IL DILUVIO UNIVERSALE (GN 6,5-9,17)
Luca Mazzinghi
Il diluvio universale: una punizione catastrofica?
Il racconto del diluvio appartiene a quei grandi testi biblici conosciuti più per le immagini suggestive e terribili in essi contenute che non per il fatto di averli realmente letti e meditati di persona.
Molto spesso, infatti, l’espressione «diluvio universale» ritorna sulla bocca di credenti e non credenti come qualcosa che ricorda molto da vicino l’idea di una grande catastrofe, di una durissima punizione che un Dio davvero molto adirato avrebbe in un tempo remoto inviato sull’umanità malvagia.
Ponendoci per un attimo su un piano rigorosamente critico, dobbiamo subito dire come il racconto biblico del diluvio sia soltanto uno dei racconti analoghi che circolavano nel vicino Oriente antico.
Come vedremo più avanti[1], la celebre epopea mesopotamica di Ghilgamesh contiene un racconto sorprendentemente simile al nostro, ma senz’altro molto più antico.
È evidente che dietro tali racconti si nasconde il ricordo di qualche remoto cataclisma locale che in epoche imprecisate ha colpito la regione mesopotamica e che ogni tanto archeologi e scienziati cercano di ricostruire, senza mai troppo successo.
Sono state, in verità, ritrovate in Mesopotamia tracce di strati di fango che testimoniano, almeno in qualche caso, l’esistenza di alluvioni eccezionali del Tigri e dell’Eufrate che hanno colpito quella regione; nulla, però, in relazione a un supposto diluvio «universale».
Per non parlare dei tanti fondamentalisti che nel corso dei secoli si sono dilettati e ancora si dilettano a calcolare il num ero esatto degli animali presenti nell’arca (comprese le pulci...), per non parlare di chi, periodicamente, asserisce di averne trovato gli autentici resti in qualche remota regione dei monti dell’Ararat o dei monti dell’Armenia.
Già sant’Agostino, del resto, si chiedeva che cosa avessero mangiato i tanti animali presenti nell’arca e immaginava che Dio avesse operato qualche prodigio o che gli animali carnivori si fossero nutriti di vegetali (cf. Città di Dio, XV, 27, 5).
In realtà, in ogni cultura antica esistono racconti che prendono spunto da qualche calamità naturale gravissima che ha lasciato negli uomini la sensazione che il mondo possa finire da un momento all’altro.
La vera differenza con il nostro mondo contemporaneo sta forse nel fatto che oggi tale possibilità è assolutamente reale; il buco nell’ozono o l’effetto serra sono solo due degli elementi che stanno spingendo il pianeta al collasso ecologico, e non certo per un intervento di Dio...
Nei diversi miti relativi al diluvio l’uomo s’interroga sulla forza distruttrice della natura e allo stesso tempo sull’operato spesso incomprensibile della divinità e, proprio attraverso il racconto mitico, l’uomo cerca di superare la paura delle catastrofi che il mito stesso descrive. Come vedremo, anche il racconto biblico va letto in quest’ottica. Allo stesso tempo, però, il racconto genesiaco, proprio mentre utilizza il linguaggio del mito, va visto come una risposta ai miti mesopotamici e, quindi, come una sorta di antimito. È perciò impossibile continuare ad accostarci a simili testi ponendo loro domande tipicamente moderne circa un eventuale valore storico del racconto stesso, che in questo caso non esiste.
Al contrario, il racconto è molto ricco, come scopriremo, da un punto di vista teologico.
In sintesi, anticipando in parte ciò che diremo più avanti nella rubrica relativa all’Oriente antico, mentre i primi capitoli della Genesi (Gn 1-4 in particolare) intendono fondare il senso dell’esistenza dell’uomo all’interno del creato, il racconto del diluvio intende scongiurare tutto ciò che minaccia tale esistenza.
Nei miti mesopotamici il diluvio dovrebbe essere la soluzione di un problema, ovvero l’esistenza dell’umanità; nella Genesi, invece, il diluvio è qualcosa che non doveva esserci e mai più ci sarà.
