8 gennaio

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Stellina788
00venerdì 8 gennaio 2010 10:45

Sant' Alberto di Cashel Vescovo

8 gennaio

Il soggiorno di Erardo a Ratisbona negli anni a cavallo fra il VII e l'VIII secolo, la sua morte in quella città e il culto che gli fu reso soprattutto in Baviera - attestato da numerosi centri abitati che ne portano il nome - sono gli elementi più certi su questo santo, rimasto per il resto avvolto da uno spesso velo di leggenda. Secondo alcuni studiosi Erardo era vescovo di Ardagh in Irlanda, poi partì per il continente insieme al futuro sant'Alberto di Cashel, arrivando fino a Roma; poi, mentre Alberto proseguì per Gerusalemme, Erardo si recò in Baviera, stabilendosi a Ratisbona, dove sarebbe stato eletto vescovo. Altri invece suppongono che Erardo fosse un vescovo itinerante ordinato da san Bonifacio, il grande apostolo della Germania. Nella Vita di sant'Odilia, patrona dell'Alsazia, si racconta che, cieca dalla nascita, essa riacquistò miracolosamente la vista quando fu battezzata da Erardo vescovo di Ratisbona. Proprio il battesimo di Odilia (festeggiata il 13 dicembre), col conseguente prodigioso recupero della vista, è l'episodio della vita di Erardo che più ha colpito la fantasia, influenzando gli artisti che si sono a esso ispirati. (Avvenire)

Etimologia: Alberto = di illustre nobiltà, dal tedesco

Martirologio Romano: A Cashel in Irlanda, sant’Alberto, vescovo: di origine inglese, fu a lungo pellegrino per Cristo.


Santi Erardo di Ratisbona e Alberto di Cachel

Il soggiorno di Erardo a Ratisbona negli anni a cavallo fra il VII e l’VIII secolo, la sua morte in quella città e il culto che gli fu reso soprattutto in Baviera - attestato da numerosi centri abitati che ne portano il nome - sono gli elementi più certi su questo santo, rimasto per il resto avvolto da uno spesso velo di leggenda. Secondo alcuni studiosi Erardo era vescovo di Ardagh in Irlanda, poi partì per il continente insieme al futuro sant’Alberto di Cashel (che viene presentato come suo amico o come suo fratello e che è pure festeggiato alla data odierna), arrivando fino a Roma; poi, mentre Alberto proseguì per Gerusalemme, Erardo si recò in Baviera, stabilendosi a Ratisbona, dove sarebbe stato eletto vescovo. Altri invece suppongono che Erardo fosse un vescovo itinerante ordinato da san Bonifacio, il grande apostolo della Germania. Poco credibile appare l’attribuzione che è stata fatta a Erardo di un altro fratello, oltre ad Alberto, nella persona di sant’Idulfo, vescovo di Treviri: non ci sono infatti notizie sicure sulla supposta relazione di parentela fra i tre santi e l’epiteto frater contenuto in certi testi potrebbe avere il significato di «compagno di fede»; ma alcuni agiografi lo intendono in senso letterale. Nella Vita di sant’Odilia, patrona dell’Alsazia, si racconta che, cieca dalla nascita, essa riacquistò miracolosamente la vista quando fu battezzata da Erardo vescovo di Ratisbona. Proprio il battesimo di Odilia (la quale è festeggiata il 13 dicembre, nello stesso giorno in cui si ricorda santa Lucia, anche lei invocata contro le malattie degli occhi), col conseguente prodigioso recupero della vista - secondo gli agiografi simbolo della guarigione dalla cecità dell’errore, - è l’episodio della vita di sant’Erasmo che più ha colpito la fantasia popolare, influenzando gli artisti che si sono ad esso ispirati. Quanto ad Alberto, l’amico o fratello di Erardo, è certo che fu vescovo di Cashel in Irlanda; ma le altre notizie che si hanno su di lui sono poco attendibili e a volte contrastanti. Se ne è dedotto quanto segue. Poco dopo l’investitura Alberto ascoltò durante un concilio nel Sud dell’Irlanda un sermone in cui si illustravano i pericoli connessi al possesso dei beni terreni; riconoscendosi, con eccessivo scrupolo, fra le vittime designate da Satana, in quanto destinatario degli appannaggi vescovili, abbandonò la cattedra e si votò a una pia peregrinatio nel continente, insieme a sant’Erardo e ad alcuni discepoli. Giunto a Roma, dopo un incontro col papa il gruppo si divise; Alberto visitò la Palestina, quindi si recò a Ratisbona, per ritrovare Erardo. Quando vi giunse e apprese la notizia della sua morte pregò il Signore perché gli permettesse di raggiungerlo: la leggenda narra che la preghiera di Alberto fu esaudita dopo qualche ora.



Stellina788
00venerdì 8 gennaio 2010 10:46

Sant' Apollinare di Gerapoli Vescovo

8 gennaio

Martirologio Romano: A Gerapoli in Frigia, nell’odierna Turchia, sant’Apollinare, vescovo, che rifulse sotto l’imperatore Marco Aurelio per dottrina e santità.


