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Madre Teresa di Calcutta



SORRIDERE A DIO



Esperienze – preghiere –
spunti di riflessione



Edizioni Paoline




Titolo originale dell’opera:
A Gift for God

Collins, St Jame’s Place, 1975
© Mother Teresa, Missionaries of Charity, 1975

Versione dall’inglese di
Carlo Danna

sesta edizione 1979




Presentazione


NON VI SONO BASSIFONDI IN PARADISO



Questa selezione di detti, preghiere, meditazioni, lettere e discorsi di Madre Teresa servirà – tale è l’augurio – a trasmettere qualcosa del loro stile e della loro fragranza e, nello stesso tempo, fornirà agli ammiratori e seguaci di lei un gradevole manualetto di devozione. Normalmente ella è parca di parole – così come è parca di tutto, eccezion fatta per l’amore e per il culto di Dio -, però, quando ne fa uso a voce o per iscritto, le sgorgano invariabilmente dal cuore e suonano inconfondibilmente sue. Per quanto ne sappiamo, ella non prepara mai in anticipo quel che si propone di dire, salvo naturalmente a recarsi in cappella, dove è solita preparare ogni cosa. Una volta a Londra, mentre attendeva l’autobus, si vide offrire un mazzo di violette da una fioraia, che si ricordava di averla vista in un programma televisivo. Mi parlò del fatto e aggiunse: “Dobbiamo dare i fiori a Lui”. Così l’accompagnai nella cappella, dove li depose sull’altare. E quello fu per me uno dei tanti episodi squisiti e indimenticabili, che ti rincuorano in questo mondo tribolato.
La forza delle sue parole è straordinaria, come si è potuto costatare ripetutamente di fronte a ogni tipo di pubblico, da quello più sofisticato a quello dei suoi più poveri tra i poveri. Ella non si preoccupava di adattare il contenuto o il linguaggio al manifesto quoziente intellettuale dei suoi uditori; il messaggio è sempre lo stesso, eppur sempre fresco e sorprendente. La verità, proposta nella sua versione luminosa, non è mai ripetitiva o banale, come lo è invece spesso la sua povera immagine moralizzatrice e pedante. c’è ancora chi ricorda come in Canadà, durante un programma televisivo in cui appariva accanto a Jacques Monod e a Jean Vanier, se ne stava seduta con il capo apparentemente chino in preghiera, mentre il famoso biologo molecolare francese, vincitore di un premio Nobel, illustrava con calore come tutto il destino futuro della razza umana sia inesorabilmente racchiuso nei nostri geni. Invitata dall’intervistatore a esprimere a sua volta il proprio punto di vista, ella alzò semplicemente il capo e osservò: “Io credo nell’amore e nella compassione”, quindi riprese le proprie devozioni. Il suo intervento, che veniva a convalidare l’efficace testimonianza cristiana data da Jean Vanier, risultò in qualche modo decisivo, e il professor Monod ebbe poi a dire che, con qualche altro trattamento del genere, la sua solida posizione atea sarebbe stata scossa.
In un’altra occasione Madre Teresa comparve in uno di quegli spettacoli mattutini, che aiutano gli americani a sgranocchiare la loro colazione di fiocchi d’avena e a deglutire il loro caffé. Era la prima volta che si trovava in uno studio televisivo newyorkese e non era quindi preparata alle continue interruzioni della pubblicità commerciale. Inoltre i colori che apparivano sul monitor, con il suo interlocutore che sembrava aver capelli grigi, un naso color malva e baffi rosa cascanti, la colsero di sorpresa. Per di più quella mattina la pubblicità commerciale non faceva altro che proporre varie qualità di pane avvolto in confezioni d’ogni genere e altri articoli alimentari, e raccomandarli agli spettatori come alimenti che non ingrassavano e non erano eccessivamente nutrienti. Non ci volle molto per capire che si trattava della combinazione più ironica che si potesse pensare, dal momento che la preoccupazione costante di Madre Teresa è ovviamente quella di trovare il necessario per nutrire gli affamati e mettere un po’ di carne su degli scheletri umani. La cosa non le sfuggì