9 agosto

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Stellina788
00lunedì 9 agosto 2010 12:01

Beata Candida Maria di Gesù Cipitria (Giovanna Giuseppa Cipitria y Barriola) Fondatrice

9 agosto

Andoain (Guipuzcoa, Spagna), 31 maggio 1845 - Salamanca, 9 agosto 1912

Martirologio Romano: A Salamanca in Spagna, beata Candida Maria di Gesù (Giovanna Giuseppa) Cipitria, vergine, che fondò la Congregazione delle Figlie di Gesù per collaborare nell’opera di formazione cristiana dei fanciulli.

Giovanna Giuseppa primogenita dei sette figli di Giovanni Michele Cipitria tessitore e di Maria Gesù Barriola, nacque il 31 maggio 1845 nel casale di Berrospe, antica ‘casa torre’ del paese di Andoain nella regione di Guipúzcoa (Spagna); a tre anni il 5 agosto 1848, ricevette la Cresima.
Per motivi di lavoro la famiglia si trasferì nel 1852 a Tolosa e qui Giovanna Giuseppa trascorse l’infanzia e l’adolescenza, impegnata nei compiti di solito spettanti alla più grande di una numerosa famiglia, badò alle sorelle più piccole insegnando loro le preghiere e le canzoni che aveva imparato; come spesso accadeva in quei tempi non andò a scuola.
A dieci anni nel 1855 fece la Prima Comunione, fu un incontro con Gesù che le lasciò tanta gioia e sin da allora avvertì che non poteva appartenere se non a Lui; proposito che ribadì quando le si presentò una vantaggiosa proposta di matrimonio.
Nel 1865 si trasferì a Burgos a servizio della famiglia Mantoya, ma vedendo le difficoltà che le facevano per le sue pratiche religiose, il suo confessore padre Raimondo Sureda gesuita, la fece trasferire presso la famiglia del magistrato Giuseppe Sabater Noverges, la cui consorte Hermitas Becerra, donna di eccezionali virtù, l’agevolò nelle pratiche cristiane e con il confessore la guidarono all’orazione quasi continua e a vedere più chiaramente i tratti della sua spiritualità: la devozione eucaristica e mariana, la predilezione per i poveri, la donazione di sé e la penitenza, la meditazione per la Passione del Signore.
Seguendo la famiglia Sabater Becerra a Valladolid nel 1868, qui trovò la definizione della volontà di Dio, con l’incontro di padre Michele de Los Santos San José Herranz, che in seguito alla Rivoluzione di Spagna del 1868, viveva fuori dal chiostro in casa di suo fratello.
Il loro incontro fu provvidenziale e permise di riconoscere come volontà divina, l’ispirazione che Giovanna Giuseppa Cipitria y Barriola, ebbe il 2 aprile 1862 davanti all’altare della Sacra Famiglia nella Chiesa del Rosarillo e cioè che sarebbe stata la fondatrice di una congregazione di religiose denominate “Figlie di Gesù”, dedite all’educazione e all’istruzione, quale mezzo di salvezza delle anime, soprattutto delle bambine e delle giovani.
La stessa ispirazione l’aveva ricevuta padre Herranz durante la celebrazione della Messa, cosicché quando Giovanna Giuseppa gli raccontò la sua esperienza, egli non tardò a riconoscerla come volontà di Dio.
Cominciò così subito l’istruzione culturale e spirituale della giovane, che era quasi analfabeta, fra lo scetticismo di parecchi, mentre altri fra i quali il vescovo di Salamanca Joaquin Lluch y Garriga, considerarono quell’opera utile per la Chiesa e benefica per la società.
L’8 dicembre del 1871 dopo aver affittato una casa a Salamanca, Giovanna Giuseppa fondò la Congregazione delle Figlie di Gesù insieme a cinque compagne e cambiando il nome in Candida Maria di Gesù; la Congregazione fu approvata il 3 aprile 1873 dal suddetto vescovo di Salamanca.
L’8 dicembre 1873 la Madre Fondatrice e le consorelle emisero i voti religiosi e un mese dopo aprirono il loro primo collegio a Salamanca, più una scuola domenicale per le domestiche.
Dopo le necessarie tappe di riconoscimento succedutesi negli anni seguenti, il 6 agosto 1901 la nuova Congregazione ottenne l’approvazione della Santa Sede e il 27 ottobre 1902 l’approvazione delle Costituzioni, che la stessa Madre Candida Maria di Gesù aveva presentate e difese a Roma.
Col tempo si dimostrò che dietro quella semplice e quasi analfabeta giovane, stava una forza provvidenziale che dava a suor Candida la forza di proclamare la sua speranza, con la generosità di chi si abbandona nelle mani del Padre in cui credeva e sperava: “È posta nelle mani di Dio la nostra causa. Siamo Figlie di Gesù. Egli ci difenderà da ogni male. Questa è la nostra speranza e non saremo deluse”.
Pur mancando di risorse materiali, madre Candida portò avanti il consolidamento della sua opera, lavorando per l’estensione del Regno di Dio e la sua maggior gloria, poté così esclamare nell’ora della sua morte, avvenuta a Salamanca il 9 agosto 1912: “Muoio tranquillamente serena, perché dei 41 anni della mia vita religiosa, non ricordo un solo momento che non sia stato per Dio”.
Fu sepolta nella Casa madre della Congregazione; oggi la sua Opera è diffusa in 12 Stati d’Europa, delle Americhe, dell’Asia. Il processo per la sua beatificazione ebbe inizio nel 1942 e il 12 maggio 1996 papa Giovanni Paolo II l’ha proclamata beata a Roma. La celebrazione liturgica è il 9 agosto.



Stellina788
00lunedì 9 agosto 2010 12:01

Beato Claudio Richard Martire

9 agosto

Martirologio Romano: In una sordida galera ancorata nel mare al largo di Rochefort in Francia, beato Claudio Richard, sacerdote dell’Ordine di San Benedetto e martire, che, scacciato dal monastero di Metz durante la rivoluzione francese a causa del suo sacerdozio, fu gettato in una nave adibita a prigione, dove morì contagiato nel prestare assistenza ai detenuti malati.


Stellina788
00lunedì 9 agosto 2010 12:02

Beato Falco di Palena Eremita

9 agosto

Martirologio Romano: A Palena in Calabria, beato Falco, eremita.



Stellina788
00lunedì 9 agosto 2010 12:03

Beato Faustino Oteiza Scolopio, martire

9 agosto

Ayegui (Navarra), 14 febbraio 1890 – Azanuy, 9 agosto 1936

Martirologio Romano: Nella cittadina di Azanuy nel territorio di Huesca ancora in Spagna, beati Faustino Oteiza, sacerdote, e Fiorentino Felipe, religiosi dell’Ordine dei Chierici regolari delle Scuole Pie e martiri, trucidati per Cristo nella stessa persecuzione.

La feroce guerra civile spagnola, che imperversò in due momenti successivi, separati fra loro dal breve spazio di due anni, nel 1934 con la Rivoluzione delle Asturie (5-14 ottobre) e dal luglio 1936 al 1939; portò in essa per una complessa combinazioni di varie ragioni, oltre che motivi politici, anche un filone di aperta lotta antireligiosa.
A causa di ciò, caddero vittime innocenti, migliaia di ecclesiastici di tutte le condizioni, vescovi, sacerdoti, suore, seminaristi, religiosi di parecchi Ordini, laici impegnati nell’apostolato cattolico.
Nel 1934 i martiri furono pochi, grazie al duro intervento del Generale Franco, ma specie nel 1936 il numero raggiunse oltre 7000 martiri, fu una vera e propria persecuzione generalizzata, che durò più a lungo, colpendo le zone della Spagna dove si era affermata la Repubblica ad opera di gruppi e partiti estremisti, che agirono con potere autonomo ed arbitrario.
E fra i tanti martiri dei vari Ordini Religiosi, che nulla avevano a che fare con la politica, la Chiesa il 1° ottobre 1995 con papa Giovanni Paolo II, ha beatificato tredici Religiosi Scolopi, come venivano e vengono chiamati, i membri della “Congregazione delle Scuole Pie”, fondata da s. Giuseppe Calasanzio nel 1597.
Essi tutti spagnoli, morirono in giorni e luoghi diversi, in quel fatidico anno 1936; ne riportiamo i nomi e per quanto riguarda le loro note biografiche, si rimanda alla scheda propria di ognuno:
Padre Dionisio Pamplona, padre Manuel Segura, fratel David Carlos, padre Faustino Oteiza, fratel Fiorentino Felipe, padre Enrico Canadell, padre Maties Cardona, padre Francesco Carceller, padre Ignasi Casanovas, padre Carlos Navarro, padre José Ferrer, padre Juan Agramunt, padre Alfredo Parte.

