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TUTTI I PAPI : IL PAPATO DALLA PRIMA GUERRA MONDIALE AL XXI SECOLO

Ultimo Aggiornamento: 21/01/2009 06:38
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Sesso: Femminile
21/01/2009 06:33

    Il 25 agosto 1978 iniziò il conclave per l’elezione del successore di papa Montini. I trenta cardinali della curia non furono in grado di impedire la scelta di un candidato non curiale. I porporati europei non disponevano che della metà degli elettori. In teoria per la prima volta si sarebbe potuto creare un papa contro i voti delle eminenze italiane. Ma c’erano molti fattori che facevano presagire ancora una volta l’elevazione al papato di un candidato italiano. Uno «straniero» in questa carica, messo quotidianamente a confronto con la scabrosa situazione socio-politica di Roma, sembrò fuori luogo non soltanto ai cattolici italiani. Possibili candidati erano: Sergio Pignedoli, 67 anni, presidente della segreteria per i non-cristiani (il diplomatico relativamente progressista, che secondo un quotidiano italiano avrebbe meritato l’oscar della simpatia, era stato un beniamino di Montini); Sebastiano Raggio, 65 anni, prefetto della congregazione dei vescovi; e Pericle Felici, 67 anni, presidente della commissione per la revisione del codice di diritto canonico e latinista numero uno del Vaticano, il quale era il favorito della destra all’interno dello schieramento cardinalizio. I cittadini romani, in maggioranza senz’altro cattolici tiepidi se non addirittura anticlericali, seguivano la «prova di forza» con il loro consueto umorismo. Taluni si ricordarono della regola per cui a un papa grasso con la R nel cognome, ne segue uno magro senza R. Effettivamente, a partire dalla metà del secolo scorso, questa strana regola si era affermata. Quindi toccava a un papa grasso con la R. In quei giorni apparve anche un libro intitolato L’ultimo conclave, che si poneva la domanda se non soltanto l’elezione papale e il pontefice, ma anche la chiesa non si trovassero di fronte alla loro fine o alla loro ultima grande occasione favorevole. La discussione in conclave fu arricchita anche da due appelli di teologi, i quali proposero un elenco delle qualità desiderate nel futuro pontefice. E un altro gruppo di teologi e laici, fra cui Hans Kùng, Norbert Greinacher, Edward Schille- beechx, Yves Congar e M.D. Chenu indirizzarono a tutta l’assemblea cardinalizia una specie di «istruzione per l’uso»: vi erano esposti i criteri principali da adottarsi nella scelta del nuovo pontefice. Il papa prospettato da questi teologi sembrava uscito da un alambicco, tanto era “distillato». Al confronto la lettera aperta di Karl Rahner e del suo discepolo Johann Baptist Metz creò una sensazione gradevole; si limi- tava a un unico criterio: il nuovo pontefice doveva essere un papa dei poveri e degli oppressi di questo mondo. Il 26 agosto fu eletto il patriarca di Venezia Albino Luciani. Ancora un italiano quindi! Ma qualcuno disse fra sé: meglio un italiano che ci sappia fare, che uno «straniero» impacciato. Luciani, in memoria dei suoi due predecessori, scelse il doppio nome di Giovanni Paolo I, cosa mai accaduta nella storia del papato. Papa Luciani inoltre fu eletto già il primo giorno; in questo secolo una votazione così rapida si era verificata soltanto per Pio XII, il quale però era entrato in conclave con tutti i crismi del papa bilis. E anche la regola di un papa corpulento quale successore di uno magro questa volta non trovò applicazione. Al tipo malinconico succedette quello gioviale, al pre- lato di curia il pastore delle anime, al diplomatico l’uomo del popolo, all’intellettuale il saggio forgiato dall’esperienza quotidiana. Le differenze erano talmente evidenti che un regista non le avrebbe potute scegliere meglio. Quando il neoeletto si affacciò per la prima volta alla Loggia di San Pietro, la folla trasse un sospiro di sollievo: finalmente un papa che sorride cordialmente! Tutto il suo aspetto emanava la gioia di poter servire il Signore. Subito ci si chiese: è di destra o di sini- stra? Suo padre era socialista e il piccolo Albino aveva conosciuto la fame in prima persona. Ma a Venezia aveva sciolto senza tanti complimenti un movimento studentesco favorevole al divorzio in Italia. Di certo non era un uomo di carriera. Nel suo aspetto esteriore Giovanni Paolo I non assomigliava né a Paolo VI né a Giovanni XXIII, ma piuttosto al gracile Benedetto XV (1914-1922). Aveva lo stesso naso aquilino, segno di una volontà ferrea; portava un paio di occhiali che gli conferivano un senso di civettuola bonarietà: una figura davvero simpatica. Sullo stile del nuovo papa il quotidiano della sera «Vita» scrisse: «Molto Giovanni e poco