e fu sentita osservare con una voce tranquilla ma perfettamente udibile: “Vedo che negli studi della televisione c’è bisogno di Cristo”. Era un evento senza precedenti; una parola di verità era stata pronunciata in una delle fucine di sogni, dove si fabbrica con successo il grande mito del ventesimo secolo: la felicità a portata di mano. Un improvviso silenzio scese sullo studio e fu come se le luci dovessero spegnersi e il direttore del programma parve ammutolire. In realtà in quel momento la pubblicità commerciale era ancora in onda, Madre Teresa non era in trasmissione e lo smarrimento provocato dal suo intervento fu presto superato. Ad ogni modo esso meritò certamente di venir menzionato nel Libro della Vita, anche se non nel New York Time.
E’ nelle sue lettere che il riso e l’ilarità – i quali non Madre Teresa non mancano mai – vengono più chiaramente alla luce, in quelle lettere così meravigliosamente belle e divertenti, ch’ella scrive nel cuore della norre, in treno o in aereo, sempre di propria mano e usando la carta più economica possibile. Sono sicuro che una delle ragioni per cui ella ama tanto i poveri è questa: i poveri ridono di più dei ricchi, che inclinano a un’eccessiva solennità. Come i maniaci del potere di qualsiasi stampo, che non solo si astengono personalmente dal ridere ma ritengono ciò abominevole, considerandola una passione odiosa e contraria ai loro intenti, essi somigliano in questo allo shakespeariano Re Giovanni. Non così Madre Teresa, la quale trova l’ilarità molto confacente a lei. Un volto sorridente, ripete spesso, è una parte integrante dell’amore cristiano, e le sue Missionarie della Carità vengono invitate a far risuonate le loro case di risa gioiose, così come san Francesco e i suoi frati nelle loro peregrinazioni riempivano delle loro facezie le strade del mondo medioevale. In ogni santo c’è un clown e viceversa. In fondo che cosa sono i santi se non dei clowns trascendentali che, quando, le porte del cielo si aprono, percepiscono risa celestiali frammiste alla musica del paradiso? Nel cuore dell’universo essi scoprono un mistero, che è anche uno scherzo.
Così, in una lettera scritta da Calcutta, Madre Teresa ricorda come nei primi giorni della sua attività fosse stata colpita da un febbrone. “In quel delirio – ella scrive – mi ritrovai davanti a san Pietro, ma lui non voleva lasciarmi entrare e diceva: “Non ci sono bassifondi in paradiso”. Io gli risposi arrabbiata: “E va bene, riempirò il cielo con gente dei bassifondi e allora sarai costretto a lasciarmi entrare”. Povero san Pietro! Da allora le Sorelle e i Fratelli non gli dànno pace e lui deve stare sempre all’erta, perché la nostra gente si è riservata da molto tempo un posto in paradiso con le sue sofferenze. Alla fine essi hanno semplicemente da staccare il biglietto per andare a trovarlo. Tutte quelle migliaia di persone che sono morte con noi, hanno avuto la gioia di ricevere un biglietto per presentarsi a san Pietro”.
Un’altra volta ella scrive a proposito dell’apertura di una casa delle Missionarie della Carità a Lucknow: “Vi farà piacere di sentire che quest’anno ha fatto veramente molto caldo e che la nostra casa di Lucknow è stata così fondata davvero sull’Amore Ardente. E’ cosa buona bruciare con il calore di Dio al di fuori, dal momento che non ardiamo con il calore di Dio nei nostri cuori… A Lucknow ci hanno assegnato come dimora un vecchio cimitero inglese, per cui, se le Sorelle durante la notte cominceranno a cantare canti inglesi, saprete da dove essi provengono”. Madre Teresa portò casualmente un gruppo di Sorelle a visitare la mia casa, e mentre esse erano là, si misero a cantare alcuni canti inglesi con molta dolcezza, ma vi assicuro che quei canti non provenivano dal vecchio cimitero di Lucknow. Credo di sapere da dove venivano e ho fiducia che le pagine seguenti contengano qualche eco di quel medesimo canto e di quella medesima ilarità che lo accompagnava.

M.





(continua)