Agromafie e caporalato

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lazzaro2004
00martedì 3 giugno 2014 20:55



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E' il loro luogo di origine e le mafie non l'hanno mai abbandonato. Il traffico di droga, le speculazioni immobiliari, il controllo degli appalti pubblici sono arrivati dopo, ma l'agricoltura continua a essere il settore economico dove il peso di Cosa Nostra, 'ndrangheta e camorra si avverte di più. “La criminalità organizzata nell'agroalimentare – è il parere del magistrato della Direzione nazionale antimafia Maria Vittoria De Simone – oggi è arrivata al punto di controllare e condizionare l'intera filiera agroalimentare, dalla produzione agricola all'arrivo della merce nei porti, dai mercati all'ingrosso alla grande distribuzione, dal confezionamento alla commercializzazione con un fatturato pari a 12,5 miliardi l'anno”.
La dichiarazione della De Simone è tratta dal secondo rapporto della Flai (Federazione lavoratori industria) della Cgil dedicato ad “Agromafie e caporalato” che è stato presentato oggi a Roma. Dal dossier emerge un quadro molto complesso dove, assieme, sono presenti forme di sfruttamento da Terzo Mondo e strutture organizzative modernissime all'interno delle quali è ormai difficile individuare il confine che separa i cosiddetti “colletti bianchi” dai boss. Anzi, il sospetto è che senza il professionismo dei colletti bianchi “le mafie non potrebbero continuare a esistere”, come scrive nel presentare il rapporto Roberto Iovine, il responsabile “legalità” della Flai. I dati economici chiariscono perché. Dicono, tra l'altro, che negli ultimi due anni solo il settore agricolo non ha registrato un calo dei lavoratori stranieri, ma un significativo aumento (+22 per cento). E che questo è il settore nel quale si registra il più alto tasso di irregolarità nel lavoro: il 25 per cento. E' qua che si perpetua, in nuove forme feroci, l'antico fenomeno del caporalato e vengono attuate forme di sfruttamento che in alcuni casi sconfinano nello schiavismo e, sempre, si traducono in retribuzioni giornaliere non superiori a 25 euro. La filiera va dall'immigrato che lavora per 12 ore sotto il sole al controllo dei mercati ortofrutticoli, della macellazione e della panificazione abusive. Qualcosa che ricorda il Medioevo, con i servi della gleba e i nuovi feudatari, i cosiddetti colletti bianchi, ormai confusi con i boss.


Nel settembre del 2011 è stata introdotta un'importante riforma che ha fortemente inasprito le pene per il caporalato. Da allora – riferisce il dossier – le denunce per questo reato sono state complessivamente 355. Restano ancora quasi sempre nell'ombra, invece, gli “utilizzatori finali”, cioè gli imprenditori, e stentano a essere applicate le norme che dovrebbe garantire un regime di protezione a quanti fanno denuncia. E' chiaro perché: gli immigrati irregolari hanno paura. Non solo delle minacce dei caporali, ma anche della legge italiana, cioè dell'espulsione. Inoltre molto spesso il caporale è l'unico punto di riferimento dell'immigrato che dipende totalmente da lui. A volte è un suo connazionale che risiede in Italia da più tempo e che assume un ruolo da “caporale in seconda” aiutando nel reclutamento il suo “principale” italiano. A parte i frequenti casi di violenze e di abusi, il caporale, anche quello “buono” sfrutta i suoi reclutati non solo sul lavoro, ma in ogni aspetto della vita quotidiana. Se per esempio la retribuzione di una giornata è di 25-30 euro, il caporale arriva a incamerarne un terzo, pretendendo mediamente 5 euro per il trasporto fino al luogo di lavoro, 3,5 per il pasto, 1,5 per l'acqua. Al netto della decurtazione della paga-base e di queste “tasse di sussistenza”, il lavoratore ha una retribuzione dimezzata rispetto a quella dei suoi colleghi contrattualizzati.


Secondo le stime del rapporto Flai-Cgil, sono non meno 400mila i lavoratori(per l'80 per cento stranieri) che tutti i giorni rischiano di avere in un 'caporale' l'unico tramite per l'ingresso nel mercato del lavoro (nero, ovviamente). E sicuramente 100mila di loro subiscono disagi ulteriori di carattere ambientale: il 62 per cento degli stranieri che lavorano come stagionali in agricoltura non ha accesso ai servizi igienici, il 64 per cento all'acqua corrente. E al 72 per cento dei lavoratori che si sono sottoposti a visita medica dopo la raccolta sono state diagnosticate malattie che non avevano prima. Complessivamente, secondo la Flai Cgil, sono 80 i distretti agricoli in cui si pratica il caporalato (concentranti prevalentemente tra Campania, Puglia, Calabria e Sicilia) e in 33 di essi sono state riscontrate condizioni di lavoro indecenti. Si calcola che, in termini di evasione contributiva, il costo del caporalato per le casse dello Stato sia attorno ai 600 milioni di euro. E' in questi ambiti che si consumano reati i cui soli titoli richiamano il Terzo mondo: riduzione in schiavitù (252 denunce nel 2013, 354 nel 2012, 313 nel 2011), tratta di esseri umani (92 denunce nel 2013, 152 nel 2012, 75 nel 2011); acquisto e alienazione di schiavi (8 denunce nel 2013, 10 nel 2012, 10 nel 2011). E si scoprono …


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