Quadro d’insieme del racconto del diluvio
Prima di tutto, il testo! Affrontare il racconto biblico del diluvio significa – sembra persino superfluo il dirlo – leggerne il testo con molta attenzione.
Fermiamoci perciò su quella sezione della Genesi che va da 6,5 sino a 9,17 e, come punto di partenza, cerchiamo di coglierne lo sviluppo.
Da 6,5 sino a 6,8 abbiamo un’introduzione all’intero racconto che si apre più esattamente in 6,9 («Questa è la storia di Noè...»). Il racconto appare strutturato con un andamento concentrico; le parti del racconto si rispondono infatti in maniera speculare, secondo lo schema che segue[2]: Gn 6,5-8: preludio al racconto
a) 6,9-10: introduzione-transizione
b) 6,11-12: violenza nella creazione
c) 6,13-22: prima risoluzione divina: distruzione del mondo. Costruzione dell’arca (6,14-16); annuncio del diluvio (6,17); patto con Noè (6,18-20); cibo all’interno dell’arca (6,21) d) 7,1-10: seconda risoluzione divina: ingresso nell’arca. Ordine di entrare nell’arca (7,1-3); sette giorni di attesa per il diluvio (7,4-5.10)e)
7,11-16: inizio del diluvio. Ingresso nell’arca (7,11-15); Dio chiude la porta (7,16)f) 7,17-24: salgono le acque e ricoprono la terra e le montagne g) 8,1: Dio si ricorda di Noè
f’) 8,1-5: scendono le acque e la cima delle montagne ridiventa visibile
e’) 8,6-14: fine del diluvio; Noè apre la finestra dell’arca (8,6); gli uccelli escono dall’arca (8,7-9); sette giorni di attesa per il ritiro delle acque (8,12-13) d’) 8,15-19: terza risoluzione divina: ordine di uscire dall’arca
c’) 8,20-22: quarta risoluzione divina: preservazione del mondo
b’) 9,1-17: quinta risoluzione divina: alleanza e pace; cibo all’esterno dell’arca (9,1-4); annuncio che non vi sarà più un diluvio e patto divino con «ogni carne» (9,8-17)
a’) 9,18-19: conclusione-transizione e inizio dell’episodio successivo. Da questo schema, che non possiamo qui approfondire nei dettagli, si ricava abbastanza facilmente che il cuore del racconto del diluvio non sta tanto nella descrizione della catastrofe in se stessa, quanto piuttosto nel fatto che Dio si ricorda di Noè.
Da questo centro letterario ne deriva l’idea che il racconto punta sulla salvezza, piuttosto che sulla rovina, sulla decisione di Dio di preservare Noè e con lui il mondo, piuttosto che su quella di distruggerlo.
La prima parte del racconto cresce verso un punto molto drammatico, le acque che sommergono il mondo; la seconda parte presenta una ben diversa tematica: la salvezza, l’alleanza, la pace.
Parlando del quadro d’insieme del testo non dobbiamo poi sottovalutare il senso dei numeri sui quali il racconto del diluvio è costruito; anche in questo caso possiamo delineare lo schema che segue, che conferma l’accuratezza con la quale il racconto è stato costruito: 7 giorni di attesa (7,4)
7 giorni di attesa (7,10)
40 giorni di diluvio (7,17a)
150 giorni di diluvio (7,24)
150 giorni di piena delle acque (8,3)
40 giorni di attesa (8,6)
7 giorni di attesa (8,10)
7 giorni di attesa (8,12)
Complessivamente, il diluvio sembra durare un anno lunare più dieci giorni, cioè un anno solare completo[3]: ha inizio nel seicentesimo anno della vita di Noè, il 17 del secondo mese (Gn 7,11) e termina il seicentunesimo anno della vita di Noè, il 27 del secondo mese (Gn 8,14).
Emerge prima di tutto l’uso del 7, il numero che rinvia alla creazione del mondo (cf. Gn 1) e quindi al ritmo della storia; ma emerge anche il 40, che indica (come per i quarant’anni d’Israele nel deserto) un tempo di trasformazione e di attesa. Un racconto polifonico
Il racconto del diluvio si presenta dunque come un tutto ben coerente; e tuttavia, anche un’analisi superficiale del testo rivela al lettore la presenza di numerose contraddizioni.
