9 setttembre

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Stellina788
00giovedì 9 settembre 2010 14:22

San Ciarano il Giovane Abate

9 settembre

Martirologio Romano: Nel monastero di Clonmacnois sulla riva del fiume Shannon in Irlanda, san Ciarano, sacerdote e abate, fondatore di questo cenobio.


Stellina788
00giovedì 9 settembre 2010 14:22

Beato Francesco Garate Professo gesuita

9 settembre

Recarte (Azpeitia), Spagna, 3 febbraio 1857 – Deusto (Bilbao), 9 settembre 1929

Martirologio Romano: A Bilbao nella Guascogna in Spagna, beato Francesco Gárate Aranguren, religioso della Compagnia di Gesù, che svolse per quarantadue anni con cristiana umiltà l’ufficio di portinaio.

Francesco Gárate nacque nel paese di Recarte (Azpeitia), non lontano dal castello di Loyola in Spagna, il 3 febbraio 1857; e la sua vita risentì della spiritualità che ancora impregnava la terra d’origine del grande s. Ignazio di Loyola (1491-1556), fondatore della Compagnia di Gesù (Gesuiti).
Fino ai nove anni ricevette dai genitori Francesco e Maria, una forte educazione cristiana e le prime nozioni scolastiche. Poi fino ai 14 anni frequentò la scuola municipale di Azpeitia; nel 1871 si trasferì ad Orduña (Vizcaya) per occuparsi come domestico nel Collegio gesuita “Nuestra Señora de la Antigua”; nei tre anni di servizio nel Collegio, maturò in lui la vocazione di entrare nella Compagnia di Gesù come Fratello Coadiutore.
A causa della guerra civile scoppiata sul territorio basco, il Noviziato fu trasferito dalla Castiglia a Poyanne nel Sud della Francia, e qui dopo due anni di noviziato, il 2 febbraio 1876 Francesco emise i voti semplici, rimanendo a Poyanne per circa due anni, occupato nei lavori della Casa e dell’infermeria.
Essendosi specializzato come infermiere, nel 1877 fu trasferito nella Comunità e nel Collegio gesuitico di San Giacomo di La Guardia (Pontevedra) ai confini col Portogallo, dove con pazienza, carità e sollecitudine, curò la salute dei ragazzi per circa dieci anni.
Nel poco tempo libero, aiutò anche il Fratello incaricato della Sacrestia; in questo Collegio emise anche i voti solenni il 15 agosto 1887. L’anno successivo fu destinato a Deusto (Bilbao) come portinaio del Collegio di Studi Superiori, che divenne poi la nota Università di Bilbao.
Si prodigò in questa missione per 42 anni, fino al termine della sua vita; in tutto questo tempo fu conosciuto da ben tre Padri Gesuiti che divennero poi Generali dell’Ordine, fra cui padre Ledochówski che guidò la Compagnia di Gesù dal 1915 al 1942 e padre Pedro Arrupe, Generale dal 1965 al 1983.
Tutti e tre hanno lasciato delle testimonianze eloquenti sull’operato di fratel Gárate, che usava una mirabile discrezione, in una portineria frequentata come un porto di mare, da persone di ogni età e condizione, con una umiltà congiunta ad un incantevole naturalezza e con uno speciale istinto che indovinava e preveniva il servizio da operare.
I suoi occhi limpidi colpivano per la luminosità e bontà che esprimevano, il suo sguardo raggiungeva il cuore di chi gli parlava, sia esso uno studente sia un padre gesuita. In quella portineria retta per tanti anni, che per altri sarebbero stati insopportabili, riceveva un via vai continuo di gente, parenti di alunni, persone che cercavano i Padri, fornitori con le loro merci, poveri che chiedevano un aiuto e per tutti fratel Francesco Gárate aveva una buona parola, un sorriso amabile, un’attenzione soddisfacente alle loro richieste.
A chi gli chiedeva come facesse a sbrigare tante occupazioni, rimanendo nel contempo così sereno e tranquillo, senza mai perdere la pazienza, fratel Gárate rispondeva: “Faccio serenamente quello che posso, il resto lo fa il Signore, che può tutto. Col suo aiuto tutto è leggero e soave, perché serviamo un buon padrone”. E il quotidiano servizio svolto con l’amore di un atto gradito a Dio, fu il segreto della sua santità, così normale.
Già prima di arrivare a Deusto, lo precedeva la reputazione di Fratello molto laborioso e di una carità squisita, che gli meritò da parte degli studenti, il nome di “Hermano Finuras”, Fratel Gentilezza.
L’8 settembre 1929 in serata fu colpito da gravi dolori, al punto che chiese gli fosse portato il Santo Viatico, poi il suo stato di salute peggiorò man mano, nonostante le cure del medico e dei Fratelli infermieri; nelle prime ore del mattino del 9 settembre, chiese con insistenza l’estrema unzione e alla fine dell’ultima preghiera del rito, appena detto ‘Amen’, spirò serenamente; aveva 72 anni, dei quali 55 trascorsi nella Compagnia di Gesù e 42 come portinaio dell’Università.
Sepolto nel cimitero di Deusto, nell’agosto del 1946, i suoi resti mortali furono traslati all’Università di Bilbao, prima nella Cappella e poi dal 1964, posti accanto alla portineria, dove aveva lavorato per tanti anni.
Considerato già in vita un religioso perfetto e santo, è stato poi beatificato da papa Giovanni Paolo II il 6 ottobre 1985.
La sua celebrazione liturgica è al 9 settembre.



Stellina788
00giovedì 9 settembre 2010 14:23

Santi Giacinto, Alessandro e Tiburzio Martiri in Sabina

9 settembre

Emblema: Palma

Martirologio Romano: In Sabina al trentesimo miglio da Roma, san Giacinto, martire.

