7 luglio

Versione Completa   Stampa   Cerca   Utenti   Iscriviti     Condividi : FacebookTwitter
Stellina788
00martedì 7 luglio 2009 09:12

Sant' Antonino Fantosati Martire

7 luglio

Trevi (Perugia), 16 ottobre 1842 - Hoang-scia-wan (Cina), 7 luglio 1900

Antonio nasce a Trevi (Pg) il 16 ottobre 1842. A 16 anni veste l'abito religioso francescano nel convento della Spineta a Todi, cambiando il nome in fra Antonino. Viene ordinato sacerdote nel 1865. Nel 1867 decide di partire missionario per la Cina, aggregandosi a Marsiglia ad altri otto francescani, fra cui padre Elia Facchini, che morirà martire due giorni dopo di lui, e un folto gruppo di Suore Canossiane. Giunge così ad Uccian capitale del Hu-pè e residenza principale della Missione. Qui deve vestire abiti cinesi e prendere il nome in lingua locale di Fan-hoae-te. Nel 1868 arriva nell'Alto Hu-pè, meta del suo campo apostolico che gli è stato assegnato, dove rimane per sette anni. Nel 1878 viene nominato amministratore apostolico dell'Alto Hu-pè e nel 1889 vicario apostolico dell'Hu-nan Meridionale. Durante la sua attività pastorale viene sottoposto a vari giudizi con accuse fatte da pagani interessati e contrari al cristianesimo. I suoi ultimi anni sono segnati dalle persecuzioni. Il 7 luglio 1900 viene ucciso brutalmente dalla folla aizzata dai «boxers». (Avvenire)

Martirologio Romano: Vicino alla città di Hengyang nella provincia dello Hunan in Cina, sant’Antonino Fantosati, vescovo, e Giuseppe Maria Gambaro, sacerdote dell’Ordine dei Minori, che, durante la persecuzione dei Boxer, approdati per portare aiuto ai fedeli, morirono lapida


