Il divorzio breve: una società che sembra incapace di progettare il futuro

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lazzaro2004
00giovedì 23 aprile 2015 21:02



 

Divorzio breve
La famiglia non va sciolta in un soffio
di Michele Brambilla - La Stampa, giovedì 23 aprile 2015

Se pensiamo a come la legge italiana regolava il matrimonio e la famiglia fino a una cinquantina di anni fa, davvero non possiamo non rallegrarci degli infiniti passi in avanti compiuti. Un tempo il matrimonio non era una storia fortunata, virtuosa e felice, ma un obbligo di legge; l’adulterio era un reato, più grave se commesso da una donna; la violenza carnale poteva restare impunita se il colpevole si impegnava a sposare la vittima.

Molti non ci crederanno, ma era davvero così e basterebbe questo a far capire quale perverso equivoco ci fosse allora sul valore del matrimonio. Il divorzio era, a quei tempi, possibile secondo le modalità del film di Pietro Germi, cioè accoppando la moglie - solo il marito aveva il diritto di accoppare - dopo averla beccata sul fatto con l’amante. Via via, uno dopo l’altra, tutte queste assurdità sono state per fortuna spazzate via: l’adulterio resta un reato solo nelle teocrazie, il delitto d’onore non c’è più ed è arrivato il divorzio. Fino al divorzio breve, con il quale bastano sei mesi non solo per chiudere per sempre un matrimonio ma anche per contrarne uno nuovo. Credo che nessuno possa avere nostalgia delle leggi e del costume che furono.

Ma premesso questo, premesso insomma che sicuramente nel cambiamento abbiamo guadagnato, è da conservatori, o peggio ancora da bigotti e reazionari, fermarsi un attimo a pensare anche - e sottolineo anche - che nel tempo abbiamo pure perso qualcosa?

Non lo dico da un punto di vista della giurisprudenza o della politica. La politica deve legiferare e le leggi devono regolare in gran parte fenomeni che sono già presenti nella società. Così, il divorzio breve è solo una legge che prende atto di come oggi la maggior parte di noi italiani, ma più in generale di noi occidentali, concepisce il matrimonio e la famiglia: come un qualcosa che si può mettere insieme e disfare anche nel giro di un anno, pur con dei figli di mezzo magari, tanto la legge dice che è giusto così. Il rischio di essere fraintesi nel fare discorsi del genere è enorme, ma ri-pongo ugualmente la domanda: siamo sicuri di non avere perso qualcosa?

Ad esempio l’idea che c’è pure una bellezza nello stare insieme nonostante le difficoltà che la vita inevitabilmente presenta. L’idea dunque che fare una famiglia è anche - pure qui l’anche è sottolineato - una storia di fatica, di sacrifici da compiere, di gesti e parole da perdonare, di rinunce, perfino di sopportazioni. Non è questione di chiedere l’eroismo. È questione di discernere fra il matrimonio-martirio, che nessuno vuole, e il matrimonio banalizzato, il matrimonio che si sta insieme finché si prova quello che si prova nei romanzi di Moccia, in un’eterna adolescenza. Chiunque si innamora prova il desiderio che quel che sta provando non finisca mai: e certo non si può esigere l’eternità dell’amore per legge, ma il «ti amo» dei tempi nostri, cioè a tempo determinato, magari a tutele crescenti, beh insomma, forse un po’ di fascino l’ha perso. Non si vuole ovviamente giudicare nessuno, solo constatare che oggi molto spesso ci si lascia alla prima difficoltà.

Il divorzio breve, se giudicato in superficie, è certamente una legge utile, che semplifica molte situazioni che altrimenti si trascinerebbero per anni, con il loro codazzo di rancori. Se guardato un po’ più in profondità, è invece anche la spia di come siamo cambiati di fronte appunto a termini come fatica, sacrificio, rinunce, perdono, responsabilità, fedeltà a un impegno preso e a una parola data. Tutte cose che abbiamo smarrito non solo riguardo al matrimonio.

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