Stellina788
00venerdì 8 gennaio 2010 10:47

Beato Edoardo Waterson Sacerdote e martire

8 gennaio

+ Londra, Inghilterra, 8 gennaio 1593

Anglicano che abbracciò la Fede cattolica e fu ordinato sacerdote. Inviato in missione in Inghilterra durante il regno di Elisabetta I, fu catturato e condannato a morte. Beatificato nel 1929.

Martirologio Romano: A Newcastle-on-Tyne in Inghilterra, beato Edoardo Waterson, sacerdote e martire, che, condannato a morte sotto la regina Elisabetta I perché venuto in Inghilterra come sacerdote, fu impiccato al patibolo.


Stellina788
00venerdì 8 gennaio 2010 10:48

Sant' Erardo di Ratisbona Vescovo

8 gennaio

Il soggiorno di Erardo a Ratisbona negli anni a cavallo fra il VII e l'VIII secolo, la sua morte in quella città e il culto che gli fu reso soprattutto in Baviera - attestato da numerosi centri abitati che ne portano il nome - sono gli elementi più certi su questo santo, rimasto per il resto avvolto da uno spesso velo di leggenda. Secondo alcuni studiosi Erardo era vescovo di Ardagh in Irlanda, poi partì per il continente insieme al futuro sant'Alberto di Cashel, arrivando fino a Roma; poi, mentre Alberto proseguì per Gerusalemme, Erardo si recò in Baviera, stabilendosi a Ratisbona, dove sarebbe stato eletto vescovo. Altri invece suppongono che Erardo fosse un vescovo itinerante ordinato da san Bonifacio, il grande apostolo della Germania. Nella Vita di sant'Odilia, patrona dell'Alsazia, si racconta che, cieca dalla nascita, essa riacquistò miracolosamente la vista quando fu battezzata da Erardo vescovo di Ratisbona. Proprio il battesimo di Odilia (festeggiata il 13 dicembre), col conseguente prodigioso recupero della vista, è l'episodio della vita di Erardo che più ha colpito la fantasia, influenzando gli artisti che si sono a esso ispirati. (Avvenire)

Martirologio Romano: A Ratisbona in Baviera, sant’Erardo: di origine scozzese, ardente dal desiderio di annunciare il Vangelo, venne in questa regione, dove svolse il ministero di vescovo.

Santi Erardo di Ratisbona e Alberto di Cachel
Il soggiorno di Erardo a Ratisbona negli anni a cavallo fra il VII e l’VIII secolo, la sua morte in quella città e il culto che gli fu reso soprattutto in Baviera - attestato da numerosi centri abitati che ne portano il nome - sono gli elementi più certi su questo santo, rimasto per il resto avvolto da uno spesso velo di leggenda. Secondo alcuni studiosi Erardo era vescovo di Ardagh in Irlanda, poi partì per il continente insieme al futuro sant’Alberto di Cashel (che viene presentato come suo amico o come suo fratello e che è pure festeggiato alla data odierna), arrivando fino a Roma; poi, mentre Alberto proseguì per Gerusalemme, Erardo si recò in Baviera, stabilendosi a Ratisbona, dove sarebbe stato eletto vescovo. Altri invece suppongono che Erardo fosse un vescovo itinerante ordinato da san Bonifacio, il grande apostolo della Germania. Poco credibile appare l’attribuzione che è stata fatta a Erardo di un altro fratello, oltre ad Alberto, nella persona di sant’Idulfo, vescovo di Treviri: non ci sono infatti notizie sicure sulla supposta relazione di parentela fra i tre santi e l’epiteto frater contenuto in certi testi potrebbe avere il significato di «compagno di fede»; ma alcuni agiografi lo intendono in senso letterale. Nella Vita di sant’Odilia, patrona dell’Alsazia, si racconta che, cieca dalla nascita, essa riacquistò miracolosamente la vista quando fu battezzata da Erardo vescovo di Ratisbona. Proprio il battesimo di Odilia (la quale è festeggiata il 13 dicembre, nello stesso giorno in cui si ricorda santa Lucia, anche lei invocata contro le malattie degli occhi), col conseguente prodigioso recupero della vista - secondo gli agiografi simbolo della guarigione dalla cecità dell’errore, - è l’episodio della vita di sant’Erasmo che più ha colpito la fantasia popolare, influenzando gli artisti che si sono ad esso ispirati. Quanto ad Alberto, l’amico o fratello di Erardo, è certo che fu vescovo di Cashel in Irlanda; ma le altre notizie che si hanno su di lui sono poco attendibili e a volte contrastanti. Se ne è dedotto quanto segue. Poco dopo l’investitura Alberto ascoltò durante un concilio nel Sud dell’Irlanda un sermone in cui si illustravano i pericoli connessi al possesso dei beni terreni; riconoscendosi, con eccessivo scrupolo, fra le vittime designate da Satana, in quanto destinatario degli appannaggi vescovili, abbandonò la cattedra e si votò a una pia peregrinatio nel continente, insieme a sant’Erardo e ad alcuni discepoli. Giunto a Roma, dopo un incontro col papa il gruppo si divise; Alberto visitò la Palestina, quindi si recò a Ratisbona, per ritrovare Erardo. Quando vi giunse e apprese la notizia della sua morte pregò il Signore perché gli permettesse di raggiungerlo: la leggenda narra che la preghiera di Alberto fu esaudita dopo qualche ora.



