MEDITIAMO LEGGENDO QOELET

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(evita)
00sabato 10 gennaio 2009 18:21



Libro di Qoelet o Ecclesiaste

Presentazione

Il maestro d’assemblea che parla attraverso questa pagina ha sollevato spesso la perplessità di chi si accostava a lui. Con ogni probabilità non ne abbiamo mai colto il pensiero centrale, quello cioè che guida la sua straordinaria predicazione.

Occorre considerare un po’ come i Libri sapienziali presentano la vita umana, per comprendere Ecclesiaste: tutto al suo posto, la retribuzione del giusto, il castigo del peccatore, ecc…

Questi pochi capitoli ribaltano la prospettiva e, in ultima analisi, ripropongono la sovrana libertà di Dio sulle cose umane.

Il Libro di Ecclesiaste è costruito come se seguisse il dipanarsi del pensiero dell’autore, Possiamo però identificare degli argomenti intorno ai quali il Libro si condensa:

1,1—2,26      prendendo a modello la vita di Salomone (che era da considerarsi esemplare per gli antichi)

                       Qohelet mostra la vanità di tutto ciò che è sforzo umano;

3,1-15            il problema del tempo;

3,16-4,3        relazioni sociali;

4,4-16            rispetto per Dio;

4,17-5,6         cinismo politico;

5,7—6,12      il denaro;

7                     il problema della retribuzione;

8,10,3            la fortuna; proverbi vari; l’età dell’uomo;

10,4-12,14        epilogo.

Il libro è indubbiamente recente e riflette un tipo di mentalità che risente di molte lacerazioni. Esse sono certamente le lacerazioni tipiche della condizione umana, ma sono ricercate e denunciate con ansia, senza trovarvi riparo se non nella possibilità che Dio stesso ne rompa lo schema inspiegabile.


(evita)
00sabato 10 gennaio 2009 18:22



Premessa


A metà della Bibbia, tra l’elogio della “donna perfetta” con cui  finisce il libro dei Proverbi e il grido d’amore appassionato che inizia il Cantico dei Cantici, compare un titolo strano: Kohélet in ebraico ed Ecclesiaste in greco, in altre parole l’uomo dell’assemblea (=predicatore).

Il testo si snoda senza un chiaro ordine ed affronta la questione del significato della vita umana. Incapace di scrutare a fondo i disegni di Dio, l’uomo si trova a lottare con la realtà d’ogni giorno, alla disperata ricerca di una felicità che gli alleggerisce l’onere di vivere. La felicità terrena, la ricerca delle sensazioni del piacere non può essere il vero scopo della vita. Qual è in definitiva il segreto della vita, l’autore non sa spiegarlo (almeno in apparenza), si accontenta di demolire gli argomenti opposti ai suoi.

Il libro osserva semplicemente l’esistenza e ne trae le logiche conclusioni. Si tratta della “vita sotto il sole” (il mondo considerato semplicemente dal punto di vista umano), così come l’uomo la vede attorno a sé. L’autore non impone idee preconcette. La vita vissuta dell’uomo, se priva di Dio, è inutile, assurda, senza scopo, vuota, una realtà molto triste. La natura e la storia si ripetono ciclicamente, senza produrre nulla di nuovo. Se si assommano i pro e i contro dell’esistenza vedremo che è meglio morire. La vita non è bella: il lavoro ricomincia sempre da capo; il piacere ad un certo punto non soddisfa più; la buona condotta e i pensieri saggi sono azzerati dalla morte.

“Sii realista”, consiglia il libro. “Se la vita senza Dio è tutta qui, prendila per quel che vale. Non pretendere troppo. Non nascondere la testa nella sabbia. La verità sulla vita è questa!”

A motivo del suo caratteristico argomentare, l’autore è stato accusato di cinismo, di essere un pessimista, un edonista o uno scettico; in realtà egli è uno spirito profondamente religioso e, dichiarando l’illusione della felicità sulla terra, orienta le aspirazioni dell’uomo in direzione di una felicità più alta e sicura. Il consiglio finale dell’Ecclesiaste, ispirato ad un realismo di buona lega, è un invito alla moderazione nell’uso delle cose terrene, nel rispetto della volontà di Dio.