Padre Faustino Oteiza, nacque il 14 febbraio 1890 ad Ayegui (Navarra), frequentò il Collegio scolopio di Estella ed a 15 anni entrò nel noviziato degli Scolopi, completati gli studi venne ordinato sacerdote a Terrassa il 14 settembre del 1913.
Subito dopo l’ordinazione ebbe l’incarico di Maestro dei Novizi scolopi a Peralta de la Sal; fu per lunghi anni maestro elementare dell’unica scuola del paese, gestita dagli Scolopi, nella stessa casa natale del loro fondatore s. Giuseppe Calasanzio, poi di nuovo Maestro dei Novizi dal 1926 al 1931, carica che lasciò solo per le malferme condizioni di salute, pur continuando a collaborare con il successore padre Emanuele Segura.
Il suo ministero educativo e la grande dedizione per il delicato compito di Maestro dei Novizi, lasciarono un profondo ricordo sia negli studenti, sia nella gente del paese, facendosi apprezzare per la sua grande affabilità, spirito di pietà e intenso fervore sacerdotale.
I suoi amori furono Gesù Eucaristia (l’”Amante bello”) e Maria Santissima, alla quale offriva ogni giorno “una corona di fiori” di buone azioni, nel suo diario scrisse “Ama e fa amare Maria”.
Dopo i profondi cambiamenti politici che si erano verificati in Spagna e le prime manifestazioni contro la Chiesa, già dal 1931 padre Oteiza presagiva ai suoi familiari la probabilità di versare il suo sangue per Cristo. L’intera Comunità religiosa fu arrestata il 23 luglio 1936, ed egli fu il ‘cronista’ delle vicende di quei giorni, nelle sue lettere scritte al Padre Provinciale riferì della morte dei confratelli che l’avevano preceduto: “…nel raggio di molti chilometri, io sono l’unico sacerdote rimasto in vita finora. Se il Signore mi chiama sono pronto, questa sarà la mia sorte”.
Insieme al vecchio fratel Fiorentino Felipe fu fucilato nel pomeriggio del 9 agosto, lungo la strada che da Peralta conduce ad Azanuy; erano gli ultimi Scolopi della Comunità di Peralta, perché gli altri tre padri erano già stati martirizzati nei giorni precedenti.



Stellina788
00lunedì 9 agosto 2010 12:03

San Feidlimid (Fedlimino) Vescovo

9 agosto

Martirologio Romano: A Kilmore sempre in Irlanda, san Fedlimino, vescovo.


Stellina788
00lunedì 9 agosto 2010 12:04

Santi Fermo e Rustico Martiri

9 agosto

Nord-Africa, III secolo

Emblema: Palma

Li ricorda già insieme, alla data del 9 agosto, l’antico elenco di martiri di varie regioni, noto come Martirologio geronimiano (attribuito erroneamente a san Gerolamo). E così fa pure il Martirologio romano, redatto per tutta la Chiesa nel XVI secolo. Con questi nomi ci sono stati in Africa del Nord due martiri: Fermo, che morì a Cartagine (di fame) al tempo dell’imperatore Decio, promotore di una delle più dure persecuzioni contro i cristiani (249-251). E Rustico, che invece fu ucciso con altri a Lambesa (Algeria) nel 259, sotto l’imperatore Valeriano.
I loro resti si trovano a Verona, in San Fermo Maggiore, singolare complesso sacro formato da due chiese costruite in tempi diversi l’una sopra l’altra, nel XIII secolo e poi nel XIII-XIV. La splendida chiesa superiore custodisce le reliquie di Fermo e Rustico. E la loro vicenda affatica gli studiosi per l’intreccio tra un esiguo dato storico e alcune narrazioni avventurose e pittoresche, prive di riscontri storici, ma che qualcosa di interessante suggeriscono.
Secondo un’antica “Passione”, Fermo e Rustico non erano africani, ma bergamaschi, e morirono decapitati per la fede fuori dalle mura di Verona, super ripam Athesis, sulla sponda dell’Adige, al tempo dell’imperatore Massimiano (286-310). Dopodiché i due corpi sarebbero stati portati da Verona fino all’Africa del Nord, per essere seppelliti a Cartagine. Ma più tardi, eccoli di nuovo imbarcati e in rotta verso l’Italia, con una sosta a Capodistria, e con Trieste come destinazione finale. E qui, durante il regno longobardo di Desiderio e Adelchi (757-774) ecco arrivare il vescovo Annone di Verona; il quale riscatta a pagamento i resti dei due martiri. E poco dopo i veronesi li accolgono con grande solennità, collocandoli in una chiesa che da molto tempo era stata innalzata in loro onore. Tutto ciò si legge in due documenti: la Translatio ss. Firmi et Rustici della seconda metà dell’VIII secolo, e il Ritmo pipiniano (a cavallo tra VIII e IX secolo).
Leggendario, quel racconto di un viaggio andata-ritorno dei due corpi. Ma nella leggenda il suggerimento c’è. Il richiamo all’Africa fa pensare non a un ritorno, ma a una venuta. Ossia all’estendersi anche in Italia del culto per le figure e le reliquie di questi martiri d’Africa. Come è avvenuto per altri, la cui fama è stata portata e divulgata in Europa dall’emigrazione forzata di tanti romani d’Africa di fronte all’invasione (429) dei Vandali di Genserico. E Verona era aperta a questa accoglienza, avendo avuto come vescovo – e volendolo, poi per sempre come patrono – il nordafricano Zeno. "Tutti questi elementi, posti nel vasto quadro della venerazione in Italia di santi africani, confermano l’ipotesi dell’origine africana dei santi Fermo e Rustico" (Silvio Tonolli, Bibliotheca Sanctorum).



Stellina788
00lunedì 9 agosto 2010 12:05

Beato Florentino Asensio Barroso Vescovo e martire

9 agosto

Villasexmir (Valladolid), 16 ottobre 1877 - Barbastro, 9 agosto 1936

Florentino Asensio Barroso nacque il 16 ottobre 1877 a Villasexmir, nella provincia di Valladolid in Spagna, da una famiglia di piccoli commercianti e crebbe in un ambiente cristiano. Studiò nel Seminario di Valladolid e venne ordinato sacerdote il 1° giugno 1901. Divenne cappellano delle «Piccole Suore dei poveri» e delle «Serve di Gesù» e continuò gli studi laureandosi in teologia. Nel 1915 fu nominato amministratore dei beni dell'arcidiocesi e dal 1920 al 1935 fu confessore del Seminario. Ricevette poi la nomina di amministratore apostolico della diocesi di Barbastro, la cui sede era vacante. Fu consacrato vescovo il 26 gennaio 1936. La sua entrata in diocesi (16 marzo dello stesso anno) fu osteggiata dai gruppi rivoluzionari e il 22 luglio fu arrestato e condotto nel Collegio degli scolopi. La sera dell'8 agosto venne incarcerato e orribilmente torturato; quindi, nella notte, trasportato nel cimitero cittadino e fucilato. È stato beatificato da Giovanni Paolo II il 4 maggio 1997. (Avvenire)

Martirologio Romano: A Barbastro sempre in Spagna, beato Fiorentino Asensio Barroso, vescovo e martire, che, fucilato dai miliziani durante la persecuzione contro la Chiesa, testimoniò con il proprio sangue quella fede che non aveva mai cessato di predicare al popolo a lui affidato.