Stellina788
00venerdì 8 gennaio 2010 10:49

Beata Eurosia Fabris Barban Terziaria francescana

8 gennaio (9 gennaio)

Quinto Vicentino, 27 settembre 1866 – Marola (Vicenza), 8 gennaio 1932

Fu madre di nove figli, di cui tre divennero sacerdoti. Aderì al Terz’Ordine Francescano, vivendone lo spirito di povertà e di letizia. Donna di grande fede e carità, aiutò i bisognosi, assistette i malati e irradiò la luce del vangelo in famiglia e nella parrocchia di Marola (Vicenza), dove visse e morì.


Il santo nella Chiesa Cattolica, è colui che si lascia guidare dallo Spirito Santo e corrisponde alla sua chiamata. Lo Spirito ne plasma l'anima e quando vuole dare un messaggio alla sua Chiesa, lo presenta come esempio agli altri.
Questo è il senso della beatificazione e canonizzazione nella Chiesa Cattolica. E la santità si manifesta in ogni età, condizione sociale e luogo; così si mostrò anche nella vita e nella casa della madre di famiglia Eurosia Fabris Barban, la quale nacque il 27 settembre 1866 a Quinto Vicentino, grosso Comune ad 8 km da Vicenza.
I suoi genitori Luigi e Maria Fabris si trasferirono nel 1870 a Marola (Vicenza) e qui Rosina, come era chiamata in famiglia, frequentò solo le prime due classi elementari, perché poi dovette aiutare i genitori nei lavori dei campi; in quel tempo in cui l'analfabetismo femminile superava il 75%, fu una fortuna per lei che poté imparare a leggere, scrivere e fare i conti e la lettura fu la sua passione.
Crebbe nel clima cristiano della famiglia, ogni sera ci si riuniva per recitare il rosario; si prefisse sempre la ricerca della volontà di Dio per il suo futuro.
Le sue devozioni furono il Crocifisso, il Presepio, lo Spirito Santo, il Tabernacolo, la Vergine Maria, le anime del Purgatorio; condusse la sua adolescenza e giovinezza nella preghiera, nel lavoro, nella semplicità e nell'innocenza, completò la sua formazione con la lettura di libri utili studiando il catechismo e la Storia Sacra.
Insegnò il catechismo nella parrocchia di Marola alle fanciulle e in seguito insegnò nella sua casa l'arte del taglio e cucito alle giovani.
Nel 1885 quando Rosina aveva 19 anni, accadde una disgrazia nella casa dei suoi vicini, una giovane sposa moriva di un male incurabile, lasciando vedovo Carlo Barban di 23 anni, con due figliolette Chiara Angela e Italia di 20 e 4 mesi; assieme a loro convivevano il nonno Angelo anziano e ammalato e il fratello di Carlo ancora minorenne, Benedetto.
Una situazione tragica che colpì profondamente la giovane Rosina e quando le fu chiesto di accudire la casa come domestica, accettò ben volentieri, concentrando soprattutto le sue cure alle piccole bisognose di affetto.
La sua opera continuò per sei mesi, poi dietro richiesta del giovane vedovo, seguendo il consiglio dei parenti e del parroco, accettò di sposarlo soprattutto per poter accudire come una mamma le piccole orfane; vide in questo matrimonio la volontà di Dio, tante volte chiesto di manifestarsi.
Il matrimonio venne celebrato il 5 maggio 1886 nella loro chiesa parrocchiale di Marola, frazione di Torri di Quartesolo (VI); il suo matrimonio fu considerato da tutti uno squisito gesto di carità.
Entrando nella famiglia Barban, Eurosia Fabris era cosciente che non andava a fare la 'signora' come si dice; il marito Carlo, è vero possedeva dei buoni e produttivi campi, ma il padre Angelo si era lasciato truffare lasciando il figlio in una pesante situazione debitoria.
Rosina aveva capito il valore della povertà; anche Gesù era stato povero, eppure era il padrone del mondo. Amava che la casa fosse pulita e in ordine, si percepiva che si trattava di una povertà dignitosa; erano tempi di una forte crisi economica e sociale, ma Eurosia confidò sempre nell'aiuto di Dio.
