Profughi a Roncobello il Vice Sindaco : “Siamo figli della cultura dell'accoglienza”

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lazzaro2004
00mercoledì 24 giugno 2015 20:59



 

Antonio Gervasoni, vicesindaco di Roncobello, scrive una lettera in merito all'accoglienza dei profughi che tante polemiche ha scatenato nei giorni scorsi.

La piccola comunità di Roncobello in provincia di Bergamo, 440 abitanti a 1000 sul livello del mare collocata fra le zone più suggestive dell’Alta Valle Brembana al centro del Parco delle Orobie Bergamasche, è salita alle cronache dei giornali e della televisione nazionale, mai come negli ultimi giorni di aprile, dopo che il Prefetto ha comunicato al sindaco l’arrivo di quaranta profughi per far fronte all’emergenza immigrazione. Per noi, questa è stata una notizia che non ti immagineresti mai, specie quando si vive in piccole comunità con ritmi e stili di vita diversi dalla frenetica vita cittadina. Le cose sono partite subito in salita, quando in paese si e’ saputo dai giornali che i profughi sarebbero arrivati li a pochi giorni, si è creato un clima ostile; infatti nella notte tra il 17 e 19 aprile qualcuno si e’ introdotto nella struttura che era preposta all’accoglienza andando a rompere alcuni servizi igienici. Il gesto non ha aiutato a costruire un clima sereno e collaborativo. Poi la solita forza politica, in gran parte esterna al paese, ha demagogicamente trovato l’appiglio per cavalcare le solite paure su cui ha fondato il proprio successo elettorale, la sicurezza, le malattie, i costi, arringando la gente alla chiusura e alla non accoglienza.

Proprio su questo concetto di chiusura si e’ costituito il comitato “non accoglienza”, che già per il solo nome risveglia terribili presagi stile anni trenta. Io attualmente sono assessore a Roncobello, ho ricoperto il ruolo di sindaco per dieci anni e sono coordinatore di zona del Partito Democratico Valle Brembana e, senza presunzione, penso di conoscere abbastanza bene la mia gente e il mio territorio. Per prima cosa vorrei ricordare che Roncobello ha una lunghissima tradizione di emigrazione, dai nostri genitori abbiamo sentito spesso racconti di viaggi della speranza in Francia, in Svizzera o più semplicemente a Milano e, credo, che nel nostro profondo abbiano lasciato un senso di “nomadismo” per cercare migliori occasioni di vita.

Poi, non è un caso, che la sala consigliare del comune sia dedicata al Podestà Milesi Isacco, perché durante la seconda guerra mondiale ospitò nella propria casa, una famiglia di ebrei salvandoli dai campi di sterminio nazista, e il suo nome è scritto nel Giardino dei giusti di Gerusalemme. Noi siamo figli del quella cultura. Sono quindici anni che il 2 giugno organizziamo “La festa della Comunità di Roncobello” con residenti e villeggianti, oriundi e abitanti dei paesi vicini, perché Roncobello è una comunità aperta verso tutti.

Sul nostro territorio ci sono 13 associazioni, espressioni del mondo culturale, sportivo, turistico e sociale; questo significa che la comunità è forte, propositiva, attiva e non teme le minacce di chi indica ogni problema nei profughi (ospitati nella casa vacanza della fondazione Portaluppi di Treviglio attraverso la Cooperativa Ruah) che trascorreranno parte del loro lungo viaggio verso la liberà, a Roncobello. Per anni, io e i sindaci che mi hanno preceduto abbiamo chiesto allo Stato e alla Regione Lombardia, finanziamenti per migliorare i servizi alle persone, per costruire strade, abbellire le piazze, realizzare strutture e infrastrutture; ora è giunto il momento che sia lo Stato a chiedere aiuto e collaborazione ai Roncobellesi per far fronte a una situazione di gravissima emergenza umanitaria, e noi non ci possiamo sottrarre per senso civico, a contribuire per la nostra parte come comunità dello Stato Italiano. Noi siamo consapevoli che spesso i proclami teorici e filosofici sono di facile intendimento ma che la realtà spesso ti riserva imprevisti e difficoltà.

Ma questo non ci spaventa: infatti i 43 profughi che tutt’ora soggiornano, sono stati ben accolti, ha prevalso il senso di responsabilità come vuole che sia una comunità aperta verso i più deboli, i bisognosi o come in questo caso, da chi scappa dalla la guerra e dalla fame. Molte persone di Roncobello si sono prodigate portando vestiti per il freddo perché pur essendo primavera, la struttura e’ situata ben oltre i mille metri (alcuni non avevano mai visto la neve!!). I ragazzi del paese giocano tranquillamente insieme al campo sportivo, inoltre sono stati assunti due ragazzi di Roncobello dalla cooperativa, uno per la cucina e un animatore – interprete. Ora con la convenzione sul volontariato, inizieranno a svolgere con gli abitanti piccoli lavoretti di manutenzione stradale e pulizia dei sentieri, taglio dell’erba, perché l’integrazione passa sopratutto attraverso il lavoro.

Non nascondiamo le difficoltà ma, come sempre, ce la faremo… magari con un po’ di asprezza che ci caratterizza. Io ritengo che il montanaro non sia razzista per il colore della pelle o per la fede religiosa, il montanaro è diffidente verso “il lazzarone” e cioè che vive alle spalle degli altri, l’approfittatore, il furbo, l’imbroglione. Per questo io sono convinto che mettendoci in gioco con altruismo e un po’ di sacrificio, potremmo uscire da questa inaspettata esperienza di vita tutti più orgogliosi per essere stati utili a chi con gli occhi ci ha chiesto disperatamente aiuto.

Antonio Gervasoni – Vice Sindaco di Roncobello

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