, l’autorizzazione a fondare la “Congregazione dei Chierici Regolari” detti poi Teatini, con il compito specifico della vita in comune e al servizio di Dio verso gli altri fratelli.
Il nome Teatini deriva dall’antico nome di Chieti (Teate), di cui uno dei fondatori il Carafa, ne era vescovo. L’ispirazione che egli sentiva impellente, era di formare e donare alla Chiesa sacerdoti che vivessero la primitiva norma della vita apostolica, perciò non ebbe fretta a stendere una Regola, perché questa doveva essere il santo Vangelo, letto e meditato ogni mese, per potersi specchiare in esso.
Le costituzioni dell’Ordine furono infatti emanate solo nel 1604. I suoi chierici non devono possedere niente e non possono neanche chiedere l’elemosina, devono accontentarsi di ciò che i fedeli spontaneamente offrono e di quanto la Provvidenza manda ai suoi figli; con le parole di Gesù sempre presenti: “Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta”.
Nel 1527 avvenne il feroce ‘Sacco di Roma’ da parte dei mercenari Lanzichenecchi, il papa Clemente VII della famiglia fiorentina de’ Medici, fu costretto a rifugiarsi in Castel S. Angelo difeso dal Corpo delle Guardie Svizzere, che subì pesanti perdite negli scontri.
Anche s. Gaetano da Thiene, come tanti altri religiosi, fu seviziato dai Lanzichenecchi e imprigionato nella Torre dell’Orologio in Vaticano; riuscito a liberarsi si rifugiò a Venezia con i compagni dell’Istituzione.
Rimase nel Veneto fino al 1531, fondando, assistendo e consolidando tutte le Case del nuovo Ordine con le annesse opere assistenziali; accolse l’invito del celebre tipografo veneziano Paganino Paganini, affinché i Padri Teatini si istruissero nella nuova e rivoluzionaria arte della stampa tipografica, inventata nel 1438 dal tedesco Giovanni Gutenberg.
Nel 1533 per volere del papa Clemente VII, si trasferì insieme al suo collaboratore il beato Giovanni Marinoni, nel Vicereame di Napoli, stabilendosi prima all’Ospedale degli Incurabili, fondato in quel tempo dalla nobile spagnola Maria Lorenza Longo, insieme ad un convento di suore di clausura, dette ‘le Trentatrè’, istituzioni ancora oggi felicemente funzionanti; e poi nella Basilica di S. Paolo Maggiore posta nel cuore del centro storico di Napoli, nella città greco-romana.
La sua attività multiforme si esplicherà a Napoli fino alla morte; fondò ospizi per anziani, potenziò l’Ospedale degli Incurabili, fondò i Monti di Pietà, da cui nel 1539 sorse il Banco di Napoli, il più grande Istituto bancario del Mezzogiorno; suscitò nel popolo la frequenza assidua dei sacramenti, stette loro vicino durante le carestie e le ricorrenti epidemie come il colera, che flagellarono la città in quel periodo, peraltro agitata da sanguinosi tumulti.