Il 1° ottobre del 2000, papa Giovanni Paolo II ha canonizzato un numeroso gruppo di 120 martiri in Cina, vittime delle ricorrenti persecuzioni, che si scatenarono contro la cristianità in quel grande Paese, fino al secolo XX.
Fra questi c’è un gruppo di 29 martiri, vittime nei primi giorni di luglio dell’anno 1900, dei famigerati ‘boxers’, che avevano scatenato una furiosa e sanguinosa persecuzione contro i cristiani e gli europei in generale, provocando in soli cinque mesi e nelle sole province dello Shan-si e dell’Hu-nan, una carneficina di circa 20.000 vittime fra vescovi, sacerdoti, religiosi, suore, catechisti e cristiani cinesi.
In questo gruppo di 29 santi martiri, che furono beatificati nel 1946 da papa Pio XII e che comprende 3 vescovi, 4 sacerdoti, 1 fratello religioso tutti Minori Francescani, 7 suore Francescane Missionarie di Maria, 5 seminaristi cinesi e nove domestici-collaboratori cristiani cinesi, 26 morirono decapitati a Tai-yuen-fu, sede del Vicariato dello Shan-si e tre nel Vicariato dello Hu-nan.
In questa scheda parleremo di mons. Antonino Fantosati, che insieme ai due sacerdoti francescani Giuseppe Maria Gambaro e Cesidio Giacomantonio, diedero la loro vita per Cristo nello Hu-nan in Cina, nei giorni precedenti il massacro del 9 luglio a Tai-yuen-fu; anch’essi vittime dei sanguinari ‘boxers’ e dei loro fiancheggiatori pagani, aizzati dagli invidiosi bonzi confuciani, con vergognose calunnie contro i missionari; i quali erano favoriti dal crudele viceré Yü-sien e tollerati dalla settantenne imperatrice Tz-Hsi.
Antonio Fantosati nacque nella borgata di S. Maria in Valle nel Comune di Trevi (Perugia) il 16 ottobre 1842; di costituzione debole e di natura timida, sembrava destinato ad essere un bravo campagnolo. Ancora ragazzo fu mandato a scuola dai Francescani, nel vicino Convento di S. Martino; la frequentazione di questa Comunità di religiosi, l’assiduità alle funzioni della parrocchia come chierichetto, fecero nascere in lui la vocazione di far parte della Famiglia Francescana e così a 16 anni, con il consenso dei genitori, vestì l’abito religioso nel Convento della Spineta a Todi, cambiando il nome in fra Antonino.
Dopo l’anno del noviziato, Antonino fu mandato a compiere gli studi a Spoleto dove fece la Professione Solenne il 28 luglio 1862; avendo scampato all’arruolamento da parte delle truppe piemontesi e garibaldine nel settembre 1860, Antonino continuò gli studi a Roma ed infine fu ordinato sacerdote il 13 giugno 1865 a 23 anni.
Un paio d’anni dopo nel 1867 dopo un incontro con il Ministro Generale a Roma, decise di partire missionario per la Cina, aggregandosi a Marsiglia ad altri otto francescani, fra cui padre Elia Facchini, che morirà martire due giorni dopo di lui e un folto gruppo di Suore Canossiane; guidava la spedizione mons. Zanoli Vicario Apostolico dell’Hu-pè, venuto in Europa in cerca di nuovi collaboratori.
Dopo 66 giorni di viaggio a partire dal 15 dicembre 1867 da Roma e poi Marsiglia, giunsero ad Uccian capitale del Hu-pè e residenza principale della Missione; qui padre Antonino Fantosati dovette lasciare come d’uso il saio francescano e vestire abiti cinesi, prendendo il nome in lingua locale di Fan-hoae-te e dopo un certo periodo di riposo e di adattamento al clima, alla lingua ed agli usi cinesi, il 6 gennaio 1868, insieme ad un altro confratello, prese a salire verso l’Alto Hu-pè, meta del suo campo apostolico che gli era stato assegnato; il viaggio, come del resto i successivi, fu lungo, denso di avventure, pericoli, soprattutto con barche sui fiumi ed affluenti e durò praticamente più di un mese.
Trascorse sette anni di intensa attività apostolica, spostandosi nelle varie Comunità cattoliche tra Scian-kin e He-tan-kon, il periodo fu sereno e denso di conversioni; imparò speditamente la lingua cinese al punto che venne chiamato “maestro europeo”.
Dopo fu chiamato a spostarsi nella città di Lao-ho-kow, centro fluviale di grande importanza, bagnata dal fiume Han; qui nella Cina tartara del 1900, dilagava l’uso dell’oppio, del vizio, dell’oppressione dei più deboli, quindi il compito anche sociale del missionario, per di più europeo, era di enorme delicatezza e tatto e padre Antonino riuscì con metodo e perspicacia, ad inserirsi nella società cinese locale, e senza urtare nessuno; la sua Missione divenne il centro di contatti continui con personaggi più o meno illustri.
Erano mercanti, letterati, mandarini, studenti, aristocratici e popolino, bonzi disoccupati, barcaioli di passaggio, tutti interessati, meravigliati, chiedevano le stesse cose con un’infinità di lunghi e noiosi complimenti. Prese a praticare tutte le loro usanze, dai bastoncini per mangiare, al mostrarsi goloso delle loro pietanze.
Eliminò dal frontone della Casa, la dicitura “Chiesa Cattolica” per non inimicarsi i bonzi-confuciani e mettendo “Ospizio di Francia”. Nel 1870-71 divenne Vicario Generale del nuovo Vicario Apostolico dell’Alto Hu-pè, mons. Belli, ma nel 1878 la Cina in generale e la provincia dell’Alto Hu-pè in particolare, venne colpita da una spaventosa carestia seguita dalla peste, che spopolò intere province e fra le centinaia di migliaia di vittime, ci fu anche il Vicario mons. Belli, che dopo 24 anni di missione, non sopravvisse a tanto strazio, morendo il 2 maggio 1878.
Padre Antonino Fantosati si trovò ad assumere subito la responsabilità dell’Alto Hu-pè e nominato Amministratore Apostolico dalla Santa Sede il 22 giugno 1878. Organizzò subito un orfanotrofio per i bimbi rimasti soli, raccolse aiuti in Europa che distribuiva in vestiario, cibo, medicinali, contrasse lui stesso la peste aiutando gli ammalati, riuscendo però a guarirne.
La sua opera fu ben apprezzata e nel giro di tre mesi 90 famiglie si convertirono e le Autorità civili e militari assecondarono i suoi desideri. Nel 1880 egli divenne il Vicario Generale del successore di mons. Belli, il nuovo Vicario Apostolico mons. Ezechia Banci; collaborò all’erezione del grandioso tempio di Hu-pè di 100 mq e alto 30 metri, che sostituì per i riti cattolici la piccola cappella del S. Cuore, ormai insufficiente.
Nel 1888 dopo 20 anni di missione, esausto nelle forze, fece un ritorno in Italia durato otto mesi, visitando i luoghi francescani e la Terra Santa. Nel giugno 1889 ritornò in Cina e dopo un po’ ebbe da Roma la nomina a Vicario Apostolico dell’Hu-nan Meridionale.
Questi ultimi undici anni della sua vita furono densi di emozioni e di zelo apostolico, a partire dal novembre 1892 quando sopra una barca lasciò definitivamente l’Alto Hu-pè, che era diventato la sua seconda patria. Arrivato nello Hu-nan, provincia di 216.000 kmq e 21 milioni di abitanti, mons. Fantosati iniziò subito le visite pastorali che si susseguirono negli anni, nelle varie direzioni della vasta provincia, nonostante che sulla sua testa, durante la prima visita pastorale, fosse stata messa una taglia di cento once d’argento, mettendo in pericolo di morte la sua vita, e nonostante un agguato tesogli nello stesso luogo dove 80 anni prima, era stato ucciso il beato Giovanni da Triora.
Venne sottoposto ai vari giudizi con accuse fatte da pagani interessati e contrari al cristianesimo, tutto questo procurò le inimicizie e la sete di vendetta anche di alcuni potenti mandarini. I suoi ultimi anni furono amareggiati da croci e persecuzioni, ma lui non smise mai di edificare, restaurare e abbellire chiese e luoghi di culto, sia nell’Alto Hu-pè, sia nell’Hu-nan.
E così si arrivò all’anno 1900; il 3 luglio i ‘boxers’, appoggiati dagli ordini imperiali che incitavano soldati e popolo a scacciare, uccidere e distruggere i missionari e le loro opere, distrussero prima la chiesa dei Protestanti di Hoang-scia-wan, città ove era la residenza del Vicariato Cattolico del Hu-nan; il 4 luglio la Casa episcopale del vescovo Fantosati, assente da due mesi, fu assalita e distrutta come pure l’Orfanotrofio e varie case di cristiani bruciate; si ebbe anche la prima vittima, il sacerdote francescano Cesidio Giacomantonio bruciato ancora vivo.
Mons. Fantosati impegnato nella ricostruzione della chiesa di San-mu-tciao, distrutta l’anno prima dai pagani; fu informato di quanto stava accadendo e il giorno 6 luglio insieme a padre Giuseppe M. Gambaro francescano e quattro cristiani, salì su una barca per tornare a Hoang-scia-wan, nonostante i tentativi di molti cristiani di trattenerlo.
Verso mezzogiorno del 7 luglio, la barca arrivò sul fiume nei pressi della città; riconosciuti da alcuni ragazzi e al grido “morte agli Europei”, la plebaglia dalla riva, prese le barche dei pescatori e circondarono quella dei missionari, i quali a stento riuscirono a scendere sulla riva, dove aggrediti dalla folla urlante, furono massacrati con sassi e colpi di bastone; padre Gambaro morì dopo una ventina di minuti di percosse, mentre al vescovo Fantosati, agonizzante per le botte, ma ancora vivo, un pagano gl’infilò un palo di bambù con punta di ferro da dietro; negli spasmi il martire riuscì a sfilarlo, ma un altro pagano preso lo stesso palo, lo conficcò in modo che uscì dall’altra parte; dopo due lunghe ore di martirio moriva così il vescovo Fantosati, dopo 33 anni di missione a 58 anni di età.



Stellina788
00martedì 7 luglio 2009 09:14

Beato Benedetto XI (Niccolò Boccasini) Papa

7 luglio

Treviso, 1240 - 1304

(Papa dal 27/10/1303 al 07/07/1304)
Domenicano, apprezzato per la sua umiltà e la sua pietà, divenuto Provinciale della Lombardia, riuscì a mettere pace tra i Domenicani e la città di Parma. Eletto nel capitolo di Strasburgo, promosse una tregua tra Edoardo I d'Inghilterra e Filippo il Bello. Nominato cardinale da Bonifacio VIII, non riuscì ad evitare che questi emanasse la Bolla che vietava agli ordini mendicanti di predicare e confessare fuori dai propri conventi. Nonostante ciò, si mantenne fedele a Bonifacio VIII durante il triste periodo di Anagni. Una volta papa entrò di fermare la lotta tra Filippo il Bello e i Colonna. Accortosi che l'opera di pacificazione era difficile in Roma, si trasferì a Perugia dove morì dopo una vita dedicata a comporre i dissidi che laceravano il suo secolo.

