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LA SUA EREDITA'

Ultimo Aggiornamento: 03/02/2009 21:29
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03/02/2009 21:28




Vive nella sua eredità Non l’abbiamo seppellito


Giovanni Paolo II è stato sepolto.
La sua personalità però continua a giganteggiare, tanto che appare obiettivamente difficile chiudere in fretta il suo tempo.
Un altro verrà, evidentemente verrà, e assumerà il suo ruolo.
Arduo però – diciamolo francamente – che possa prendere il suo posto negli occhi del mondo. Eppure, passati appena i momenti più dolorosi e di intensa partecipazione alla sua malattia e alla sua morte, si deve rimeditare la sua eredità.
Che è una grande eredità, ma non tale da allontanare i tanti.
Non a caso infatti, in questi ultimi giorni vi si sono riconosciuti moltissimi, più di quanti pensavamo. La folla attorno alle sue spoglie ha impressionato. Il numero di leader e delegazioni presenti non ha paragoni con le modeste rappresentanze diplomatiche che accompagnarono i funerali dei papi di una parte notevole del Novecento.
L’eredità più vera di Papa Wojtyla tuttavia non è politica.
Il suo testamento rivela innanzitutto la tempra spirituale dell’uomo:
«Ognuno deve tener presente la prospettiva della morte. E deve esser pronto a presentarsi davanti al Signore e al Giudice – e contemporaneamente Redentore e Padre».
Nei primi tempi del pontificato, così rispondeva a chi lo interrogava circa il suo orientamento:
«La linea del Papa? Questa linea è la fede».
E il primato della fede è tutt’altro che scontato, pur se troppo facilmente lo si considera un’ovvietà.
A tale primato si connette la sua pastoralità.
Chi lo ha conosciuto come vescovo – si pensi alla Chiesa di Roma – ha avuto la percezione chiara di trovarsi dinanzi a un uomo che prendeva sul serio la vita e la fede della sua gente.
È stato un pastore che ha incontrato milioni di uomini e donne, li ha ascoltati, si è interessato a loro.
È stato sul serio sacerdote e testimone del Vangelo: fin nel profondo della sua umanità.
Karol Wojtyla è stato un vescovo del Vaticano II, anche se la sua nomina è avvenuta nel 1958. Nelle note testamentarie datate 2000 scrive parole che fanno pensare:
«Desidero ancora una volta esprimere gratitudine allo Spirito Santo per il grande dono del Concilio Vaticano II, al quale con l’intera Chiesa – e soprattutto con l’intero episcopato – mi sento debitore».
Ma non è solo un tributo al passato:
«Sono convinto – aggiunge – che ancora a lungo sarà dato alle nuove generazioni di attingere alle ricchezze che questo Concilio del XX secolo ci ha elargito».
Nel testamento non si danno indicazioni per il futuro.
E in questo si legge un rispetto estremo per la Chiesa e il suo successore.
Solamente ha scritto, però, sempre a proposito del Concilio:
«Desidero affidare questo grande patrimonio a tutti coloro che sono e saranno in futuro chiamati a realizzarlo».
D’altra parte, era stato – come lui stesso afferma – la «grandissima causa» del suo pontificato.
Che potrebbe anzi leggersi come un’interpretazione creativa del Concilio.
Per lui il Vaticano II era, a un tempo, porta sul nuovo millennio e ponte con la grande Tradizione. Il Papa è rimasto fedele alle stesse regole decretate da Paolo VI, anche se ha riempito il servizio pontificale di uno spirito personale e nuovo.
Il che mostra come, nella Chiesa, il vissuto, la spiritualità, il tratto umano possano operare una profonda innovazione.
Tanti hanno sentito questo Papa vicino.
I piccoli, i poveri, i malati, i feriti della vita hanno amato con intensità la sua figura.
Nonostante i problemi che la via ecumenica ha incontrato negli ultimi anni, i suoi funerali hanno registrato una folta e silenziosa partecipazione di personalità cristiane (tra cui il patriarca ecumenico, l’arcivescovo di Atene, la rappresentanza dell’ortodossia russa, con cui esistono questioni aperte).
Giovanni Paolo II è stato così salutato come un grande servitore dell’unità cristiana e leader primo del cristianesimo.
Anche questo è suo lascito.
Perciò la sua eredità non può andare dispersa nelle emozioni che passano, ma andrà recepita in profondità.
È un’eredità – come disse il cardinale Montini quando Giovanni XXIII ci lasciò – che
«la morte non può soffocare e una tomba non può contenere».
Solo la Chiesa può accoglierla nel suo seno.

di Andrea Riccardi

Tratto dall'Avvenire


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03/02/2009 21:29




Da: pellegrino  (Messaggio originale)

Inviato: 09/04/2005 12.08

Ciao a tutti.
Ieri sera ho ascoltato un servizio di un giornalista del TG2 (credo si chiami Marco Mazza) delle 20,30 sul Papa e mi è piaciuto così ho pensato di trascriverlo.
Dio vi benedica

Il più grande addio della storia è tutto lì, dentro quella cassa di cipresso al “centro de lo mundo”. Ma dove sarà il Papa grande adesso? Lì dentro, e dove altro? «Alla finestra della Casa del Padre» dice il Cardinale Ratzinger nell'omelia. Certo, ma è bello pensare che ancora oggi, almeno per un po', Giovanni Paolo se ne stia qui attorno nella sua piazza, in mezzo al suo popolo, che si, a lui, lo sappiamo, è dispiaciuto andare via. Magari se ne sta dietro al vento che soffia a folate, sopra il Vangelo aperto sulla bara e sotto le mantelle dei Cardinali e dietro le bandiere polacche. Forse si diverte e sorride dentro quell'applauso che sale e si trasforma in coro, come mille altre volte, per tanti anni, in ogni angolo del mondo; chissà se ha indugiato ancora una volta, anche solo un minuto, dietro i vetri e le tende della sua finestra a benedire, a farla uscire di nuovo quella sua potente voce, che se ne era andata prima di lui; o magari è salito fino al cielo, sopra la capitale, per guardare e sorridere a questa città, diventata la chiesa più grande del mondo oggi, per lui, incredibilmente, magicamente.
È allora, in quel preciso momento, che anche lui si deve essere commosso; ed è tornato lì, forse dentro quelle gocce di acqua benedetta sopra il legno, come lacrime che stavolta è impossibile trattenere, perché ci dispiace che questo Papa sia dovuto andare via. E perché sappiamo che anche a lui dispiace, almeno un po', di lasciarci, almeno per un po'.


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