Nei suoi aspetti apparentemente negativi, l’autore testimoniala necessità di una più completa rivelazione divina sulle sanzioni eterne nell’ al di là all’opera dell’uomo sulla terra.

La rivelazione cristiana offrirà agli uomini, che inseguono sulla terra i loro insopprimibili desideri di felicità, la grazia divina. Il libro è, infatti, il necessario presupposto del Vangelo, l’annuncio liberatore per chi comprende che “tutto ciò che non è eternità, è tempo perduto”.

L’autore, un vecchio professore giudeo che ha insegnato a Gerusalemme intorno al 250 a.C., ha lasciato pubblicare da un suo discepolo il libro condensando il suo insegnamento. La data sembra confermata poiché la paleografia ha collocato verso il 150 a.C. i frammenti dell’Ecclesiaste trovati nelle grotte di Qumran.

L’epoca storica è il tempo in cui la Palestina è sottomessa al governo dei Tolomei, dominata dal lusso, dai piaceri e dalla cultura ellenista, raggiunta, perciò, dalla grande corrente umanista internazionale, ma non ancora illuminata dalla fede e dalla speranza nella retribuzione ultraterrena, che guiderà la resistenza maccabaica.

Il libro, in definitiva, ha un preciso carattere di un’opera di transizione. Il pensiero ebraico si trova ad una svolta. La convergenza su altre opere similari avviene su temi universali, diventati patrimonio comune della sapienza di tutti i popoli, ma che l’Ecclesiaste risente in modo del tutto originale in ragione della sua fede jahwista, perché l’autore è e vuole restare un credente.


(evita)
00sabato 10 gennaio 2009 18:24



Libro di Qoelet o Ecclesiaste


Capitolo 1, 1- 2,26


[1] Parole di Qoèlet, figlio di Davide, re di Gerusalemme.

[2] Vanità delle vanità, dice Qoèlet,
vanità delle vanità, tutto è vanità.

[3] Quale utilità ricava l'uomo da tutto l'affanno
per cui fatica sotto il sole?

[4] Una generazione va, una generazione viene
ma la terra resta sempre la stessa.

[5] Il sole sorge e il sole tramonta,
si affretta verso il luogo da dove risorgerà.

[6] Il vento soffia a mezzogiorno, poi gira a tramontana;
gira e rigira
e sopra i suoi giri il vento ritorna.

[7] Tutti i fiumi vanno al mare,
eppure il mare non è mai pieno:
raggiunta la loro mèta,
i fiumi riprendono la loro marcia.

[8] Tutte le cose sono in travaglio
e nessuno potrebbe spiegarne il motivo.
Non si sazia l'occhio di guardare
né mai l'orecchio è sazio di udire.

[9] Ciò che è stato sarà
e ciò che si è fatto si rifarà;
non c'è niente di nuovo sotto il sole.

[10] C'è forse qualcosa di cui si possa dire:
"Guarda, questa è una novità"?
Proprio questa è già stata nei secoli
che ci hanno preceduto.

[11] Non resta più ricordo degli antichi,
ma neppure di coloro che saranno
si conserverà memoria
presso coloro che verranno in seguito.



(evita)
00sabato 10 gennaio 2009 18:24



[12] Io, Qoèlet, sono stato re d'Israele in Gerusalemme.

[13] Mi sono proposto di ricercare e investigare con saggezza tutto ciò che si fa sotto il cielo. È questa una occupazione penosa che Dio ha imposto agli uomini, perché in essa fatichino.

[14] Ho visto tutte le cose che si fanno sotto il sole ed ecco tutto è vanità e un inseguire il vento.

[15] Ciò che è storto non si può raddrizzare
e quel che manca non si può contare.

[16] Pensavo e dicevo fra me: "Ecco, io ho avuto una sapienza superiore e più vasta di quella che ebbero quanti regnarono prima di me in Gerusalemme. La mia mente ha curato molto la sapienza e la scienza".

[17] Ho deciso allora di conoscere la sapienza e la scienza, come anche la stoltezza e la follia, e ho compreso che anche questo è un inseguire il vento,

[18] perchè
molta sapienza, molto affanno;
chi accresce il sapere, aumenta il dolore.
(evita)
00sabato 10 gennaio 2009 18:25



 
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[1] Io ho detto in cuor mio: "Vieni, dunque, ti voglio mettere alla prova con la gioia: Gusta il piacere!". Ma ecco anche questo è vanità.