Etimologia: Benedetto = che augura il bene, dal latino

Martirologio Romano: A Perugia, transito del beato Benedetto XI, papa, dell’Ordine dei Predicatori, che, benevolo e mite, nemico delle contese e amante della pace, nel breve tempo del suo pontificato promosse la concordia nella Chiesa, il rinnovamento della disciplina e la cr


Treviso, la diocesi che dette alla Chiesa S. Pio X, è la patria di un altro papa, elevato agli onori degli altari: Benedetto XI. Come S. Pio X, anche Benedetto XI, per l'anagrafe Niccolò Boccasini, nato a Treviso nel 1240, proveniva da modestissima famiglia. Sua madre faceva la lavandaia nel vicino convento dei domenicani e questa sua mansione favorì l'ingresso del figlio nel giovane ordine di S. Domenico. Indossato l'abito religioso a diciassette anni, Niccolò completò gli studi a Milano. Ordinato sacerdote, fece ritorno a Treviso dove svolse il compito di insegnante nel proprio convento. Si distinse per mitezza di carattere, purezza di vita, umiltà e pietà. Eletto nel 1286 superiore provinciale della vasta regione lombarda, dieci anni dopo fu chiamato a succedere a Stefano di Besancon nella carica di generale dell'Ordine.
Poco dopo il Boccasini, figlio di un'umile lavandaia trevigiana, riuscì a realizzare una difficile tregua d'armi tra il re d'Inghilterra, Edoardo I, e il re di Francia, Filippo il Bello. Questa sua missione di pace, coronata dall'insperato successo, valse al generale dei domenicani il cappello cardinalizio, accordatogli da papa Bonifacio VIII, che intese con questa nomina premiare anche tutto l'ordine domenicano, per la sua adesione al pontefice. Il cardinale Boccasini era ad Anagni accanto a Bonifacio VIII quando questi venne colpito dallo schiaffo dell'emissario di Filippo il Bello, Guglielmo di Nogaret.
Morto Bonifacio VIII, i cardinali, riuniti in conclave a Roma, il 22 ottobre 1303 gli diedero come successore proprio il cardinale Boccasini, uomo conciliante e il più indicato a mettere riparo all'increscioso conflitto tra il papato e il re di Francia. Il nuovo pontefice, che assunse il nome di Benedetto XI, rispose alle attese. Pur mostrandosi duro con l'esecutore materiale del sacrilego gesto (rinnovò la scomunica al Nogaret e a Sciarra Colonna), sciolse il re dalle censure in cui era incorso.
Benedetto XI alla residenza romana preferì quella di Perugia, per tenersi lontano dai tumulti e dalle insidie, e dedicarsi al pacifico governo della Chiesa. Ma anche qui pare sia stato raggiunto dall'odio dei suoi nemici: sentendosi venir meno dopo aver assaggiato un fico fresco, probabilmente iniettato di veleno, fece spalancare le porte del palazzo per concedere un'ultima udienza e benedizione ai fedeli. Tra gli atti del suo breve pontificato (22 ottobre 1303 - 7 luglio 1304), c'è il decreto che fa obbligo a ogni cristiano di confessarsi almeno una volta all'anno.



Stellina788
00martedì 7 luglio 2009 09:15

Sant' Edda di Winchester Vescovo

7 luglio


Martirologio Romano: A Winchester in Inghilterra, sant’Edda, vescovo della Sassonia occidentale, uomo di insigne sapienza, che da Dorchester traslò in questa città il corpo di san Birino e vi stabilì la sede episcopale.


Stellina788
00martedì 7 luglio 2009 09:18

Sant' Etelburga (Edilburga) Badessa

7 luglio

m. 695

Figlia del re degli inglesi orientali, si consacrò a Dio come religiosa nel monastero di Ebreuil in Francia, del quale fu badessa.

Martirologio Romano: A Faremoutiers-en-Brie presso Meaux in Aquitania, in Francia, santa Edilburga, badessa, che, figlia del re degli Angli orientali, rese gloria a Dio con la severa astinenza del corpo e la perpetua verginità.


Stellina788
00martedì 7 luglio 2009 09:29

Beato Giovanni Giuseppe Juge de Saint-Martin Martire

7 luglio


Martirologio Romano: Nel braccio di mare antistante Rochefort in Francia, beato Giovanni Giuseppe Juge de Saint-Martin, sacerdote e martire, che, canonico di Limoges, durante la rivoluzione francese fu disumanamete detenuto per il suo acerdozio in una galera, dove consunto da


Stellina788
00martedì 7 luglio 2009 09:32

San Giuseppe Maria Gambaro Martire

7 luglio

Galliate (Novara), 7 agosto 1869 - Hoang-scia-wan (Cina), 7 luglio 1900

Martirologio Romano: Vicino alla città di Hengyang nella provincia dello Hunan in Cina, sant’Antonino Fantosati, vescovo, e Giuseppe Maria Gambaro, sacerdote dell’Ordine dei Minori, che, durante la persecuzione dei Boxer, approdati per portare aiuto ai fedeli, morirono lapida