Per ironia della sorte, fu proprio il teatino cofondatore Giampiero Carafa, divenuto papa Paolo IV a permettere che nell’Inquisizione, imperante in quei tempi, si usassero metodi diametralmente opposti allo spirito della Congregazione teatina, essenzialmente mite, permissiva, rispettosa delle altre idee.
E quando le autorità civili vollero instaurare nel Viceregno di Napoli, il tribunale dell’Inquisizione, il popolo napoletano (unico a farlo nella storia triste dell’Inquisizione in Europa) si ribellò; la repressione spagnola fu violenta e ben 250 napoletani vennero uccisi, per difendere un principio di libertà.
Gaetano in quel triste momento, fece di tutto per evitare il massacro e quando si accorse che la sua voce non era ascoltata, offrì a Dio la sua vita in cambio della pace; morì a Napoli il 7 agosto 1547 a 66 anni, consumato dagli stenti e preoccupazioni e due mesi dopo la pace ritornò nella città partenopea.
L’opera che più l’aveva assillato nella sua vita, era senza dubbio la riforma della Chiesa, al contrario del contemporaneo Martin Lutero, operò la sua riforma dal basso verso l’alto, formando il clero e dedicandosi all’apostolato fra i poveri, i diseredati e gli ammalati, specie se abbandonati.
A quanti gli facevano notare che i napoletani non potevano essere così generosi negli aiuti, come i ricchi veneziani, rispondeva: “E sia, ma il Dio di Venezia è anche il Dio di Napoli”.
Il popolo napoletano non ha mai dimenticato questo vicentino di Thiene, venuto a donarsi a loro fino a morirne per la stanchezza e gli strapazzi, in un’assistenza senza risparmio e continua. La piazza antistante la Basilica di S. Paolo Maggiore è a lui intitolata, ma la stessa basilica, per secoli sede dell’Ordine, è ormai da tutti chiamata di S. Gaetano; il suo corpo insieme a quello del beato Marinoni, del beato Paolo Burali e altri venerabili teatini è deposto nella cripta monumentale, che ha un accesso diretto sulla piazza, ed è meta di continua devozione del popolo dello storico e popoloso rione.
Nella piazza, come in altre zone di Napoli, vi è una grande statua che lo raffigura; da secoli è stato nominato compatrono di Napoli. Il suo è uno dei nomi più usati da imporre ai figli dei napoletani e di tutta la provincia. Egli venne beatificato il 23 novembre 1624 da papa Urbano VIII e canonizzato il 12 aprile 1671 da papa Clemente X.
San Gaetano da Thiene è la testimonianza di quanto la Chiesa nei secoli, attraverso i suoi figli, sia stata sempre all’avanguardia e con molto anticipo sul potere laico, nel realizzare, inventare e gestire opere di assistenza in tutte le sue forme per il popolo, specie dove c’è sofferenza. Ecco così i Monti di Pietà per giusti prestiti ed elargizioni, l’istituzione degli ospedali, orfanotrofi, ospizi, lebbrosari, ecc. a cui ieri come oggi i governanti più avveduti e non ostili, hanno dato il loro consenso o il prosieguo, anche se a distanza a volte di molto tempo