Intanto la sua famiglia aumentava, ebbe sette figli propri, così come le aveva preannunciato la Madonna apparendole nel Santuario di Monte Berico; a loro si aggiunsero nel 1917 altri tre orfani di una nipote, Sabina, morta mentre il marito era al fronte nella Prima Guerra Mondiale; nessuno dei parenti voleva occuparsene, per cui Eurosia e il marito Carlo, non ebbero tentennamenti e l'accettarono in casa.
Al marito preoccupato di come si poteva andare avanti, lei rispondeva: “Coraggio Carlo, pensiamo che il Signore ci vede e ci ama; penserà lui a toglierci dalle necessità; ci soccorrerà di certo, almeno per i nostri bambini, egli che ama tanto l'innocenza”.
Rosa era molto generosa, faceva da balia spesso a bambini le cui madri non potevano allattarli, a volte si trovò con tre bambini contemporaneamente, distribuiva ai più poveri, latte, uova, minestra, che portava personalmente di nascosto, si può dire che se lo toglieva di bocca per donarlo.
In effetti Eurosia visse nei primi decenni del Novecento, che furono caratterizzati da una forte crisi economica, da tanta povertà, con l'emigrazione e con le conseguenze della guerra del 1915-18; il denaro era scarso e le famiglie bisognose numerose, non esisteva ancora la Previdenza Sociale e mamma Rosa faceva quello che poteva, non con i soldi che mancavano, ma con i prodotti dell'orto e del pollaio.
Persuase spesso il marito ad alloggiare i pastori o i pellegrini di passaggio e quasi ogni notte, nel fienile o nella stalla, c'erano persone che dormivano e alle quali Rosina forniva anche la cena; una volta una donna partorì anche un bambino nella stalla e lei si attivò per aiutarla, i coniugi Barban accolsero quella famiglia per tre giorni nella loro casa.
Della sua numerosa famiglia, tra figli suoi e adottati, due morirono in tenera età, altri due scelsero il sacerdozio don Giuseppe e don Secondo Barban, un altro Angelo Matteo, fu francescano con il nome di padre Bernardino Barban; Chiara Angela, la prima adottata, entrò fra le Suore della Misericorda di Verona; un altro morì seminarista e un altro fu francescano con il nome di frate Giorgio; gli altri sei dei complessivi tredici figli, scelsero la via del matrimonio; a tutti mamma Rosa insegnò a cercare senza sosta la volontà di Dio, se volevano salvarsi l'anima.
Durante gli studi dei due figli sacerdoti, dovette convincere Carlo il marito, di lasciarli andare, specie il primo destinato a dare una mano in famiglia lavorando i campi.
Non avendo denaro per la retta, i due giovani frequentarono il ginnasio da esterni, quindi tutte le mattine mamma Rosa si svegliava presto, per preparare la colazione ai due figli, che poi si recavano a piedi da Marola al Seminario di Vicenza; poi usciva per assistere alla Messa, al ritorno preparava la colazione per tutti gli altri, nel frattempo svegliati; oltre le faccende domestiche, dedicava il resto del tempo libero al lavoro di sarta fino a tarda sera, per contribuire al vacillante bilancio familiare.
In questa missione di madre cristiana, arricchita dalla spiritualità francescana del Terz'Ordine di cui Eurosia, sin dal 1916 era iscritta e frequentava assiduamente, si sacrificò e consumò, senza divertimenti di sorta, con un lento e continuo logorio, giorno per giorno, come una candela sull'altare della carità.
Morì l'8 gennaio 1932 circondata dall'affetto dei suoi cari; il 3 febbraio 1972 iniziò presso la Curia vescovile di Padova, il processo informativo per la sua beatificazione, conclusasi il 23 aprile 1977.
Il 22 giugno 2004 la competente Congregazione Vaticana, alla presenza del papa Giovanni Paolo II, ha riconosciuto la validità di un miracolo ottenuto grazie alla sua intercessione; ciò ha aperto la porta della beatificazione che avverrà nei prossimi mesi.
E' stata beatificata il 6 novembre 2005 a Vicenza sotto il pontificato di Benedetto XVI.
La diocesi di Vicenza la ricorda il 9 gennaio.