Il 1° ottobre del 2000, papa Giovanni Paolo II ha canonizzato un numeroso gruppo di 120 martiri in Cina, vittime delle ricorrenti persecuzioni che si scatenarono contro la cristianità in quel grande Paese, fino al secolo XX.
Fra questi c’è un gruppo di 29 martiri, vittime nei primi giorni di luglio dell’anno 1900, dei famigerati ‘boxers’, che avevano scatenato una furiosa e sanguinosa persecuzione contro i cristiani e gli europei in generale, provocando in soli cinque mesi e nelle sole province dello Shan-si e dell’Hu-nan, una carneficina di circa 20.000 vittime fra vescovi, sacerdoti, religiosi, suore, catechisti e cristiani cinesi.
In questo gruppo di 29 santi martiri, che furono beatificati nel 1946 da papa Pio XII e che comprende 3 vescovi, 4 sacerdoti, 1 fratello religioso tutti Minori Francescani, 7 suore Francescane Missionarie di Maria, 5 seminaristi cinesi e nove domestici-collaboratori cristiani cinesi, 26 morirono decapitati a Tai-yuen-fu, sede del Vicariato dello Shan-si e tre nel Vicariato dello Hu-nan.
In questa scheda parleremo di padre Giuseppe Maria Gambaro, che insieme ai due francescani, mons. Antonino Fantosati e padre Cesidio Giacomantonio, diedero la loro vita per Cristo nello Hu-nan in Cina, nei giorni precedenti il massacro del 9 luglio a Tai-yuen-fu; anch’essi vittime dei sanguinari ‘boxers’ e dei loro fiancheggiatori pagani, aizzati dagli invidiosi bonzi confuciani, con vergognose calunnie contro i missionari; e favoriti dal crudele viceré Yü-sien e tollerati dalla settantenne imperatrice Tz-Hsi.
Bernardo Gambaro nacque a Galliate, provincia di Novara, il 7 agosto 1869 da Pacifico e Francesca Bozzolo pii genitori. Crebbe gioioso e esempio di bontà e di purezza; ad otto anni fece la Prima Comunione, cosa rara per quel tempo e già all’età di 13 anni, dopo aver seguito un corso di Esercizi Spirituali predicati in paese dai Padri Passionisti, maturò in lui l’ideale di farsi religioso.
Verso i 17 anni chiese il permesso ai suoi amati genitori e venne ammesso nel Collegio Serafico di Monte Mesma, posto sul Lago di Orta; il suo antico Superiore attestò che Bernardo veniva notato per la sua docilità e obbedienza alle Regole e per l’assidua occupazione allo studio.
Il 27 settembre 1886 fu ammesso al noviziato posto nello stesso convento, cambiando il nome in fra Giuseppe Maria; sempre del medesimo umore, sempre lieto, segno evidente del suo innocente candore.
Al termine del noviziato, andò a completare gli studi ginnasiali e liceali nel Convento di S. Maria delle Grazie in Voghera dove restò per tre anni, mantenendosi un perfetto esemplare di vita religiosa.
Terminati gli studi filosofici, il futuro martire passò al corso teologico a Cerano nel Novarese, dove pronunciò i voti perpetui il 28 settembre 1890, e il 13 marzo 1892 nello stesso convento di Cerano, già culla del beato Pacifico, venne consacrato sacerdote, alla presenza dei genitori venuti da Galliate.
Poi fu subito trasferito a dirigere il Collegio Serafico ad Ornavasso dove rimase in questo incarico delicato fino alla partenza per la Cina. Fu sempre amato dai suoi discepoli, ai quali sembrava un padre, una madre, un leale e sincero amico; attirava tutti con la sua amabile dolcezza.
Ma il suo antico desiderio di farsi missionario, si faceva più impellente e finalmente i suoi Superiori concessero il loro permesso; il 5 dicembre 1895 partì per Roma per essere sottoposto all’esame richiesto ai Missionari che avevano come destinazione la Cina; l’11 dicembre lasciò Roma per Napoli per imbarcarsi diretto ad Alessandria d’Egitto e poi in Terra Santa dove rimase per due mesi e da lì il 6 febbraio 1896 salpò definitivamente per la Cina.
Padre Giuseppe Gambaro scrisse al fratello le impressioni del lungo viaggio e gli incontri con le varie Missioni nelle tappe della nave, compresi i pericoli di epidemie e tempeste di mare. Giunto nel porto di Han-kow venne accolto dai suoi confratelli della ‘Casa di S. Giuseppe’, qui secondo l’antico uso locale depose l’abito francescano e indossò gli abiti cinesi, gli venne rasa la testa adattando il tradizionale codino.
Da Han-kow fu mandato a 1000 km di distanza a Heng-tciau-fu dove si dedicò all’apostolato fra i contadini e gli artigiani. Ma mons. Antonino Fantosati, Vicario Apostolico del Hu-nan era rimasto favorevolmente colpito dalla figura di padre Gambaro e soprattutto dalla sua esperienza come educatore di giovani chierici, così gli affidò il Seminario indigeno, nel contempo insegnò filosofia e teologia ad alcuni giovani cinesi vicini al sacerdozio.
Visse in questo compito gradito, felice di rivivere le dolci attrattive del Collegio serafico di Ornavasso; univa la dolcezza alla severità; ogni settimana si recava a Hoang-scia-wan per incontrarsi con il Vescovo e con il suo Vicario. Trascorsero così tre anni, finché giunsero nello Hu-nan quattro nuovi missionari di rinforzo, per cui il vescovo destinò padre Gambaro alla Comunità cristiana di Yen-tcion, realizzando così il desiderio antico del missionario, di essere apostolo attivo fra la popolazione e verso la fine di marzo del 1900 lasciò i suoi cari chierichetti e partì per la nuova destinazione, accolto con gli onori di un Gran Mandarino; si fece subito voler bene da tutti, cristiani e pagani, che lo rispettavano contenti di averlo con loro.
Padre Giuseppe Gambaro rimase pochi mesi a Yen-tcion, perché mons. Fantosati si era recato nella città di Lei-yang, per la Pentecoste del 1900, per battezzare e cresimare una ventina di catecumeni e per rendere più solenne la cerimonia e per avere un aiuto, richiese la presenza del missionario,
Dopo Lei-yang i due si fermarono a San-mu-tciao per ricostruire una cappella distrutta dai pagani l’anno precedente e qui giunse loro la notizia, che il 4 luglio 1900 la residenza del Vescovo (Vicario Apostolico del Hu-nan) mons. Fantosati a Hoang-scia-wan era stata distrutta dai pagani, aizzati dai ‘boxers’, come pure l’orfanotrofio e le case dei cristiani e dei protestanti; inoltre uno dei padri, Cesidio Giacomantonio, era stato ucciso e bruciato.
Il giorno 6 luglio, mons. Fantosati, padre Gambaro e quattro cristiani salirono su una barca per tornare a Hoang-scia-wan, nonostante i tentativi di molti cristiani di trattenerli. Verso mezzogiorno del 7 luglio la barca arrivò sul fiume nei pressi della città; riconosciuti da alcuni ragazzi e al grido “morte agli Europei” la plebaglia dalla riva, prese le barche dei pescatori e circondarono quella dei missionari, i quali a stento riuscirono a scendere sulla riva, dove aggrediti dalla folla urlante, furono massacrati con sassi e colpi di bastone; padre Gambaro morì dopo una ventina di minuti di percosse, mentre al vescovo Fantosati agonizzante per le botte, ma ancora vivo, un pagano gl’infilò un palo di bambù con punta di ferro da dietro; negli spasmi il martire riuscì a sfilarlo, ma un altro pagano preso lo stesso palo lo conficcò in modo che uscì dall’altra parte del corpo.
Padre Gambaro prima di spirare si era trascinato vicino al suo vescovo, gravemente ferito, quasi a stringerlo in un abbraccio e dopo avergli sussurrato qualcosa, a cui mons. Fantosati ormai morente, alzava con pena la mano per benedirlo e con quell’amplesso unico nella storia del Martirologio cristiano, morirono i due martiri; padre Giuseppe Gambaro aveva 31 anni di età, di cui quattro di vita missionaria.



Stellina788
00martedì 7 luglio 2009 09:35

Beata Ifigenia di S. Matteo (Francesca Maria Susanna) de Gaillard de la Valdène Martire

7 luglio

>>> Visualizza la Scheda del Gruppo cui appartiene


Martirologio Romano: A Orange sempre in Francia, beata Ifigenia di San Matteo (Francesca Maria Susanna) de Gaillard de la Valdène, vergine dell’Ordine di San Benedetto e martire durante la rivoluzione francese.



Stellina788
00martedì 7 luglio 2009 09:38

San Mael Ruain Vescovo e abate

7 luglio


Martirologio Romano: A Tallaght in Irlanda, san Máel Rúain, vescovo e abate, che riformò con impegno la celebrazione della sacra liturgia, il culto dei santi e la disciplina monastica.


Stellina788
00martedì 7 luglio 2009 09:41

San Marco Ji Tianxiang Martire

7 luglio


Martirologio Romano: Presso la città di Jixian nella provincia dello Hebei sempre in Cina, san Marco Ji Tianxiang, martire, che, escluso per trent’anni dal banchetto eucaristico perché non aveva voluto astenersi dall’uso di oppio, non cessò tuttavia di pregare di poter conclu


San Marco Ji Tianxiang Martire

7 luglio


Martirologio Romano: Presso la città di Jixian nella provincia dello Hebei sempre in Cina, san Marco Ji Tianxiang, martire, che, escluso per trent’anni dal banchetto eucaristico perché non aveva voluto astenersi dall’uso di oppio, non cessò tuttavia di pregare di poter conclu




Spunti bibliografici

Altri suggerimenti...