Il Martirologio Geronimiano al 9 settembre riporta questa notizia: "in Sabinis Miliario XXX Jacinti, Alexandri, Tiburti". L'affermazione fu ripresa dai martirologi medievali e dal Romano. Di un martire Giacinto nella Sabina non restano Atti; la menzione piú antica di culto nella località la si ha nel Liber Pontificalis. Ivi infatti si narra che Leone III (795-816) donò alla basilica "ubi corpus eius requiescit, vestem de stauraci pulcherrimam". Il problema che si pone è questo: giacinto è un martire sabino autentico o va identificato con il martire romano omonimo deposto sulla via Salaria vetus (11 settembre) assieme a Proto, o ancora con l'altro martire romano dello stesso nome sepolto in un cimitero della via Labicana (3 agosto)? Il Lanzoni opina che il termine corpus del Liber Pontificalis equivalga a "porzione di corpo". Inoltre, osserva sempre il Lanzoni, dato che i martiri della via Salaria non godevano culto solamente in oma e vicinanze, ma lungo l'intero tracciato della via consolare, si potrebbe ammettere che il Giacinto della Sabina sia l'omonimo della Salaria vetus, comemorato fuori del territorio romano. Nel IX sec. abano Mauro identificò il Giacinto sabino con quello menzionato in una leggendaria passio in cui si narra che un certo Giacinto fu gettato in mare, ma, salvatosi miracolosamente, fu poi decapitato; tuttavia non esiste alcuna precisazione di località.
Per quanto riguarda Alessandro e Tiburzio sembra ai commentatori dei Martirologi Geronimiano e Romario che si tratti di errate trascrizioni. Invece di Alexandri dovrebbe leggersi Alexandria (città), mentre Tiburzio sarebbe il martire romano della via Labicana (11 agosto) qui erroneamente inserito.


Stellina788
00giovedì 9 settembre 2010 14:24

Beato Giacomo Desiderio Laval Sacerdote

9 settembre

Croth (Évreux), Normandia, 18 settembre 1803 – Port-Louis, Isola Maurizio, 9 settembre 1864

Nacque in Francia nel 1803 da famiglia borghese che lo spinse a laurearsi in medicina. Scampato da un incidente, decise di abbandonare la professione per farsi missionario. Mandato nel 1841 nell’isola di Mauritius si dedicò con entusiasmo all’evangelizzazione dei Neri che erano stati per legge liberati dalla schiavitù, ma abbandonati a se stessi. La sua “scelta di campo” suscitò gravi conflitti con gli altri missionari e perfino con il Vescovo, che volevano dedicarsi soltanto ai figli dei coloni bianchi. La sua “incarnazione” nel mondo della “negritudine” lo portò a valorizzare tutti gli elementi positivi della cultura locale non solo ma anche della religiosità indigena. Giacomo Laval fu beatificato da Papa Giovanni Paolo II sottolineando il fatto che si era messo “da una parte”, dalla parte degli Ultimi, i Neri in tempo di razzismo.

Martirologio Romano: A Port-Louis nell’isola Mauritius nell’Oceano Indiano, beato Giacomo Desiderato Laval, sacerdote, che, dopo alcuni anni di esercizio della professione medica, si fece missionario nella Congregazione dello Spirito Santo e condusse i neri da poco liberati dalla schiavitù alla libertà dei figli di Dio.