Autore: Antonio Borrelli





Una santità “feriale”, una carità spicciola, la delicatezza dei piccoli gesti e della bontà più squisita hanno portato un’altra mamma alla gloria degli altari. La beatificazione, programmata in aprile (e poi rinviata per la morte del Papa), è stata la prima in Italia a svolgersi nella diocesi di origine e senza la presenza del papa, secondo le nuove norme introdotte da Benedetto XVI. Nella cattedrale di Vicenza, dunque, in una cornice di millecinquecento rose bianche, lo scorso 6 novembre il Cardinale Prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi ha proclamato beata Eurosia Fabris Barban, una mamma di numerosa famiglia, tra figli propri ed adottati, vissuta a cavallo tra Ottocento e Novecento. Nasce il 27 settembre 1866 a Quinto Vicentino e quattro anni dopo, insieme alla famiglia, si trasferisce a Marola, frazione di Torri di Quartesolo, dove si snoderà tutta la sua vita di giovane impegnata, moglie e mamma e dove oggi riposano le sue reliquie. Rosina, come tutti la chiamano in casa, cresce in un clima familiare fortemente cristiano ed impegnato e, cosa rara a quei tempi, riesce ad imparare a leggere, scrivere e far di conto, pur avendo frequentato solo le prime due classi elementari. Catechista in parrocchia, sarta e maestra di cucito in casa, a 19 anni la sua vita è sconvolta dalla morte di una giovane mamma, sua vicina di casa, che lascia orfane due bimbe di pochi mesi. Rosina entra in quella casa come domestica e, diremmo oggi, soprattutto baby sitter, dato che le sue attenzioni e il suo amore si riversano subito sulle due orfanelle. Sei mesi dopo il vedovo, Carlo Barban, un giovane di 23 anni, la chiede in sposa e lei accetta, dopo essersi consigliata in famiglia e con il confessore, per amore di quelle bimbe. Se questa motivazione potrebbe anche non essere la base per un vero “matrimonio d’amore”, il gesto di Rosina viene interpretato da tutti come uno squisito gesto di carità, perché lei è ben cosciente della situazione economica disastrata della famiglia del marito, dove c’è anche un suocero anziano e malato da accudire e un cognato ancora minorenne cui badare. Da quel momento la vita di Rosina è ogni giorno intessuta da piccoli e grandi gesti di carità. Mette al mondo sette figli, ma altrettanti ne accudisce, tra quelli nati dal primo matrimonio del marito e altri orfani che accoglie in casa. Per trovare il pane necessario a tutte quelle bocche fa la sarta dal mattino alla sera, eppure nessuno bussa alla sua porta senza ricevere qualcosa, magari anche solo uova, latte e minestra che si toglie di bocca. Allatta i bimbi delle altre senza accettare compenso, si presta per l’assistenza dei malati, ospita pellegrini e poveri di passaggio, educa la famiglia ad una soda vita cristiana ed è contenta delle tante vocazioni sacerdotali e religiose che sbocciano in casa sua. Carlo Barban muore nel 1930, Rosina lo segue neppure due anni dopo, l’8 gennaio 1932. Ora la Chiesa la proclama beata per dare a tutte le mamme un modello ed una protettrice in più, perché si è santificatasi semplicemente tra orto, stalla e cucina. Davvero una santità alla portata di tutti.


Stellina788
00venerdì 8 gennaio 2010 10:49

Beata Giacobella Maria della Croce Vergine mercedaria

8 gennaio

+ Madrid, Spagna, 3 agosto 1643

Monaca di clausura, la Beata Giacobella fu la prima commendatrice del monastero mercedario di Madrid. Si distinse per la vita esemplare e per la pratica delle virtù ed i miracoli la resero famosa. Piena di meriti raggiunse la gloria eterna il giorno 3 agosto dell’anno 1643, a Madrid.
L’Ordine la festeggia l’8 gennaio.



Stellina788
00venerdì 8 gennaio 2010 10:50

San Giorgio il Chozibita Eremita

8 gennaio

Martirologio Romano: Nel monastero di Coziba in Palestina, san Giorgio, monaco ed eremita, che viveva recluso per l’intera settimana e la domenica pregava insieme ai suoi confratelli, li ascoltava nelle questioni spirituali e dava a tutti consiglio.

Nacque a Cipro. Il suo fratello maggiore, Eraclide, aveva lasciato l’isola per darsi, in Palestina, alla vita monastica. Dopo la morte dei genitori, anch’egli volle abbracciare la vita ascetica e andò a trovare suo fratello nella laura di Calamon, sulle rive del Giordano. Ma era ancora troppo giovane per vivere la vita eremitica, pertanto il fratello lo condusse alla laura di Koziba, sulla sinistra della strada che va da Gerusalemme a Gerico, per iniziarlo dapprima alla vita conventuale. Qui fu messo sotto la direzione di un vecchio monaco della Mesopotamia che era piuttosto severo. Un giorno lo schiaffeggiò senza motivo ma la sua mano si disseccò e poté guarire solo grazie alla preghiere di Giorgio. Il prodigio gli attirò una popolarità tale da indurlo a pensare che per lui fosse meglio…cambiare aria. Decise di tornare da Eraclide con cui visse finché questi morì all’età di 70 anni circa .Giorgio restò a Calamon fino alla morte dell’abate, ma essendo sorsi dissensi tra gli eremiti decise di tornare al monastero di Koziba dove fu accolto con gioia dall’abate Leonzio. Avvicinandosi i Persiani alla conquista di Gerusalemme, tutti i monaci abbandonarono il monastero (614);anche Giorgio se ne andò e si rifugiò nei pressi di Calamon, ma fu scoperto dai persiani che però, a causa della sua età avanzata, lo lasciarono in pace. Giorgio poté compiere un ultimo pellegrinaggio a Gerusalemme e quindi tornò a Koziba dove morì. .
E’ commemorato il 14 febbraio.