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00sabato 7 agosto 2010 10:14

Beato Giordano Forzatè Abate benedettino di Padova

7 agosto

Padova, 1158 - Venezia, 7 agosto 1248

Etimologia: Giordano = dal nome del fiume della Palestina

Martirologio Romano: A Venezia, beato Giordano Forzaté, abate, che fu fondatore di monasteri a Padova e, non potendo evitare, nonostante i suoi sforzi, la rovina della patria, da pio esule si addormentò nella pace del Signore, lasciando un esempio di onestà, integrità di costumi e scienza.


Nacque a Padova intorno al 1158 nella nobile famiglia dei Forzaté Transelgardi; a sedici anni, la notte del 4 marzo 1174, fuggì spaventato dal furioso incendio che distrusse i tre quarti della città; rifugiandosi nel piccolo monastero di S. Benedetto, posto fuori la città.
Poi per venti anni di lui non si sa niente di documentato, ma certamente condusse una vita esemplare, se nel 1195 era priore del monastero, che fece ricostruire in due sezioni divise da alte mura, una destinata ai monaci e l’altra alle monache; al centro vi era la chiesa che serviva per le funzioni religiose di ambedue i rami.
Si racconta che il priore Giordano, a lavoro finito, piantò al centro del cortile riservato alle monache, la bacchetta di corniolo, da lui usata per tracciare nel terreno le linee del monastero.
L’arido stecco germogliò divenendo una pianta vigorosa, le cui foglie e i frutti avevano virtù taumaturgiche. Nel tempo ogni volta che moriva un appartenente ai Forzaté, un ramo si seccava, disseccandosi del tutto quando morì l’ultima discendente; successivamente dal ceppo spuntarono altri germogli; il 2 dicembre 1811, quando il monastero fu soppresso, l’albero prodigioso fu trapiantato nell’orto dei Capodilista, ramo collaterale dei Forzaté.
Bisogna aggiungere che fra il XIII e XIV secolo, nella diocesi di Padova, i monasteri Benedettini doppi, furono una ventina.
Non fu solo un abate guida dei suoi religiosi, ma anche ambasciatore di pace per Padova e dell’intera Marca Trevigiana, infatti una miniatura del XIV secolo lo raffigura a cavallo in atto di partire per una missione pacificatrice.
Nel 1216 negoziò la pace tra Treviso e Belluno come delegato di papa Onorio III, ancora fu arbitro tra Ezzelino da Romano e Rambertino podestà di Verona, incontratisi nel palazzo vescovile di Padova; nel 1234 insieme col vescovo di Treviso, negoziò la pace tra Padova e Treviso e dopo un po’ anche quella fra Padova e Vicenza; ma la litigiosità fra queste città venete culminarono con la caduta di Verona e Vicenza nelle mani del feroce Ezzelino da Romano e nonostante gli sforzi di Giordano Forzaté di evitarlo, anche Padova il 25 febbraio 1237 fu occupata da Ezzelino.
Allora l’abate Giordano ritenne opportuno lasciare il monastero di S. Benedetto e si ritirò nel castello paterno di Montemerlo. È utile ricordare che anche il contemporaneo s. Antonio da Padova, ebbe incontri persuasivi con Ezzelino.
L’attività religiosa di Giordano, fu ancora più intensa, fu delegato dai papa Innocenzo III e Gregorio IX in varie missioni presso i vescovi della città venete, visitatore apostolico presso monasteri delle diocesi suddette; fu presente come consultore della città di Padova e alla elezione del nuovo vescovo nel 1229.
Dopo la morte di s. Antonio (1231) fu incaricato insieme ad altre venerabili persone di allestire il processo sulla vita ed i miracoli operati dal grande conventuale; fu fra l’altro consigliere spirituale della beata Beatrice d’Este.
Nel 1237 Ezzelino III l’accusò di congiurare per la sua caduta e quindi lo fece rinchiudere nelle prigioni del castello di S. Zenone un po’ distante da Bassano del Grappa, nonostante l’intercessione del vescovo di Padova, del clero, dei monaci e di tanti cittadini.
Dopo due anni nel 1239, l’imperatore Federico II, trovandosi a Vicenza volle vedere Giordano, consegnandolo poi in custodia al patriarca di Aquileia; ma il priore non sentendosi sicuro fuggì a Venezia nel monastero cistercense della Celestia, dove rimase fino alla morte, avvenuta il 7 agosto 1248.
Il suo corpo fu riportato a Padova nel 1260 e sepolto nella chiesa di S. Benedetto e si cominciò subito a venerarlo come beato; nel 1300 ebbe un altare proprio. Continuando i miracoli per la sua intercessione, il culto si intensificò sempre più, finché papa Clemente XIV ne confermò il culto il 6 settembre 1769 con festa propria il 7 agosto, mentre per Padova si celebra il 13 agosto.
Dopo la soppressione del monastero nel 1811, il corpo fu traslato prima nella cattedrale e poi il 9 novembre 1952 nella chiesa parrocchiale di S. Benedetto.