Primogenito di due gemelli, Giacomo e Michele, ereditò il nome del padre Giacomo Laval, secondo gli usi del tempo; la madre si chiamava Susanna Delérablée e nacque il 18 settembre 1803 a Croth, diocesi di Évreux in Normandia, Francia, di cui il padre era sindaco; al primo nome di Giacomo fu aggiunto il nome Desiderio, santo vescovo di Rennes che si celebrava in quel giorno.
Ricevé dall’ambiente familiare una profonda educazione religiosa, in particolare dalla madre, che però lo lasciò orfano ad otto anni nel 1811.
Venne inviato per tre anni presso un suo zio a Tourville-la-Campagne, a sua volta lo zio lo mandò poi nel Seminario di Évreux, ma dopo un po’ ritornò in famiglia, per proseguire gli studi nel Collegio Stanislao di Parigi, frequentando la facoltà di Medicina.
A 27 anni nel 1830 si laureò in Medicina e prese ad esercitare la professione prima a Saint-André-de l’Eure, dove rimase per tre anni e mezzo e poi a Ivry-la-Bataille.
Il dottor Giacomo Desiderio Laval aveva nel frattempo, accantonato i sentimenti religiosi che l’avevano animato da bambino ed adolescente, ma nel suo profondo egli si sentiva sempre più insoddisfatto.
Capitò che andando a visitare una persona anziana ed ammalata, la trovò sempre impegnata a leggere il libro “Imitazione di Cristo” e alla quale chiese di prestarglielo. La lettura di questo libro di grande spiritualità, di autore ignoto, ma si crede scritto da un monaco di qualche abbazia italiana o francese, e una caduta da cavallo, che avrebbe potuto fargli perdere la vita, fecero riaffiorare la vocazione allo stato religioso, che era stata assopita; e ciò procurò un grande stupore fra quanti conosceva; nel contempo si dedicò tutto alle opere di carità.
Il 15 giugno 1835 entrò nel Seminario di Saint-Sulpice a Parigi, accelerando gli studi per recuperare il tempo finora dedicato ad altre finalità; e il 2 dicembre 1838 fu ordinato sacerdote, e già quindici giorni più tardi, venne nominato parroco della parrocchia di Pinterville, nella sua diocesi di origine.
La parrocchia era composta da soli 483 abitanti, dei quali solo una cinquantina frequentavano la chiesa, ma nel giro di due anni, riuscì a portare quasi tutti alla fede trascurata.
Nell’agosto 1840 ricevé la visita di due seminaristi, e con loro si discusse del progetto di evangelizzazione degli africani, in particolare degli schiavi negri liberati con l’abolizione della schiavitù, proclamata nel 1835; e si capiva che i bisogni spirituali di tutta questa gente erano immensi ed urgenti.
Giacomo Desiderio Laval, venne così a sapere che il convertito figlio di un rabbino alsaziano, Francesco Libermann, si era recato a Roma per avere l’approvazione pontificia per fondare una Società formata da sacerdoti, che si consacravano all’apostolato tra questi schiavi liberati.
Il Libermann, che colpito da epilessia, aveva dovuto lasciare il Seminario, era stato poi ordinato sacerdote nel 1841 da mons. Collier, vescovo di Port-Louis nell’Isola di Maurizio; il quale era venuto in Europa a cercare sacerdoti e nel contempo si era dichiarato protettore dell’erigendo Istituto, che fu fondato nel 1841 dal Libermann (1804-1852) oggi venerabile, sotto il nome di “Congregazione dell’Immacolato Cuore di Maria”.
Il parroco Laval fu tra i primi ad aderire a questa Congregazione e seguì subito mons. Collier che ritornava alla sua diocesi, prima ancora che si aprisse un Noviziato. E così il 14 settembre 1841, il vescovo Collier, padre Laval e altri tre missionari sbarcarono nell’Isola Maurizio, nel cuore dell’Oceano Indiano.
La situazione religiosa nell’isola era drammatica, come colonia britannica era popolata da 140.000 abitanti, dei quali il 75% erano schiavi liberati e di questi 90.000 erano cattolici; nella colonia vi erano solo nove sacerdoti, impegnati particolarmente per i circa 15.000 discendenti dei coloni bianchi.
Padre Laval si dedicò subito all’evangelizzazione dei Neri, i quali pur essendo stati battezzati negli anni dal 1835 al 1839, non erano più stati seguiti pastoralmente; dopo cinque mesi di permanenza, il missionario descrisse una situazione moralmente tragica: Nell’Isola era solo ad occuparsi di circa 80.000 Neri, la corruzione era incredibile, metà non erano battezzati e quelli che lo erano, vivevano come pagani; pochi si erano sposati in chiesa; imperversavano le ubriachezze; le ragazze abusate dai padroni e dai giovani bianchi.
I Neri nati nella colonia venivano chiamati ‘creoli’ ed erano corrotti; il povero sacerdote si rivolgeva praticamente ai profughi provenienti dal Madagascar o dal Mozambico.
Dovette combattere con i benestanti, che vedevano nelle sue attività apostoliche, occasioni di perdita di tempo per i lavori domestici.
Promosse la preparazione di molti catechisti, che con illuminata comprensione, chiamava ‘consiglieri’; non mancarono incomprensioni anche da parte dei suoi superiori. Infatti a Parigi intanto la sua “Congregazione dell’Immacolato Cuore di Maria” si era fusa dopo dieci anni, con la “Congregazione dello Spirito Santo” e il nuovo Superiore Generale riteneva che padre Laval ed i suoi collaboratori, fossero ‘troppo missionari e poco religiosi’.
A questo si aggiunsero le difficoltà continue, provenienti dal protestante governo britannico della colonia e soprattutto il numero insufficiente di confratelli, visto l’immenso lavoro da svolgere.
La linea di apostolato che Giacomo Laval seguiva, era quella di sottolineare che anche i Neri sono figli di Dio e ad affermare la dignità umana di tutto il suo gregge, escludendo la tentazione di fondare una ‘chiesa parallela’ solo per i Neri; cercò di far comprendere che insieme alla prosperità spirituale, venga promosso anche il benessere materiale.
Con questi principi, durante le epidemie di colera del 1854-1857-1862, fondò numerosi ospedali, visitando i malati ovunque si trovassero. Aprì scuole per insegnare le nozioni elementari, costruì varie Cappelle per la formazione spirituale.
I suoi sforzi d’integrazione, dettero i loro frutti e in pochi anni la popolazione mauriziana, bianca o creola, vide sorgere una nuova classe sociale, con rispetto reciproco. Nel suo privato usava il cilicio, dormiva sulla terra, abitava in una capanna, usava mortificazioni, continuo digiuno, la preghiera durante la notte, privazioni di ogni genere.
A 59 anni era ormai un uomo debilitato nel fisico; colpito da apoplessia, rimase vegliato da migliaia di ex schiavi in lagrime. Morì il 9 settembre 1864; davanti alla sua salma sfilarono 20.000 persone e 40.000 parteciparono ai suoi funerali, che furono un vero trionfo di gratitudine.
La sua tomba è rimasta nella Chiesa della Santa Croce a Port-Louis, dove morì, nell’Isola Maurizio in pieno Oceano Indiano.
Padre Giacomo Desiderio Laval, sacerdote della “Congregazione dello Spirito Santo e dell’Immacolato Cuore di Maria”, fu beatificato il 29 aprile 1979 da papa Giovanni Paolo II; primo beato insieme al domenicano Francesco Coll, del lungo elenco dei beati di questo pontificato.



Stellina788
00giovedì 9 settembre 2010 14:25

Beato Giorgio Douglas Martire

9 settembre

Sacerdote scozzese condannato a morte essendosi rifiutato di riconoscere la regina Elisabetta I come capo supremo della Chiesa in Inghilterra.

Martirologio Romano: A York in Inghilterra, beato Giorgio Douglas, sacerdote e martire, che, scozzese d’origine, da maestro di scuola divenne sacerdote a Parigi e sotto la regina Elisabetta I passò vincitore in cielo attraverso il supplizio del patibolo per aver persuaso altri ad abbracciare la fede cattolica.


Stellina788
00giovedì 9 settembre 2010 14:25

San Gorgonio di Roma Martire

9 settembre

Martirologio Romano: A Roma nel cimitero ad Duas Lauros sulla via Labicana, san Gorgonio, martire.