Un’altra autorevole vittima della barbarie scatenata dalla Guerra Civile Spagnola dal 1936 al 1939, contro la Chiesa cattolica in tutti i suoi rami, dai vescovi ai semplici fedeli.
Florentino Asensio Barroso nacque il 16 ottobre 1877 a Villasexmir nella provincia di Valladolid e diocesi di Palencia; figlio di piccoli commercianti di profondi principi religiosi, crebbe in un ambiente cristiano, con il fattivo contributo del parroco e del maestro.
Fece la Prima Comunione il 1° maggio 1887, da allora cominciò a sentire il richiamo della vocazione religiosa, consigliato anche dal fratello Cipriano agostiniano, che nel 1888 aveva emesso i primi voti nel noviziato di Calella (Barcellona), ma la sua giovane età sconsigliò i Superiori ad accettarlo nell’Ordine e lo indirizzarono verso il Seminario diocesano.
Intraprese gli studi specifici nel Seminario di Valladolid dove ricevette nel 1899 gli Ordini Minori, mentre il 22 settembre e il 22 dicembre del 1900 ebbe accesso al suddiaconato ed al diaconato; infine il 1° giugno 1901 fu ordinato sacerdote dal vescovo ausiliare di Valladolid, a 23 anni d’età.
La Prima Messa la celebrò il 16 giugno a Villavieja del Cerro e il 2 agosto successivo fu nominato coadiutore della parrocchia di Villaverde di Medina, incarico esteso il 27 dicembre anche alle vicine parrocchie di Garrión e di Dueñas.
La sua opera di zelante giovane sacerdote, proseguì nel 1903 con l’incarico di Cappellano delle “Piccole Suore dei Poveri” e nel contempo come responsabile dell’archivio vescovile. Il 2 gennaio 1905 lasciò la cappellania delle dette Suore, per diventare Cappellano delle “Serve di Gesù”, ufficio che svolse per 24 anni rinunciandovi solo per motivi di salute.
Ma l’ascesa nell’organizzazione della diocesi di Valladolid, proseguiva il 1° marzo 1905 con la nomina da parte dell’arcivescovo, come cappellano familiare e suo ‘maggiordomo’.
Mentre espletava questi numerosi incarichi non trascurò di continuare gli studi nelle scienze ecclesiastiche, laureandosi in Teologia il 29 agosto del 1906; contemporaneamente il Consiglio Accademico lo nominò professore di metafisica, in quella stessa Pontificia Università di Valladolid, fino al corso accademico 1905-1910; ancora nel 1910 fu eletto canonico della cattedrale e nel 1916 divenne membro delle commissioni d’esame della Pontificia Università di Valladolid.
Volendo continuare a citare i numerosi incarichi anche di prestigio che riceveva, annotiamo che nel febbraio 1915 fu nominato Amministratore dei beni dell’Archidiocesi; esentato dall’ufficio di ‘maggiordomo’ poté dedicarsi completamente all’apostolato con le confessioni e la predicazione.
Dal 1920 fino al 1935 fu confessore del Seminario e di vari Monasteri religiosi e ospedali, lasciando dappertutto un ricordo di vita vissuta nella virtù e nella santità. Nel 1925 fu nominato parroco della parrocchia della cattedrale di Valladolid; per incarico dell’arcivescovo Gandasegui prese a predicare il catechismo agli adulti nelle Messe domenicali, celebrate nella Cattedrale, questa catechesi ebbe un enorme successo, durando dal 1926 al 1935.
Dopo una vita trascorsa così intensamente al servizio della Diocesi e dei fedeli, padre Florentino Asensio Barroso, ricevé la nomina di Amministratore Apostolico della diocesi di Barbastro, la cui sede era vacante della guida del vescovo, trasferito in altra località.
Tale carica comportava la dignità vescovile, per cui venne consacrato vescovo titolare di Eurea di Epiro, il 26 gennaio 1936 nella cattedrale di Valladolid, presente una folta delegazione della diocesi e città di Barbastro. La sua entrata in diocesi il 16 marzo 1936 non fu una grande manifestazione, anzi al contrario, perché autorità e gruppi rivoluzionari, stavano fomentando disordini per far fallire l’accoglienza, che il popolo voleva riservargli.
Ad ogni modo, sia pure senza manifestazioni, mons. Florentino giunse in cattedrale, dove si svolse il solenne rito. Il suo motto episcopale era: “Ut omnes unum sint”.
Le Autorità furono subito ostili al nuovo vescovo, appena due giorni dopo il suo arrivo, la Giunta Comunale decretò di proibire il suono delle campane e nonostante una sua supplica del 7 aprile, non ottenne nessuna revoca; la disposizione durò fino al settembre 1938 quando la città di Barbastro fu liberata.
Cercò di collaborare con le autorità comunali, specialmente per sollevare i problemi del lavoro; ma da quando il Fronte Popolare salì al potere a Barbastro, l’anticlericalismo prese il sopravvento; si prese a spiare e controllare religiosi e fedeli impegnati nell’Adorazione Notturna; vennero annotate le predicazioni del vescovo ed esaminate dalle autorità stesse. Venne tolta la proprietà del Seminario e concessa al Municipio, disperdendo i seminaristi, rifugiatosi poi a Saragozza.
Al vescovo che pur non perdeva la fiducia in Dio, l’orizzonte sembrava davvero oscuro; la domenica 19 luglio molto preoccupato, celebrò la Messa nel Collegio delle Figlie della Carità, vicino al palazzo vescovile, poi come faceva a Valladolid da tanti anni, anche a Barbastro prese a predicare il catechismo alla Messa delle 12 nella Cattedrale, nel contempo nel Vescovado veniva arrestato il primo sacerdote; prologo di un attacco diretto al vescovo stesso.
Il giorno dopo, 20 luglio, dopo una perquisizione al palazzo, il vescovo dovette rimanere agli arresti domiciliari; due giorni dopo venne arrestato e condotto nel Collegio degli Scolopi dove erano prigionieri gli stessi religiosi dell’Istituto, con i quali non poté parlare.
Rimase rinchiuso in attesa di trovare un motivo per eliminarlo, accusandolo di contatti politici contrari ai rivoluzionari; la preghiera sempre più intensa divenne il suo unico balsamo nella sofferenza e solitudine.
La sera dell’8 agosto vennero a prelevarlo dal Collegio per portarlo con una scusa al Comune; intuendo l’approssimarsi della fine, mons. Florentino chiese l’assoluzione da padre Ferrer direttore degli Scolopi.
Portato invece nel carcere, subì una tortura orribile con la mutilazione dei genitali, fatto confermato dall’ autopsia effettuata sui resti mortali da medici legali, il 16 aprile 1993.
Alle due della notte del 9 agosto 1936, fu trasportato nel cimitero di Barbastro dove venne fucilato, perdonando e pregando per i suoi assassini; non morì subito, i colpi dei fucili a schioppo gli avevano fratturate le costole, facendolo urlare di dolore, finché fu finito con altri tre colpi di grazia.
Donava così con il martirio, la sua vita per la diocesi che da meno di cinque mesi, aveva iniziato a governare. Il processo ordinario “super martyrio” fu introdotto il 29 aprile 1953.
E' stato beatificato da papa Giovanni Paolo II il 4 maggio 1997, in Piazza San Pietro a Roma.



Stellina788
00lunedì 9 agosto 2010 12:05

Beato Francesco Jagerstatter Laico, martire

9 agosto

St. Radegund, Austria, 20 maggio 1907 - Berlin-Brandenburg, Germania, 9 agosto 1943

Franz Jägerstätter nacque nel maggio del1907a St. Radegund, cittadina dove trascorse una giovinezza piuttosto dissipata. Poi, un giorno, una resipiscenza profonda lo indusse a ricordarsi delle sue radici cattoliche.Ne seguì una conversione religiosa intensa che lo portò a darsi una severa regolata. Messa finalmente la testa a partito, nel1936si sposò con Franziska Schwaninger. Dal matrimonio nacquero tre bambine. Nel frattempo lo Jägerstätter si era fatto terziario francescano ed aveva anche prestato servizio militare.Mavenne il tempodell'Anschluss e la Germania nazista mise le mani sull'Austria. Scoppiò anche la guerra e lo Jägerstätter temette di dover parteciparvi come soldato tedesco.Manon certo per paura. Il fatto era che Franz Jägerstätter era stato l'unico a St. Radegund a votare «no» nel referendum con cui il popolo austriaco doveva approvare l'unione con la Germania. Egli, profondamente cattolico, detestava il nazismo pagano e riteneva del tutto ingiustificata la guerra che esso aveva scatenato.Ma nel febbraio del1943arrivò la chiamata alle armi. Lo Jägerstätter, coerentemente, rifiutò di presentarsi. Venne arrestato ai primi di marzo per renitenza alla leva e portato nel carcere di Linz. Sudi lui fu esercitato ogni tipo di pressione, dalle lusinghe alle minacce. Gli permisero persino di consultarsi con un paio di sacerdoti cattolici, i quali gli consigliarono di cedere, almeno per amoredelle figliolette.MaFranz Jägerstätter si sarebbe fatto tagliare la testa piuttosto che giurare fedeltà al Reich. Venne preso in parola nell'agosto, a Berlino. Papa Benedetto XVI ha riconosciuto ufficialmente il suo martirio il 1° giugno 2007. Franz Jagerstatter, vittima del nazismo in odio alla sua fede, è stato beatificato il 26 ottobre 2007.