_______________________
Aggiunto il 2000-06-08
Letto da 711 persone


scri30
00mercoledì 8 luglio 2009 10:39

Santa Maria Guo Lizhi Martire

7 luglio


Martirologio Romano: Nel villaggio di Hujiacun presso Shenxian sempre nello Hebei, santa Maria Guo Lizhi, martire, che nella medesima persecuzione, come una seconda madre dei Maccabei, esortò alla fermezza d’animo sette suoi parenti che accompagnava al luogo del supplizio e,






scri30
00mercoledì 8 luglio 2009 10:40

Beata Maria Romero Meneses

7 luglio

Granada di Nicaragua, 13 gennaio 1902 - 7 luglio 1977

Suora dell'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice.Un'anima vulcanica, suor Maria Romero. Non era forse nata in Nicaragua, la terra dei quaranta vulcani? Non è un gioco di parole. È la realtà di una donna nata in una famiglia benestante e affermata (suo padre fu anche ministro delle finanze) che si è donata interamente ai più poveri fra i poveri. Con fiducia totale nella Provvidenza. Cresciuta in una famiglia cristiana, fin dall'infanzia si sentì apostola fra i coetanei. Ma sarà nel Costarica che Maria scoprirà - in modo decisivo, sconvolgente - la vera condizione dei poveri. Decidendo di dedicarsi a loro. Senza riserve. E dalla sua iniziativa nasceranno le misioneritas: altro che filantropia e pacchi dono, ma servizio ai poveri nei loro quartieri, nelle loro misere case. E sorgeranno gli oratori, a decine; e la Casita de la Virgen, sempre aperta alle necessità materiali e spirituali dei derelitti, e l'Opera sociale Maria Ausiliatrice, e la «cittadella», e la Asociación Ayuda Necesitados... Maria morì il 7 luglio 1977. Non solo opere: le cronache della sua vita narrano anche di preghiera, obbedienza, prodigi (come l'acqua della Madonna, un'anfora piena d'acqua con dentro un bel po' di medagliette di Maria; i suoi poveri mica potevano volare a Lourdes!). E un amore forte per Gesù Eucaristia.

Martirologio Romano: A León in Nicaragua, beata Maria Romero Meneses, vergine dell’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, che nei territori della Costarica si adoperò con bontà per l’istruzione delle giovani donne, specialmente povere ed abbandonate, e diffuse con zelo


Maria Romero Meneses nasce a Granada di Nicaragua il 13 gennaio 1902 da``famiglia borghese molto agiata ma altrettanto sensibile alle necessità degli``indigenti, ai quali presta regolarmenrte soccorso con generosità.

``

Iniziata in famiglia agli studi artistici, rivela un vero talento per la``musica e la pittura. A dodici anni nel collegio delle Figlie di Maria``Ausiliatrice, giunte da poco nel suo Paese, impara a conoscere Don Bosco: la``figura del grande apostolo della gioventù le appare subito congeniale, quasi``come l'incarnazione degli ideali che vibrano nel suo spirito, dapprima in modo``generico e vago, poi sempre più chiaro ed entusiasmante.

``

La sua scelta è fatta: nel 1923 è Figlia di Maria Ausiliatrice e nel nome``di questa sua Madre e «sua Regina» – come ama invocarla – svolge una``instancabile attività apostolica dando vita a grandiose opere sociali,``specialmente in Costa Rica dove è inviata nel 1931.

``

Con viva sensibilità evangelica ed ecclesiale conquista alla sua ansia``apostolica le giovani allieve, che diventano «missionarie» (misioneritas, le``chiama suor Maria) nei villaggi dei dintorni della Capitale, fra bimbi``semiabbandonati e famiglie diseredate. Poi anche adulti, persone facoltose``dell'imprenditoria e professionisti rinomati, sono conquistati dalla sua``devozione mariana che ottiene grazie strepitose; e si sentono quindi impegnati a``collaborare fattivamente alle iniziative assistenziali che suor Maria, sotto``l'azione dello Spirito, va progettando continuamente con l'audacia della più``autentica fede nella Provvidenza.

``

Per i suoi poveri suor Maria sogna sempre nuove soluzioni, sotto l'incalzare``delle urgenze: ottiene dapprima visite mediche gratuite, grazie all'opera``volontaria di medici specialisti, e con la collaborazione di industriali del``luogo avvia corsi di preparazione professionale per ragazze e donne che``avrebbero nella povertà una pessima consigliera. Di questo passo arriva in``breve a dare vita ad un poliambulatorio, con varie specialità, per assicurare``assistenza medico-farmaceutica alle molte persone e famiglie prive di ogni``garanzia sociale. Accanto ad esso predispone attrezzature adeguate per``l'accoglienza dei pazienti – talora intere famiglie – oltre a sale per la``catechesi e l'alfabetizzazione durante l'anticamera; poi la cappella e un``ridente giardino, e perfino la veranda con i canarini.