La Depositio Martyrum compresa nel Cronografo del 354 segnala al V delle idi di settembre (9 settembre) Gorgoni in Lavicana. Si tratta del più antico documento che ci dia notizia dell'esistenza e del culto di Gorgonio. D'altra parte, non si saprà mai di più su questo martire di cui non è stata conservata alcuna passio. I testimoni medievali, che di solito informano sul ricordo dei martiri romani, come, ad es. l'Itinerario di Salisburgo, quello di Malmesbury e l'Epitome de locis sanctorum, fanno tutti menzione di Gorgonio nello stesso luogo (presso la tomba di s. Elena) sulla via Labicana. Bisogna aggiungere, inoltre, la testimonianza dei Sacramentari Gelasiano e Gregoriano. Il Martirologio Geronimiano, al 9 settembre, contiene una menzione più precisa: "Romae via Lavicana inter duas (sic!) lauros in cimiterio ejusdem natale sancti Gorgoni".
Il cimitero inter duas lauros, conosciuto anche come di Pietro e Marcellino, custodiva in interiore antro il corpo di Gorgonio che, alla fine del IV sec. doveva godere di una vivissima rinomanza.
Trasportata nel Medio Evo dalla via Labicana alla chiesa di S. Martino ai Monti, questa iscrizione scomparve nel XVIII sec. durante un restauro della chiesa. Il testo è stato conservato da diverse Sylloges (Tours, Lorsch, ecc.). Nel suo Martirologio, Beda menziona Gorgonio alla data tradizionale e altrettanto fa Floro, che riprende quasi letteralmente la notizia del Martirologio Geronimiano.
Adone operò un rimaneggiamento nel Martirologio di Floro, che riuscì nefasto per Gorgonio: il 12 marzo, infatti, egli aveva trovato la menzione di tre martiri di Nicomedia, Pietro, Gorgonio e Doroteo e al 9 settembrre quella di un martire romano Gorgonio; egli lasciò al 12 marzo la memoria di Pietro di Nicomedia e trasportò al 9 settembre quella degli altri due, Gorgonio e Doroteo, lasciando la collocazione a Nicomedia (e per di più ripetendo a loro proposito la descrizione dei tormenti subiti da Pietro). Gorgonio di Roma, che aveva, senza alcun dubbio, causato il trasferimento dei due martiri, diventava piuttosto ingombrante. Adone non si lasciò intralciare da questa difficoltà e soppresse dal suo testo il Gorgonio di Roma, inventando, tuttavia, la traslazione in questa città delle reliquie dell'omonimo di Nicomedia.
Ormai il culto del martire romano in Occidente era finito, poiché la stessa sostituzione fu ripresa da Usuardo e, per suo mezzo, giunse fino al Martirologio Romano ove ancora sussiste, con lo stesso errore commesso da Adone, il quale aveva posto sulla "via Latina" la pretesa traslazione. Baronio si accontentò di aggiungere che, in seguito, le reliquie di Gorgonio furono trasportate nella basilica Vaticana.
Il martire romano Gorgonio ebbe l'onore di almeno due traslazioni dal cimitero inter duas lauros. La prima avrebbe avuto luogo a cura del vescovo Crodegango di Metz (760-766) al tempo del papa Paolo I (757-767) dal quale avrebbe avuto in dono le reliquie (a meno che non gliele avessero procurate i ben noti saccheggiatori). Ritornato in Lorena, Crodegango le avrebbe deposte (intorno al 765) nell'abbazia di Gorze, ove il patronato di Gorgonio è peraltro documentato dal 761.
Una seconda traslazione di Gorgonio dallo stesso cimitero è ancora ricordata, al tempo di Gregorio IV (827-844), da Anastasio il Bibliotecario nella Vita di quel pontefice. E' interessante notare ciò che H. Delehaye diceva a proposito di tale doppia traslazione: "Bisogna pensare che in quell'epoca (IX sec.) si sia prodotto un fenomeno psicologico, tanto spesso rinnovatosi in seguito: dopo la traslazione di un corpo santo, si continua ad agire come se esso sia rimasto sul luogo. Il pubblico ha dimenticato - se pure le ha mai conosciute - le circostanze della traslazione... Sebbene s. Sebastiano e s. Gorgonio avessero passate le Alpi, si è potuto ricercarli nei cimiteri quibus antea jacebant, immaginare di averli ritrovati e creare quindi quelle reliquie doppie o triple che noi, troppo spesso, riscontriamo".
In ogni modo bisogna notare che, se queste traslazioni di Crodegango e di Gregorio IV ebbero luogo, si trattava sempre del martire romano e non di altri, poiché l'una e l'altra sono antecedenti all'epoca in cui Adone componeva il suo Martirologio. A questo, evidentemente, non ha pensato il compilatore della Passio Gorgonii et Dorothei che A. Poncelet credeva di poter identificare con Adalberto, vescovo di Magdeburgo. Scrivendo verso la fine del sec. X, egli si basava sul Martirologio di Adone, come chiaramente prova il testo, e persuase in tal modo Milone, vescovo di Minden in Westfalia, cui inviava la passio, che Gorgonio fosse un martire di Nicomedia, le cui reliquie erano state trasportate a Roma. Milone, la cui diocesi era sotto il patronato dello stesso santo patrono dell'abbazia di Gorze, comunicò la passio al suo abate Immone, e cosí la confusione giunse fino in Lorena.
Anche se Gorgonio, martire di Roma, è scomparso dai libri liturgici, non bisogna dimenticare che fu lui, e non l'omonimo martire di Nicomedia, a godere nel Medio Evo di un culto tanto diffuso, specialmente nei luoghi dove, oltre che a Gorze, si pretendeva di custodire sue reliquie e, cioè, a Cluny, Pouillon (dioc. di Reims), Rethel, SaintGorgon (dioc. di Soissons) e a Minden.
Negli Acta SS. Martii, è riferita la traslazione da Roma a Marmoutier avvenuta nell'847 ad opera dell'abate Rainaldo, di un Gorgonio martire, il cui corpo sarebbe stato estratto "in loco qui dicitur Via Appia inter duas lauros iuxta ecclesiam S. Caeciliae". Secondo il monaco autore della relazione, questo Gorgonio sarebbe uno dei quaranta martiri sebasteni uccisi sotto Licinio, e i cui resti sarebbero stati traslati a Roma.
Poichè questi traslazione di martiri di Sebaste a Roma non è mai avvenuta, è da pensare, stando anche al riferimento inter duas lauros che il Gorgonio traslato a Marmoutier sia o una reliquia del Gorgonio della via Labicana o un "corpo santo" ribattezzato.