C’è un beato che deve la sua felice collocazione in Paradiso, oltre che alla grazia di Dio, anche alla propria moglie. E non, si badi bene, in virtù del luogo comune secondo cui tutte le donne fanno guadagnare il paradiso ai rispettivi mariti, ma perchè “quella” donna è riuscita a trasformare il “suo” uomo da un cristiano qualsiasi (e neppure tanto fervente) in un martire. Francesco, figlio di ragazza madre, nasce in Austria nel 1907, frutto dell’amore contrastato e “impossibile” tra una ragazza a servizio in una fattoria e un contadino che lavora nei campi attigui: entrambi troppo poveri per sposarsi, tanto che la famiglia di lei, ad un matrimonio di miseria, preferisce tenersi il bambino. Dieci anni dopo mamma si sposa con il proprietario di una piccola fattoria che lo adotta e gli da il proprio cognome. A 20 anni Francesco va a lavorare in una fattoria della Baviera e in una miniera della Stiria: con i soldi guadagnati, dopo tre anni può tornare in sella ad una moto, la prima del paese, che desta l’invidia degli amici e l’ammirazione delle ragazze, ma ha perso per strada la fede. Simpatico, allegro e festaiolo, ama corteggiare le ragazze del paese e si lascia coinvolgere anche in alcune risse con i giovani delle cricche rivali:un giovane come tanti, insomma, neppure migliore degli altri, che un giorno del 1933 si ritrova anche padre, in seguito alla contrastata relazione con una domestica. Comincia un lungo percorso di riavvicinamento alla fede, ma la vera svolta nella sua vita avviene nel 1935, quando conosce Francesca, che sposa l’anno successivo: cominciano a pregare insieme, la Bibbia diventa loro lettura quotidiana, cercano di “aiutarsi l’un l’altra nella fede”, come ricorda ancora oggi Francesca. “Non avrei mai immaginato che essere sposati potesse essere così bello”, ammette Francesco, che intanto diventa papà di tre meravigliose bimbe. Contadino nei campi che il padre adottivo gli ha lasciato in eredità e per qualche tempo anche sacrestano della sua parrocchia, la sua fede, si nutre sempre più di preghiera e di comunione frequente. I problemi di coscienza cominciano per lui con l’ascesa di Hitler al potere. Ritenendo il nazismo assolutamente incompatibile con il Vangelo e per restare un cristiano coerente non solo a parole, comincia la sua solitaria battaglia di opposizione: rifiuta di fare il sindaco del suo paese, manda indietro gli assegni familiari che lo stato gli dovrebbe, rinuncia anche all’indennizzo per i danni della grandine, fino a convincersi che è peccato grave combattere e uccidere per permettere a Hitler di conquistare il mondo. Prega, digiuna, si confronta con parenti ed amici sacerdoti e tutti gli consigliano di adeguarsi, di pensare alla famiglia, di non mettere a repentaglio la propria vita, mentre lo stesso vescovo di Linz gli ricorda che non è compito di un padre di famiglia stabilire se la guerra sia giusta o no. Tutti, ad eccezione di Francesca. Che, pur sperando in una via d’uscita, non fa pressioni al suo uomo, lo lascia libero di seguire la sua coscienza, lo sostiene quando gli altri non lo capiscono o lo avversano. Così, quando il 1° marzo 1943 viene chiamato a fare il soldato, rifiuta con decisione il servizio militare armato perché “nulla potrebbe garantire la mia anima contro i pericoli che i nazisti le farebbero correre”. Immediatamente arrestato e processato a Berlino davanti al Tribunale supremo del Terzo Reich, viene condannato a morte. Passa in carcere momenti terribili, combattuto tra il ricordo delle figlie e dei momenti felici regalatigli da Francesca, che gli “sembrano talvolta perfino dei miracoli”, e i suoi imprescindibili doveri di cristiano. Mentre sente “l’obbligo di pregare Dio, che ci permetta di capire a chi e quando dobbiamo obbedire”, cosciente che potrebbe cambiare il suo destino con un semplice “sì”, arriva alla conclusione che “né il carcere, né le catene e neppure la morte possono separare un uomo dall’amore di Dio e rubargli la sua libera volontà” “Scrivo con le mani legate, ma è meglio così che se fosse incatenata la mia volontà”, è il suo ultimo messaggio dal carcere; viene ghigliottinato il 9 agosto 1943 a Brandeburgo, nello stesso carcere in cui è detenuto anche il teologo protestante Bonhoeffer. Franz Jägerstätter, il contadino che disse di no ad Hitler, è stato beatificato a Linz il 26 ottobre dell’ano scorso.



Stellina788
00lunedì 9 agosto 2010 12:07

Beato Germano da Carcagente (José Maria Garrigues Hernandez) Sacerdote e martire

9 agosto

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1895 - 1936

Martirologio Romano: Nel villaggio di Carcaixent nel territorio di Valencia sempre in Spagna, beato Germano (Giuseppe Maria) Garrigues Hernández, sacerdote dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini e martire, che, nel corso della medesima persecuzione contro la fede, vinse i supplizi del corpo con la sua preziosa morte.

Il P.Germán nacque a Carcagente (Valencia), nel seno di una famiglia cristiana, il 12 febbraio 1895. Fu battezzato lo stesso giorno della nascita nella parrocchia di Nuestra Señora de la Asunción di Carcagente e ricevette la Confermazione il 22 luglio 1912 da Mons. Fr. Atanasio Soler Royo, debitamente autorizzato dall’arcivescovo della diocesi. Nella famiglia di D. Juan Bautista Garrigues e di Donna María Ana Hernández nacquero otto figli, tre dei quali divennero cappuccini come il nostro José M.
Fece i suoi primi studi nel Seminario serafico dei Cappuccini a Monforte del Cid; entrò nell’Ordine cappuccino, vestendo l’abito il 13 agosto 1911; emise la professione temporanea il 15 agosto 1912 e quella perpetua il 18 dicembre 1917. Mons. Ramón Plaza lo ordinò sacerdote a Orihuela il 9 febbraio 1919. I Superiori lo destinarono alla formazione e all’insegnamento; e allo stesso tempo lavorò nell’apostolato. Dice P. Domingo Garrigues, cappuccino, che “disimpegnò le cariche di Vicemaestro dei novizi e di professore di una scuola primaria ad Alcira. S’impegnò specialmente nell’apostolato del confessionale, degli infermi e anche della catechesi ai bambini della scuola”.
Molti di quelli che lo conobbero parlano di lui come di un religioso fedele alla vocazione, fervoroso nella preghiera e molto caritatevole: Tra i fedeli - dice la sorella Mercedes Garrigues - come pure tra i fratelli di religione godeva di fama molto buona per il suo carattere gioviale, per la sua carità e il suo candore. Erano soliti dire: ‘E’ un angelo’. Dagli stessi religiosi udii dire che era un religioso molto osservante di tutte le Regole e Costituzioni francescano-cappuccine”. “Le sue qualità più rimarchevoli - afferma suo fratello, il Sig. Francisco Pascual Garrigues - erano la sua profonda pietà e l’attrattiva che esercitava sui giovani, senza che gli si possa riconoscere alcun difetto”. Enrique Albelda, abitante di Carcagente, ricorda che “il suo temperamento era di modi semplici e gioviali. Devo pure sottolineare come sua qualità notevole l’essere caritatevole e facile a fare elemosina. Era uomo virtuoso, risaltando per la sua pazienza senza limiti. Era sereno, umile, giudizioso e modesto.
Quando si scatenò la persecuzione religiosa in Spagna si vide forzato, come i suoi fratelli, a rifugiarsi nella casa paterna, conducendo lì una vita dedita alla preghiera. Sarebbe stato preso dai miliziani il 19 agosto 1936 e condotto al Centro del Partito comunista, da dove poi alla mezzanotte sarebbe stato portato al ponte di ferro della ferrovia sopra il fiume Júcar, dove fu ucciso. “Se Dio mi vuole martire - aveva detto durante il periodo in cui era stato nascosto - mi darà la forza per subire il martirio”. Quando arrivò al luogo del martirio - afferma il Sig. Clemente Albelda - il P. Germán, dopo aver baciato le mani ai carnefici e averli perdonati, s’inginocchiò”. Il cadavere del P. Germán fu sepolto in terra, nel cimitero di Carcagente e il 15 dicembre 1940 i suoi resti furono identificati e trasferiti nel nuovo cimitero di Carcagente. Attualmente i suoi resti riposano nella cappella dei Martiri cappuccini del Convento della Maddalena a Massamagrell.



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00lunedì 9 agosto 2010 12:07

Beato Giovanni da Fermo (o della Verna)

9 agosto

Fermo, 1259 – Monte della Verna, 9 agosto 1322

Predicatore dei frati minori, svolse una larga opera di evangelizzazione in Toscana. Mandato poi da san Bonaventura sulla Verna, ebbe visioni e rapimenti e il dono della profezia.

Martirologio Romano: Sul monte della Verna in Toscana, beato Giovanni da Fermo, sacerdote dell’Ordine dei Minori, che visse in solitudine domando il corpo con i digiuni e un mirabile spirito di penitenza.

La vita del Beato Giovanni della Verna è narrata anche nei "Fioretti di San Francesco". Il Beato Giovanni della Verna nacque a Fermo (AP) nel 1259 da famiglia agiata. All'età di dieci anni fu affidato ai canonici regolari di Sant'Agostino, ma il suo desiderio di una vita ritirata e penitente lo condusse a passare tra le fila dei Frati Minori.
L'aspirazione di una maggiore solitudine spinse il Beato Giovanni ad abbandonare nel 1292 i confratelli marchigiani a ritirarsi a La Verna, dove prese l'appellativo di "Giovanni della Verna" a causa della lunga dimora.
Un giorno, mentre stava pregando, gli apparve San Francesco e gli disse: "Ecco, figlio mio, le stimmate che desideri vedere!" e gli mostrò le mani, i piedi ed il costato lasciandolo inondato di celeste consolazione. Godette anche della presenza del suo Angelo custode. Il Beato aveva grande devozione per le anime del Purgatorio e durante una celebrazione della messa nel giorno della commemorazione di tutti i defunti, mentre elevava l'ostia, ebbe la visione di una moltitudine di anime che uscivano dal Purgatorio per salire in cielo.
Gli ultimi anni della sua vita le dedicò alla predicazione percorrendo l'Italia del Nord e del Centro, convertendo peccatori e riconducendo gli eretici in seno alla madre Chiesa. Operava prodigi, ebbe il dono della profezia e della penetrazione dei cuori, leggeva nelle anime, come su un libro aperto, ricordava ai penitenti le colpe che dimenticavano di confessarsi. Il Beato Giovanni morì il 9 agosto 1322. Il suo culto fu approvato da Leone XIII il 24 giugno 1880.


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00lunedì 9 agosto 2010 12:11

Beato Giovanni Guarna da Salerno Domenicano

9 agosto

Salerno, 1190 - Firenze, 1242

Nato a Salerno da una nobile famiglia normanna, era già sacerdote e dottore in teologia, quando entrò nell'Ordine a Bologna attrattovi dalla predicazione del b. Reginaldo. Inviato da s. Domenico a Firenze, vi fondò il convento di s. Maria Novella, di cui fu priore. Fu predicatore instancabile per la conversione degli eretici; il papa lo incaricò di riformare il monastero benedettino di s. Antimo. Verso il 1230 fondò il primo monastero domenicano in Toscana a s. Jacopo di Ripoli. Ebbe la grazia di assistere al transito del s. Padre Domenico. Morì a Firenze.

