9 febbraio

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scri789
00mercoledì 9 febbraio 2011 13:08

Sant' Altone Abate

9 febbraio

VIII secolo

Martirologio Romano: Nella Baviera, in Germania, commemorazione di sant’Altone, abate, che, di origine irlandese, costruì nei boschi di questa regione un monastero, che da lui prese poi il nome.


Visse nell'VIII sec., e fondò il monastero di Altomunster o Altenmunster nella diocesi di Freising (Baviera). Ivi, secondo le notizie biografiche, peraltro di scarso valore, del monaco di Othloh (sec. XI), il re Pipino il Breve gli avrebbe donato un terreno boschivo da dissodare; la chiesa del monastero sarebbe stata consacrata da s. Bonifacio. Altone fu considerato scozzese o irlandese, ma il suo nome è chiaramente germanico. È identificabile con l'« Alto reclausus », la cui firma appare in calce a un documento di Freising, forse del 763.
La sua festa, dapprima limitata ad Altomunster, Weingarten e Freising, e poi estesa a tutta la Baviera, è celebrata il 9 febb.; in martirologi scozzesi e irlandesi recenti Altone è ricordato il 5 nov. Sono segnalate reliquie di discutibile autenticità ad Altomunster e a Weingarten, e non mancano immagini del santo.



 



scri789
00mercoledì 9 febbraio 2011 13:09

Sant' Ansberto Abate di Fontenelle

9 febbraio

Martirologio Romano: Ad Hautmont sulla Sambre nell’Hainault, nel territorio dell’odierna Francia, transito di sant’Ansberto, che fu abate di Fontenelle e poi vescovo di Rouen, relegato in esilio dal re Pipino.



scri789
00mercoledì 9 febbraio 2011 13:09

Sant' Apollonia Vergine e martire

9 febbraio

Alessandria d’Egitto, † 249 ca.

Visse nel III secolo dedicandosi completamente all’apostolato. Durante un massacro di cristiani fu catturata: per la sua determinazione e il coraggio dimostrato la minacciarono di bruciarla viva. San Dionigi narra che la vergine Apollonia temendo di non avere le forze per sopportare una simile tortura si gettò nel fuoco di sua spontanea volontà.

Patronato: Dentisti, Malattie dei denti

Etimologia: Apollonia = sacra ad Apollo, dal latino

Emblema: Giglio, Palma, Pinze

Martirologio Romano: Ad Alessandria d’Egitto, commemorazione di sant’Apollonia, vergine e martire, che dopo molte e crudeli torture ad opera dei suoi persecutori, rifiutandosi di proferire parole sacrileghe, preferì essere mandata al rogo piuttosto che rinnegare la fede.

Ascolta da RadioVaticana:
  
Ascolta da RadioRai:
  
Ascolta da RadioMaria:
  