Stellina788
00giovedì 9 settembre 2010 14:26

Beata Maria (Emma) Euthymia Uffing

9 settembre

Halverde, 8 aprile 1914 - 9 settembre 1955

All'età di vent'anni Emma, questo il suo nome da borghese, nonostante una forma di rachitismo, desidera e ottiene l'ammissione nella congregazione delle Suore della Misericordia. Quì si distinguerà per l'umile operosità al servizio delle consorelle. Di lei si ricorda come tutto il tempo libero lo passasse in ginocchio davanti al tabernacolo. Fin da allora gli venivano richieste preghiere d'intercessione. Poi una grave forma di cancro la condusse alla morte nel settembre del 1955.

Martirologio Romano: A Münster in Germania, beata Maria Eutimia (Emma) Üffing, vergine della Congregazione delle Suore della Compassione, che servì Dio tra i malati con insigne pietà, bontà e noncuranza di sé.


Emma Üffing, questo il nome da borghese di Suor Maria Euthymia, nacque l'8 aprile 1914 a Halverde, nel distretto di Steinfurt. Lo stesso giorno fu battezzata nella chiesa parrocchiale di Halverde. Figlia del secondo matrimonio dei genitori August Üffing e Maria Schnitt, Emma crebbe insieme a dieci fratelli e sorelle nell'ambiente tipico di un piccolo paese. La famiglia numerosa e profondamente religiosa e la vita ecclesiale caratterizzarono la sua infanzia e la sua gioventù. Una forma di rachitismo rallentò il suo sviluppo fisico, lasciandola di salute cagionevole per il resto della sua vita. Nonostante ciò, non si lamentava mai, non si indignava quando subiva un'ingiustizia ed ogni volta che poteva, evitava ai fratelli ed alle sorelle i lavori spiacevoli. Frequentò la scuola elementare di Halverde e dovette mettersi di impegno. Con diligenza e perseveranza giungeva ad ottenere la pagella di una buona alunna, riuscendo quasi sempre a risultare la seconda della classe.
Il 27 aprile 1924 Emma ricevette la prima comunione e il 3 settembre dello stesso anno la cresima, dal vescovo Johannes Poggenburg. Ogni giorno assisteva alla Santa Messa. Era una bambina devota e silenziosa, ma serena, che colpiva per il suo atteggiamento assorto durante la preghiera. Già all'età di 14 anni Emma espresse il desiderio di farsi suora.
Il 1 novembre 1911 cominciò la sua formazione come apprendista di economia domestica nel vicino ospedale di Sant'Anna a Hopsten. Qui fece la conoscenza delle suore misericordiose di Münster, le Barm-herzige Schwestern. La madre superiora della casa, Suor Euthymia Linnenkämper, apprezzava l'atteggiamento sempre servizievole e disponibile di Emma Üffing. Secondo una testimonianza di una compagna di scuola «per Emma Üffing nessun lavoro era troppo umile. Era apprezzata e rispettata da tutti nella casa. Non si vedeva mai irritata o di malumore, per questo era ben voluta ovunque». L'8 dicembre 1932 morì il padre di Emma. Giorni prima era andata a casa dei genitori per aiutare la madre ad assistere il padre gravemente malato. Era la prima volta che Emma assisteva un malato e che era presente durante l'unzione degli infermi, un servizio che più tardi avrebbe compiuto ancora tante volte al capezzale di uomini moribondi. Dopo aver concluso il suo apprendistato, il 1° maggio 1933 Emma tornò a casa dei genitori. Nel marzo del 1934, con il consenso di sua madre, chiese attraverso una lettera alla casa madre di Münster di essere ammessa nella congregazione delle Suore della Misericordia. A causa della precedente forma di rachitismo, Emma — che all'epoca aveva 20 anni — era di costituzione delicata come conferma il certificato medico. Dopo un'iniziale esitazione, la direzione dell'ordine di Münster decise di accettare la sua richiesta. Il 23 luglio Emma Üffing entrò nella congregazione delle Suore della Misericordia a Münster come una delle 47 postulanti. Ricevette il nome Euthymia, che lei aveva desiderato tanto ardentemente in memoria della madre superiora di Hopsten Euthymia Linnenkämper. Il suo grande desiderio di una vita al servizio di Dio e degli uomini si realizzò l'11 ottobre 1936, quando prese i voti semplici. Durante tutto il periodo del suo postulato e del suo noviziato si era preparata a questo giorno in maniera intensa e coscienziosa. In una lettera a sua madre scrive allegramente: «Ho trovato colui che il mio cuore ama; voglio afferrarlo e non lasciarlo mai più» (cf Ct. 3, 4).
Il 30 ottobre 1936 Suor Maria Euthymia fu trasferita all'ospedale San Vincenzo di Dinslaken. Dopo un breve periodo nel reparto femminile, si dedicò all'assistenza dei malati del reparto d'isolamento, che era situato in una baracca di legno ed era intitolato a Santa Barbara. Con la sua tipica perseveranza e precisione si preparò agli esami teorici e pratici per l'assistenza ai malati. Il 3 settembre 1939 ricevette il diploma di infermiera con il massimo dei voti. Un anno dopo, il 15 settembre 1940, Suor Maria Euthymia si vincolò definitivamente a Dio ed alla comunità pronunciando i voti solenni. Durante il periodo della guerra la povertà aggravò il lavoro di assistenza ai malati. Nel 1941, a Suor Maria Euthymia fu affidata l'assistenza dei prigionieri di guerra malati e dei lavoratori stranieri, soprattutto inglesi, francesi, russi, polacchi e ucraini. Si dedicò all'assistenza con premura instancabile e cordialità. Il sacerdote francese Emile Eche, che visse diversi anni come prigioniero di guerra nell'ospedale di Dinslaken, fornisce di lei una straordinaria testimonianza. Nel contatto con i malati era piena di una carità e di una gentilezza che venivano dal cuore, niente era troppo per lei. Sapeva che i prigionieri malati non dovevano sopportare solo sofferenze corporali. Attraverso la sua simpatia umana e la sua vicinanza comunicava loro la sensazione di trovarsi al sicuro e a casa. Pregava con i malati e si preoccupava affinché potessero ricevere i Santi Sacramenti. Suor Maria Euthymia fu presto chiamata «l'angelo di Santa Barbara». Molte persone del suo ambiente vedevano nei prigionieri di guerra malati l'avversario e il nemico; per Suor Maria Euthymia erano uomini che avevano bisogno del suo aiuto. Quando vide che i prigionieri di guerra spinti dalla fame scavavano nei bidoni della spazzatura, chiese insistentemente del pane, preparò dei panini imburrati e li mise nei bidoni che in precedenza aveva puliti, affinché gli affamati ve li potessero trovare. Faceva del bene anche sotto minaccia di una pena. «La vita di Suor Maria Euthymia era un cantico della speranza in mezzo alla guerra», dice Emile Eche.
Dopo la guerra, a Suor Maria Euthymia — che in precedenza aveva lavorato così appassionatamente all'assistenza dei malati — fu affidata la direzione della lavanderia a Dinslaken e tre anni dopo quella della grande lavanderia della Casa Madre e della clinica San Raffaele a Münster. Nonostante amasse tanto l'assistenza ai malati, si adeguò senza problemi a questo nuovo incarico. «È tutto per Dio onnipotente», fu la sua reazione. Nonostante la sovrabbondanza di lavoro, che era enormemente impegnativo, rimase sempre la religiosa gentile e disponibile, che aveva un sorriso amichevole e una parola buona per tutti ed era accanto a chiunque chiedesse il suo aiuto in qualsiasi faccenda. Viveva il quotidiano in maniera del tutto straordinaria. Tutto il tempo libero, che normalmente era ben poco, lo passava in preghiera davanti al tabernacolo. Molti che la conoscevano, le chiedevano già allora di intercedere per loro nelle sue preghiere. Una grave forma di cancro portò alla morte precoce di Suor Maria Euthymia, dopo lunghe settimane di malattia. Morì la mattina del 9 settembre 1955. Subito cominciò ad essere venerata; molte persone — anche oltre i confini della Germania — chiedono la sua intercessione presso Dio e ne trovano conforto.