Le principali possono essere ridotte a quattro.
1) Secondo Gn 6,19-20, Noè deve far salire sull’arca due esemplari per ogni specie di animali; secondo 7,2, invece, deve prendere con sé due animali di ogni specie impura, ma sette animali di ogni specie pura, cioè tre paia di animali più un singolo; gli animali in soprannumero sono da usare per il sacrificio che Noè offrirà dopo il diluvio. 2) In Gn 7,4.12 il diluvio dura per quaranta giorni e quaranta notti, mentre in Gn 7,6.11; 8,13 sembra durare un anno intero.
3) Secondo Gn 7,12 e 8,2-3 il diluvio è provocato da una pioggia straordinaria, mentre in 7,11 è causato dall’aprirsi delle sorgenti dell’abisso sotterraneo e dalle cateratte del cielo, ovvero da una catastrofe straordinaria, di carattere cosmico.
4) Infine in Gn 8,6-12 Noè scopre da solo, mediante un esperimento (l’invio degli uccelli) che le acque si sono ritirate; in 8,15-17 è invece Dio stesso che gli da l’ordine di uscire dall’arca.
A queste contraddizioni si dovrebbe aggiungere ancora il fatto che gli elementi principali della narrazione sono quasi tutti narrati due volte, in forme diverse.
La maggior parte degli autori è concorde nel trovare la spiegazione ai problemi appena esposti nell’ammettere in Gn 6-9 la presenza di due voci distinte,
una delle quali è senza dubbio la voce della tradizione sacerdotale;
l’altra, un tempo attribuita alla cosiddetta fonte Yahwista datata all’epoca di Salomone, è oggi spesso considerata come un’aggiunta posteriore al racconto sacerdotale.
Non entriamo qui nei dettagli di una discussione che diventerebbe troppo tecnica[4]; ci basti qui osservare come non sia troppo difficile separare nel racconto del diluvio la presenza di due voci diverse. La distinzione delle due voci può essere così sintetizzata: appartengono al racconto cosiddetto «sacerdotale» i testi di 6,9-22; 7,6.11.13-16a. 17a. 18-21. 24; 8,1-2a. 3b-5. 13a. 14-19; 9,1-17;
tutti gli altri versetti appartengono al secondo racconto, quello che la teoria documentaria classica chiamava appunto la fonte Yahwista, così definita perché in questi versetti Dio è chiamato con il suo nome di Yhwh (Yahweh), il Signore, mentre nel racconto sacerdotale Dio è costantemente chiamato ’elohîm, cioè appunto «Dio».Il racconto «sacerdotale» presenta il diluvio come una catastrofe cosmica della durata di un anno; è interessato alla costruzione dell’arca (per tutti questi dettagli vedi oltre) e si chiude, in 9,1-17, sulla tematica dell’alleanza. Nell’altro racconto il diluvio è causato da una pioggia eccezionale di quaranta giorni; il testo indulge a descrizioni vivaci; si noti il bel particolare di 7,16, il tocco delicato su Dio che dietro a Noè chiude di persona la porta dell’arca; 8,6-12: gli uccelli inviati da Noè; 8,20-22: Dio che odora il profumo del sacrificio offerto da Noè; questo secondo racconto non conosce la tematica dell’alleanza.
Occorre riconoscere, tuttavia, che questo secondo racconto non è completo (mancano, ad esempio, la narrazione della costruzione dell’arca e dell’uscita dall’arca); è proprio per questo motivo che oggi si tende sempre più a considerarlo non come un vero e proprio racconto completo parallelo al primo (e più antico di esso), bensì come una serie di complementi aggiunti al racconto sacerdotale e composti dopo il ritorno dall’esilio[5].Nel nostro commento, pur tenendo conto di queste difficoltà, procederemo tuttavia leggendo il racconto del diluvio nella sua forma finale, al di là delle divergenze che abbiamo appena messo in luce e delle possibili ipotesi di spiegazione sull’origine del testo.