Martirologio Romano: A Firenze, beato Giovanni da Salerno, sacerdote dell’Ordine dei Predicatori, che fondò il convento di Santa Maria Novella e lottò coraggiosamente contro gli eretici patarini.


Giovanni Quarna, nato a Salerno nel 1190, di nobile stirpe normanna, ricevette l’Abito dei Predicatori dalle mani del santo Padre Domenico che ebbe, nel 1219, anche come guida e maestro. Fu suo gran merito far tesoro di sì preziosi ammaestramenti, tanto che si poteva affermare che in lui era passato lo spirito di Domenico. Il Padre lo mandò insieme a dodici compagni a propagare l’Ordine in Toscana, e sebbene Giovanni fosse il più giovane, fu messo alla testa di tutti, a dimostrazione di quanta stima avesse per lui Domenico. Il drappello si fermò a Firenze il 20 novembre 1221 presso Santa Maria Novella. In breve Giovanni fu padrone dei cuori. Il popolo accorreva in gran numero ad ascoltarlo. I peccatori si convertivano, e in tutti ci fu un risveglio e un rifiorire della vita cristiana, tanto che i cittadini vollero fra loro nuovi Predicatori. Per incarico di Papa Gregorio IX riformò il monastero benedettino di Sant’Antimo. Verso il 1230 fondò a San Jacopo di Ripoli la prima comunità femminile Domenicana in Toscana. Quando Giovanni ebbe notizia dell’ultima malattia del fondatore si affrettò ad accorrere a Bologna, potendo così ricevere l’ultima sua benedizione. Ritornato a Firenze, riprese con ardore la sacra predicazione. Combatté strenuamente gli eretici paterini che infestavano la città e, dopo aver attirato all’Ordine molte e scelte vocazioni, nel 1242 si addormentò nel Signore. Papa Pio VI il 2 aprile 1783 ha confermato il culto.



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00lunedì 9 agosto 2010 12:12

Beato Giuseppe Maria Celaya Badiola Coadiutore salesiano, martire

9 agosto

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Azcoitia, Spagna, 24 febbraio 1887 - Madrid, Spagna, 9 agosto del 1936


Nacque ad Azcoitia in provincia di Guipúzcoa il 24 febbraio 1887 e venne battezzato il giorno appresso. Fece il Noviziato a Carabanchel Alto (Madrid), emettendo i voti il 5 gennaio del 1906. La rivoluzione lo trovò ammalato da anni, nella Casa di Mohernando (Guadalajara). Fu anch'egli arrestato e maltrattato senza riguardo all'età e ai suoi malanni. Soccombette nelle carceri di Madrid a causa dei continui strapazzi il 9 agosto del 1936.
Beatificato il 28 ottobre 2007.



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00lunedì 9 agosto 2010 12:13

Beato Guglielmo Plaza Hernandez Martire

9 agosto

Martirologio Romano: In località Argès vicino a Toledo ancora in Spagna, beato Guglielmo Plaza Hernández, sacerdote dell’Associazione dei Sacerdoti Operai Diocesani e martire, che spirò in questo giorno, vittima dello stesso combattimento.



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00lunedì 9 agosto 2010 12:14

Beata Marianna (Barbara) Cope di Molokai Religiosa

9 agosto

Heppenheim, Hesse (Germania), 23 gennaio 1838 - Molokai, Hawaii (USA), 9 agosto 1918

Emigrata tedesca, morì tra i malati di lebbra nell’isola di Molokai (Hawaii). Madre Maria Anna Cope (1838 - 1918) apparteneva alle suore del Terz’ordine francescano di Syracuse (Usa), di cui fu anche superiora generale. Dichiarata venerabile il 19 aprile 2004 da papa Giovanni Paolo II, è stata beatificata il 14 maggio 2005 dal Cardinal José Saraiva Martins, prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi.

Con la beatificazione di Marianna Cope e di Ascensione del Cuore di Gesù, ambedue religiose, si è iniziata una nuova procedura, dopo che per tantissimi anni le beatificazioni venivano celebrate direttamente dal papa; dal maggio 2005 con il nuovo pontefice Benedetto XVI, esse sono ritornate come nel lontano passato, alla competenza di cardinali e vescovi, autorizzati dal papa.
Barbara Cope nacque il 23 gennaio 1838 a Heppenheim in Germania, suo padre Peter Kobb e la madre Barbara Witzenbacher vivevano del misero guadagno di agricoltori; nel 1840 quando la bimba aveva due anni, la famiglia emigrò negli Stati Uniti, stabilendosi nella città di Utica nello Stato di New York; suo padre ottenuta la cittadinanza americana, cambiò il cognome Kobb in Cope per tutta la famiglia.
Da adolescente prese a lavorare in una fabbrica per dare una mano ai bisogni della famiglia, cresciuta nel frattempo di altri tre fratelli e con il padre invalido; frequentando la Scuola parrocchiale di San Giuseppe a Utica, poté fare la Prima Comunione nel 1848 e in quest’ambiente fiorì la sua vocazione allo stato religioso.
Tale desiderio dovette essere accantonato, perché le condizioni economiche della famiglia non permettevano il suo allontanamento.
Solo a 24 anni poté realizzare il suo desiderio, entrando nell’Istituto delle Suore del Terz’Ordine Francescano di Syracuse, dove dopo il Noviziato emise la sua professione con il nome di Marianna.
Si dedicò all’apostolato della Congregazione, che fra l’altro consisteva nell’educazione dei figli degli emigrati tedeschi; apprese la lingua originaria dei suoi genitori e fu incaricata di dirigere una nuova scuola specifica.
Per le sue doti intellettuali e per la sua generosa dedizione svolse delicati incarichi nella sua Congregazione, fra i quali la cura dei poveri da lei prediletti, nei due ospedali di santa Isabella di Utica e San Giuseppe di Syracuse (1869).
Fu eletta Madre Provinciale nel 1877 e riconfermata all’unanimità nel 1881. In questo periodo, nel 1883 le giunse una richiesta del vescovo di Honolulu, che a sua volta girava alle suore una petizione del re delle Isole Hawai nell’Oceano Pacifico (allora indipendenti e dall’agosto 1959, 50° Stato degli U.S.A.), il quale chiedeva di avere infermiere per i lebbrosi abbandonati del regno.
La situazione era critica, già 50 comunità religiose avevano rifiutato la petizione reale; padre Damiano de Veuster (1840-1889), beatificato nel 1995, aveva scelto di vivere in quelle condizioni precarie, ma faceva presente che sarebbero state necessarie delle suore, perché i malati strappati dai familiari e dai loro villaggi, venivano portati nell’isola maledetta di Molokai dove non esistevano edifici idonei né assistenza sanitaria.
Si sarebbe dovuto costruire un ospedale e soprattutto instaurare una severa terapia igienica generale, specie per i figli più piccoli dei lebbrosi,che avevano seguito le madri e impartire loro una educazione.
Madre Marianna scelse sei suore fra le 25 che si erano offerte e partì con loro per fondare una Missione delle Suore del Terz’Ordine Francescano nelle Hawai; le accompagnò prima ad Honolulu e poi a Molokai.
Collaborò con il governo locale ad istituire degli ospedali in varie isole dell’arcipelago; padre Damiano de Veuster aveva contratto la lebbra nel 1884 restandone vittima nel 1889 assistito dalle suore fino all’ultimo.
Tutto il lavoro organizzativo passò a Madre Marianna, la quale anche per le minacce delle altre suore di tornarsene con lei in America, dovette restare a Molokai per salvare la Missione e dimettersi da Superiora Provinciale.
Non tornò più in America, restò a servire i lebbrosi per quasi 30 anni fino alla morte, furono fondate due case separate per i figli dei lebbrosi, tenuti nella più grande igiene, così che una volta adulti potevano essere inseriti sani nella società.
Madre “Marianna di Molokai” come ormai veniva chiamata, conosceva uno per uno i malati, li chiamava per nome, li istruiva a coltivare quell’arida terra in arbusti, fiori e alberi, donando loro la dignità di esseri umani non più emarginati ed inutili. Gli storici la descrissero come una “religiosa esemplare con un cuore straordinario”.
Morì a Molokai il 9 agosto 1918 ad 80 anni; per la fama della sua santità, che crebbe costantemente dopo la sua morte, il 28 luglio 1983 la Santa Sede dava il nulla osta per l’inizio della Causa di Beatificazione; il 19 aprile 2004 veniva dichiarata ‘venerabile’ e il 14 maggio 2005 proclamata beata dal cardinale José Saraiva Martins, prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi.



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00lunedì 9 agosto 2010 12:14

Santi Martiri di Costantinopoli

9 agosto

+ Costantinopoli, VIII secolo

Un gruppo di santi martiri fu ucciso presso Costantinopoli per aver difeso l’antica icona del Salvatore posta sulla Porta di Enea, che l’imperatore Leone Isaurico aveva ordinato di distruggere. Mentre il martirologio non riporta i nomi di alcun componente del gruppo, sono stati però tradizionalmente tramandati i nomi di Giuliano, Marciano, Giovanni, Giacomo, Alessio, Demetrio, Fozio, Pietro, Leonzio, Maria e Gregorio, ai quali si uniscono però molti altri di cui solo Dio conosce il nome.