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00sabato 7 agosto 2010 10:16

San Leodebodo Abate di Saint-Benoìt-sur-Loire

7 agosto

La carta di fondazione del monastero di St-Benoìt-sur-Loire a Fleury (dioc. di Orléans), datata 27 giug. 651, rende noto che Leodebodo, abate di St-Aignan a Orléans, non potendo instaurare nel suo monastero la disci­plina da lui desiderata, fondò il monastero di Fleury dedicato a s. Pietro, che doveva, più tardi, divenire illustre per la pretesa traslazione del corpo di s. Benedetto. Mancano altre notizie su Leodebodo, il cui culto è controverso: negato dal Mabillon e dalla Gallia Christiana, è invece affermato da M.-N. Desguerrois (La Sainteté chrétienne... de Troyes, Troyes 1637, pp. 174-77), che fa di Leodebodo un martire morale per le prove superate. A Troyes si venerava un s. Leodebaldo martire, da qualche autore identificato con l'abate di Fleury, ma lo Zimmermann esclude perentoriamente tale identi­ficazione. I Bollandisti collocano Leodebodo tra i praetermissi del 14 giug. e del 7 ag. In quest'ultima data è recensito anche dallo Zimmermann.


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00sabato 7 agosto 2010 10:18

Beati Martino di S. Felice (Giovanni) Woodcock, Edoardo Bamber e Tommaso Whitaker Martiri

7 agosto

Martirologio Romano: A Lancaster in Inghiltera, beati Martino di San Felice (Giovanni) Woodcock, dell’Ordine dei Frati Minori, Edoardo Bamber e Tommaso Whitaker, sacerdoti e martiri, condannati all’impiccagione per essere entrati da sacerdoti nei domini del re Carlo I.


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00sabato 7 agosto 2010 10:19

San Miguel De La Mora De La Mora Martire Messicano

7 agosto

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Emblema: Palma

Martirologio Romano: A Colima in Messico, san Michele de la Mora, sacerdote e martire, che, nel corso della persecuzione contro la Chiesa, ricevette in quanto sacerdote la corona del martirio.

Nacque a Tecalitlán, Jalisco (Diocesi di Colima) il 19 giugno 1878. Cappellano della Cattedrale di Colima, Col. Sacerdote semplice, modesto, ordinato, puntuale, fu particolarmente caritatevole con i poveri e pronto a servire tutti. Fu scoperto e minacciato di essere imprigionato a vita se non apriva il culto nella Cattedrale, contro le disposizioni del Vescovo. Di fronte alle pressioni del governo militare preferì andare via dalla città. Per la strada fu arrestato e condotto di fronte al generale, che lo condannò alla fucilazione. Camminò in silenzio fino al luogo indicatogli e, come proclama della sua fede e del suo amore a Maria Santissima, tirò fuori il suo rosario, iniziò a pregare, e con questo in mano, cadde ucciso dai proiettili. Era mezzogiorno del 7 agosto 1927.



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00sabato 7 agosto 2010 10:20

Beato Nicola Postgate Martire

7 agosto

Martirologio Romano: A York sempre in Inghilterra, beato Nicola Postgate, sacerdote e martire, che fu appeso al patibolo sotto il re Carlo II a motivo del suo sacerdozio, che per circa cinquant’anni aveva esercitato clandestinamente tra i poveri.


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00sabato 7 agosto 2010 10:21

San Sisto II e compagni Papa e martiri

7 agosto - Memoria Facoltativa

m. 258

(Papa dal 30/08/257 al 06/08/258)
Secondo il Liber Pontificalis fu eletto papa nel 257 alla morte di Stefano I. San Cipriano che lo definisce "sacerdote buono e pacifico", racconta in una lettera al vescovo africano Successo la persecuzione del 258 in seguito al secondo Editto di Valeriano. Questo prevedeva la decapitazione per vescovi, presbiteri e diaconi, e la confisca dei beni della Chiesa, compresi i cimiteri. Da Papa Damaso si sa che Sisto venne sorpreso nel cimitero, probabilmente quello di San Callisto, mentre insegnava la parola divina e fu decapitato con sei dei sette diaconi di Roma (Felicissimo. Agapito, Gennaro, Magno, Vincenzo e Stefano). Il settimo, il protodiacono Lorenzo, fu ucciso tre giorni dopo sulla via Tiburtina. Sisto II è sepolto nel cimitero di S. Callisto presso la cripta Santa Cecilia.