``

Per le famiglie senza tetto, spesso ridotte a una vita precaria sotto i ponti``della periferia, fa costruire – sempre con il sostegno di una sorprendente``Provvidenza – casette «vere», in cui nitore e proprietà, insieme con i``colori di un piccolissimo giardino, hanno la funzione pedagogica di ricuperare``anime amareggiate, restituire dignità a vite abbrutite dall'abbandono, aprendo``il cuore ad orizzonti di verità, di speranza e di nuova capacità di``inserimento sociale. Sorgono così le ciudadelas de María Auxiliadora: un'opera``che continua tuttora per l'interessamento dei suoi collaboratori attraverso``l'Associazione laica di Asayne (Asociación Ayuda a los Necesitados).

````

In mezzo al susseguirsi di opere da organizzare, e di una peculiare sua``attività di consigliera spirituale (ogni giorno ore e ore di impegnativi``colloqui privati, le cosiddette consultas) trova spazi e momenti di``ardenti elevazioni dello spirito e di una intensa vita mistica, che risulta``essere la sorgente della forza interiore da cui il suo apostolato promana e``riceve straordinaria efficacia.

``

Il suo ideale: amare profondamente Gesù, «suo Re» e diffonderne la``devozione accanto a quella della sua divina Madre. Sua intima gioia è la``possibilità di accostare alla verità evangelica i bambini, i poveri, i``sofferenti e gli emarginati. La più ambita ricompensa ai suoi sacrifici è il``vedere rifiorire in una vita «perduta» la pace e la fede.

``

Fattasi, come l'Apostolo, «tutta a tutti» e dimentica di sé per``conquistare sempre nuovi amici al suo Gesù, si spende fino all'ultimo dei suoi``giorni: il primo in cui si è decisa a prendersi un po' di riposo. La attendeva``il riposo eterno, con il «suo Re» e la «sua Regina». Era il 7 luglio 1977.

``

La fama della sua santità si esprime nel generale rimpianto dei suoi``assistiti e dei suoi collaboratori; e per opera di questi, nel continuo fiorire``delle opere da lei fondate.




 




scri30
00mercoledì 8 luglio 2009 10:40

Beato Oddino Barotti

7 luglio

Fossano, Cuneo, 1344 - Fossano, Cuneo, 7 luglio 1400

Nasce a Fossano nel 1344 e prima ancora di essere prete, Oddino diventa canonico della «collegiata» di San Giovanni, che diventerà cattedrale nel 1582, quando sarà costituita la diocesi fossanese. A 24 anni, nel 1368, Oddino diventa parroco. Nel 1376 è pellegrino in Terrasanta, dove viene sequestrato da predoni e per qualche tempo è loro prigioniero. Rientrato a Fossano si fa conoscere perché, come figlio spirituale di san Francesco d'Assisi (appartiene al Terz'Ordine), vive rigorosamente da povero, dirottando entrate e doni verso le famiglie più infelici. Su questa generosità cominciano presto a circolare racconti affettuosi, arricchiti da particolari che fanno pensare ai Fioretti di san Francesco. Al tempo della peste endemica in molte parti del Piemonte, Fossano rinnova e ingrandisce il suo ospedale, per l'impegno soprattutto di Oddino, è il 1382. Nel 1400, però, morirà anche lui colpito dal morbo spendendosi da infermiere per i malati. Nel 1808 è proclamato beato. (Avvenire)

Martirologio Romano: A Fossano in Piemonte, beato Oddino Barotti, sacerdote, che, parroco povero e di vita austera, mentre imperversava la peste, spese notte e giorno tutte le sue forze a favore degli ammalati e dei moribondi.


Più di 650 anni ci separano da lui, ma forse avrebbe ancora da dire qualcosa ai suoi concittadini, sacerdoti e laici, per l’eroismo di una fede integralmente vissuta e concretizzata in opere di carità. Affonda le sue radici nella parte più antica di Fossano (provincia di Cuneo), dove, in via Garibaldi, ancora si indica la casa in cui avrebbe visto la luce, nel 1344. Nobili (o almeno aristocratici) i suoi natali, che non gli impediscono, una volta sacerdote, di compiere scelte radicali e controcorrente. Canonico della Collegiata di San Giovenale prima ancora di essere ordinato prete, parroco della chiesa di San Giovanni, allora la più importante della città, pochi anni dopo l’ordinazione, ad un certo punto molla tutto e va pellegrino in Terra Santa. Che a quell’epoca non vuol dire compiere un semplice e comodo seppur devoto pellegrinaggio, tante sono le incognite e i pericoli di un viaggio lungo e defatigante, dal quale non sempre si ritorna. Ad attirarlo là è la sua profonda devozione alla Passione di Gesù, una devozione che vuole ritornare alla fonte, dove la Passione di Gesù si è consumata e dove egli vuole rinvigorire la sua fede. Non ha fatto però i conti con i Turchi, che lo fanno prigioniero e gli riservano pochi riguardi e tante sofferenze. Liberato, torna a Fossano, dove si vedono subito i frutti di questo sofferto pellegrinaggio: moltiplica le preghiere, le penitenze e le opere di carità, trascorre lunghe ore in meditazione davanti al crocifisso, vive poveramente, privandosi anche del necessario per vivere. Si lascia anche affascinare dall’ideale francescano, di cui oltre all’abito da terziario adotta anche la spiritualità. La gente è ammirata, ma anche preoccupata, del suo stile di vita, perché mangia lo stretto necessario per sopravvivere: un po’ di pane e qualche verdura. Eppure non c’è verso di fargli ingoiare qualcosa di più, perché tutto quanto gli regalano, perfino le pietanze già cotte, finisce invariabilmente nelle case della povera gente. Come quel cappone regalatogli per il pranzo di Natale, che egli si vergogna di mangiare mentre famiglie intere non hanno di che mangiare: lo fa così recapitare nella casa di una povera donna, che ha partorito da pochi giorni, dal suo inserviente che viene guidato all’indirizzo giusto da un cagnolino. E poichè i malati sono anch’essi poveri, non solo di salute ma a quell’epoca soprattutto di cure e di assistenza, ecco tuffarsi in questa nuova opera di misericordia: getta le basi dell’attuale ospedale, visita i malati poveri nei loro tuguri, costruisce un ospedaletto per i lebbrosi e un altro per i malati colpiti dal fuoco sacro. Tanto caritatevole perché altrettanto devoto e pio, costruisce quattro cappelle ai quattro punti cardinali (dedicate a San Lazzaro, San Bernardo, Santo Stefano e San Pietro) quasi a realizzare un’immaginaria croce a protezione della città. Finiscono per affidargli la Collegiata di San Giovenale (la futura cattedrale), ma la trova talmente in cattive condizioni da sentirsi in dovere di riedificarla. Durante questi lavori i suoi contemporanei sono spettatori di cose prodigiose: il muratore che cade dall’impalcatura della torre campanaria ed è dato per morto, si alza senza un graffio e torna subito al lavoro non appena egli lo prende per mano; il carro stracarico, sprofondato nella melma, riparte dopo una sua semplice benedizione. Un uomo così nessuno lo ferma, neppure una pestilenza. E si butta talmente in prima linea nell’assistere gli appestati da esserne lui stesso contagiato. Ed è proprio la peste ad ucciderlo, il 7 luglio 1400, quando ha appena 56 anni, tutti spesi per Dio e per i più bisognosi. Bisognerà attendere più di 400 anni, ma alla fine, nel 1808, Pio VII concederà l’aureola di Beato ad Oddino Barotti, il primo fossanese ad avere l’onore degli altari.