È stata tale la devozione per la santa martire Apollonia, protettrice dei denti e delle relative malattie, che dal Medioevo in poi si moltiplicarono i suoi denti-reliquie miracolosi, venerati dai fedeli e custoditi nelle chiese e oratori sacri dell’Occidente; al punto che papa Pio VI (1775-1799), che era molto rigido su queste forme di culto, fece raccogliere tutti quei denti che si veneravano in Italia, raccolti in un bauletto e pesanti circa tre kg e li fece buttare nel Tevere.
Questo episodio ci aiuta a capire quanta impressione, meraviglia e ammirazione, suscitò il martirio della santa nel mondo cristiano, per i suoi aspetti singolari.
Il suo martirio è riportato dallo storico Eusebio di Cesarea (265-340), che nella sua “Historia Ecclesiastica” scritta nel terzo secolo, trascrive un brano della lettera del vescovo s. Dionigi di Alessandria († 264), indirizzata a Fabio di Antiochia, in cui si narrano alcuni episodi dei quali era stato testimone.
Nell’ultimo anno dell’impero di Filippo l’Arabo (243-249), nonostante che in quel periodo di sei anni, ci fu praticamente una tregua nelle persecuzioni anticristiane, scoppiò nel 248 ad Alessandria d’Egitto una sommossa popolare contro i cristiani, aizzata da un indovino alessandrino.
Molti seguaci di Cristo furono flagellati e lapidati, al massacro non sfuggirono nemmeno i più deboli; i pagani entrarono nelle loro case saccheggiando tutto il trasportabile e devastando le abitazioni.
Durante questo furore sanguinario dei pagani, fu presa anche la vergine anziana Apollonia, definita da Eusebio “parthenos presbytès”, che però nell’iconografia sacra, come tutte le sante vergini, è raffigurata in giovane età e le colpirono le mascelle facendole uscire i denti, oppure come la tradizione ha riportato, le furono strappati i denti con una tenaglia.
Poi acceso un rogo fuori la città, la minacciarono di gettarcela viva, se non avesse pronunziato insieme a loro parole di empietà contro Dio.
Apollonia chiese di essere lasciata libera un momento e una volta ottenuto ciò, si lanciò rapidamente nel fuoco venendo incenerita.
L’episodio sarebbe avvenuto alla fine del 248 o inizio 249, quindi Apollonia che era in età avanzata, doveva essere nata negli ultimi anni del II secolo o al principio del III secolo; nella sua lettera il vescovo s. Dionigi afferma, che la sua era stata una vita degna di ogni ammirazione e forse per questa condotta esemplare e per l’apostolato che doveva svolgere, si scatenò la furia dei pagani, che infierirono su di lei con particolare crudeltà.
Il gesto di Apollonia di gettarsi nel fuoco, pur di non commettere un peccato grave, suscitò fra i cristiani ed i pagani di allora, una grande ammirazione e nei secoli successivi fu oggetto di considerazione dottrinale.
Eusebio e Dionigi non accennano a nessun rimprovero per il suo gesto considerato un suicidio, peraltro inspiegabile in quanto la vergine sarebbe stata condannata comunque al rogo, se non avesse abiurato la fede.
Forse volle sottrarsi ad ulteriori dolorosissime torture, che avrebbero potuto indebolire la sua volontà, preferendo gettarsi fra le fiamme.
Anche s. Agostino nella sua “De civitate Dei”, si pone delle domande sul problema se è lecito darsi volontariamente la morte per non rinnegare la fede; egli dice: “Non è meglio compiere un’azione vergognosa, da cui è possibile liberarci col pentimento, più che un misfatto che non lascia spazio ad un pentimento che salvi?”.
Ma il suicidio volontario di alcune sante donne, che in “tempo di persecuzione si gettarono in un fiume per sfuggire chi insidiava la loro castità”, lo lasciava perplesso e se non fosse stato Dio stesso ad ispirare il gesto? Quindi non sarebbe stato un errore ma un’obbedienza. In definitiva s. Agostino non prende una decisa posizione sull’argomento.
Comunque sin dal primo Medioevo il culto per la martire di Alessandria, si diffuse prima in Oriente e poi in Occidente; in varie città europee sorsero chiese a lei dedicate, a Roma ne fu edificata una, oggi scomparsa, presso S. Maria in Trastevere; la diffusione del culto fu dovuta anche alla leggenda, simile ad altre sante giovani martiri, di essere figlia di un re che la fece uccidere perché non abiurava la fede cristiana.
La sua festa sin dall’antichità si celebra il 9 febbraio; santa Apollonia, vergine e martire di Alessandria d’Egitto è invocata in tutti i malanni e dolori dei denti; il suo attributo nell’iconografia è una tenaglia che tiene stretto un dente.




scri789
00mercoledì 9 febbraio 2011 13:11

San Marone Eremita

9 febbraio

m. Siria, 410 circa

Il Martyrologium Romanum ricorda oggi San Marone, eremita presso Apamea in Siria, uomo di grandi penitenze e di profonda vita interiore. Accanto alla sua tomba fu edificato un famoso monastero, che diede poi il nome alla cosiddetta “Chiesa Maronita”, che è sempre stata in comunione con la Santa Sede.

Martirologio Romano: Su un monte presso Apamea in Siria, san Marone, eremita, totalmente dedito all’aspra penitenza e alla contemplazione, presso il cui sepolcro fu eretto un celebre monastero, da cui ebbe poi origine una comunità cristiana che da lui prese il nome.