Paolo». Albino Luciani era nato a Canale d’Agordo, ai piedi delle Dolo- miti, il 17 ottobre 1912. Concluso brillantemente il primo ciclo di studi nei seminari di Feltre e Belluno, si laureò in teologia alla celebre Pontifica Università Gregoriana di Roma. La sua tesi di laurea verteva significativamente sul sacerdote e filosofo italiano Antonio Rosmini, di cui nel 1887 erano state condannate quaranta proposizioni. Fra il 1937 e il 1947 Luciani fu vicedirettore del seminario maggiore di Belluno. Nel 1947 il suo vescovo lo nominò procancelliere e nel 1948 vicario generale della diocesi. Il 27 dicembre 1958 Giovanni XXIII lo consacrò vescovo in San Pietro e gli affidò la diocesi di Vittorio Veneto, dove Luciani portò ben presto una ventata d’aria fresca. Nel 1969 Paolo VI lo chiamò alla sede patriarcale di Venezia e nel 1973 lo creò cardinale. Anche da patriarca egli si tenne in stretto contatto con la popolazione, specialmente con la gente umile. Preferiva indossare l’abito nero del semplice clero; salutava tutti e aveva tempo per quanti si rivolgevano a lui. Già nella notte successiva alla sua elezione Giovanni Paolo I si accinse a elaborare il programma del propro pontificato. Vi si parlava di un ulteriore sviluppo delle tematiche trattate nel concilio Vaticano Il; doveva continuare il dialogo che Paolo VI aveva posto alla base della sua attività pastorale; andava promosso l’ecumenismo. Papa Luciani appoggiò tutte le iniziative di pace. Con questo programma Giovanni Paolo I aveva certamente evidenziato alcuni punti interessanti; ma si deve anche ammettere che non si trattava di cose eccezionali. Forse alla fine del discorso programmatico egli stesso ripensò alle ultime pa- role della lettera a Gesù nel suo libro Illustrissimi: «Ho scritto, ma mai sono stato così malcontento di scrivere come questa volta. Mi pare di aver omesso il più che si poteva dire di Te, di aver detto male ciò che si doveva dire molto meglio. C’è un conforto, questo: l’importante non è che uno scriva di Cristo, ma che molti amino e imitino Cristo». Il 3 settembre Giovanni Paolo fu introdotto nel suo ministero, ma rinunciò all’incoronazione e all’intronizzazione. Il popolo comprese istintivamente che Giovanni Paolo I sarebbe stato un papa di suo gradimento, un pastore d’anime, un uomo della strada assiso sulla cattedra di Pietro. Certamente il pontefice avrebbe meritato un periodo di calma per potersi inserire nel suo nuovo incarico, che più o meno coglie tutti di sorpresa. Ma nella notte fra il 28 e il 29 settembre un infarto lo rapì silenziosamente alla vita lasciando il mondo sorpreso e incredulo. Sembrò addirittura paradossale che questo papa senza encicliche, senza concili e senza concistori avesse potuto conquistare l’universale simpatia in soli trentatré giorni di pontificato. Ebbe comunque il tempo di parlare di se stesso in prima persona, rinunciando al maiestatico «Noi», e di affermare che il regno di Dio non si identifica con le immaginazioni degli uomini. Parlò di Pinocchio, di Dio-Madre, di Maritain e del poeta dialettale romano Trilussa. Sulla morte del papa nacque ben presto una ridda di indiscrezioni. Dal 5 ottobre in poi a Roma circolò la voce che il papa non fosse stato trovato morto dal suo segretario, come precedentemente sostenuto, ma da una suora, che Luciani aveva portato con sé da Venezia; sul suo letto, anziché libri di meditazione, si sarebbero trovate delle importanti cartelle personali. Il papa, si diceva, sarebbe stato sottoposto a dure pressioni da parte della curia. Il cardinale Confalonieri dichiarò che i porporati, una volta eletto Giovanni Paolo I, lo avrebbero abbandonato a se stesso. Il papa si sentì assalire dalla solitudine istituzionale della sua missione. Giovanni Paolo I tentò di liberarsi dalla morsa di questa angosciosa solitudine facendo una telefonata di un’ora all’arcivescovo di Milano la sera prima di morire. È certamente insostenibile e assurda la tesi proposta in un libro, apparso nel 1984, dal britannico David A. Yallop: lo scrittore tenta di dimostrare che Giovanni Paolo I dopo trentatré giorni di pontificato sarebbe stato vittima di un complotto. Ma l’autore, in questo suo libro senz’altro sensazionale, non solo non è in grado di portare alcuna prova, ma addirittura propone degli indizi che spesso si basano su premesse errate. La mancata autopsia del cadavere, per esempio, fu senza dubbio un errore d’omissione, non certo però un indizio per un assassinio in Vaticano. Si può supporre invece che se questo papa fosse vissuto più a lungo, avrebbe certamente dato un volto nuovo alla chiesa. Infatti «ciò che aveva in mente era una chiesa cattolica dei poveri e per i poveri»

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