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MEDITIAMO LEGGENDO QOELET

Ultimo Aggiornamento: 21/01/2009 21:07
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Libro di Qoelet o Ecclesiaste

Presentazione

Il maestro d’assemblea che parla attraverso questa pagina ha sollevato spesso la perplessità di chi si accostava a lui. Con ogni probabilità non ne abbiamo mai colto il pensiero centrale, quello cioè che guida la sua straordinaria predicazione.

Occorre considerare un po’ come i Libri sapienziali presentano la vita umana, per comprendere Ecclesiaste: tutto al suo posto, la retribuzione del giusto, il castigo del peccatore, ecc…

Questi pochi capitoli ribaltano la prospettiva e, in ultima analisi, ripropongono la sovrana libertà di Dio sulle cose umane.

Il Libro di Ecclesiaste è costruito come se seguisse il dipanarsi del pensiero dell’autore, Possiamo però identificare degli argomenti intorno ai quali il Libro si condensa:

1,1—2,26      prendendo a modello la vita di Salomone (che era da considerarsi esemplare per gli antichi)

                       Qohelet mostra la vanità di tutto ciò che è sforzo umano;

3,1-15            il problema del tempo;

3,16-4,3        relazioni sociali;

4,4-16            rispetto per Dio;

4,17-5,6         cinismo politico;

5,7—6,12      il denaro;

7                     il problema della retribuzione;

8,10,3            la fortuna; proverbi vari; l’età dell’uomo;

10,4-12,14        epilogo.

Il libro è indubbiamente recente e riflette un tipo di mentalità che risente di molte lacerazioni. Esse sono certamente le lacerazioni tipiche della condizione umana, ma sono ricercate e denunciate con ansia, senza trovarvi riparo se non nella possibilità che Dio stesso ne rompa lo schema inspiegabile.


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Premessa


A metà della Bibbia, tra l’elogio della “donna perfetta” con cui  finisce il libro dei Proverbi e il grido d’amore appassionato che inizia il Cantico dei Cantici, compare un titolo strano: Kohélet in ebraico ed Ecclesiaste in greco, in altre parole l’uomo dell’assemblea (=predicatore).

Il testo si snoda senza un chiaro ordine ed affronta la questione del significato della vita umana. Incapace di scrutare a fondo i disegni di Dio, l’uomo si trova a lottare con la realtà d’ogni giorno, alla disperata ricerca di una felicità che gli alleggerisce l’onere di vivere. La felicità terrena, la ricerca delle sensazioni del piacere non può essere il vero scopo della vita. Qual è in definitiva il segreto della vita, l’autore non sa spiegarlo (almeno in apparenza), si accontenta di demolire gli argomenti opposti ai suoi.

Il libro osserva semplicemente l’esistenza e ne trae le logiche conclusioni. Si tratta della “vita sotto il sole” (il mondo considerato semplicemente dal punto di vista umano), così come l’uomo la vede attorno a sé. L’autore non impone idee preconcette. La vita vissuta dell’uomo, se priva di Dio, è inutile, assurda, senza scopo, vuota, una realtà molto triste. La natura e la storia si ripetono ciclicamente, senza produrre nulla di nuovo. Se si assommano i pro e i contro dell’esistenza vedremo che è meglio morire. La vita non è bella: il lavoro ricomincia sempre da capo; il piacere ad un certo punto non soddisfa più; la buona condotta e i pensieri saggi sono azzerati dalla morte.

“Sii realista”, consiglia il libro. “Se la vita senza Dio è tutta qui, prendila per quel che vale. Non pretendere troppo. Non nascondere la testa nella sabbia. La verità sulla vita è questa!”

A motivo del suo caratteristico argomentare, l’autore è stato accusato di cinismo, di essere un pessimista, un edonista o uno scettico; in realtà egli è uno spirito profondamente religioso e, dichiarando l’illusione della felicità sulla terra, orienta le aspirazioni dell’uomo in direzione di una felicità più alta e sicura. Il consiglio finale dell’Ecclesiaste, ispirato ad un realismo di buona lega, è un invito alla moderazione nell’uso delle cose terrene, nel rispetto della volontà di Dio.

Nei suoi aspetti apparentemente negativi, l’autore testimoniala necessità di una più completa rivelazione divina sulle sanzioni eterne nell’ al di là all’opera dell’uomo sulla terra.

La rivelazione cristiana offrirà agli uomini, che inseguono sulla terra i loro insopprimibili desideri di felicità, la grazia divina. Il libro è, infatti, il necessario presupposto del Vangelo, l’annuncio liberatore per chi comprende che “tutto ciò che non è eternità, è tempo perduto”.

L’autore, un vecchio professore giudeo che ha insegnato a Gerusalemme intorno al 250 a.C., ha lasciato pubblicare da un suo discepolo il libro condensando il suo insegnamento. La data sembra confermata poiché la paleografia ha collocato verso il 150 a.C. i frammenti dell’Ecclesiaste trovati nelle grotte di Qumran.

L’epoca storica è il tempo in cui la Palestina è sottomessa al governo dei Tolomei, dominata dal lusso, dai piaceri e dalla cultura ellenista, raggiunta, perciò, dalla grande corrente umanista internazionale, ma non ancora illuminata dalla fede e dalla speranza nella retribuzione ultraterrena, che guiderà la resistenza maccabaica.

Il libro, in definitiva, ha un preciso carattere di un’opera di transizione. Il pensiero ebraico si trova ad una svolta. La convergenza su altre opere similari avviene su temi universali, diventati patrimonio comune della sapienza di tutti i popoli, ma che l’Ecclesiaste risente in modo del tutto originale in ragione della sua fede jahwista, perché l’autore è e vuole restare un credente.