Etimologia: Sisto = variante di Sesto

Emblema: Palma

Martirologio Romano: Santi Sisto II, papa, e compagni, martiri. Il papa Sisto, mentre celebrava i sacri misteri insegnando ai fratelli i precetti divini, per ordine dell’imperatore Valeriano, fu subito arrestato dai soldati sopraggiunti e decapitato il 6 agosto; con lui subirono il martirio quattro diaconi, deposti insieme al pontefice a Roma nel cimitero di Callisto sulla via Appia. Nello stesso giorno anche i santi Agàpito e Felicissimo, suoi diaconi, morirono nel cimitero di Pretestato, dove furono pure sepolti.
(6 agosto: A Roma sulla via Appia nel cimitero di Callisto, passione di san Sisto II, papa e dei suoi compagni, la cui memoria si celebra domani).

Ascolta da RadioMaria:
  

Eletto in tempo di persecuzione e ucciso per la fede sotto l’imperatore Valeriano, dopo appena undici mesi di pontificato: non poteva certo fare molte cose questo secondo pontefice di nome Sisto, già arcidiacono di Roma e probabilmente originario di Atene. Eppure, prima del martirio, un’impresa gli è riuscita: una di quelle che portano alla beatitudine proclamata nel Discorso della Montagna. Sisto II è stato un costruttore di pace. Pace tra i cristiani: difficilissima impresa già al suo tempo.
Tra le varie Chiese c’erano divergenze legate ai frequenti conflitti dottrinali, e vertevano su un punto non da poco: se un cristiano eretico vuole rientrare nella Chiesa da cui era staccato, si dovrà battezzarlo di nuovo o è sufficiente il battesimo che ha ricevuto la prima volta? La Chiesa di Roma e alcune altre in Asia e in Africa riaccoglievano ogni convertito senza ribattezzarlo, semplicemente imponendogli le mani sul capo e ungendogli la fronte col crisma. Invece altre Chiese africane – la maggior parte – dell’Asia Minore e della Siria ritenevano indispensabile un nuovo battesimo.
Ma ecco che da Roma giunge loro un severo rimprovero: il papa Vittore (predecessore di Sisto) impone a tutti di seguire l’uso romano, pena la scomunica. E questo rigore provoca l’inevitabile e gravissimo malcontento, che ricade addosso a Sisto II appena eletto; come se già non bastasse la persecuzione. Ma lui affronta la crisi nel modo giusto, lasciando cadere le minacce di scomunica. Qui non sono in gioco la fede comune e l’unione col successore di Pietro: perciò ogni Chiesa o gruppo di Chiese risolva la questione in base a sue specifiche situazioni e vicende. Pace fra i cristiani, dunque, per opera di Sisto (e del vescovo Dionigi di Alessandria d’Egitto, efficace consigliere di moderazione). Ma intanto c’è la persecuzione, in due fasi. Nell’agosto 257 un primo decreto di Valeriano proibisce il culto cristiano pubblico (non quello privato) e ordina ai membri del clero di venerare con sacrifici pubblici gli dèi dell’impero, pena il domicilio coatto e i lavori forzati. L’impero, aggredito lungo il Danubio, sul Mar Nero e in Mesopotamia, ha bisogno all’interno di una rigida disciplina anche religiosa, e deve procurarsi mezzi attraverso le confische. Così, nel 258 un secondo editto stabilisce la pena di morte per il clero che non venera gli dèi, e la destituzione con sequestro dei beni per i funzionari imperiali cristiani.
E’ in base a questo secondo decreto che papa Sisto II viene arrestato, mentre predica presso il cimitero di san Callisto. I soldati hanno ordini precisi. Non si occupano dei fedeli: vanno dritti verso Sisto, che li attende fiancheggiato da due diaconi per parte. Così, sempre con loro, cammina fra i soldati fino al luogo fissato per il supplizio. E con essi viene subito ucciso.