[2] Del riso ho detto: "Follia!"
e della gioia: "A che giova?".


(evita)
00sabato 10 gennaio 2009 19:54



[3] Ho voluto soddisfare il mio corpo con il vino, con la pretesa di dedicarmi con la mente alla sapienza e di darmi alla follia, finché non scoprissi che cosa convenga agli uomini compiere sotto il cielo, nei giorni contati della loro vita.


(evita)
00sabato 10 gennaio 2009 19:55



[4] Ho intrapreso grandi opere, mi sono fabbricato case, mi sono piantato vigneti.


(evita)
00sabato 10 gennaio 2009 19:55



[5] Mi sono fatto parchi e giardini e vi ho piantato alberi da frutto d'ogni specie;


(evita)
00sabato 10 gennaio 2009 19:56



[6] mi sono fatto vasche, per irrigare con l'acqua le piantagioni.



(evita)
00sabato 10 gennaio 2009 19:57



[7] Ho acquistato schiavi e schiave e altri ne ho avuti nati in casa e ho posseduto anche armenti e greggi in gran numero più di tutti i miei predecessori in Gerusalemme.



(evita)
00sabato 10 gennaio 2009 19:57



[8] Ho accumulato anche argento e oro, ricchezze di re e di province; mi sono procurato cantori e cantatrici, insieme con le delizie dei figli dell'uomo.




(evita)
00sabato 10 gennaio 2009 19:58



[9] Sono divenuto grande, più potente di tutti i miei predecessori in Gerusalemme, pur conservando la mia sapienza.



(evita)
00sabato 10 gennaio 2009 19:59



[10] Non ho negato ai miei occhi nulla di ciò che bramavano, né ho rifiutato alcuna soddisfazione al mio cuore, che godeva d'ogni mia fatica; questa è stata la ricompensa di tutte le mie fatiche.


(evita)
00sabato 10 gennaio 2009 19:59



[11] Ho considerato tutte le opere fatte dalle mie mani e tutta la fatica che avevo durato a farle: ecco, tutto mi è apparso vanità e un inseguire il vento: non c'è alcun vantaggio sotto il sole.


(evita)
00sabato 10 gennaio 2009 20:00



[12] Ho considerato poi la sapienza, la follia e la stoltezza. "Che farà il successore del re? Ciò che è già stato fatto".


(evita)
00sabato 10 gennaio 2009 20:01



[13] Mi sono accorto che il vantaggio della sapienza sulla stoltezza è il vantaggio della luce sulle tenebre:

[14] Il saggio ha gli occhi in fronte,
ma lo stolto cammina nel buio.
Ma so anche che un'unica sorte
è riservata a tutt'e due.



(evita)
00sabato 10 gennaio 2009 20:02



[15] Allora ho pensato: "Anche a me toccherà la sorte dello stolto! Allora perché ho cercato d'esser saggio? Dov'è il vantaggio?". E ho concluso: "Anche questo è vanità".


(evita)
00sabato 10 gennaio 2009 20:02



[16] Infatti, né del saggio né dello stolto resterà un ricordo duraturo e nei giorni futuri tutto sarà dimenticato. Allo stesso modo muoiono il saggio e lo stolto


(evita)
00sabato 10 gennaio 2009 20:03



[17] Ho preso in odio la vita, perché mi è sgradito quanto si fa sotto il sole. Ogni cosa infatti è vanità e un inseguire il vento.




(evita)
00sabato 10 gennaio 2009 20:04



[18] Ho preso in odio ogni lavoro da me fatto sotto il sole, perché dovrò lasciarlo al mio successore.


(evita)
00sabato 10 gennaio 2009 20:04



[19] E chi sa se questi sarà saggio o stolto? Eppure potrà disporre di tutto il mio lavoro, in cui ho speso fatiche e intelligenza sotto il sole. Anche questo è vanità!


(evita)
00sabato 10 gennaio 2009 20:05



[20] Sono giunto al punto di disperare in cuor mio per tutta la fatica che avevo durato sotto il sole,

[21] perché chi ha lavorato con sapienza, con scienza e con successo dovrà poi lasciare i suoi beni a un altro che non vi ha per nulla faticato. Anche questo è vanità e grande sventura


(evita)
00sabato 10 gennaio 2009 20:06



[22] Allora quale profitto c'è per l'uomo in tutta la sua fatica e in tutto l'affanno del suo cuore con cui si affatica sotto il sole?