Ascolta da RadioRai:
  

Assai ammirato dal celeberrimo Giovanni Crisostomo, San Marone visse a cavallo tra il IV ed il V secolo, eremita nei pressi della città di Ciro in Siria. Pur possedendo una capanna coperta di pelli di capra, si narra che ne abbia poco usufruito, vivendo principalmente all’aperto. Fu fedele discepolo di San Zebino, il quale era solito dispensare consigli estremamente succinti per poter trascorrere il maggior tempo possibile conversando con Dio. Scovate le rovine di un tempio pagano, Marone volle dedicarlo all’unico vero Dio, trasformandolo così nel suo luogo privilegiato di preghiera. Coloro che vi si recavano per consultarsi con il santo e per chiedergli consiglio non solo erano accolti con cortesia, ma venivano inoltre invitati ad unirsi a lui nell’orazione, cosa che spesso consisteva nel vegliare per l’intera notte. Si guadagnò la fama di taumaturgo, compiendo prodigiose guarigioni sia fisiche che psichiche, ma anche la sua reputazione quale direttore spirituale non fu da meno. Molti dei suoi ammiratori maturarono poi la decisione di farsi monaci o eremiti ed il vescovo Teodoreto di Ciro giunse a testimoniare che tutti i monaci della sua diocesi fossero stati istruiti da Marone.
Il santo eremita morì dopo una breve malattia, logorato dai rigori della sua vita, ma non è ben definita la data esatta della sua morte, da collocarsi comunque nella prima metà del V secolo. Purtroppo non si hanno notizie più approfondite e storicamente attendibili su questo santo, nonostante la sua popolarità. Alcune province confinanti si contesero il possesso dei suoi resti, che infine furono tumulati nel celebre monastero di Beth-Maron, nella regione siriana di Apamea, nei pressi della fonte del fiume Oronte. La Chiesa definita “maronita” afferma di aver avuto origine proprio in quel luogo e venera il santo eremita come proprio fondatore, facendone memoria anche nel canone della loro Divina Liturgia. Per alcuni storici è tuttavia difficile che le origini dei cristiani maroniti risalgano oltre il VII secolo, quando cioè si separarono dalla Chiesa adottando il monoteismo, eresia condannata dal concilio di Calcedonia nel 680. Il loro nome sarebbe collegato con maggiore probabilità al leggendario Giovanni Marone, da essi venerato anch’egli come santo, che fu monaco a Beth-Maron e nel 676 divenne vescovo di Botira su insistenza del patriarca monotelita Macario e primo patriarca maronita.
Distrutto dagli invasori arabi nel X secolo, il monastero fu ricostruito a Kefr-Nay nel distretto di Botira e qui venne traslata la testa di San Marone. Nel 1182, durante le crociate, ben quarantamila maroniti si convertirono al cattolicesimo e da allora la loro Chiesa rimase sempre unita a Roma, pur mantenendo una propria liturgia ed un proprio calendario. Sotto la protezione della Chiesa Cattolica i maroniti conobbero un periodo di prosperità e nel 1584 papa Gregorio fondò a Roma un collegio maronita che attirò le attenzioni di molti studiosi. Il XIX fu però il Venerdì Santo della Chiesa maronita: nel 1860 molti furono massacrati e patirono terribilmente per mano dei turchi, l’abate di Deir el-Khamar fu orribilmente torturato e circa sedicimila fedeli vennero espulsi dalle loro abitazioni. Nel 1926 il pontefice Pio XI beatificò un gruppo di undici vittime di tale persecuzione, capeggiato dal francescano Emanuele Ruiz Lopez, del quale facevano parte anche tre fratelli laici maroniti: trattasi dei beati Francesco, Abdel-Mooti e Raffaele Massabki. Ulteriori sanguinosi massacri colpirono i maroniti nel XX secolo, durante la prima guerra mondiale ed in Libano anche negli anni ’80.
Il Martyrologium Romanum commemora San Marone, presunto fondatore di questa grande Chiesa orientale, in data 9 febbraio, mentre i sinassari bizantini lo ricordano al 14 febbraio.





scri789
00mercoledì 9 febbraio 2011 13:12

Santi Martiri di Alessandria d'Egitto

9 febbraio

Martirologio Romano: Sempre ad Alessandria, passione di moltissimi santi martiri uccisi dagli ariani con vari generi di supplizi, mentre in chiesa celebravano l’Eucaristia.