Preghiera
O Dio, che hai ispirato al Beato Oddino Barotti un grande amore per la passione del tuo Figlio ed un generoso zelo per le anime, fa’ che sorretti dal suo esempio e dalla sua intercessione, possiamo arrivare, attraverso il mistero della Croce, alla gloria della beata risurrezione. Per Cristo nostro Signore.


O Beato Oddino, grande nel regno dei cieli perché fosti umile ed amante della Croce su questa terra, volgi il tuo sguardo a noi che ti invochiamo fiduciosi del tuo patrocinio.
Tu dal cielo ci ami come amasti i fedeli che Dio ti aveva affidato in questa nostra città.
Tu conosci le nostre miserie e le nostre necessità. Intercedi per noi affinché il Signore ci conceda aumento di fede, di preghiera e di carità operosa; distrugga nei nostri cuori il verme dell’egoismo e dell’ipocrisia; ci doni la forza di superare le umane passioni e di vivere totalmente per Gesù Cristo, come Egli con infinito amore donò se stesso sacrificandosi sulla croce per la nostra salvezza.
Beato Oddino, prega per noi.





scri30
00mercoledì 8 luglio 2009 10:41

Sant' Oddone di Urgel Vescovo

7 luglio


Martirologio Romano: A Urgell nella Catalogna in Spagna, sant’Odone, vescovo, che, ancora laico, eletto per acclamazione del popolo e in seguito confermato, difese i più umili e si mostrò benevolo con tutti.






scri30
00mercoledì 8 luglio 2009 10:41

San Panteno

7 luglio


Martirologio Romano: Commemorazione di san Panteno di Alessandria, che fu uomo pervaso di zelo apostolico e ricco di ogni sapienza. Si tramanda che tali siano stati il suo interesse e l’amore per la parola di Dio, da partire, pieno di fede e di pietà, per portare l’annuncio d






scri30
00mercoledì 8 luglio 2009 10:42

Beato Pietro To Rot Martire della Papuasia

7 luglio

Nuova Bretagna, 1912 - Vunaiara, luglio 1945

Emblema: Palma

Martirologio Romano: Nel villaggio di Rakunai nell’isola di Nuova Britannia in Melanesia, beato Pietro To Rot, martire, che, padre di famiglia e catechista, fu arrestato durante la seconda guerra mondiale, perché aveva perseverato nel suo ministero, e subì così il martirio co


Erano in molti a scommettere che sarebbe diventato un prete con i fiocchi; invece, non solo mette su famiglia, ma per difendere il matrimonio finirà per rimetterci la vita. Per rintracciare quest’altro patrono della Gmg dobbiamo spostarci questa settimana in Papua Nuova Guinea, e precisamente a Rakunai (nei pressi di Rabual), dove nel 1912 nasce il Beato Pietro To Rot. Suo padre Angelo è un capotribù influente e carismatico, tra i primi convertiti al cattolicesimo, che ha avuto un ruolo fondamentale nella diffusione del Vangelo nella sua terra. Mamma Maria è invece una cristiana fervente, che sa educare la famiglia come i primi missionari europei hanno insegnato. Pietro eredita dal padre le doti del leader, da mamma una particolare sensibilità per la religione: è forse per questa felice fusione di doti naturali, insieme ad una devozione tutta speciale ed alla predisposizione per gli studi, che il missionario crede di individuare in lui i germi della vocazione al sacerdozio e già pensa di mandarlo a studiare in Europa. E’ papà Angelo (provvidenzialmente, diremmo oggi con il senno del poi) a decidere per Pietro ed a programmargli un futuro di capo laico e di catechista. Si prepara così a questo ministero laicale, confermando quanto gli altri avevano intuito di lui: sorprendentemente portato per l’insegnamento, ottimo conoscitore della Bibbia, capace di relazionarsi con tutti, con un forte ascendente soprattutto sui giovani. Un leader nato, insomma. A 21 anni appena, il più giovane di tutta la zona, è già un catechista impagabile, braccio destro e provvidenziale collaboratore del missionario. Nel 1936, a 24 anni, si sposa con Paula Varpit, una ragazza di 16 anni che sembra fatta apposta per lui, perché ne condivide la fede, gli ideali, i propositi e l’impegno. La loro è un’unione sorretta dalla preghiera quotidiana e dalla lettura della Bibbia: nella loro casa si respira una fede vissuta, testimoniata e poi anche trasmessa ai primi figli che arrivano. Con il passare degli anni la spiritualità di Pietro si affina, la sua naturale capacità di relazione si trasforma in cordiale disponibilità verso tutti, assume sempre più un ruolo di guida indiscussa: oltre che farsi apprezzare riesce pure a farsi amare. La gente si accorge che Pietro vive ciò che insegna e lo ammira per la forza del carattere, la coerenza e la generosità che dimostra. Nel 1942 l’esercito imperiale giapponese attacca ed occupa l’intera regione, prendendo subito di mira la religione portata dagli occidentali: tutti i missionari europei sono cacciati o internati nei campi di concentramento e si distruggono tutte le cappelle cattoliche. L’unico a rimanere “sul campo” è proprio Pietro: innanzitutto perché indigeno e poi perché laico, quindi non equiparabile ai missionari che i giapponesi vogliono colpire. Con naturalezza e semplicità si prende così in carico la comunità rimasta senza sacerdote: amministra battesimi, segue malati e moribondi, assiste alla celebrazione dei matrimoni, custodisce l’Eucaristia. E’ cosciente dei rischi che corre, ma è soprattutto convinto che bisogna “dare precedenza alle cose di Dio”. I giapponesi conciano a marcarlo stretto, coscienti di avere in lui il peggior nemico da abbattere in quanto unico punto di riferimento per i cattolici della zona. Le cose per lui si mettono decisamente male quando prende posizione netta contro la poligamia che i giapponesi vogliono di nuovo introdurre: l’unità e l’indissolubilità sono le caratteristiche irrinunciabili del matrimonio cattolico e Pietro lo grida, ripetutamente e forte, con la fermezza del Battista, che dalla sua cella si scagliava contro il concubinaggio di Erode. Con doppia sofferenza, ma con la coerenza di sempre, si oppone anche a suo fratello, che si è già preso una seconda moglie. Pietro sa che, così facendo, sta segnando irrimediabilmente la sua sorte, ma con grande serenità dice a tutti che “è bello morire per la fede”. Lo arrestano a Natale del ’44 e lo chiudono in un campo di concentramento, dove la sua serenità è turbata soltanto dal pensiero della sua comunità rimasta senza guida. Inutile ogni tentativo di liberarlo, anche quello organizzato dai metodisti in accordo con alcuni cattolici. I giapponesi vogliono liberarsi in fretta di quello scomodo testimone del Vangelo: in una notte imprecisata del luglio 1945 un medico giapponesi accompagnato da due ufficiali lo sopprime con una iniezione letale. Martire per la fede e per la difesa del matrimonio, il catechista Pietro To Rot, “marito devoto, padre amoroso e catechista impegnato” è stato beatificato da Giovanni Paolo II il 17 gennaio 1995.
``
Autore: Gianpiero Pettiti





