Benedetto XVI: la preghiera è una lotta con Dio che si vince quando ci si arrende al suo amore

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lazzaro2004
00mercoledì 25 maggio 2011 22:33

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Benedetto XVI: la preghiera è una lotta con Dio che si vince quando ci si arrende al suo amore 
 

http://www.youtube.com/watch?v=tCScPUhXX6U
 

La vita è come una "lunga notte di lotta e di preghiera",
nella quale l'uomo deve ricercare con perseveranza
la benedizione di Dio. È uno dei pensieri che ha caratterizzato
l'udienza generale di questa mattina, presieduta da Benedetto XVI
in Piazza San Pietro. Il Papa ha proseguito il suo nuovo ciclo
di catechesi dedicato al tema della preghiera, ispirandosi
al racconto biblico della lotta di Giacobbe con Dio. Il servizio
di Alessandro De Carolis:

Una notte buia, un uomo che si muove col favore delle tenebre perché
ha qualcosa sulla coscienza da farsi perdonare e cerca nell'ombra
un'alleata per la propria scaltrezza. E poi, l'imprevisto: uno sconosciuto
che balza fuori e lo aggredisce, impegnandolo in una lotta senza
quartiere che durerà l'intera nottata. Sono gli elementi narrativi
dell'episodio descritto nella Genesi, dal quale Benedetto XVI
ha tratto spunto per la sua catechesi. L'uomo che agisce
di nascosto è Giacobbe, che sta tentando di rientrare nella
sua terra dopo esserne fuggito, avendo sottratto la primogenitura
a suo fratello Esaù e strappato con l'inganno la benedizione
al padre cieco. Ora Giacobbe torna di nascosto, ma mentre
sta per attraversare il guado dello Yabboq, l'aggressore manda
a monte i suoi piani:

"Aveva usato la sua astuzia per tentare di sottrarsi a una situazione
pericolosa, pensava di riuscire ad avere tutto sotto controllo,
e invece si trova ora ad affrontare una lotta misteriosa che lo
coglie nella solitudine e senza dargli la possibilità di organizzare
una difesa adeguata".

Lo scambio di colpi è duro e le sorti del corpo a corpo mutevoli.
Giacobbe, spiega il Papa, non riesce a distinguere nel buio
il suo aggressore. Ma alla fine riesce a sopraffarlo. Per lasciarlo
andare, Giacobbe pretende che l'avversario gli conceda la sua
benedizione, la stessa -- osserva Benedetto XVI -- che aveva
estorto al padre. L'aggressore chiede prima a Giacobbe quale
sia il suo nome e questi glielo dice:

"Qui la lotta subisce una svolta importante. Conoscere il nome
di qualcuno, infatti, implica una sorta di potere sulla persona,
perché il nome, nella mentalità biblica, contiene la realtà più
profonda dell'individuo, ne svela il segreto e il destino.
Conoscere il nome vuol dire allora conoscere la verità dell'altro
e questo consente di poterlo dominare".

La scena, afferma il Papa, si è ribaltata. Il vincitore dello scontro "
si mette nelle mani del suo oppositore" e da lui "riceve un nome
nuovo". Il nome Giacobbe, ha spiegato Benedetto XVI, richiamava
il verbo "ingannare", ma ora il nome nuovo che gli dà Dio
-- perché è Lui il misterioso assalitore -- è quello di "Israele",
che vuol dire "Dio è forte, Dio vince":

"Dunque Giacobbe ha prevalso, ha vinto - è l'avversario stesso
ad affermarlo - ma la sua nuova identità, ricevuta dallo stesso
avversario, afferma e testimonia la vittoria di Dio. E quando
Giacobbe chiederà a sua volta il nome al suo contendente,
questi rifiuterà di dirlo, ma si rivelerà in un gesto inequivocabile,
donando la benedizione. Quella benedizione che il Patriarca
aveva chiesto all'inizio della lotta gli viene ora concessa".

In questo episodio biblico, ha proseguito Benedetto XVI,
la Chiesa vi ha sempre letto il "simbolo della preghiera
come combattimento della fede e vittoria della perseveranza":

"Il testo biblico ci parla della lunga notte della ricerca di Dio,
della lotta per conoscerne il nome e vederne il volto; è la notte
della preghiera che con tenacia e perseveranza chiede a Dio
la benedizione e un nome nuovo, una nuova realtà frutto
di conversione e di perdono".

In definitiva, ha concluso il Papa, la notte di Giacobbe al guado
dello Yabboq diventa "per il credente un punto di riferimento
per capire la relazione con Dio che nella preghiera trova
la sua massima espressione":

"La preghiera richiede fiducia, vicinanza, quasi in un corpo a corpo
simbolico non con un Dio avversario e nemico, ma con un Signore
benedicente che rimane sempre misterioso, che appare irraggiungibili
(...) E se l'oggetto del desiderio è il rapporto con Dio, la sua
benedizione e il suo amore, allora la lotta non potrà che culminare
nel dono di se stessi a Dio, nel riconoscere la propria debolezza,
che vince proprio quando giunge a consegnarsi nelle mani
misericordiose di Dio".


Radio Vaticana 25 maggio 2011

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