I. IL BISOGNO DI GIOIA NEL CUORE DI TUTTI GLI UOMINI
Non si esalterebbe come si conviene la gioia cristiana rimanendo insensibili alla testimonianza esteriore ed interiore, che Dio creatore rende a se stesso in seno alla sua creazione: «E Dio vide che essa era cosa buona»(6). Facendo sorgere l'uomo entro un universo che è opera di potenza, di sapienza, di amore, Dio, prima ancora di manifestarsi personalmente mediante la rivelazione, dispone l'intelligenza e il cuore della sua creatura all'incontro con la gioia, nello stesso tempo che con la verità. Bisogna dunque essere attenti all'invocazione che sale dal cuore dell'uomo, dall'età dell'infanzia meravigliosa fino a quella della serena vecchiezza, come un presentimento del mistero divino.
Affacciandosi al mondo, non prova l'uomo, col desiderio naturale di comprenderlo e di prenderne possesso, quello di trovarvi il suo completamento e la sua felicità? Come ognuno sa, vi sono diversi gradi in questa «felicità». La sua espressione più nobile è la gioia, o la «felicità» in senso stretto, quando l'uomo, a livello delle facoltà superiori, trova la sua soddisfazione nel possesso di un bene conosciuto e amato (7). Così l'uomo prova la gioia quando si trova in armonia con la natura, e soprattutto nell'incontro, nella partecipazione, nella comunione con gli altri. A maggior ragione egli conosce la gioia o la felicità spirituale quando la sua anima entra nel possesso di Dio, conosciuto e amato come il bene supremo e immutabile (8). Poeti, artisti, pensatori, ma anche uomini e donne semplicemente disponibili a una certa luce interiore, hanno potuto e possono ancora, sia nel tempo prima di Cristo, sia nel nostro tempo e fra di noi, sperimentare qualcosa della gioia di Dio.
Ma come non vedere pure che la gioia è sempre imperfetta, fragile, minacciata? Per uno strano paradosso, la coscienza stessa di ciò che costituirebbe, al di là di tutti i piaceri transitori, la vera felicità, include anche la certezza che non esiste felicità perfetta. L'esperienza della finitudine, che ogni generazione ricomincia per proprio conto, obbliga a costatare e a scandagliare lo iato immenso che sempre sussiste tra la realtà e il desiderio di infinito.
Questo paradosso, questa difficoltà di raggiungere la gioia ci sembrano particolarmente acuti oggi. È il motivo del nostro messaggio. La società tecnologica ha potuto moltiplicare le occasioni di piacere, ma essa difficilmente riesce a procurare la gioia. Perché la gioia viene d'altronde. È spirituale. Il denaro, le comodità, l'igiene, la sicurezza materiale spesso non mancano; e tuttavia la noia, la malinconia, la tristezza rimangono sfortunatamente la porzione di molti. Ciò giunge talvolta fino all'angoscia e alla disperazione, che l'apparente spensieratezza, la frenesia di felicità presente e i paradisi artificiali non riescono a far scomparire. Forse ci si sente impotenti a dominare il progresso industriale, a pianificare la società in maniera umana? Forse l'avvenire appare troppo incerto, la vita umana troppo minacciata? O non si tratta, soprattutto, di solitudine, di una sete d'amore e di presenza non soddisfatta, di un vuoto mal definito? Per contro, in molte regioni, e talvolta in mezzo a noi, la somma di sofferenze fisiche e morali si fa pesante: tanti affamati, tante vittime di sterili combattimenti, tanti emarginati! Queste miserie non sono forse più profonde di quelle del passato; ma esse assumono una dimensione planetaria; sono meglio conosciute, illustrate dai «mass media», non meno delle esperienze di felicità; opprimono la coscienza, senza che appaia molto spesso una soluzione umana alla loro dimensione.
Questa situazione non può tuttavia impedirci di parlare della gioia, di sperare la gioia. È nel cuore delle loro angosce che i nostri contemporanei hanno bisogno di conoscere la gioia, di sentire il suo canto. Noi abbiamo profonda compassione della pena di coloro sui quali la miseria e le sofferenze di ogni genere gettano un velo di tristezza. Noi pensiamo in particolare a quelli che si trovano senza risorse, senza soccorso, senza amicizia, che vedono annientate le loro speranze umane. Essi sono più che mai presenti alla nostra preghiera, al nostro affetto. Noi non vogliamo certo che nessuno si abbatta. Cerchiamo, al contrario, i rimedi capaci di portare la luce. Ai nostri occhi, essi sono di tre ordini.
Gli uomini devono evidentemente unire i loro sforzi per procurare almeno il minimo di sollievo, di benessere, di sicurezza, di giustizia, necessari alla felicità, a numerose popolazioni che ne sono sprovviste. Una tale azione solidale è già opera di Dio; essa corrisponde al comandamento di Cristo. Essa procura già la pace, ridona la speranza, rinsalda la comunione, apre alla gioia, per colui che dona come per colui che riceve, perché vi è più gioia nel dare che nel ricevere (9).