scri789
00mercoledì 9 febbraio 2011 13:13

San Michele (Miguel) Febres Cordero Religioso

9 febbraio

Cuenca, Ecuador, 7 novembre 1854 - Premià del Mar, 9 febbraio 1910

Nasce a Cuenca, in Ecuador, nel 1854. Nel suo Paese (indipendente dalla Spagna dal 1830) sono arrivati nel 1863 dall'Europa i Fratelli delle scuole cristiane, aprendo un istituto anche nella sua città natale. A 14 anni entra nella congregazione, fondata nel 1680 in Francia da san Giovanni Battista de la Salle. Fratel Miguel vota la propria vita alla formazione scolastica dei ragazzi e poi anche degli stessi maestri, come accadrà a Quito, la capitale, dove rimane per 38 anni. Diventa un leader culturale per tutto il Paese ma prosegue anche la sua opera di catechista. La congregazione lo chiama in Belgio, dove ha trasferito la casa madre dopo l'espulsione dalla Francia nel 1904. A fratel Miguel il compito di insegnare lo spagnolo per poter operare in Spagna e in America latina. Ma in Belgio prende la polmonite. Morirà nel 1910 a Premiá del Mar (Barcellona). (Avvenire)

Martirologio Romano: A Premiá de Mar presso Barcellona in Spagna, san Michele (Francesco Luigi) Febres Cordero, religioso dei Fratelli delle Scuole Cristiane, che nella città di Cuenca in Ecuador per circa quarant’anni promosse gli studi letterari e poi in Spagna si applicò con semplicità d’animo alla piena osservanza della regola.


I genitori Francesco e Anna lo vorrebberosacerdote. E lui dice di no quandoè ancora ragazzo, amareggiando ilpadre, di cui porta il nome. Dice di no,perché ha fatto una scoperta entusiasmante.Nel suo Ecuador (già coloniaspagnola, indipendente dal 1830) sonoarrivati nel 1863 dall’Europa i Fratellidelle scuole cristiane, aprendoun istituto anche a Cuenca,la sua città natale.
Lui è stato uno dei primialunni, si è appassionato alloro modo d’insegnare, e infineha deciso di entrare nellaloro congregazione, fondatanel 1680 a Reims, inFrancia, da san Giovanni Battistade la Salle, e votata a unsolo scopo: l’istruzione dellagioventù (di quella più sfortunata, soprattutto),partendo dalla “scuola per lascuola”, ossia dalla formazione dei maestri.E questi ultimi dovevano consacrarsisolo all’insegnamento, rinunciandoper questo al sacerdozio.
Così, a 14 anni, Francesco è accoltodai Fratelli a Cuenca, e vi incomincia ilnoviziato, prendendo il nome di fratelMichele. Solo sua madre ha dato il consenso;il padre, per alcuni anni, rifiuteràanche di scrivergli. Lui intanto divieneprima maestro degli scolaretti, e poi anchedei futuri insegnanti. I superiori lomandano negli istituti lasalliani di Quito,la capitale, e lui vi rimane per 38 anni,come formatore di docenti. Mancanoancora buoni libri per le scuole, ed è luia provvedere, pubblicando opere che siadotteranno poi in tutto il Paese: grammatichedella lingua spagnola,manuali didattici e testidi filologia, raccolte di poesie.E libretti di catechismoper i più piccoli.
Diventa un leader culturaleper tutto il Paese, onoratodalle istituzioni, ma continua– meglio esige di continuare– nell’opera di primoavvicinamento dei più piccolialla fede, come il piùmodesto catechista. E di fatto “catechizza”tutti, nell’ambiente scolastico e fuori,con la semplicità gioiosa della sua vita,nello stile dei Fioretti.
Ma le vicende politiche d’Europa chiamanofratel Michele dall’altopiano ecuadorianoal Belgio e poi alla Spagna. Nel1904 il governo francese ha soppressoed espulso le congregazioni religiose,confiscandone i beni. I Fratelli dellescuole cristiane hanno lasciato la Franciatrasferendo la casa madre in Belgio; esono pronti a operare in Spagna e inAmerica latina. Ma devono imparare lalingua spagnola, e per questo si chiamain Europa fratel Michele, che organizza icorsi di studio, prepara i testi, dirige l’insegnamento.Si ammala nel clima delBelgio, troppo rigido per lui, e si trasferiscein un centro rivierasco di Spagna:Premiá del Mar, vicino a Barcellona, inun altro centro lasalliano di preparazione.E qui muore sul lavoro in un giornod’inverno, per una polmonite.
In Ecuador questa morte è considerataun lutto nazionale, e comincia a divulgarsila sua fama di santità, dallaquale prenderanno avvio negli anniVenti i processi informativi per l’Ecuadore per la Spagna. Nel 1936, durantela guerra civile spagnola, i resti di fratelMichele vengono riportati in Ecuador,e subito incominciano i pellegrinaggi allasua tomba, nella Casa lasalliana diQuito. Nel 1977, papa Paolo VI lo proclamabeato insieme a un confratello, ilbelga fratel Muziano Maria. Il 21 ottobre1984, papa Giovanni Paolo II lo iscrivenel libro dei santi.