Stellina788
00giovedì 9 settembre 2010 14:27

Beate Maria della Resurrezione, Maria della Colonna e Clemenza della Ss. Trinità Mercedarie

9 settembre

+ 1615

Mercedarie del monastero dell'Assunzione in Siviglia (Spagna), le Beate Maria della Resurrezione, vergine, Maria della Colonna e Clemenza della Santissima Trinità, erano sorelle carnali. Celebri per la santità della vita e con le mani colme di opere raggiunsero lo Sposo Divino nell'anno 1615.
L'Ordine le festeggia il 9 settembre.



Stellina788
00giovedì 9 settembre 2010 14:27

Beata Maria Toribia (Maria de la Cabeza) Moglie di s. Isidoro l’agricoltore

9 settembre

Castiglia, secolo XII

Isidoro, di poverissima famiglia, agricoltore, fin da ragazzo premetteva sempre al lavoro la Messa. Sposò Maria Toribia e ne ebbe un figlio che morì bambino. Osteggiati per invidia, i due sposi lavorarono sotto vari padroni, gareggiando a santificarsi l'un l'altro: modelli di fedeltà agli obblighi di lavoro, alle pratiche di pietà, alla carità operosa verso ,i più poveri; vissero in unione di spirito con un amore che trascende la carne. Semplice esistenza di onesti contadini intessuta di lavoro, animata dalla fede: le sole umili grandi gesta dei due sposi` che li fecero santi e modelli per i nostri tempi.

Martirologio Romano: Nella Castiglia in Spagna, beata Maria de la Cabeza, che, moglie del contadino sant’Isidoro, condusse vita eremitica umile e laboriosa.


Le poche notizie riguardanti l'esistenza della beata Maria Toribia sono contenute nella ‘Vita’ di s. Isidoro l’agricoltore suo marito, scritta da Giovanni Egidio di Zamora, nella seconda metà del sec. XIII.
Fino alla fine del secolo XVI, quando ebbe inizio il suo processo di beatificazione, non esiste nessun documento scritto che parla di lei; morta verso il 1175 in Castiglia, fu sepolta davanti al convento-eremitaggio di S. Maria, presso il fiume Jarama.
Il suo corpo fu ritrovato soltanto nel 1596; ma il suo culto era già molto diffuso da vari secoli, per cui in data sconosciuta era stata prelevata la reliquia della testa e posta alla venerazione dei fedeli, nello stesso romitaggio di S. Maria.
Poi questo eremitaggio a causa della presenza della testa della santa, venne denominato di S. Maria de la Cabeza (testa in spagnolo) e anche alla santa donna fu dato lo stesso nome di Maria, mentre alcune tradizioni antecedenti al secolo XVI, riportavano che il suo vero nome fosse Toribia.
Naturalmente nel processo di beatificazione istruito nel 1615, si poté tener conto solo delle tradizioni popolari riguardo la vita e le virtù della santa moglie di s. Isidoro, del quale rispecchiava la cristiana e umile vita.
Non è possibile stabilire il luogo di nascita, perché tradizionalmente ben sette città spagnole si disputano la priorità; nei pressi del convento di S. Maria, esisteva da tempo immemorabile una confraternita intitolata a Santa Maria de la Cabeza, che ne festeggiava la ricorrenza il 9 settembre.
Le reliquie furono trasferite nel 1615 a Torrelaguna quando iniziò il processo di beatificazione; papa Innocenzo XII, l’11 agosto 1697 ne confermò il culto di Beata.