Martirologio Romano: A Costantinopoli, commemorazione dei santi martiri, che si narra siano stati uccisi per aver difeso un’antica immagine del Salvatore collocata sulla Porta di Bronzo, che doveva essere distrutta per ordine dell’imperatore Leone l’Isaurico.



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00lunedì 9 agosto 2010 12:15

San Maurilio da Rouen Vescovo

9 agosto

Etimologia: Maurilio (come Mauro) = nativo della Mauritania oppure bruno di carnagione come

Emblema: Bastone pastorale

Stranamente non esiste alcuna ‘Vita’ di questo santo, ma alcuni documenti e la testimonianza dei suoi contemporanei, ci danno un quadro soddisfacente per conoscerlo.
Maurilio nacque da nobile famiglia nella diocesi di Reims; studiò nella scuola episcopale di Liegi (oggi Belgio), continuandoli in Sassonia. Tornato in Francia divenne monaco a Fécamp, sicuramente prima del 1030.
Come capitava spesso in quei tempi, Maurilio dopo alcuni anni, chiese al suo abate il permesso di condurre vita eremitica e quindi si spostò in Italia per isolarsi, dedicandosi alla preghiera e al lavoro manuale; con lui si accompagnò il monaco Gerberto, che più tardi divenne oblato di St-Wandrille.
La fama delle loro virtù giunse fino al marchese Bonifacio, il quale ordinò a Maurilio di assumere la guida come abate, di S. Maria in Firenze, ma i monaci scontenti del rigore del nuovo abate, si dice tentarono di avvelenarlo, Maurilio allora sempre accompagnato da Gerberto, se ne tornò a Fécamp.
Nel 1055 il duca di Normandia, Guglielmo il Conquistatore, fece deporre Maugero, arcivescovo di Rouen, per questioni politiche e religiose, facendo nominare al suo posto il monaco Maurilio, dimostrando così di voler collaborare per la riforma del clero, che era un problema contingente nell’XI secolo.
Durante il suo episcopato presiedette vari Concili, convocati principalmente contro il matrimonio dei preti; insieme al duca Guglielmo, tenne una assemblea, ecclesiastica e laica nello stesso tempo, per imporre la “tregua di Dio”, istituto medioevale creato dalla Chiesa per imporre periodi di pace tra famiglie, Comuni, signori feudali, in lotta fra di loro; e poi per organizzare la lotta contro il brigantaggio.
In quel tempo si erigevano magnifici templi e Maurilio poté nel 1063, consacrare la cattedrale di Rouen e nel 1067 la chiesa abbaziale di Jumièges. Il santo monaco-vescovo morì il 9 agosto di quello stesso anno 1067, si racconta una curiosa leggenda, il vescovo sembrava morto e ci si preparava per trasportare il suo corpo in chiesa, quando per un istante la vita ritornò in lui, così egli poté descrivere le visioni dell’aldilà che aveva avuto, luoghi vicino Gerusalemme con una folla di santi e altri con orribili demoni, con visioni terribili di dannati. Maurilio allora era ritornato in vita per avvertire i suoi figli dei pericoli che incombevano sulle anime per una vita macchiata anche di soli peccati veniali; detto ciò il santo vescovo, morì davvero.
La sua tomba nel 1562 fu distrutta dagli Ugonotti; i Martirologi Benedettini lo ricordano al 9 agosto.


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00lunedì 9 agosto 2010 12:16

San Nathì (Nateo) Vescovo e abate

9 agosto

Martirologio Romano: Nel monastero di Achonry in Irlanda, san Nateo, vescovo e abate.


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00lunedì 9 agosto 2010 12:17

Beato Riccardo Bere Sacerdote certosino, martire

9 agosto

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Martirologio Romano: A Londra in Inghilterra, beato Riccardo Bere, sacerdote e martire, che, su ordine del re Enrico VIII, morì per aver difeso la fedeltà verso il Romano Pontefice e il matrimonio cristiano insieme ai confratelli della Certosa della città, logorato per lungo tempo dalle disumane condizioni del carcere e dalla fame.



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00lunedì 9 agosto 2010 12:17

San Romano di Roma Martire

9 agosto

Svariate e valide testimonianze affermano il culto antico di san Romano martire, collegato in maniera inscindibile al martirio di san Lorenzo diacono. L'antica «Passio Polychronii» racconta che il legionario Romano, assistendo al martirio di san Lorenzo sulla catasta accesa, si converte al cristianesimo e lo invita a pregare per lui dicendogli che vede un angelo che allevia i suoi tormenti. Nel contempo Decio, il procuratore, infuriato per la resistenza di Lorenzo ne sospende il tormento e Romano cercando di operare di nascosto gli si avvicina per porgergli una brocca d'acqua, supplicandolo di volerlo battezzare. Sorpreso, viene fustigato ma lui grida «sono cristiano!» e viene condannato alla decapitazione, eseguita fuori Porta Salaria il 9 agosto 258. Durante la notte il sacerdote Giustino raccoglie il suo corpo e lo seppellisce in una cripta nella zona del Verano. Le sue reliquie riposano nella basilica di san Lorenzo al Verano ma alcune furono traslate nel periodo longobardo a Lucca e altre furono inviate a Ferrara e donate alla città e al suo vescovo, cardinale Grifone, da papa Innocenzo II. San Romano viene invocato contro il pericolo di possessione demoniaca. (Avvenire)

Patronato: Principato di Monaco

Etimologia: Romano = nativo di Roma, dal latino

Emblema: Palma

Martirologio Romano: A Roma nel cimitero di san Lorenzo sulla via Tiburtina, san Romano, martire.

Svariate e valide testimonianze affermano il culto antico di s. Romano martire, collegato in maniera inscindibile al martirio di s. Lorenzo diacono. L’antica ‘Passio Polychronii’ racconta che il legionario Romano, assistendo al martirio di s. Lorenzo sulla catasta accesa, si converte al cristianesimo e lo invita a pregare per lui dicendogli che vede un angelo che allevia i suoi tormenti, nel contempo Decio il procuratore, infuriato per la resistenza di Lorenzo ne sospende il tormento e Romano cercando di operare di nascosto gli si avvicina per porgergli una brocca d’acqua, supplicandolo di volerlo battezzare.
Sorpreso, viene fustigato ma lui senza che alcuno glielo avesse chiesto, grida “sono cristiano!” pertanto viene condannato alla decapitazione che è eseguita fuori Porta Salaria il 9 agosto 258.
Durante la notte il sacerdote Giustino raccoglie il suo corpo e lo seppellisce in una cripta nella zona del Verano. Si è in dubbio se fosse un soldato incaricato di custodire s. Lorenzo prigioniero e poi martirizzato il 10 agosto oppure un soldato che assisteva solo al supplizio.
Il suo culto si estese rapidamente oltre che sulla tomba al Verano, anche nella basilica a lui dedicata fuori Porta Salaria, luogo della sua decapitazione.
Le sue reliquie riposano nella basilica di s. Lorenzo al Verano ma alcune furono traslate nel periodo longobardo a Lucca e altre furono inviate a Ferrara donate alla città e al suo vescovo cardinale Grifone da papa Innocenzo II e attualmente deposte nell’altare di s. Lorenzo in cattedrale.
Il nome deriva dal latino ‘Romanus’ e significa ‘uomo di Roma’.
S. Romano viene invocato contro il pericolo di possessione demoniaca.



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00lunedì 9 agosto 2010 12:18

Beati Ruben di Gesù Lopez Aguilar e compagni Martiri

9 agosto

Martirologio Romano: A Barcellona sempre in Spagna, beati Ruben di Gesù López Aguilar e sei compagni, religiosi dell’Ordine di San Giovanni di Dio e martiri, che nella medesima persecuzione andarono incontro al Signore, uccisi in odio alla fede.


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00lunedì 9 agosto 2010 12:19

Festa dei Santi delle Solovki

9 agosto (Chiese Orientali)

 

È stata istituita nel 1992 con il consenso del pa­triarca di Mosca, Alessio II. I santi dei quali si fa me­moria sono: il monaco martire Giobbe di Uscel; i ve­scovi Filippo II di Mosca, Marcello di Vologda; i mo­naci Zosima e Sabazio delle Solovki, Germano delle Solovki, Aussenzio, Adriano, Acsio, Alessio, Andrea, Antonio, Basilio, Bassiano di Pertominsk, Gerasimo, Gurio, Damiano di Jur'egore, Dositeo, Eleazaro An-zerskij, Eliseo di Sumy, Efrem il Nero, Giacobbe di Kostroma, Gennaro, Giovanni l'Illuminatore, Gio­vanni Jarengskij, Giobbe (nello schima Giosuè) Anzerskij, Giona di Pertominsk, Giuseppe I, Giuseppe II, Irinarco, Cassiano di Muezero, Chirico, Longino Jarengskij, Macario, Misaele, Nestore, Niceforo, Onofrio, Saba, Sebastiano, Tarassio, Timoteo (nello schima Teodoro), Ticone, Trifone, Teodulo, Filippo l'Eremita; i «folli per Cristo» Giovanni I delle So­lovki, Giovanni II delle Solovki.
La festa ricorre il 9 agosto.