Autore: Domenico Agasso (Famiglia Cristiana)




Nel 1863 i Fratelli delle Scuole Cristiane aprono una scuola a Cuenca (Equatore). Uno dei primi alunni è Francisco Febres Cordero, nato il 7 novembre 1854. A scuola egli continua e perfeziona, soprattutto con le lezioni di catechismo e con l'esempio dei suoi educatori, l'educazione cristiana ricevuta in famiglia. Di qui l'albeggiare della sua vocazione lasalliana: ma i genitori, contrari, desiderano che diventi sacerdote. In tale situazione egli ricorre alla SS. Vergine. Finalmente, il 24 marzo 1868, la madre firma l'autorizzazione per il suo ingresso al noviziato. È la vigilia della festa dell'Annunciazione: con la vestizione religiosa, Francisco Febres Cordero diventa Fratel Miguel.
Ma non termina la sua lotta per la fedeltà alla vocazione, perché il padre, pur accettando la decisione della sposa, per cinque anni non scrive una riga al figlio. Questi, intanto, inizia il suo apostolato nelle scuole lasalliane di Quito. Stimato insegnante di lingua e letteratura spagnola, la difficoltà di disporre di aggiornati libri di testo, l'induce a comporre, benché giovanissimo, grammatiche e manuali, che il governo adotta in tutte le scuole dell'Equatore. Col passare degli anni, Fratel Miguel darà alle stampe anche raccolte di liriche e testi di filologia che gli apriranno le porte dell'Accademia. Comporrà pure dei catechismi per l'infanzia, e il ministero al quale soprattutto egli si dedica, con grande entusiasmo e accurata preparazione, è la catechesi. Predilige specialmente la preparazione dei fanciulli alla Prima Comunione; chiederà ed otterrà che gli sia riservato tale delicato compito dal 1880 fino alla sua partenza per l'Europa nel 1907. Questo costante contatto con i piccoli lascerà un'impronta caratteristica nella sua spiritualità: la semplicità evangelica: "Siate semplici come colombe". "Se non diventerete come pargoli, non entrerete nel regno dei cieli". Ne sarà segno la sua tenera devozione a Gesù Bambino. Con la semplicità evangelica, brillano in lui le virtù proprie della vita religiosa: la povertà, la purezza, l'obbedienza. Su tutte splende sempre più alta la carità, alimentata com'è dalla pietà eucaristica e dalla tenera devozione a Maria. Ormai è chiaro per tutti: "Fratel Miguel è un santo!".
La sua santità splenderà anche nel vecchio continente. Nel 1904 in Francia, in seguito alle leggi ostili alle congregazioni religiose, molti fratelli, impediti nel loro ministero, decidono di espatriare. La Spagna e i paesi dell'America Latina ne accolgono un gran numero. La scarsa conoscenza della lingua spagnola dei nuovi arrivati, induce i superiori a trasferire Fratel Miguel in Europa, perché prepari testi per un rapido apprendimento dello spagnolo. Trascorsi alcuni mesi a Parigi, è trasferito alla casa generalizia, a Lembecq-lez-Hal in Belgio.
Tutto intento al suo lavoro, la sua virtù brilla per tutti. Nuocendogli il clima del Belgio, i superiori lo trasferiscono in Spagna, a Premia de Mar, presso Barcellona, dove ha sede un centro internazionale di formazione. 1 giovani ne ammirano la cultura, la semplicità ed il grande amore per Dio.
Nel luglio 1909 a Premia de Mar soffia impetuoso il vento della rivoluzione e si ha la "settimana tragica". Frequenti le violenze anticlericali; Fratelli e giovani in formazione, trasferiti a Barcellona, trovano rifugio nei docks portuali, poi nel collegio "Bonanova". Fratel Miguel nel frangente, porta con sé le Ostie consacrate della cappella di Premia. Spentasi la rivoluzione i Fratelli tornano a Premia de Mar. Ma il Signore vuole con sé il servo fedele. Negli ultimi giorni di gennaio 1910 è colpito da polmonite. L'organismo debole non reagisce e, dopo tre giorni di agonia, il 9 febbraio Fratel Miguel, ricevuti i Sacramenti, muore nella pace del Signore. La notizia della morte suscita commozione e rimpianto: in Equatore viene dichiarato il lutto nazionale. Fratelli ed Ex-alunni ne proclamano le virtù, presto si attribuiscono alla sua intercessione molti favori celesti; di qui l'inizio del processo informativo a Quito e a Cuenca nel 1923, e a Barcellona nel 1924. Nel 1936, durante la rivoluzione spagnola, i resti mortali del Fratello vengono rimpatriati. Viene loro tributata una accoglienza trionfale. La tomba diventa mèta di continui pellegrinaggi.
Grazie e celesti favori vengono ottenuti per l'intercessione di Fratel Miguel; ma il miracolo che ha portato alla guarigione Suor Clementina Flores avvia la causa del santo Fratello verso la beatificazione.
Portati a termine tutti gli adempimenti di rito, il Papa Paolo VI, il 30 ottobre 1977, procede alla beatificazione di Fratel Miguel e a quella del suo confratello belga Fratel Muziano-Maria.
Il grande afflusso di pellegrini dal Belgio, dall'Equatore e dall'Italia, la riuscita cerimonia e le ispirate parole del Pontefice Paolo VI nell'omelia e all'Angelus, hanno reso indimenticabile questa giornata per tutti i fortunati partecipanti alla solenne celebrazione di Piazza San Pietro.
Il giorno stesso della beatificazione, proprio durante lo svolgimento del suggestivo rito, si compiva un altro miracolo: la signora Beatrice Gómez de Nunez, affetta da incurabile "miastenia gravis", si sentì completamente guarita. Già in precedenza, con tutta la famiglia, si era affidata all'intercessione del santo Fratello, ed a coronamento delle sue preghiere era voluta venire a Roma per la beatificazione.
Questa guarigione, riconosciuta come miracolosa, porta alla riapertura della causa, e nel Concistoro del 25 giugno 1984 il Pontefice Giovanni Paolo II stabilisce al 21 ottobre dello stesso anno la data della canonizzazione.
Oggi, Giovanni Paolo II elevando tra i santi l'umile religioso equatoriano, offre alla Chiesa intera, e, in particolare, a quella dell'Equatore il modello di un religioso colto, ma semplice ed umile, di un educatore che ha aiutato tanti giovani a trovare il senso della loro vita in Gesù e a vivere la loro fede come impegno e come dono.




