05:46 Cracolandia, l'ultima “periferia” di Rio «Benvenido ao infernoLe luci della cidade maravilhosa si sono spente alle nostre spalle e la grande arteria dell’Avenida do Brasil è ora una ferita che taglia rivoli di baracche e lamiere. Arriviamo con la pioggia a Nova Holanda, una delle favelas più malfamate della Baixada, a nord di Rio de Janeiro. È qui che abbiamo appuntamento con padre Renato Chiera, un missionario italiano che da molti anni lavora con i ragazzi di strada nella zona di Nova Iguacu, non lontano da qui.
Con lui entriamo nella Cracolandia. Così chiamano i campi di concentramento del crack, una droga che deriva dagli scarti della cocaina mescolata ad altre sostanze chimiche e che in Brasile conta ormai milioni di vittime. «Ce ne sono dodici a Rio de Janeiro – dice padre Renato che da un anno e mezzo viene ogni settimana nella Cracolandia di Nuova Holanda –. Qui sono circa in trecento, la polizia non entra, i cracudos sono protetti dagli stessi trafficanti del quartiere». Elisa è una di loro e ci fa strada insieme al missionario. Appeso al collo ha un ciuccio per neonati che s’infila in bocca dopo aver divorato una porzione di patatine fritte offerte dal padre. Elisa ha 25 anni, due figli. «Loro non sono qui con me», mi dice senza aggiungere altro. M’indicano una scritta a lato della strada sterrata: «Benvenido ao inferno».
Sotto una nebbia grigia, sacchi d’immondizia accostati ai muri s’improvvisano a rifugi. Addossati come cavallette tra i rifiuti sagome di ragazzi, uomini, donne, ragazzini. In mano il bicchiere di plastica da cui respirano il fumo nero del crack.
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