BAGNASCO: LA DIGNITA' DEL LAVORO SI MISURA SULLA DIGNITA' DELLA PERSONA

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lazzaro2004
00martedì 25 ottobre 2011 22:16
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Rimini, 25.10.2011
Convegno Nazionale dei Direttori della Pastorale Sociale
"Educare al lavoro dignitoso
Quaranta anni di pastorale sociale in Italia"

INTERVENTO
Cardinale Angelo Bagnasco
Arcivescovo di Genova
Presidente della Conferenza Episcopale Italiana

Un cordiale saluto ai convenuti e all'Ufficio CEI per i problemi sociali
e il lavoro che, con il suo Direttore, ha promosso opportunamente
questo Convegno su "Educare al lavoro dignitoso: 40 anni di pastorale
sociale. Mi sembra che il tema scelto rappresenti un interessante contributo
nell'attuale momento, in cui la realtà del lavoro e della occupazione
sono motivo di apprensioni, attese e ripensamento per tutti alla luce
anche della contingenza internazionale.

L'uomo, misura del lavoro dignitoso Venendo al tema indicato

del Convegno, "educare al lavoro dignitoso",
mi sembra che esso debba essere inquadrato nell'ambito della cultura,
anzi del primato della cultura. Non intendo, ovviamente, tale primato come
una specie di "gabbia ideologica" all'interno della quale concepire e ragionare
sul lavoro. Intendo solo affermare che, avendo il lavoro un legame strutturale
con l'economia, il mondo e la storia li dirige la cultura non l'economia, anche
se sembra il contrario e, in certa misura, è anche così. Ci sono delle forze propulsive
di diversi livelli nella costruzione della storia: quelle più di superficie ed evidenti
- come la politica, le leggi dell'economia e del mercato -- e quelle più profonde e decisive
che sono la cultura di un popolo. La cultura non è un sottoprodotto delle forze economiche,
ma è un fatto spirituale, in cui la dimensione religiosa è portante. Che l'impulso religioso
sia l'essenza dell'uomo e della sua vita è testimonianza continua della storia: ogni volta che
le istituzioni religiose sono state soppresse e i credenti ridotti a cittadini di seconda classe,
le idee religiose e le opere d'arte sono sempre riemerse. La cultura, infatti, nasce soprattutto
e innanzitutto dal modo di affrontare la domanda circa il senso dell'esistenza personale,
consiste nel modo di guardare la realtà della persona e di determinare ciò che è veramente
bene per l'uomo in quanto tale. E' dunque un orizzonte di valore che abbraccia tutto l'agire umano,
compreso quello economico, per giudicarlo e orientarlo al fine ultimo, e quindi stabilire
le priorità nella produzione, nelle sue modalità, e nell'uso dei beni.

Com'è noto, l'errore fondamentale del socialismo non è stato innanzitutto di carattere
economico, ma antropologico. Non è stata la decrepitezza economica o una modernizzazione
ritardata ad essere la causa primaria della sua fine, ma la negazione della verità sull'uomo.
Se la persona non è riducibile a molecola della società e dello Stato, il bene del singolo
non può essere del tutto subordinato al meccanismo economico-sociale, né è possibile
pretendere che il bene economico si possa realizzare prescindendo dalla responsabilità
individuale. L'uomo sarebbe ridotto ad una serie di relazioni economiche, e scomparirebbe
la persona come soggetto autonomo di decisione morale. Ma è proprio grazie all'esercizio
della moralità -- cioè il suo agire libero e responsabile -- che la persona costruisce la giustizia
e quindi l'ordine sociale. Questo errore genetico del socialismo è proprio anche
del consumismo e quindi della nostra civiltà, che sembra essere malata di questo morbo che,
se non corretto, la porta alla decadenza. E' innegabile che tutta l'attività umana, e quindi anche
il lavoro, si svolge all'interno della cultura ed interagisce con essa, e quindi tra economia
e cultura esiste un rapporto di reciprocità; ma deve restare fermo e chiaro il primato della cultura,
se non si vuole entrare nella giungla di un mercato senza regole perché senza valori. E i valori,
se non si riferiscono alla dignità della persona, che cosa hanno da offrire di così alto da poter
obbligare moralmente? Sta dunque qui il criterio per valutare la dignità del lavoro, se è conforme
alla dignità dell'uomo: qualunque lavoro non ha una dignità o un valore in se stesso in modo
assoluto, ma è sempre relativo, cioè in relazione a ciò che ne è l'unità di misura, l'uomo.
Un lavoro può essere ambito in rapporto al guadagno, al potere, al prestigio, alla fama che procura,
ma non sarà dignitoso se chiede al lavoratore di rinunciare ai valori che rendono la vita degna
di essere vissuta: guadagnare la vita ma perdere le ragioni del vivere è indegno dell'uomo
perché non lo realizza nella sua umanità.


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