Stellina788
00venerdì 8 gennaio 2010 10:51

Santa Gudula Vergine

8 gennaio

Hamme, Belgio, 650 - 712 circa

Patronato: Belgio, Bruxelles

Etimologia: Gudula = buona, gentile, dal celtico

Emblema: Lanterna, Candela

Martirologio Romano: A Moorsel in Brabante, nell’odierno Belgio, santa Gúdila, vergine, che si dedicò in casa sua alla carità e alla preghiera.

Santa Gudula, oggi festeggiata dal Martyrologium Romanum, è la patrona del Belgio ed in particolare di Bruxelles, capitale belga, ove le è dedicata una grande chiesa. Poche sono però le notizie certe sulla sua vita. Nell’XI secolo Hubert di Brabante asserì aver tratto spunto nello scrivere la vita della santa da una versione più antica. Gudula fu esponente di una famiglia impregnata di santità: suo padre, il conte Witger, divenne poi monaco, sua madre fu Santa Amalberga, santa fu anche sua sorella Raineld, nonché le sue cugine Gertrude di Nivelles e Begga, figlie dei santi Pipino di Landen ed Ida di Nivelles.
La giovane Gudula fu educata nel monastero di Nivelles sotto la guida della cugina Santa Gertrude, sua madrina. Dopo la sua morte visse con i genitori presso Hamme, nei pressi di Alost nel Brabante, dedita alla preghiera, digiuni ed opere di carità. Ogni giorno all’alba si recava all’alba sino alla chiesa di Moorsel, distante quattro chilometri da casa, per vegliare in orazione.
La tradizione di raffigurare la santa con una lanterna od una candela accesa nasce proprio da questa narrazione e la legenda vuole che spesso il diavolo tentasse di spegnerla con un soffio. La medesima rappresentazione è riscontrabile in Santa Genoveffa di Parigi.
Gudula morì assai probabilmente verso l’anno 712 ad Hamme, sua città natale, e fu sepolta dinnanzi al portale della chiesa. Durante il regno di Carlo Magno, suo lontano parente in quanto discendente di Pipini di Landen, le reliquie della santa vennero traslate dietro l’altar maggiore della chiesa del Santissimo Salvatore in Moorsel. Si dice che lo stesso imperatore fosse solito recarsi a pregare sulla sua tomba e fondò nei paraggi un monastero dedicato alla memoria della santa, poi distrutto dai normanni.
Nel 978, grazie all’intervento del conte di Lorena, i resti della santa furono trasferiti nella chiesa di Saint-Géry di Bruxelles, per poi essere nuovamente trasferiti nel 1047 nella più crande chiesa collegiata di San Michele, poi ribattezzata in onore di Santa Gudula. Le sue reliquie furono infine disperse per mano dei calvinisti nel 1579.



Stellina788
00venerdì 8 gennaio 2010 10:52

Beato Leandro Mercedario

8 gennaio

Il Beato Leandro fu maestro sapientissimo in Sacra Teologia e in Sacra Scrittura e fu coltissimo nelle lingue latina, greca, arabica, ebraica e caldea. Scrisse molti libri in poesia e in prosa e pieno di celesti carismi si addormentò in una santa fine nel monastero mercedario di Santa Eulalia in Murcia (Spagna).
L’Ordine lo festeggia il 7 gennaio.



Stellina788
00venerdì 8 gennaio 2010 10:53

San Lorenzo Giustiniani Vescovo

8 gennaio - Comune

Venezia, luglio 1381 - 8 gennaio 1456

Di nobilissima famiglia, si diede ad una vita ascetica dopo una visione della Sapienza Eterna. Entrò nella Congregazione dei Canonici Secolari dell'isola di San Giorgio, di cui fu Superiore, continuando a dedicarsi alla preghiera e alla contemplazione ma anche alla questua per le strade. Vescovo di Castello, riformò con zelo apostolico la sua diocesi e, nominato prima patriarca di Venezia seppe, grazie anche alla sua umiltà e santità, sanare la frattura tra la Chiesa e il potere civile. Nei suoi scritti, opere varie e sermoni c'è l'idea madre dell'Eterna Sapienza, elemento dominante della sua mistica. Essa, negli scritti del periodo monacale, guida l'uomo al vertice della perfezione interiore e, degli scritti successivi, al vertice della vita episcopale.

Etimologia: Lorenzo = nativo di Laurento, dal latino

Emblema: Bastone pastorale, Portamonete

Martirologio Romano: A Venezia, san Lorenzo Giustiniani, vescovo, che illuminò questa Chiesa con la dottrina dell’eterna sapienza.