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Libro di Qoelet o Ecclesiaste


Capitolo 1, 1- 2,26


[1] Parole di Qoèlet, figlio di Davide, re di Gerusalemme.

[2] Vanità delle vanità, dice Qoèlet,
vanità delle vanità, tutto è vanità.

[3] Quale utilità ricava l'uomo da tutto l'affanno
per cui fatica sotto il sole?

[4] Una generazione va, una generazione viene
ma la terra resta sempre la stessa.

[5] Il sole sorge e il sole tramonta,
si affretta verso il luogo da dove risorgerà.

[6] Il vento soffia a mezzogiorno, poi gira a tramontana;
gira e rigira
e sopra i suoi giri il vento ritorna.

[7] Tutti i fiumi vanno al mare,
eppure il mare non è mai pieno:
raggiunta la loro mèta,
i fiumi riprendono la loro marcia.

[8] Tutte le cose sono in travaglio
e nessuno potrebbe spiegarne il motivo.
Non si sazia l'occhio di guardare
né mai l'orecchio è sazio di udire.

[9] Ciò che è stato sarà
e ciò che si è fatto si rifarà;
non c'è niente di nuovo sotto il sole.

[10] C'è forse qualcosa di cui si possa dire:
"Guarda, questa è una novità"?
Proprio questa è già stata nei secoli
che ci hanno preceduto.

[11] Non resta più ricordo degli antichi,
ma neppure di coloro che saranno
si conserverà memoria
presso coloro che verranno in seguito.



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[12] Io, Qoèlet, sono stato re d'Israele in Gerusalemme.

[13] Mi sono proposto di ricercare e investigare con saggezza tutto ciò che si fa sotto il cielo. È questa una occupazione penosa che Dio ha imposto agli uomini, perché in essa fatichino.

[14] Ho visto tutte le cose che si fanno sotto il sole ed ecco tutto è vanità e un inseguire il vento.

[15] Ciò che è storto non si può raddrizzare
e quel che manca non si può contare.

[16] Pensavo e dicevo fra me: "Ecco, io ho avuto una sapienza superiore e più vasta di quella che ebbero quanti regnarono prima di me in Gerusalemme. La mia mente ha curato molto la sapienza e la scienza".

[17] Ho deciso allora di conoscere la sapienza e la scienza, come anche la stoltezza e la follia, e ho compreso che anche questo è un inseguire il vento,

[18] perchè
molta sapienza, molto affanno;
chi accresce il sapere, aumenta il dolore.
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[1] Io ho detto in cuor mio: "Vieni, dunque, ti voglio mettere alla prova con la gioia: Gusta il piacere!". Ma ecco anche questo è vanità.

[2] Del riso ho detto: "Follia!"
e della gioia: "A che giova?".


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[3] Ho voluto soddisfare il mio corpo con il vino, con la pretesa di dedicarmi con la mente alla sapienza e di darmi alla follia, finché non scoprissi che cosa convenga agli uomini compiere sotto il cielo, nei giorni contati della loro vita.


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[4] Ho intrapreso grandi opere, mi sono fabbricato case, mi sono piantato vigneti.


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[5] Mi sono fatto parchi e giardini e vi ho piantato alberi da frutto d'ogni specie;


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[6] mi sono fatto vasche, per irrigare con l'acqua le piantagioni.



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[7] Ho acquistato schiavi e schiave e altri ne ho avuti nati in casa e ho posseduto anche armenti e greggi in gran numero più di tutti i miei predecessori in Gerusalemme.



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[8] Ho accumulato anche argento e oro, ricchezze di re e di province; mi sono procurato cantori e cantatrici, insieme con le delizie dei figli dell'uomo.




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[9] Sono divenuto grande, più potente di tutti i miei predecessori in Gerusalemme, pur conservando la mia sapienza.



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[10] Non ho negato ai miei occhi nulla di ciò che bramavano, né ho rifiutato alcuna soddisfazione al mio cuore, che godeva d'ogni mia fatica; questa è stata la ricompensa di tutte le mie fatiche.


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[11] Ho considerato tutte le opere fatte dalle mie mani e tutta la fatica che avevo durato a farle: ecco, tutto mi è apparso vanità e un inseguire il vento: non c'è alcun vantaggio sotto il sole.


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[12] Ho considerato poi la sapienza, la follia e la stoltezza. "Che farà il successore del re? Ciò che è già stato fatto".


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[13] Mi sono accorto che il vantaggio della sapienza sulla stoltezza è il vantaggio della luce sulle tenebre:

[14] Il saggio ha gli occhi in fronte,
ma lo stolto cammina nel buio.
Ma so anche che un'unica sorte
è riservata a tutt'e due.



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[15] Allora ho pensato: "Anche a me toccherà la sorte dello stolto! Allora perché ho cercato d'esser saggio? Dov'è il vantaggio?". E ho concluso: "Anche questo è vanità".


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[16] Infatti, né del saggio né dello stolto resterà un ricordo duraturo e nei giorni futuri tutto sarà dimenticato. Allo stesso modo muoiono il saggio e lo stolto


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[17] Ho preso in odio la vita, perché mi è sgradito quanto si fa sotto il sole. Ogni cosa infatti è vanità e un inseguire il vento.




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[18] Ho preso in odio ogni lavoro da me fatto sotto il sole, perché dovrò lasciarlo al mio successore.


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