scri789
00mercoledì 9 febbraio 2011 13:13

Santi Primo e Donato Martiri

9 febbraio

Martirologio Romano: A Lemelléfa in Africa settentrionale, commemorazione dei santi Primo e Donato, diaconi e martiri, anch’essi uccisi dagli eretici in chiesa, mentre cercavano di difendere l’altare.





scri789
00mercoledì 9 febbraio 2011 13:14

San Rinaldo di Nocera Umbra Vescovo

9 febbraio

m. Nocera Umbra, 9 febbraio 1217

San Rinaldo, dopo aver brillato come fulgida stella fra i confratelli dell’eremo camaldolese di Fonte Avellana, ove fu priore, rifulse come splendido sole sulla cattedra episcopale di Nocera Umbra. Fu instancabile nel zelare la salute delle anime e praticò sino alla morte le osservanze dell’eremo, mantenendo innanzitutto l’abito monastico. Morì presso Nocera Umbra il 9 febbraio 1217. In tale anniversario è commemorato dal Martyrologium Romanum e dal Menologio Camaldolese.

Etimologia: Rinaldo = potente consigliere, dall'antico tedesco

Emblema: Bastone pastorale

Martirologio Romano: A Nocera Umbra, san Rainaldo, vescovo, già monaco camaldolese di Fonte Avellana, che, pur svolgendo l’ufficio episcopale, conservò con fermezza le abitudini della vita monastica.


