Benedetto XVI: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?", Salmo 22 (21)

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lazzaro2004
00mercoledì 14 settembre 2011 23:10
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Benedetto XVI: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?", Salmo 22 (21)
 

http://www.youtube.com/watch?v=QAp6aJ039nA
 

UDIENZA GENERALE
Aula Paolo VI
Mercoledì, 14 settembre 2011

Il Signore è il Dio della vita, che fa nascere e accoglie il neonato
e se ne prende cura con affetto di padre. E se prima si era fatta memoria
della fedeltà di Dio nella storia del popolo, ora l'orante rievoca la propria
storia personale di rapporto con il Signore, risalendo al momento
particolarmente significativo dell'inizio della sua vita. E lì, nonostante
la desolazione del presente, il Salmista riconosce una vicinanza e un amore
divini così radicali da poter ora esclamare, in una confessione piena di fede
e generatrice di speranza: «dal grembo di mia madre sei tu il mio Dio» (v. 11b).

Il lamento diventa ora supplica accorata: «Non stare lontano da me, perché
l'angoscia è vicina e non c'è chi mi aiuti» (v. 12). L'unica vicinanza che il Salmista
percepisce e che lo spaventa è quella dei nemici. E' dunque necessario
che Dio si faccia vicino e soccorra, perché i nemici circondano l'orante,
lo accerchiano, e sono come tori poderosi, come leoni che spalancano
le fauci per ruggire e sbranare (cfr vv. 13-14). L'angoscia altera la percezione
del pericolo, ingrandendolo. Gli avversari appaiono invincibili, sono diventati
animali feroci e pericolosissimi, mentre il Salmista è come un piccolo verme,
impotente, senza difesa alcuna. Ma queste immagini usate nel Salmo servono
anche a dire che quando l'uomo diventa brutale e aggredisce il fratello,
qualcosa di animalesco prende il sopravvento in lui, sembra perdere
ogni sembianza umana; la violenza ha sempre in sé qualcosa di bestiale e solo
l'intervento salvifico di Dio può restituire l'uomo alla sua umanità.
Ora, per il Salmista, oggetto di tanta feroce aggressione, sembra non esserci
più scampo, e la morte inizia ad impossessarsi di lui: «Io sono come acqua
versata, sono slogate tutte le mie ossa [...] arido come un coccio è il mio vigore,
la mia lingua si è incollata al palato [...] si dividono le mie vesti, sulla mia tunica
gettano la sorte» (vv. 15.16.19). Con immagini drammatiche, che ritroviamo
nei racconti della passione di Cristo, si descrive il disfacimento del corpo
del condannato, l'arsura insopportabile che tormenta il morente e che trova eco
nella richiesta di Gesù «Ho sete» (cfr Gv 19,28), per giungere al gesto definitivo
degli aguzzini che, come i soldati sotto la croce, si spartiscono le vesti della vittima,
considerata già morta (cfr Mt 27,35; Mc 15,24; Lc 23,34; Gv 19,23-24).

Ecco allora, impellente, di nuovo la richiesta di soccorso: «Ma tu, Signore,
non stare lontano, mia forza, vieni presto in mio aiuto [...] Salvami» (vv. 20.22a).
È questo un grido che dischiude i cieli, perché proclama una fede, una certezza
che va al di là di ogni dubbio, di ogni buio e di ogni desolazione. E il lamento
si trasforma, lascia il posto alla lode nell'accoglienza della salvezza:
«Tu mi hai risposto. Annuncerò il tuo nome ai miei fratelli, ti loderò in mezzo
all'assemblea» (vv. 22c-23). Così, il Salmo si apre al rendimento di grazie,
al grande inno finale che coinvolge tutto il popolo, i fedeli del Signore,
l'assemblea liturgica, le generazioni future (cfr vv. 24-32). Il Signore è accorso
in aiuto, ha salvato il povero e gli ha mostrato il suo volto di misericordia.
Morte e vita si sono incrociate in un mistero inseparabile, e la vita ha trionfato,
il Dio della salvezza si è mostrato Signore incontrastato, che tutti i confini
della terra celebreranno e davanti al quale tutte le famiglie dei popoli
si prostreranno. È la vittoria della fede, che può trasformare la morte in dono
della vita, l'abisso del dolore in fonte di speranza.


http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/audiences/2011/documents/hf_be...


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