La barbarie elevata a legge, l’orrore quotidiano, il genocidio sistematico, le stragi d’innocenti. Ma si prepara qualcosa di peggiore in Siria e Iraq, e forse anche altrove. «Vedrete che cosa accadrà quando le operazioni di sicurezza cercheranno di liberare città importanti come Mosul o Tikrit, zone urbane dove le controffensive saranno ostacolate dall’ambiente e da un avversario agguerritissimo che non ha interesse a restare vivo». Parla il dottor Marzio Babille, medico triestino responsabile dell’Unicef in Iraq. Era a Baghdad dalla fine del 2011, quando le truppe americane cominciarono a ritirarsi, ma dallo scorso giugno vive a Erbil, capoluogo della regione del Kurdistan iracheno e città dove riparano migliaia di persone in fuga dalle atrocità.
Babille è testimone di crudeltà inenarrabili; tra i suoi compiti, oltre che assistere i bambini e le famiglie di profughi e sfollati, c’è anche quello di documentare con foto e rapporti gli orrori di questa guerra.«I jihadisti combattono in questa maniera terribile perché sono votati alla morte. Non cercano la vita. È un concetto nuovo nei conflitti, è difficile trovare un avversario che a un certo punto non si arrende o non ripiega». I combattimenti casa per casa per riconquistare i territori occupati dall’Isis saranno un massacro che si aggiungerà ai genocidi.
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