La Settimana Santa con Benedetto XVI -- Gesù di Nazaret, Il processo a Gesù

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lazzaro2004
00giovedì 21 aprile 2011 11:15
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Gesù di Nazaret


CAPITOLO VII -- Il processo a Gesù
1. La discussione preliminare nel sinedrio
2. Gesù davanti al sinedrio
3. Gesù davanti a Pilato


Siamo qui nel cuore del libro del Papa, in quanto siamo arrivati
a una questione che riguarda noi uomini del secolo XXI e non solo
Pilato. «Che cosa deve pensare Pilato, che cosa dobbiamo pensare
noi di tale concetto di regno e di regalità? È una cosa irreale,
una fantasticheria della quale ci si può disinteressare? O forse
in qualche modo ci riguarda?» (ibid.). Nel dialogo con il funzionario
romano scopriamo un dato decisivo: Gesù «basa il suo concetto
di regalità e di regno sulla verità come categoria fondamentale»
(p. 215). La domanda di Pilato, «Che cos'è la verità?», non è solo
di Pilato. È «la domanda che pone anche la moderna dottrina
dello Stato: può la politica assumere la verità come categoria
per la sua struttura? O deve lasciare la verità, come dimensione
inaccessibile, alla soggettività e invece cercare di riuscire a stabilire
la pace e la giustizia con gli strumenti disponibili nell'ambito
del potere? Vista l'impossibilità di un consenso sulla verità,
la politica puntando su di essa non si rende forse strumento di certe
tradizioni che, in realtà, non sono che forme di conservazione
del potere? Ma, dall'altra parte -- che cosa succede se la verità
non conta nulla? Quale giustizia allora sarà possibile?
Non devono forse esserci criteri comuni che garantiscano veramente
la giustizia per tutti -- criteri sottratti all'arbitrarietà delle opinioni
mutevoli ed alle concentrazioni del potere? Non è forse vero che
le grandi dittature sono vissute in virtù della menzogna ideologica
e che soltanto la verità poté portare la liberazione?» (p. 215).


Qui -- ci avverte il Papa -- non solo si gioca il significato ultimo della politica,
ma addirittura «è in gioco il destino dell'umanità» (ibid.). Delle due l'una:
o si accetta come terreno comune per gli uomini un diritto naturale
che è «il diritto della verità» (p. 217), oppure «la non-redenzione
del mondo consiste, appunto, nella non-decifrabilità della creazione,
nella non-riconoscibilità della verità, una situazione che poi conduce
inevitabilmente al dominio del pragmatismo, e in questo
modo fa sì che il potere dei forti diventi il dio di questo mondo» (ibid.).
«Anche oggi, nella disputa politica come nella discussione circa
la formazione del diritto, per lo più si prova fastidio per essa [verità].
Ma senza la verità l'uomo non coglie il senso della sua vita, lascia,
in fin dei conti, il campo ai più forti» (p. 218).


Ma ci rendiamo conto qui anche di qualcosa che Benedetto XVI nel suo
Magistero ha spesso ricordato. La ragione può riconoscere l'esistenza
della verità -- e di molte verità -- a prescindere dalla fede, e questo fonda
il diritto naturale come insieme di verità che s'impongono anche
ai non credenti. Ma in pratica, a causa del peccato, riconoscere queste
verità prescindendo totalmente da Dio è difficile. «Verità ed opinione errata,
verità e menzogna nel mondo sono continuamente mescolate in modo
quasi inestricabile. La verità in tutta la sua grandezza e purezza non
appare. Il mondo è "vero" nella misura in cui rispecchia Dio, il senso
della creazione, la Ragione eterna da cui è scaturito. E diventa tanto
più vero quanto più si avvicina a Dio. L'uomo diventa vero, diventa
se stesso se diventa conforme a Dio. Allora egli raggiunge la sua vera natura.
Dio è la realtà che dona l'essere e il senso. "Dare testimonianza alla verità"
significa mettere in risalto Dio e la sua volontà di fronte agli interessi
del mondo e alle sue potenze.
Dio è la misura dell'essere. In questo senso, la verità è il vero "re" che
a tutte le cose dà la loro luce e la loro grandezza» (pp. 216-217). 

 

«“Redenzione” nel senso pieno della parola può consistere solo nel fatto
che la verità diventi riconoscibile. Ed essa diventa riconoscibile,
se Dio diventa riconoscibile» (p. 218). Si dice oggi che non abbiamo bisogno
di Dio, e neppure del diritto naturale, perché è arrivata la scienza a rivelarci
la verità sull’uomo. Quella della scienza però è una «verità funzionale
sull’uomo» (p. 217). «Ma la verità su lui stesso – su chi egli sia, di dove
venga, per quale scopo esista, che cosa sia il bene o il male – quella,
purtroppo, non si può leggere in tal modo. Con la crescente conoscenza
della verità funzionale sembra piuttosto andare di pari passo una crescente
 cecità per “la verità” stessa – per la domanda su ciò che è la nostra vera
 realtà e ciò che è il nostro vero scopo» (p. 218). 

 

Comunque sia, verità e regalità sono strettamente connesse. Gesù
è egli stesso la verità, e Gesù è il re. Si supera così l’artificiosa
contrapposizione creata da alcuni esegeti fra l’annuncio del regno
in Galilea e la passione e morte a Gerusalemme. «Proprio nel colloquio
di Gesù con Pilato si rende evidente che non esiste alcuna rottura tra
l’annuncio di Gesù in Galilea – il regno di Dio – e i suoi discorsi
in Gerusalemme. Il centro del messaggio fino alla croce – fino all’iscrizione
sulla croce – è il regno di Dio, la nuova regalità che Gesù rappresenta.
Il centro di ciò è, però, la verità» (pp. 218-219).

 

http://www.cesnur.org/2011/papa-sec.html
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