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00lunedì 9 agosto 2010 12:20

Santi Secondiano, Marcelliano e Veriano Martiri

9 agosto

Si tratta di, tre martiri autentici, cittadini romani martirizzati tra il 250 (persecuzione dell’imperatore Decio) e il 258 (martirio di papa Sisto II), il giorno 8 agosto per alcuni martirologi, il 9 agosto per altri più antichi.
E’ probabile che il martirio sia avvenuto il 9 agosto e poi anticipato all’otto, nella Chiesa di Tuscania, perché il 9 era la festa della vigilia di S. Lorenzo, martire di prima grandezza.
I tre santi martiri sono attestati in molti martirologi a cominciare da quello Geronimiano, il più antico registro di santi, il cui nucleo centrale, composto tra il 431 e il 450 nell’Italia settentrionale, elenca un gran numero di santi romani. Questa circostanza è di estrema importanza per l’autenticità dei tre martiri, infatti sta ad indicare che l’autore si è servito sicuramente di “fonti romane” per redigere il testo. Inoltre il martirio, dei tre cristiani, è avvenuto appena 200 anni prima della composizione dell’inventario agiografico e quindi, certamente, il racconto della loro passione era ancora vivo nella Città eterna. Poi trattandosi anche di personaggi importanti della società dell’Urbe, è assodato che venivano rammentati a titolo di orgoglio, e proposti a modello, anche per questo, dalla Chiesa di Roma.

Gli Atti del martirio, dei Santi Secondiano, Veriano e Marcelliano, sono stati scritti però circa 150 anni dopo la loro prima attestazione e pur se improntati ad altri documenti di martiri ( c’è una forte simmetria con i fatti narrati negli Atti del martirio di S. Cipriano avvenuto nel 257: prefazione, esilio, processo, sepoltura nel luogo del martirio), alla devozione popolare e sicuramente con intenti non biografici, tuttavia ci consentono di recuperare alcuni elementi di autentica storicità della vita dei tre cristiani. Infatti molti dati temporali, personaggi (imperatore Decio, papa Sisto II) e località geografiche (porto Colonna detto Colonnaccia nei pressi di S. Marinella, Civitavecchia), rammentati nella passio, risultano concordanti e veritieri.
Mettendo insieme, in modo critico, le informazioni dei martirologi e delle tre redazioni della passio, si può affermare che i “Santi martiri tuscanesi” erano tre amici dell’aristocrazia romana colti, con incarichi nell’amministrazione imperiale (per gli Atti Secondiano era un nobile togato e letterato con incarichi imperiali, gli altri ufficiali di prefettura). I loro uffici hanno consentito, ai tre dotti, un contatto diretto con la vita e la fede cristiana alla quale, qualche tempo dopo, aderiranno in modo convinto e incondizionato con la vita e le opere (Secondiano ha partecipato in prima persona a persecuzioni anti cristiane) .
Ricevuto il sacramento del battesimo, vennero confermati nella fede da papa Sisto II, forse per il ruolo che ricoprivano nella società della capitale dell’impero.
Durante la persecuzione di Decio, i tre amici, riconosciuti cristiani, furono invitati a desistere dal prefetto Valeriano; ma poiché questi persistevano nei loro propositi, vennero inviati in esilio a Civitavecchia (Centumcellae), per una eventuale resipiscenza, dal Promoto consolare di Tuscia Quarto. Questi constatato la loro risolutezza nella fede in Cristo, dopo un regolare processo, li condannò alla decapitazione. La condanna venne eseguita nella località Colonnaccia (l’antico porto Colonna nei pressi di S. Marinella) e i loro corpi gettati in mare.
La notte seguente un presbitero di nome Deodato raccolse i corpi dei tre santi uomini e li seppellì nei pressi del luogo del martirio.
Con la costruzione del Duomo di Civitavecchia le reliquie dei martiri vennero traslate nell’edificio sacro.
Nell’alto medioevo le coste italiane, e in particolare quelle dell’alto Lazio, divennero malariche e insicure, sicché le popolazioni si trasferirono nell’entroterra. Nel 648 il vescovo di Tuscania Valeriano per mettere al sicuro le spoglie mortali dei Santi Secondiano, Veriano e Marcelliano, decise di portarli nella sua Cattedrale. La traslazione delle reliquie da Civitavecchia a Tuscania, riportata da diversi autori, è ricca di suggestioni popolari e leggende. Si narra che molte città, della Chiesa di Tuscania, si disputavano il possesso delle reliquie, sicché il vescovo, per porre fine alle contese, propose che, i sacri resti dei tre martiri, fossero posti su un carro trainato da due giovenche e dove queste si fossero fermate li sarebbero rimasti per essere venerati dal popolo. Il carro attraversò Tarquinia, il fiume Marta e infine si diresse verso Tuscania dove seguì “la strada che si inerpica verso il colle della Civita” in cima al quale era posto la “chiesuola” di S. Pietro, qui i giovenchi si fermarono esanimi.
Con l’arrivo delle spoglie dei santi Secondiano, Veriano e Marcelliano la chiesa di S. Pietro fu ampliata nell’attuale splendida basilica romanica e nella cripta furono deposte i resti mortali dei tre uomini, che avevano dato la vita per Cristo, e dichiarati patroni della città.
Nel secolo XVI le reliquie vennero trasferite nella chiesa di S. Lorenzo, perché la popolazione si era trasferita sui poggi occidentali del territorio suburbano, dove rimasero fino al 1971 quando, a causa del terremoto che colpì il centro abitato, furono portate nel monastero delle clarisse della stessa città. Dal 1983, con il restauro del Duomo, le reliquie hanno trovato definitiva sistemazione nella cappella del SS. Sacramento del più importante tempio del centro abitato.

Autore: Alessio Patetta





I nomi di questi martiri si trovano già nel Martirologio Geronimiano al 9 agosto insieme con altri di santi orientali e romani, e conuna indicazione topografica piuttosto oscura. Il cod. Epternacense infatti indica semplicemente in Tuscia; il Wissemburgense, invece li pone in Colonia ed il Bernense infine precisa e specifica «inColon(n)i (=Colonia) Tusciae via Aurelia miliario XV».
Confrontando queste indicazioni con quelle della passio si può stabilire con una certa probabilità, sulle orme del Lanzoni, che i nostri martiri siano stati uccisi a Castrumnovum, detto anche Colonia Iulia Castrumnovurn, una cittadina oggi scomparsa ma che esisteva realmente nella Tuscia romana, sulla via Aurelia, nei pressi dell'odierna S. Marinella. In tal caso però bisogna correggere le XV miglia del Geronimiano con le LXII indicate dalla passio: ma un tale errore di trascrizione di numeri nel Geronimiano non sarebbe insolito.
Più difficile è stabilire chi fossero i nostri martiri e quando siano periti.
La passio infatti, non più antica del sec. VI-VII, ci è stata conservata in tre redazioni alquanto divergenti in certi particolari importanti e non offre notizie molto attendibili. Secondo questo scritto i nostri martiri erano tre dotti amici romanie pagani persecutori. Osservando la fortezza deicristiani e riflettendo sul famoso testo della IVEgloga di Virgilio in cui si parla della Vergine,del celeste fanciullo e del regno di Saturno, improvvisamente si convertirono, furono battezzatidal presbitero Timoteo (nella seconda redazionequesto presbitero è attribuito al titulus Pastoris)e cresimati dal papa Sisto. Arrestati dal prefettoValeriano, per ordine di Decio, furono inviati aCivitavecchia dal consolare di Toscana, QuartoPromoto, che li condannò alla decapitazione il9 agosto e fece gettare i loro corpi in mare. Nellaseconda redazione si specifica che il luogo del supplizio si trovava a sessantadue miglia da Roma,mentre nella terza redazione si aggiunge che quelluogo «appellatur Coloniacum, qui dicitur Colonia».
I corpi dei martiri furono poi raccolti da uncerto Deodato e sepolti nello stesso luogo doveerano stati decapitati; nella terza redazione invecesi dice che il loro culto era localizzato nella basilica di S. Pietro a Tuscania (forse in seguito ad una traslazione?).
Per completare le notizie sui nostri santi diremo che Usuardo per primo li pose nel suo Martirologio al 9 agosto con un latercolo tratto dalla passio che è passato anche nel Martirologio Romano.
In conclusione possiamo dire che i nostri santi sono tre martiri autentici di Castrumnovum, dei quali però niente si conosce di sicuro; ci sembra quindi improbabile l'ipotesi del Delehaye che vorrebbe identificare Secondiano e Veriano con due dei martiri di Albano venerati l'8 agosto.