Ascolta da RadioVaticana:
  
Ascolta da RadioRai:
  
Ascolta da RadioMaria:
  

Un figlio accattone non è un bel vedere per la nobile famiglia Zustinian o Giustiniani, ornamento della Serenissima. Lui, Lorenzo, arriva a mendicare fin sotto casa. I servi corrono a riempirgli la bisaccia, purché si tolga di lì. Lui accetta soltanto due pani, ringrazia e continua. Il suo scopo non è l’“opera buona” in sé. E’, addirittura, la rigenerazione della Chiesa attraverso la riforma personale di chierici e laici. L’umiliazione del mendicare ha valore di "vittoria sopra sé stessi", di avversione alle pompe prelatizie, di primo passo verso il rinnovamento attraverso la meditazione, la preghiera, lo studio, l’austerità. L’intraprendente e battagliera Venezia del Quattrocento è anche un fervido laboratorio di riforma cattolica, destinato a portare frutti preziosi.
Lorenzo Giustiniani è diacono nel 1404, quando si unisce ad altri sacerdoti, accolti nel monastero di San Giorgio in Alga, per vivere in comune tra loro, riconosciuti poi come “Compagnia di canonici secolari”: sono i pionieri dello sforzo riformatore. Sacerdote nel 1407, due anni dopo è già priore della comunità di San Giorgio in Alga.
Lorenzo ha scarse doti di oratore, ma “predica” con molta efficacia, da un lato, continuando a girare con saio e bisaccia; e, dall’altro, scrivendo instancabilmente. Scrive per i dotti e per gli ignoranti, trattati teologici e opuscoletti popolari, offrendo a tutti una guida alla riforma personale nel credere e nel praticare. Spinge i fedeli a recuperare il senso di comunione con tutta la Chiesa, anima la fiducia nella misericordia di Dio piuttosto che il timore per la sua giustizia.
Nel 1433 arriva la nomina a vescovo, sebbene egli cerchi di evitarla, aiutato dai confratelli di San Giorgio in Alga: ma di lì viene anche papa Eugenio IV, Gabriele Condulmer, che conosce benissimo Lorenzo e non dà retta ai suoi pretesti: la stanchezza, il compito troppo difficile...
Eccolo perciò vescovo “di Castello”, dal nome della sua residenza, che è un’isoletta lagunare fortificata, l’antica Olivolo. Nel 1451, poi, Niccolò V sopprime quello che resta del patriarcato di Grado, e dà a Lorenzo Giustiniani il titolo di patriarca di Venezia: il primo.
Vengono i tempi duri della lotta contro i Turchi. Nel 1453 cade in mano loro Costantinopoli, e "a Venezia è tutto un pianto, non si sa che fare", come scrive un testimone. Lorenzo Giustiniani va avanti con rigore nell’opera di riforma, inimicandosi qualche volta il Senato, altre volte i preti, e affascinando i veneziani che già lo tengono per santo.
Dopo la sua morte, essi ottengono che il suo corpo resti sepolto per sempre nella chiesa di San Pietro in Castello. Lo canonizzerà, nel 1690, papa Alessandro VIII (il veneziano Piero Ottoboni), ma la pubblicazione ufficiale si avrà soltanto con papa Benedetto XIII nel 1727.



Stellina788
00venerdì 8 gennaio 2010 10:54

Santi Luciano, Massimiano e Giuliano Martiri

8 gennaio

+ Beauvais, Francia, 290 circa

Luciano, Massimiano e Giuliano furono tre missionari inviati da Roma da papa San Clemente I attorno alla metà del III secolo d.C. per evangelizzare la regione di Beauvais, nelle Gallie. Qui subirono il martirio durante le persecuzioni dell'imperatore Diocleziano. Luciano, in quanto capo della spedizione, è considerato fondatore e primo vescovo della diocesi di Beauvais, di cui è patrono.

Martirologio Romano: A Beauvais in Francia, santi Luciano, Massimiano e Giuliano, martiri.


Stellina788
00venerdì 8 gennaio 2010 10:55

San Massimo di Pavia Vescovo

8 gennaio

Pavia, † 514

Etimologia: Massimo = grandissimo, dal latino

Emblema: Bastone pastorale

Martirologio Romano: A Pavia, san Massimo, vescovo.

S. Massimo nella serie dei vescovi di Pavia, esercitò il suo episcopato dopo il vescovo Epifanio e prima del vescovo Ennadio, quest’ultimo ne fece anche un elogio generico nel suo “Dictio in dedicatione missa Maximo episcopo”, pervenuto fino a noi.
In base a queste notizie si può collocare il suo episcopato tra la fine del V e l’inizio del VI secolo, il ‘Martyrologium Romanum’ riporta come anno della sua morte il 514.
Vi sono ancora alcuni documenti storici che parlano di lui, uno del XIII secolo che indica il 9 gennaio come giorno della sua memoria e un altro del secolo XIV che lo colloca tra i vescovi di Pavia canonizzati e dice che era sepolto nella chiesa di S. Giovanni in Borgo.
Per un errore di trascrizione nella lista episcopale dell’antica città di Pavia, risultano due Massimo, ma in realtà è uno solo, ricordato due volte.
Attualmente egli è ricordato nella diocesi l’8 gennaio.
Il nome Massimo viene dal latino ‘Maximus’ ricavato dal superlativo di ‘magnus’ (grande) con il significato quindi di “il maggiore”.
Nome molto diffuso, i santi e le sante che portarono questo nome sono ben 40. Il più celebre è s. Massimo vescovo di Torino nel V secolo (25 giugno). La diffusione laica è avvenuta per il prestigio di Quinto Fabio Massimo ( detto “Il Temporeggiatore”) console nel II secolo a.C. durante la guerra contro Annibale.