Stellina788
00giovedì 9 settembre 2010 14:28

Beato Pierre Bonhomme

9 settembre

Gramat, Cahors, 4 luglio 1803 - Gramat, 9 settembre 1861

Francese della diocesi di Cahors, nato nel 1803, è il fondatore dell'Istituto di Nostra Signora del Calvario, nato per l'educazione dei bambini e l'assistenza ai poveri, agli anziani e ai portatori di handicap. Curato a Gramat, vi aprì una scuola per ragazzi e educò i giovani al servizio verso i più poveri. E' ricordato anche come predicatore instancabile nelle parrocchie. Morì nel 1861.

Martirologio Romano: Nella città di Gramat nel territorio di Cahors in Francia, beato Pietro Bonhomme, sacerdote, che si adoperò mirabilmente per le missioni al popolo e l’evangelizzazione delle campagne e fondò la Congregazione delle Suore di Nostra Signora del Monte Calvario, a cui affidò la cura delle necessità dei giovani, dei malati e dei poveri.


Pierre Bonhomme nacque a Gramat, nella diocesi di Cahors, il 4 luglio 1803 e nello stesso giorno ricevette il battesimo. Da fanciullo anticipò quelle stesse disposizioni che si manifestarono pienamente in età matura: tendenza allo studio, facilità di apprendere e di esprimersi, un profondo sentimento religioso, la tendenza alla semplicità ed alla povertà. Nel 1813 ricevette la Prima Comunione.

Dal 1815 al 1818 Pierre Bonhomme frequenta la scuola di Reilhac, quindi nel novembre 1818 è accolto in seminario ed a 20 anni entra nel collegio reale di Cahors per studiare lettere, dove nel 1824 consegue il diploma di Baccelliere. Nel novembre di quello stesso anno entra nel seminario maggiore di Cahors dove rimane fino al 1827, anno nel quale riceve il suddiaconato. Sempre in questo stesso anno, nel mese di novembre, riceve a Montauban il diaconato ed il 23 dicembre viene ordinato sacerdote a Cahors.

Un atto che dimostra la nobiltà del suo cuore fu il rifiuto di una borsa di studio messa a sua disposizione dalla direzione del liceo a titolo di alunno ecclesiastico: Pierre Bonhomme, essendo ancora indeciso sul suo futuro, per non togliere il posto a qualche vocazione sicura, preferì rifiutare una tale proposta. Aveva infatti fin da allora un alto concetto della vocazione sacerdotale, per cui nutrendo ancora un'inclinazione piuttosto forte per i giochi, i divertimenti e lo svago, preferì attendere di dominare queste tendenze prima di intraprendere con zelo e responsabilità la strada del sacerdozio. A questo proposito è singolare il fatto che, per avere un periodo di maturazione non passò direttamente dal piccolo seminario di Montauban al seminario maggiore di Cahors, ma preferì frequentare il Collegio Reale, conseguendovi il Baccellierato in lettere.

Durante il periodo degli studi il suo contegno fu eccellente: le testimonianze ci dicono che egli seppe attirarsi la stima dei maestri e di tutti i suoi compagni. In famiglia fu ritenuto un modello di amore, di rispetto, di aiuto verso i genitori, mentre per sua sorella Elisabetta fu non solo un fratello affettuosissimo, ma anche una guida spirituale, che seppe aprirle il cuore all'amore di Dio, alla preghiera e ad un'intensa vita ascetica.

Dopo l'ordinazione sacerdotale iniziò quel ministero apostolico per la gloria di Dio ed il bene spirituale e materiale dei fratelli che, sotto molteplici forme e con un ritmo quasi frenetico, caratterizzò da una parte la sua vita e, dall'altra, anche le sue virtù e la sua spiritualità. Dal suo zelo apostolico nacque un istituto religioso che è ancor'oggi molto florido: l'11 agosto 1827, quando ancora era solamente diacono, Bonhomme aprì a Gramat una scuola per studi primari e secondari; nel 1831 diede vita a Praysac ad una scuola preparatoria per inviare gli allievi al seminario maggiore e poi, sotto il suo impulso, nacque poi nel 1832 la Congregazione delle Figlie di Maria. Proprio quando era titolare della parrocchia di Notre-Dame fondò l'Istituto di Nostra Signora del Calvario che aveva come scopi principali l'educazione dei bambini, l'assistenza ai poveri, agli anziani, ai sordomuti, agli alienati mentali e ad altre categorie di handicappati gravi.

Quest'attività, così varia e molteplice, getta luce sulla particolare personalità di Bonhomme, sulla sua capacità di lavoro, sulle dimensioni del suo orizzonte spirituale ed ecclesiale, e ci fa capire quali virtù dovevano caratterizzarlo maggiormente. Emerge la figura di un apostolo pieno di zelo per la gloria di Dio, votato interamente al bene materiale e morale dei fratelli, specie quelli più bisognosi, tutto aperto, sia per sé che per gli altri, alla ricerca della santità, il Signore l'aveva dotato di qualità eccellenti: fervida intelligenza, capacità di lavoro e ricchezza di valori umani. Spiritualmente alieno da ogni ricerca e da ogni interesse personale, convinto ed esperto dei valori della preghiera, tra una generale fama di santità concluse il suo cammino terreno il 9 settembre 1861 a Gramat.
Papa Giovanni Paolo II l'ha proclamato beato il 23 marzo 2003.