San Rinaldo, vescovo di Nocera Umbra, visse a cavallo tra il XII ed il XIII secolo e costituì una figura alquanto singolare di monaco eremita e di vescovo, staccatosi dalla mentalità del suo tempo per dare una svolta radicale alla sua vita, divenendo mirabile esempio di pietà e di carità, di fede e di coerenza, in un mondo caratterizzato da ricchezza e potere, compromessi e collusioni tra potere temporale e spirituale. Figlio primogenito di uno dei signorotti locali che dominavano Nocera Umbra e Foligno, erede del feudo di Postignano e già destinato a posti di importanza politica e militare di primo grado, Rinaldo ricevette un’educazione culturalmente elevata come si conveniva al suo rango. All’età di venti anni abbandonò tutti i suoi averi per darsi all’eremitaggio sul monte di Gualdo, il Serrasanta, celebre per la presenza di uomini dediti alla preghiera ed alla penitenza, ove poté vivere “una vita eremitica perfetta”. Sentì però assai presto in cuor suo la necessità di assoggettarsi ad un superiore, che potesse guidarlo nel seguire costantemente la volontà di Dio, e divenne allora monaco presso il monastero camaldolese di Fonte Avellana, dove “insieme ai confratelli, servì Dio in modo perfetto e devoto” e fu anche eletto priore. Per giochi di potere umano o, se si preferisce vedere gli avvenimenti alla luce della fede, per gli insondabili disegni della Provvidenza, Rinaldo fu associato nell’episcopato al vescovo Ugo, impegnato in alti incarichi giuridici nella Curia Romana. L’elezione sarebbe avvenuta tra gli anni 1209 e 1212 ed infine, alla morte di Ugo, dal 1213 il santo eremita divenne a tutti gli effetti titolare della diocesi. L’episcopato di Rinaldo si contraddistinse per la sua singolare scelta di rimanere monaco anche da vescovo e lo fece con l’ostinazione tipica dei santi, sempre interamente dedito a Dio ed ai fratelli, come narra la Legenda Minor : “tenne la vita perfetta rimanendo come quando era in monastero con digiuni, veglie, e preghiere, dedicandosi a Dio e occupato nella cura vescovile di celebrante del culto divino e di soccorritore delle persone più povere e bisognose”. Per dare un vivace esempio di amore cristiano adottò un bimbo di Nocera, orfano dei due genitori , tenendolo nel palazzo vescovile ed onorandolo quotidianamente a mensa, come fosse stato Cristo stesso che chiedeva aiuto. Importante fu la presenza del santo vescovo alla promulgazione della Indulgenza della Porziuncola nell’agosto del 1216, voluta da San Francesco d’Assisi.
San Rinaldo morì il 9 febbraio 1217 presso Nocera Umbra, ed il suo corpo fu subito imbalsamato. Con un processo sui miracoli, promosso dal vescovo Pelagio suo successore, dopo pochi mesi fu elevato sull’altare maggiore della cattedrale e perciò proclamato santo secondo gli usi del tempo. Le travagliate vicende politiche dispersero presto preziosi documenti e tradizioni relativi al culto del santo, in particolare quando nel 1248 Nocera, città guelfa, fu distrutta dall’esercito di Federico II che si accampò proprio nella suddetta cattedrale. Straordinario evento fu il ritrovamento del corpo di san Rinaldo, intatto e non profanato come le tombe degli altri vescovi. San Rinaldo allora fu proclamato patrono di Nocera ed intorno alla sua urna, trasferita nella chiesa di Santa Maria dell’Arengo, oggi dedicata a San Giovanni Battista, si ricostruì la città distrutta e la devozione verso il santo che perdurò nei secoli. Quando nel 1448 riprese nuovamente la ricostruzione della cattedrale, in cima al colle ove sorge il centro storico di Nocera, al titolo ufficiale della chiesa, che da sette secoli era dedicata alla Vergine Assunta, fu aggiunto il ricordo di san Rinaldo. Il suo corpo fu solennemente trasportato nella nuova cattedrale nel 1456 e per secoli costituì il centro del culto che fece di San Rinaldo il protettore della città e della diocesi di Nocera. Il santo non mancò di provvedere ad aiutare i suoi devoti con interventi di protezione nei momenti tragici di guerre, distruzioni ed eventi calamitosi come i frequenti terremoti. Odiernamente, dopo i dolorosi eventi del terremoto del 1997, il corpo del patrono è venerato nella provvisoria chiesa lignea di san Felicissimo.
Nell’anniversario della morte San Rinaldo è commemorato dal Martyrologium Romanum e dal Menologio Camaldolese.