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00sabato 7 agosto 2010 10:22

Beato Tommaso Caccia e Matteo Nolli da Novara Francescani

7 agosto

+ Novara, 1478

Tommaso Caccia, nato a Novara da famiglia nobile, entrò nel convento di San Nazaro di Novara. Ricevuto l’abito francescano da san Bernardino divenne suo discepolo e si sforzò di imitarne gli esempi, particolarmente umiltà, zelo per la salvezza delle anime, povertà assoluta, orazione continua e penitenze rigorose. Per tutta la vita si distinse per l’amore alla povertà, all’osservanza regolare e per lo zelo. Ebbe anche i doni di profezia e dei miracoli in favore dei malati. Morì a Novara il 7 agosto 1478 nel convento di San Nazaro fuori di Novara. Un affresco, posto nella Chiesa di San Nazaro, ritrae il beato Tommaso con un libro aperto tra le mani e con scritta la celebre preghiera mariana: “Maria, Mater gratiae, Mater misericordiae, Tu nos ab hoste protege et hora mortis suscipe” (Maria, Madre di Grazia, Madre di Misericordia, proteggici dal nemico ed accoglici nell’ora della morte).
Matteo nacque a Novara da nobile famiglia. Come il beato Tommaso Caccia, entrò nel convento di San Nazaro. Ricevette l’abito francescano da san Bernardino. Divenne un predicatore famoso. Insieme al beato Tommaso cercò in tutta la vita di imitare l’ammirato san Bernardino: austerità, zelo, devozione ai nomi di Gesù e di Maria. Morì anch'egli a Novara nel 1478.


Tutti e due di nobile famiglia, il Caccia e il Nolli entrarono e vissero nel convento di S. Nazaro in Novara, dove, egualmente celebri per virtù e miracoli, morirono nello stesso anno (1478) e furono sepolti.
Il Caccia lasciò, ancor giovane, gli agi della famiglia per ricevere il saio francescano da s. Bernardino da Siena nel convento di S. Nazaro e divenire suo fervente discepolo. Si studiò, in seguito, d'imitarlo soprattutto nell'umiltà, nella povertà e nello zelo per le anime, distinguendosi nella scrupolosa osservanza della regola, nella continua orazione e nella rigorosa pratica della penitenza e del digiuno. Il Signore lo favorì coi doni della profezia e dei miracoli, specie per l'immediata guarigione degli infermi. Spirò piamente il 7 ag, 1478. M. Manni (Memorie storico-biografiche della Provincia di San Diego in Piemonte, Varallo 1945, p. 399) ricorda che : « Entrando nella Chiesa di san Nazaro si vede sulla lesena di sinistra un affresco rappresentante il b. Tommaso, affresco ancora ben conservato. La persona è completa e dipinta al naturale, con un libro aperto tra le mani e sulle pagine si leggono queste parole : Maria Mater gratiae, Mater miserìcordiae, tu nos ab hoste protege et hora mortis suscipe. Sulla fascia superiore che racchiude il dipinto sono scritte quest'altre parole in stile romanico e lettere maiuscole : Beatus Thomas de Cacciis e il nome del pittore Thomasius de Cagnolis dictus a Corza-rius ». Poiché il pittore morì nel 1508, tutto induce a credere che il dipinto sia stato affrescato poco dopo la scomparsa del Caccia.
Anche il Nolli entrò nell'Ordine al tempo di s. Bernardino, forse contemporaneamente al Caccia, e fu molto ricercato per le sue prediche. Morì, come si è detto, nel 1478 e fu sepolto in S. Nazaro, chiesa ora affidata ai Cappuccini, presso l'altare di S. Francesco, che era il primo dal lato del Vangelo, vicino all'altare maggiore. Dall'orazione funebre detta da Matteo Buzzi nel 1699 per le esequie del cardinale Federico Caccia, arcivescovo di Milano, si apprende che presso la tomba ardevano ceri e pendevano tabelle attestanti grazie ricevute per intercessione sua e del Caccia. Il Manni informa che, per l'istanza del conte Giuseppe Trivulzio Caccia e con le debite facoltà, il 5 magg. 1849 i corpi dei beati Caccia e Nolli furono esumati e collocati provvisoriamente nell'archivio canonicale di S. Gaudenzio, e poi, l'8 giug. 1923, traslati e deposti sotto l'altare maggiore della chiesa francescana di S. Andrea in Novara. I due beati sono ricordati il 7 agosto.