Stellina788
00giovedì 9 settembre 2010 14:29

San Pietro Claver Sacerdote

9 settembre - Memoria Facoltativa

Verdu (Spagna), 25 giugno 1580 - Cartagena (Colombia), 8 settembre 1654

Nato a Verdù, a pochi chilometri da Barcellona, il 25 giugno 1580, Pietro Claver entra nella Compagnia di Gesù dopo aver pronunciato i primi voti nel 1604. Tra il 1605 e il 1608 studia filosofia a Palma di Maiorca e viene ordinato sacerdote a Cartagena nel 1616 e, diventato missionario, presta le sue cure pastorali agli schiavi neri, deportati dall'Africa. Qui, infatti, sbarcano migliaia di schiavi, quasi tutti giovani: ma invecchiano e muoiono presto per la fatica e i maltrattamenti; e per l'abbandono quando sono invalidi. In particolare, pronuncia il voto di essere «sempre schiavo degli Etiopi» (all'epoca si chiamavano «etiopi» tutti i neri) e per comprendere i loro problemi impara anche la lingua dell'Angola. Ammalatosi di peste, sopporta perfino i maltrattamenti del suo infermiere, che è un nero. Morto a 74 anni e canonizzato nel 1888 insieme con Alfonso Rodriguez, suo fratello gesuita e amico, è stato proclamato patrono delle missioni per i neri da Papa Leone XIII. (Avvenire)

Patronato: Negri

Etimologia: Pietro = pietra, sasso squadrato, dal latino

Martirologio Romano: San Pietro Claver, sacerdote della Compagnia di Gesù, che, a Cartagena in Colombia si adoperò per oltre quarant’anni con mirabile abnegazione e insigne carità per i neri ridotti in schiavitù, rigenerando di sua mano nel battesimo di Cristo circa trecentomila di loro.
(8 settembre: A Cartagena in Colombia, anniversario della morte di san Pietro Claver, sacerdote, la cui memoria si celebra domani).

Ascolta da RadioVaticana:
  
Ascolta da RadioRai:
  

Aethiopum semper servus: all’epoca sua si chiamavano “etiopi” tutti i neri. E lui, dicendosi “semper servus”, si impegna a vivere solo per loro. Cioè per i neri d’Africa, portati schiavi nell’America meridionale. Questo è il programma che s’impone Pietro Claver nell’aprile 1622 a Cartagena (Nueva Granada, detta poi Colombia) nel compiere la “professione definitiva”, l’atto che segna per sempre la sua piena appartenenza alla Compagnia di Gesù. Nato presso Barcellona, è entrato da ragazzo nel collegio dei gesuiti. All’università diretta da loro, nella capitale catalana, ha poi fatto gli studi umanistici, pronunciando i primi voti nel 1604.
Nel 1605-1608 ha studiato filosofia a Palma di Maiorca. E qui lo hanno aiutato le “lezioni” del portinaio Alfonso Rodriguez: è un mercante di Segovia che, perduta la famiglia, presta lietamente l’umile servizio al collegio dei gesuiti. Ma col tempo il suo stanzino diventa un’altra aula, e lui un maestro di spiritualità, consultato da sapienti e potenti e soprattutto dai giovani allievi come Pietro Claver. Che esce da quella portineria orientato.
Inizia gli studi di teologia a Barcellona e li completa a Cartagena di Colombia (dove diventa sacerdote nel 1616). Qui sbarcano migliaia di schiavi neri, quasi tutti giovani: ma invecchiano e muoiono presto per la fatica e i maltrattamenti; e per l’abbandono quando sono invalidi. Tra questa umanità la Compagnia di Gesù ha mandato i suoi missionari. Unitosi a loro, Pietro Claver conosce il mondo della sofferenza e della disperazione; discerne la volontà di Dio, che il portinaio di Maiorca gli insegnava a cercare: Dio vuole che egli serva gli schiavi con tutte le sue forze, ogni giorno della sua vita.
Così si ritrova a vivere la loro sofferenza, e a combatterla. Sta con loro per nutrire e per curare, imperturbabile ed efficiente anche nelle situazioni più disgustose. A questa gente che non ha nulla, che non è nulla, insieme al soccorso offre il rispetto. Si sforza di risvegliare in ognuno il senso della sua dignità, senza il quale non potrebbe parlare di Dio e del suo amore. Impara la lingua dell’Angola, parlata da molti di loro, e crea un’équipe di interpreti per le altre lingue. Ma si fa capire anche col suo modo di vivere, che è quello degli schiavi più sfortunati: basta guardarlo per dargli fiducia, credere in lui, confidarsi (e per questo gli si attribuisce il dono della “lettura delle anime”). Basta guardarlo per capire e condividere la devozione che egli predica per Cristo sofferente.
Poi si ammala, forse di peste. Sopravvive, ma senza più forze, trascinandosi allo stesso modo dei vecchi schiavi. Deve sopportare i maltrattamenti del suo infermiere: un nero. Anche in queste cose bisogna scorgere la volontà di Dio. Muore a 74 anni e verrà canonizzato nel 1888, con Alfonso Rodriguez, il fratello portinaio di Maiorca.



Stellina788
00giovedì 9 settembre 2010 14:30

San Valentiniano di Coira Vescovo

9 settembre

Etimologia: Valentiniano = figlio di Valentino, dal latino

Emblema: Bastone pastorale

Martirologio Romano: A Coira, nell’odierna Svizzera, san Valentiniano, vescovo, che beneficò i poveri, riscattò i prigionieri e vestì generosamente gli ignudi.


Vescovo di Coira, città della Svizzera, capoluogo del Cantone dei Grigioni, esercitò il suo mandato nel VI secolo quando la giurisdizione dell’episcopato di Coira si estendeva sugli attuali cantoni dei Grigioni, di Schwyr, parte di quello di San gallo, il Liechtenstein.
La storia di questo vescovo la si può apprendere da un epitaffio fatto mettere sulla sua tomba, dal nipote Paolino suo successore nella carica. Di questo epitaffio è rimasto solo un frammento conservato nel Museo di San Gallo, ma l’intera scritta fu copiata nel 1536 e conservata nella biblioteca del monastero di s. Gallo.
La sua attività pur densa di amore verso i bisognosi ed i carcerati, si esplicò soprattutto nell’aiuto al popolo della Rezia che conobbe l’invasione e la dominazione dei Franchi, con relativa migrazione.
Le sue reliquie con la tomba erano nella chiesa di s. Stefano, poi trasferite nella chiesa di s. Lucio dell’VIII secolo.
Nome d’origine latina, dalla forma originale Valente, dal verbo valere, ‘star bene’.


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