scri789
00mercoledì 9 febbraio 2011 13:39

San Sabino di Canosa Vescovo

9 febbraio

È un vescovo vissuto tra la fine del V secolo e la metà del VI, di lui prima dell'episcopato non si sa praticamente nulla; sembra che sia succeduto come vescovo di Canosa di Puglia a Memore nel 514. Dal Papa Agapito fu inviato come capo di una commissione di vescovi, nel 535 a Costantinopoli per constatare l'eresia monofisita del patriarca Antimo, la sua rimozione e la sostituzione con il nuovo patriarca Mena, che convocò un sinodo nel 536. San Gregorio Magno racconta che Sabino era solito visitare san Benedetto a Montecassino. In una di queste visite gli disse, che era preoccupato per l'ingresso di Totila re degli Ostrogoti in Roma (dicembre 546) ricevendo come risposta che Roma si sarebbe disfatta da sé per altre vie. E Totila in una delle sue incursioni, arrivò a Canosa e invitato a mensa dal santo vescovo, ormai vecchio e cieco, volle provarne lo spirito profetico, offrendogli lui stesso del vino al posto del servo. Sabino chiamandolo per nome lo ringraziò. (Avvenire)

Patronato: Canosa, Bari, Torremaggiore

Etimologia: Sabino = nativo della Sabina

Emblema: Bastone pastorale

Martirologio Romano: A Canosa in Puglia, san Sabino, vescovo, che fu amico di san Benedetto e venne inviato a Costantinopoli come legato della sede Romana per difendere la retta fede dall’eresia monofisita.

Ascolta da RadioRai:
  

Si tratta di un vescovo vissuto tra la fine del secolo V e la metà del VI, di lui prima dell’episcopato non si sa praticamente nulla; sembra che sia succeduto come vescovo di Canosa di Puglia a Memore nel 514.
Lo si ritrova con altri vescovi nel 531, accanto a Bonifacio II nel Sinodo romano di quell’anno; oltre ad essere un campione di virtù, doveva essere molto saggio e uomo di dottrina, visto la missione di grande importanza che gli aveva affidato il papa Agapito.
S. Sabino fu inviato come capo di una commissione di vescovi, nel 535 a Costantinopoli, su invito dell’imperatore Giustiniano, per constatare, dibattere e condannare l’eresia monofisita del patriarca Antimo, la sua rimozione e la sostituzione con il nuovo patriarca Mena.
Papa Agapito che era giunto personalmente per evitare conflitti, morì sul luogo il 22 aprile 536; toccò a Sabino e agli altri vescovi continuare nell’opera, affiancando il patriarca Mena nel sinodo da lui indetto nel 536, da cui scaturì la condanna definitiva di Antimo, Severo, Zoara e dei loro discepoli monofisiti.
S. Gregorio Magno racconta che Sabino era solito visitare s. Benedetto a Montecassino, a cui portava sincera amicizia, in una di queste visite disse a s. Benedetto che era preoccupato per l’ingresso di Totila re degli Ostrogoti in Roma (dicembre 546) ricevendo come risposta che Roma si sarebbe disfatta da sé per altre vie. E fu con Totila che si verificò l’episodio in cui il re barbaro in giro nel Meridione, in una delle sue incursioni, arrivò a Canosa e invitato a mensa dal santo vescovo, ormai vecchio e cieco, volle provarne lo spirito profetico, offrendogli lui stesso del vino al posto del servo, Sabino chiamandolo per nome lo ringraziò.
Anche un ambizioso arcidiacono, gli preparò una bevanda avvelenata, ma il vescovo lo scoprì e disse al servo che gli porgeva la coppa: “Io berrò il veleno, ma egli non sarà vescovo”; Sabino rimase incolume e l’altro proprio allora si accasciò morto.
Dopo circa 52 anni di episcopato, il santo vescovo morì il 9 febbraio del 566. La città di Canosa di Puglia lo venera come suo patrono, ma anche Bari gli tributa grande culto, venerandolo come compatrono insieme a s. Nicola. Bari ereditò dall’XI secolo la sede episcopale, fino allora dipendente da Canosa.





scri789
00mercoledì 9 febbraio 2011 13:40

San Teliavo (Teliano) Abate

9 febbraio

Martirologio Romano: Nel monastero di Llandaff in Galles, san Teliavo, vescovo e abate, le cui illustri opere celebrano molte chiese in Galles, in Cornovaglia e in Bretagna.





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