Stellina788
00sabato 7 agosto 2010 10:23

Beato Vincenzo de L'Aquila Religioso

7 agosto

1435 - 7 agosto 1504

Martirologio Romano: All’Aquila, beato Vincenzo, religioso dell’Ordine dei Minori, celebre per umiltà e spirito di profezia.


Vincenzo è ricordato nel Martirologio Francescano il 7 agosto. Nacque verso il 1435 ed entrò, sui quattordici anni, tra i Frati Minori nel convento di S. Giuliano, fondato dal beato Giovanni da Stroncone, presso le porte della città aquilana.
Ammesso subito al noviziato, e compiutolo coi voti solenni, passò i primi anni della vita conventuale ritirato in una capanna nella selva del convento, che lasciava solo per l'adempimento degli uffici affidatigli, specialmente quello di calzolaio, forse suo mestiere di origine.
Ma tanta era la sua applicazione alla preghiera che, di lui, fra' Marco da Lisbona lasciò scritto che era «astratto, elevato in aria et era il suo corpo così privo di sensi come se fosse morto». I superiori, vedendolo così esemplare, ed anche per distoglierlo dall'eccessiva sua mortifìcazione, lo avviarono alla questua. Tra le anime che si ispirarono alla sua santità, va ricordata la giovinetta Mattia Ciccarelli di Lucoli, divenuta poi agostiniana in Aquila col nome di suor Cristina, ed oggi venerata sugli altari col titolo di beata.
Vincenzo venne mandato, in seguito, al convento di Penne e, per dieci anni, a quello di Sulmona, per fare quindi definitivo ritorno a S. Giuliano. Con lui furono in relazione per consigli, il principe di Capua, la regina Giovanna, seconda moglie di Ferdinando I, e sorella di Ferdinando il Cattolico, re di Spagna. Predisse il reame al duca di Calabria, primogenito di Ferdinando I d'Aragona.
Travagliato dalla gotta e dagli stenti, nonché dall'età, morì la sera del 7 agosto 1504 a sessantanove anni. La beata Cristina ne vedeva l'anima, portata dagli angeli, salire al cielo mentre la selva di S. Giuliano era tutta una gran luce. Da qui la consuetudine annuale dell'illuminazione del convento e di parte della selva, la sera del 6 agosto e cioè la vigilia della sua festa.
Vincenzo è sepolto nella chiesetta di S. Giuliano, e il suo corpo incorrotto è racchiuso in artistica urna. Il suo culto fu confermato da Pio VI, il 19 settembre 1787.


Stellina788
00sabato 7 agosto 2010 10:26

San Vittricio di Rouen Vescovo

7 agosto

Per amore di Cristo abbandonò la carriera militare, fu torturato e condannato a morte. Rimesso in libertà, fu consacrato vescovo e inviato a evangelizzare il nord della Francia.

Martirologio Romano: A Rouen sempre in Francia, san Vittricio, vescovo, che, ancora soldato, abbandonato sotto l’imperatore Giuliano l’esercito per seguire Cristo, fu sottoposto dal tribuno a molte torture e condannato a morte; liberato in seguito, divenne vescovo e portò alla fede cristiana anche le popolazioni dei Morini e dei Nervi.


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