Questo fiore della santità cattolica, sbocciato nella lontana e bella terra dell’arcipelago dell’attuale Stato di Papua Nuova Guinea, nacque nel 1912 nell’isola della nuova Bretagna a Rakunai - Rabaul.
I suoi genitori furono tra i primi abitanti di questa meravigliosa isola, che apparteneva allora all’arcipelago di Bismarck, colonia tedesca, a convertirsi dal paganesimo alla religione cattolica, dopo l’arrivo dei missionari nel 1882.
Frequentò la scuola elementare della Missione e il corso per catechisti nel vicino collegio S. Paolo di Taliligap, ottenuto il diploma di catechista, collaborò con il missionario di Rakunai nell’opera di evangelizzazione.
Si sposò con Paola Ia Varpit, l’11 novembre 1936, dalla loro unione nacquero tre figli di cui l’ultimo venne alla luce dopo la morte del padre.
Durante la II guerra mondiale, i giapponesi invasero l’arcipelago di Bismarck, che dal 1920 era stato affidato come mandato all’Australia, i sacerdoti e religiosi presenti nel territorio nel 1942, furono internati nel campo di concentramento e Pietro To Rot, il quale nel distretto era ben conosciuto per lo zelo a cui assolveva il suo compito di catechista, si assunse la responsabilità della comunità cattolica.
Sostituì per quanto consentito, l’attività pastorale dei missionari come le preghiere comunitarie, l’assistenza ai matrimoni, conferì il battesimo, dispensò quando poté l’Eucaristia agli ammalati.
Nel 1945, i giapponesi proibirono ogni attività religiosa, ma il beato nonostante il pericolo, proseguì nella sua opera, anche se in forma più discreta. Fu arrestato per questo due volte e condannato a due mesi di prigione; stava scontando ormai da sei settimane questa pena, nel campo di Vunaiara, quando fu ucciso in una notte del luglio 1945, dalle guardie che lo sorvegliavano.
Aveva più volte detto a parenti ed amici che era pronto anche a morire per la sua fede cristiana. La notizia della sua morte, suscitò nell’isola un rimpianto generale e la convinzione, sin d’allora, che si trattava della testimonianza di un autentico martire della fede.
La fama della sua santità si estese in tutto lo Stato e continua tutt’oggi; il papa Giovanni Paolo II, l’ha beatificato il 17 gennaio 1995, in una solenne cerimonia tenuta a Port Moresby, durante il suo viaggio apostolico che toccò anche la Papua Nuova Guinea.
La festa liturgica è stata fissata al 7 luglio.





scri30
00mercoledì 8 luglio 2009 10:42

Beati Ruggero Dickinson, Rodolfo Milner e Lorenzo Humphrey Martiri

7 luglio


Martirologio Romano: A Winchester in Inghilterra, beati martiri Ruggero Dickinson, sacerdote, e Rodolfo Milner, contadino e padre di famiglia, povero e analfabeta, ma fermo nella fede, i quali sotto la regina Elisabetta I furono catturati insieme e uccisi con il supplizio del






scri30
00mercoledì 8 luglio 2009 10:43

San Villibaldo

7 luglio

Wesse (Inghilterra meridionale), ca. 700 - Eichstätt (Germania), 786/787

Nasce intorno al 700 a Wesse, in Inghilterra. La sua famiglia lo mette a scuola dai monaci di Waltham, dove poi decide di farsi monaco. Ma è già fuori dalla cella e dall'Inghilterra prima dei voti definitivi: va in Terrasanta con un gruppo di pellegrini. Sta due anni a Roma, poi continua verso la Palestina, allora sotto gli arabi. Nel 729 rieccolo a Roma, dopo sette anni. Papa Gregorio II (715-731) lo manda a Montecassino, dove il tenacissimo bresciano Petronace ha rimesso in piedi i muri dopo la distruzione longobarda. Così il quasi-monaco d'Inghilterra ricompone una comunità nel solco della vera tradizione e dello stile di vita insegnato dal Fondatore. Dopo dieci anni torna a Roma, vi trova un Papa nuovo, Gregorio III (731-741), che lo invia a evangelizzare i tedeschi. Dalla Germania lo ha richiesto Winfrido, detto poi Bonifacio. Sta organizzando in Baviera una struttura diocesana, e nel 740 ordina Villibaldo sacerdote, consacrandolo poi vescovo di Eichstätt già l'anno dopo. Il vescovo Villibaldo costruisce la sua cattedrale, fonda un monastero. Si fa poi predicatore itinerante, davanti ad ascoltatori che solo in parte sono cristiani. Quest'opera lo impegna fino alla morte, avvenuta nel 787. (Avvenire)

Martirologio Romano: A Eichstätt nella Franconia, in Germania, san Villibaldo, vescovo, che, divenuto monaco, peregrinò a lungo per luoghi santi e per molte regioni per rinnovare la vita monastica e aiutò nell’evangelizzazione della Germania san Bonifacio, dal quale fu ordina


E' a questo camminatore inglese che Montecassino deve la sua rinascita spirituale, dopo la distruzione a opera del longobardo Zottone nel 580-81. La sua famiglia lo mette a scuola dai monaci di Waltham, dove poi Villibaldo decide di farsi monaco. Ma è già fuori dalla cella e dall’Inghilterra prima dei voti definitivi: va in Terrasanta con un gruppo di pellegrini, tra cui suo padre (che morirà a Lucca) e suo fratello Vinnibaldo. Sta due anni a Roma, poi continua senza il fratello verso la Palestina, allora sotto gli arabi. I pellegrini cristiani vi sono in genere bene accolti; in quel momento, tuttavia, per tensioni politiche con l’Impero d’Oriente, Villibaldo e i suoi rischiano la prigione: li credono spie. Ma il soggiorno prosegue in pace, e nel 729 rieccolo a Roma, dopo sette anni.
Ma non torna poi in patria. Papa Gregorio II (715-731) lo manda nel 729 a Montecassino, dove il tenacissimo bresciano Petronace ha rimesso in piedi i muri. Ora si tratta di rifare i monaci, dopo l’abbandono dei tempi di Zottone, quando con l’abate Bonito essi cercarono scampo a Roma, portando con sé soltanto la provvista di pane e il libro della Regola. Così il quasi-monaco d’Inghilterra (non ha ancora emesso la “professione” definitiva) ricompone una comunità nel solco della vera tradizione e dello stile di vita insegnato dal Fondatore. E in quest’opera spende altri dieci anni.
Tornato poi a Roma, vi trova un Papa nuovo, Gregorio III (731-741), che gli dice: "C’è bisogno di te per evangelizzare i tedeschi". Pronto, Villibaldo riparte, a suo agio dovunque, e soprattutto “di casa” in ogni parte d’Europa. Dalla Germania lo ha richiesto al papa Winfrido, detto poi Bonifacio, l’apostolo del mondo tedesco, che è imparentato con lui e ha già con sé il fratello Vinnibaldo. Sta organizzando in Baviera una struttura diocesana, e nel 740 ordina Villibaldo sacerdote, consacrandolo poi vescovo di Eichstätt già l’anno dopo.
Il vescovo Villibaldo costruisce la sua cattedrale, fonda un monastero e soprattutto controlla rigorosamente tutti gli altri, per incarico di Bonifacio. E poi incomincia per lui un’esperienza nuova: quella del predicatore itinerante, davanti ad ascoltatori che solo in parte sono cristiani. Quest’opera lo impegna fino alla morte. E lo rende eccezionalmente popolare, già con una fama di santità in vita, che poi si trasformerà in culto spontaneo e duraturo, molto in anticipo sul riconoscimento canonico.





Questa è la versione 'lo-fi' del Forum Per visualizzare la versione completa clicca qui
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 21:36.
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com