Stellina788
00venerdì 8 gennaio 2010 10:56

San Nathalan Vescovo dell'Aberdeen-Shire

8 gennaio

Martirologio Romano: Nella regione di Aberdeen in Scozia, san Nathalan, vescovo, insigne per la carità verso i poveri.


Stellina788
00venerdì 8 gennaio 2010 10:57

San Paziente di Metz Vescovo

8 gennaio

Martirologio Romano: A Metz sempre in Francia, san Paziente, vescovo.


Stellina788
00venerdì 8 gennaio 2010 10:58

San Severino Abate

8 gennaio

410-482

Nato da nobile famiglia romana, visse una vita austera e penitente ed ebbe fama di taumaturgo. Tale era il suo carisma che, da regioni lontane, i potenti gli chiedevano consigli. Egli aveva compreso che la società romana in decadenza avrebbe beneficiato di questa linfa nuova quando fosse stata evangelizzata; in questo senso è esempio, ancora oggi, di apertura e lungimiranza.

Etimologia: Severino = austero, rigido, signif. chiaro

Emblema: Bastone pastorale

Martirologio Romano: Nel Norico lungo il Danubio, nell’odierna Austria, san Severino, sacerdote e monaco: venuto in questo territorio dopo la morte di Attila, capo degli Unni, difese le popolazioni inermi, ammansì i violenti, convertì gli infedeli, fondò monasteri e si dedicò a quanti erano privi di istruzione religiosa.

Ascolta da RadioMaria:
  

Nel V secolo l'impero romano d'Occidente fu progressivamente sommerso dagli invasori germànici: Visigoti, Ostrogoti, Vandali, Svevi, Burgundi, Alemanni, Franchi. Nella generale devastazione solo le realtà e le autorità cristiane costituivano un punto fermo per la sopravvivenza. Tale è il contesto storico in cui si inseriscono la figura e l'opera di S. Severino, l'apostolo del Nòrico. Nato forse da nobile famiglia romana verso il 410, dopo un soggiorno in Oriente, intorno al 454 si stabilì sul Danubio, ai confini del Norico e della Pannonia, erigendovi dei monasteri idonei a dar rifugio alle popolazioni minacciate e al tempo stesso punti di irradiazione del vangelo tra le tribù barbare.
Ugualmente portato alla vita contemplativa ed eremitica ed all'attività missionaria e favorito del carisma della profezia, S. Severino fu preveggente anche sul piano umano. Comprese infatti che il moto delle giovani popolazioni barbare era inarrestabile e che la decadente società romana avrebbe tratto vigore dalla trasfusione di queste nuove forze.
Era però necessario aprire le loro menti alla verità del vangelo prima ancora entrare in diretto contatto. Con un gesto coraggioso che gli attirò l'ammirazione dei rudi guerrieri, raggiunse Comagène, già in mano nemica; la sua concreta carità verso i bisognosi gli conquistò in maniera definitiva il cuore semplice dei "barbari", a cominciare dai capi. Gibuldo, re degli Alamanni, mostrava per lui "somma riverenza ed affetto", come dice il suo biografo Eugippo, e lo ascoltava con rispetto, docile come un figlio; Flacciteo, re dei Rugi, "lo consultava nelle imprese pericolose come un oracolo celeste".
Non mancarono segni del cielo che convalidavano le sue parole. Un giorno la nuora di Flacciteo aveva convinto questi, contro il parere di Severino, a non concedere la libertà ad alcuni prigionieri; Severino l'ammonì con energia a temere l'ira di Dio: quella notte stessa il nipote di Flacciteo venne fatto prigioniero da un'altra tribù barbarica e ottenne la libertà solo per intervento di Severino.
Riverito e amato dall'umile gente come da re e guerrieri, egli visse poveramente, senza trarre per sé alcun vantaggio materiale: vestiva una tunica identica estate e inverno, dormiva le poche ore di sonno steso per terra, con i fianchi cinti dal cilicio, e in quaresima prendeva cibo solo una volta alla settimana. Morì l'8 gennaio 482. Le sue reliquie vengono ora venerate a Frattamaggiore (Napoli) insieme al martire Sosso.



Stellina788
00venerdì 8 gennaio 2010 10:59

Santi Teofilo ed Elladio Martiri

8 gennaio

Martirologio Romano: In Libia, santi martiri Teofilo, diacono, e Elladio: si tramanda che, dopo essere stati dilaniati e punti con cocci affilatissimi, furono infine gettati nel fuoco.



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