(evita)
00sabato 10 gennaio 2009 20:06



[23] Tutti i suoi giorni non sono che dolori e preoccupazioni penose; il suo cuore non riposa neppure di notte. Anche questo è vanità!


(evita)
00sabato 10 gennaio 2009 20:07



[24] Non c'è di meglio per l'uomo che mangiare e bere e godersela nelle sue fatiche; ma mi sono accorto che anche questo viene dalle mani di Dio.

[25] Difatti, chi può mangiare e godere senza di lui?


(evita)
00sabato 10 gennaio 2009 20:07



[26] Egli concede a chi gli è gradito sapienza, scienza e gioia, mentre al peccatore dà la pena di raccogliere e d'ammassare per colui che è gradito a Dio. Ma anche questo è vanità e un inseguire il vento!



(evita)
00sabato 10 gennaio 2009 20:08



Capitolo 1, 1- 2,26


Il primo versetto è il titolo del libro, apposto da un editore finale, mentre i versetti 2-3 sono tesi dell’opera di quest’anonimo pensatore. L’argomento fondamentale è espresso attraverso la dichiarazione del v.2 che raccoglie in unità soggetta l’intero testo: “Tutto è come un soffio di vento: vanità, vanità, tutto è vanità”.

In altre parole l’autore propone il suo pensiero: il vuoto e la vanità della vita. I cicli della natura e della storia si ripetono costantemente. Non vi è nulla di nuovo. La realtà e la storia sono prive di qualsiasi senso nel loro procedere ineluttabile e rigidamente scontato. In questo movimento sempre monotono e reversibile la curiosità scientifica e la ricerca sapienziale non hanno significato alcuno, è fatica sprecata, poiché “chi accresce il sapere, aumenta il dolore” (vv.9-10).

Anche l’immortalità nella fama dei posteri è illusione presto infranta.

L’autore si veste delle spoglie di Salomone, esemplare perfetto di re sapiente, secondo un procedimento caro alla letteratura sapienziale. Da quest’angolo di visuale ideale, l’autore può demolire a ragion veduta l’arco delle illusioni umane.

Salomone ha potuto assaporare senza inibizioni tutte le esperienze umane (1 Re 10), ma ha scoperto solo che l’ansia di spiegare razionalmente ogni cosa è solo fame di vento (1,12-18). Si è lanciato anche in piaceri raffinati, in frenetiche attività edilizie, su ricchezze incommensurabili, ha ottenuto una fama esaltante. Ma un identico ritornello sigilla ogni piacere ed attività: “Anche questo è vanità” (2,1.11). Si è riaccostato alla sapienza (2,12-16) solo per comprendere che la morte pone inesorabilmente sapiente e stolto sullo stesso piano.  Il riaffiorare dell’illusione del piacere e dell’attività non può che raggiungere lo stesso risultato (2,17-26): la rapina della morte cancella tutto ciò che avviene e le cose per cui lavoriamo saranno godute da altri dopo di noi. Tale è la vanità della vita “sotto il sole”, perché non vi è gioia né soddisfazione per chi vive senza Dio.

Parrebbe che gli ultimi versetti contengano un barlume di soluzione simile ad un edonistico “carpe diem” (cogli l’attimo) oraziano. In realtà l’autore non propone un sistema d’esistenza ma solo una constatazione: le realtà terrestri non offrono nessuna soddisfazione appagante, ma l’uomo in loro può cogliere quei frammenti di bene semplice e limitato che Dio gli imbandisce innanzi. Questo invito, piuttosto rassegnato pur nel suo minimo ottimismo, sarà ripetuto a più riprese nel testo.


(evita)
00sabato 10 gennaio 2009 20:09



Capitolo 3, 1-15

3


[1] Per ogni cosa c'è il suo momento, il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo


(evita)
00sabato 10 gennaio 2009 20:10



[2] C'è un tempo per nascere e un tempo per morire,
un tempo per piantare e un tempo per sradicare le piante.


(evita)
00sabato 10 gennaio 2009 20:10



[3] Un tempo per uccidere e un tempo per guarire,
un tempo per demolire e un tempo per costruire.
 


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