Stellina788
00lunedì 9 agosto 2010 12:21

Santa Teresa Benedetta della Croce (Edith Stein) Martire

9 agosto

Breslavia, 12 ottobre 1891 - Auschwitz, 9 agosto 1942

Edith Stein nasce a Breslavia, capitale della Slesia prussiana, il 12 ottobre 1891, da una famiglia ebrea di ceppo tedesco. Allevata nei valori della religione israelitica, a 14 anni abbandona la fede dei padri divenendo atea. Studia filosofia a Gottinga, diventando discepola di Edmund Husserl, il fondatore della scuola fenomenologica. Ha fama di brillante filosofa. Nel 1921 si converte al cattolicesimo, ricevendo il Battesimo nel 1922. Insegna per otto anni a Speyer (dal 1923 al 1931). Nel 1932 viene chiamata a insegnare all’Istituto pedagogico di Münster, in Westfalia, ma la sua attività viene sospesa dopo circa un anno a causa delle leggi razziali. Nel 1933, assecondando un desiderio lungamente accarezzato, entra come postulante al Carmelo di Colonia. Assume il nome di suor Teresa Benedetta della Croce. Il 2 agosto 1942 viene prelevata dalla Gestapo e deportata nel campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau dove il 9 agosto muore nella camera a gas. Nel 1987 viene proclamata Beata, è canonizzata da Giovanni Paolo II l’11 ottobre 1998. Nel 1999 viene dichiarata, con S. Brigida di Svezia e S. Caterina da Siena, Compatrona dell’Europa.

Patronato: Europa (Giovanni Paolo II, 1/10/99)

Emblema: Palma

Martirologio Romano: Santa Teresa Benedetta della Croce (Edith) Stein, vergine dell’Ordine delle Carmelitane Scalze e martire, che, nata ed educata nella religione ebraica, dopo avere per alcuni anni tra grandi difficoltà insegnato filosofia, intraprese con il battesimo una vita nuova in Cristo, proseguendola sotto il velo delle vergini consacrate, finché sotto un empio regime contrario alla dignità umana e cristiana fu gettata in carcere lontana dalla sua terra e nel campo di sterminio di Auschwitz vicino a Cracovia in Polonia fu uccisa in una camera a gas.

Ascolta da RadioRai:
  

Un pugnetto di cenere e di terra scura passata al fuoco dei forni crematori di Auschwitz: è ciò che oggi rimane di S. Teresa Benedetta della Croce, al secolo Edith Stein; ma in maniera simbolica, perché di lei effettivamente non c’è più nulla. Un ricordo di tutti quegli innocenti sterminati, e furono milioni, nei lager nazisti. Questo piccolo pugno di polvere si trova sotto il pavimento della chiesa parrocchiale di San Michele, a nord di Breslavia, oggi Wroclaw, a pochi passi da quel grigio palazzetto anonimo, in ulica (via) San Michele 38, che fu per tanti anni la casa della famiglia Stein. I luoghi della tormentata giovinezza di Edith, del suo dolore e del suo distacco.
Sulla parete chiara della chiesa, ricostruita dopo la guerra e affidata ai salesiani, c’è un arco in cui vi è inciso il suo nome. Nella cappella, all’inizio della navata sinistra, si alzano due blocchi di marmo bianco: uno ha la forma di un grande libro aperto, a simboleggiare i suoi studi di filosofia; l’altro riproduce un grosso numero di fogli ammucchiati l’uno sopra l’altro, a ricordare i suoi scritti, la sua produzione teologica. Ma cosa resta veramente della religiosa carmelitana morta ad Auschwitz in una camera a gas nell’agosto del 1942?
Certamente, ben più di un simbolico pugnetto di polvere o di un ricordo inciso nel marmo. Dopo la fine della seconda guerra mondiale, la sua vicenda è balzata via via all’attenzione della comunità internazionale, rivelando la sua grande statura, non solo filosofica ma anche religiosa, e il suo originale cammino di santità: era stata una filosofa della scuola fenomenologica di Husserl, una femminista ante litteram, teologa e mistica, autrice di opere di profonda spiritualità, ebrea e agnostica, monaca e martire; “una personalità – ha detto di lei Giovanni Paolo II – che porta nella sua intensa vita una sintesi drammatica del nostro secolo”.
Elevata all’onore degli altari l’11 ottobre 1998, la sua santità non può comprendersi se non alla luce di Maria, modello di ogni anima consacrata, suscitatrice e plasmatrice dei più grandi santi nella storia della Chiesa. Beatificata in maggio (del 1987), dichiarata santa in ottobre, entrambi mesi di Maria: si è trattato soltanto di una felice quanto fortuita coincidenza?
C’è in realtà un “filo mariano” che si dipana in tutta l’esperienza umana e spirituale di questa martire carmelitana. A cominciare da una data precisa, il 1917. In Italia è l’anno della disfatta di Caporetto, in Russia della rivoluzione bolscevica. Per Edith il 1917 è invece l’anno chiave del suo processo di conversione. L’anno del passo lento di Dio. Mentre lei, ebrea agnostica e intellettuale in crisi, brancola nel buio, non risolvendosi ancora a “decidere per Dio”, a molti chilometri dall’università di Friburgo dov’è assistente alla cattedra di Husserl, nella Città Eterna, il francescano polacco Massimiliano Kolbe con un manipolo di confratelli fondava la Milizia dell’Immacolata, un movimento spirituale che nel suo forte impulso missionario, sotto il vessillo di Maria, avrebbe raggiunto negli anni a venire il mondo intero per consacrare all’Immacolata il maggior numero possibile di anime. Del resto – e come dimenticarlo? – quello stesso 1917 è pure l’anno delle apparizioni della Madonna ai pastorelli di Fatima. Un filo mariano intreccia misteriosamente le vite dei singoli esseri umani stendendo la sua trama segreta sul mondo.
Decisiva per la conversione della Stein al cattolicesimo fu la vita di santa Teresa d’Avila letta in una notte d’estate. Era il 1921, Edith era sola nella casa di campagna di alcuni amici, i coniugi Conrad-Martius, che si erano assentati brevemente lasciandole le chiavi della biblioteca. Era già notte inoltrata, ma lei non riusciva a dormire. Racconta: "Presi casualmente un libro dalla biblioteca; portava il titolo "Vita di santa Teresa narrata da lei stessa". Cominciai a leggere e non potei più lasciarlo finché non ebbi finito. Quando lo richiusi, mi dissi: questa è la verità". Aveva cercato a lungo la verità e l’aveva trovata nel mistero della Croce; aveva scoperto che la verità non è un’idea, un concetto, ma una persona, anzi la Persona per eccellenza. Così la giovane filosofa ebrea, la brillante assistente di Husserl, nel gennaio del 1922 riceveva il Battesimo nella Chiesa cattolica.
Edith poi, una volta convertita al cattolicesimo, è attratta fin da subito dal Carmelo, un Ordine contemplativo sorto nel XII secolo in Palestina, vero “giardino” di vita cristiana (la parola karmel significa difatti “giardino”) tutto orientato verso la devozione specifica a Maria, come segno di obbedienza assoluta a Dio. Particolare non trascurabile – un’altra coincidenza? – il giorno in cui la Stein ottiene la risposta di accettazione da parte del convento di Lindenthal, per cui aveva tanto trepidato nel timore di essere rifiutata, è il 16 luglio del 1933, solennità della Regina del Carmelo. Così Edith offrirà a lei, alla Mamma Celeste, quale omaggio al suo provvidenziale intervento, i grandi mazzi di rose che riceve dai colleghi insegnanti e dalle sue allieve del collegio “Marianum” il giorno della partenza per l’agognato Carmelo di Colonia.
Il 21 aprile 1938 suor Teresa Benedetta della Croce emette la professione perpetua. Fino al 1938 gli ebrei potevano ancora espatriare, in America perlopiù o in Palestina, poi invece – dopo l’incendio di tutte le sinagoghe nelle città tedesche nella notte fra il 9 e il 10 novembre, passata alla storia come "la notte dei cristalli" – occorrevano inviti, permessi, tutte le carte in regola; era molto difficile andare via. In Germania era già cominciata la caccia aperta al giudeo.
La presenza di Edith al Carmelo di Colonia rappresenta un pericolo per l’intera comunità: nei libri della famigerata polizia hitleriana, infatti, suor Teresa Benedetta è registrata come "non ariana". Le sue superiori decidono allora di farla espatriare in Olanda, a Echt, dove le carmelitane hanno un convento.
Prima di lasciare precipitosamente la Germania, il 31 dicembre del 1938, nel cuore della notte, suor Teresa chiede di fermarsi qualche minuto nella chiesa “Maria della Pace”, per inginocchiarsi ai piedi della Vergine e domandare la sua materna protezione nell’avventurosa fuga verso il Carmelo di Echt. “Ella – aveva detto – può formare a propria immagine coloro che le appartengono”. “E chi sta sotto la protezione di Maria – lei concludeva –, è ben custodito.”
L’anno 1942 segnò l’inizio delle deportazioni di massa verso l’est, attuate in modo sistematico per dare compimento a quella che era stata definita come la Endlösung, ovvero la "soluzione finale" del problema ebraico. Neppure l’Olanda è più sicura per Edith. Il pomeriggio del 2 agosto due agenti della Gestapo bussarono al portone del Carmelo di Echt per prelevare suor Stein insieme alla sorella Rosa. Destinazione: il campo di smistamento di Westerbork, nel nord dell’Olanda. Da qui, il 7 agosto venne trasferita con altri prigionieri nel campo di sterminio di Auschwitz- Birkenau. Il 9 agosto, con gli altri deportati, fra cui anche la sorella Rosa, varcò la soglia della camera a gas, suggellando la propria vita col martirio: non aveva ancora compiuto cinquantuno anni.



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