HO INSULTATO DIO

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lazzaro2004
00domenica 17 maggio 2015 15:13



 

Quando odiavo il dio occidentale
Tuttavia, la filosofia apre una via d’uscita: «Tra i consigli di Shakyamuni, il Buddha, per superare i momenti di tentazione, vi è quello di creare un “feticcio”, un oggetto mentale sul quale scaricare tutte le colpe, tutti gli odi repressi e giustificati per liberarsi dalla gravità del male». A questo oggetto, Claire Ly diede un nome: il “dio degli occidentali”. «Il comunismo deriva dal marxismo, che a sua volta si è formato nell’età industriale europea», spiega la cambogiana. Con questa entità, Claire Ly ci ha fatto a pugni costantemente, per due anni. Gli parlava, gli rinfacciava ogni malignità, l’assurda reprimenda per un dolore da lui causato a un popolo inerme. Finché la stagione dei campi di lavoro finì e lei divenne una compagna contadina, secondo i khmer rossi. «Quel giorno stesso, a tarda sera, ho chiesto al “dio degli occidentali” di applaudire alla mia vittoria. “Non vedi come sono stata brava?”, gli dicevo. Eppure non lo ha fatto. Dio è rimasto in un silenzio assordante. Non lo sentivo semplicemente come assenza di rumore, ma come un’assenza abitata». L’irruzione di qualcosa – o di qualcuno – di indicibile. Nel male assoluto, il Dio degli occidentali si era fatto presenza.

L’esilio a Marsiglia
L’inizio della conversione è proprio qui, nel rinfacciare il proprio male a un’entità accolta perché presente. Un dolore che non schiaccia, ma apre. Con la caduta del regime di Pol Pot e l’invasione delle truppe vietnamite del territorio cambogiano, Claire Ly si carica delle poche cose in suo possesso, prende i figli e parte. Direzione: Marsiglia, in Francia, complice la conoscenza della lingua, che tuttavia non riesce a evitarle di sentirsi straniera, non voluta, sanguisuga del sistema assistenzialista dell’Eliseo. «Avevo perso quello che Albert Camus chiamava il “rapporto tra la terra e il piede”. In Francia ci si riempie la bocca del termine “integrazione”. A me fa paura. Significa “disintegrarsi” da ciò che era prima, dalla cultura delle origini. Preferisco il termine “adozione”, dove il rapporto è giocato nella libertà assoluta delle due parti».

Nel 1980 Claire Ly è in Francia. «A quel tempo pensavo a Gesù come a un maestro grande quanto Buddha». Fino all’incontro con il Vangelo: «È stato un brano di Giovanni ad accendere il mio interesse: “Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto”. Che fa da contraltare alla frase di Luca, che dipinge Gesù come nato sfollato: “Per loro non c’era posto nell’alloggio”. Il Dio dei cristiani conosceva la mia stessa sofferenza. Buddha non ha mai preteso di essere un Dio, ma un maestro. Era l’immagine dell’uomo perfetto, senza difetto, e per questo fin troppo lontano da me. È un ideale. Gesù, che si è detto Dio, paradossalmente è più umano. Soffre nella carne, è vicino alle mie debolezze. San Tommaso dice: “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo”, e lo afferma non perché incredulo, ma perché ha bisogno che Dio prenda sul serio la sua integrità umana. Vuole vedere i segni del dolore, perché i suoi siano illuminati».

La conversione al cattolicesimo non è stata un’inversione. Claire Ly non ha fatto tabula rasa della sua antica tradizione, radicata nel terreno delle pianure della Cambogia. È stata attratta da Cristo, Claire Ly, e non ha dovuto rinnegare nulla dell’insegnamento del Buddha. «L’incontro tra la saggezza orientale, vissuta secondo la via di mezzo insegnata da Shakyamuni, e l’amore folle di un Dio venuto a prendermi nel deserto del genocidio di Pol Pot» si sono abbracciati, permettendo la rivelazione senza disintegrare alcunché. «Ed è per questo che, ad oggi, mi muovo molto perché gli immigrati si sentano a casa nei loro luoghi d’esilio. Perché io sono la testimonianza vivente che due culture diverse possono convivere in una stessa anima».

Una nuova certezza
Questo è il senso profondo dell’ultimo libro di Claire Ly, Mangrovia. La mangrovia è una foresta tropicale irrigata alternativamente da correnti d’acqua salata e di acqua dolce. È un fiorente habitat di specie animali e vegetali che, sviluppandosi sulla costa, protegge dalla furia degli tsunami. Non è facile vivere tra due acque, così come non è facile vivere tra due anime. Su questo parallelismo si gioca tutta la trama del libro. Ravi, buddista, e Soraya, cristiana, sono due cambogiane, entrambe scampate al massacro di Pol Pot, entrambe esuli in Francia. Tornano insieme periodicamente a Phnom Penh e a Battambang, città d’origine, per rivivere insieme il passato sotto la luce nuova della diversa fede. Così, le anime di Claire Ly si sdoppiano in due maschere che dialogano delle proprie certezze, le verificano e le mettono sul piatto del giudice: il cuore, che non risparmia dall’inquietudine. «Ho finalmente la certezza che il mio Dio Testimone non è il frutto della mia immaginazione, ma che è Lui, il Dio di Gesù Cristo. Non è una certezza assoluta, stranamente è una certezza che si presenta, sempre, come una ferita».

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