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17 gennaio

Ultimo Aggiornamento: 17/01/2011 14:24
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17/01/2011 14:17

Sant' Antonio Abate

17 gennaio

Coma, Egitto, 250 ca. – Tebaide (Alto Egitto), 17 gennaio 356

Antonio abate è uno dei più illustri eremiti della storia della Chiesa. Nato a Coma, nel cuore dell'Egitto, intorno al 250, a vent'anni abbandonò ogni cosa per vivere dapprima in una plaga deserta e poi sulle rive del Mar Rosso, dove condusse vita anacoretica per più di 80 anni: morì, infatti, ultracentenario nel 356. Già in vita accorrevano da lui, attratti dalla fama di santità, pellegrini e bisognosi di tutto l'Oriente. Anche Costantino e i suoi figli ne cercarono il consiglio. La sua vicenda è raccontata da un discepolo, sant'Atanasio, che contribuì a farne conoscere l'esempio in tutta la Chiesa. Per due volte lasciò il suo romitaggio. La prima per confortare i cristiani di Alessandria perseguitati da Massimino Daia. La seconda, su invito di Atanasio, per esortarli alla fedeltà verso il Conciliio di Nicea. Nell'iconografia è raffigurato circondato da donne procaci (simbolo delle tentazioni) o animali domestici (come il maiale), di cui è popolare protettore. (Avvenire)

Patronato: Eremiti, Monaci, Canestrai

Etimologia: Antonio = nato prima, o che fa fronte ai suoi avversari, dal greco

Emblema: Bastone pastorale, Maiale, Campana, Croce a T

Martirologio Romano: Memoria di sant’Antonio, abate, che, rimasto orfano, facendo suoi i precetti evangelici distribuì tutti i suoi beni ai poveri e si ritirò nel deserto della Tebaide in Egitto, dove intraprese la vita ascetica; si adoperò pure per fortificare la Chiesa, sostenendo i confessori della fede durante la persecuzione dell’imperatore Diocleziano, e appoggiò sant’Atanasio nella lotta contro gli ariani. Tanti furono i suoi discepoli da essere chiamato padre dei monaci.

Ascolta da RadioVaticana:
  
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Dopo la pace costantiniana, il martirio cruento dei cristiani diventò molto raro; a questa forma eroica di santità dei primi tempi del cristianesimo, subentrò un cammino di santità professato da una nuovo stuolo di cristiani, desiderosi di una spiritualità più profonda, di appartenere solo a Dio e quindi di vivere soli nella contemplazione dei misteri divini.
Questo fu il grande movimento spirituale del ‘Monachesimo’, che avrà nei secoli successivi varie trasformazioni e modi di essere; dall’eremitaggio alla vita comunitaria; espandendosi dall’Oriente all’Occidente e diventando la grande pianta spirituale su cui si è poggiata la Chiesa, insieme alla gerarchia apostolica.
Anche se probabilmente fu il primo a instaurare una vita eremitica e ascetica nel deserto della Tebaide, s. Antonio ne fu senz’altro l’esempio più stimolante e noto, ed è considerato il caposcuola del Monachesimo.
Conoscitore profondo dell’esperienza spirituale di Antonio, fu s. Atanasio (295-373) vescovo di Alessandria, suo amico e discepolo, il quale ne scrisse una bella e veritiera biografia.
Antonio nacque verso il 250 da una agiata famiglia di agricoltori nel villaggio di Coma, attuale Qumans in Egitto e verso i 18-20 anni rimase orfano dei genitori, con un ricco patrimonio da amministrare e con una sorella minore da educare.
Attratto dall’ammaestramento evangelico “Se vuoi essere perfetto, va’, vendi ciò che hai, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo, poi vieni e seguimi”, e sull’esempio di alcuni anacoreti che vivevano nei dintorni dei villaggi egiziani, in preghiera, povertà e castità, Antonio volle scegliere questa strada e venduto i suoi beni, affidata la sorella a una comunità di vergini, si dedicò alla vita ascetica davanti alla sua casa e poi al di fuori del paese.
Alla ricerca di uno stile di vita penitente e senza distrazione, chiese a Dio di essere illuminato e così vide poco lontano un anacoreta come lui, che seduto lavorava intrecciando una corda, poi smetteva si alzava e pregava, poi di nuovo a lavorare e di nuovo a pregare; era un angelo di Dio che gli indicava la strada del lavoro e della preghiera, che sarà due secoli dopo, la regola benedettina “Ora et labora” del Monachesimo Occidentale.
Parte del suo lavoro gli serviva per procurarsi il cibo e parte la distribuiva ai poveri; dice s. Atanasio, che pregava continuamente ed era così attento alla lettura delle Scritture, che ricordava tutto e la sua memoria sostituiva i libri.
Dopo qualche anno di questa edificante esperienza, in piena gioventù cominciarono per lui durissime prove, pensieri osceni lo tormentavano, dubbi l’assalivano sulla opportunità di una vita così solitaria, non seguita dalla massa degli uomini né dagli ecclesiastici, l’istinto della carne e l’attaccamento ai beni materiali che erano sopiti in quegli anni, ritornavano prepotenti e incontrollabili.
Chiese aiuto ad altri asceti, che gli dissero di non spaventarsi, ma di andare avanti con fiducia, perché Dio era con lui e gli consigliarono di sbarazzarsi di tutti i legami e cose, per ritirarsi in un luogo più solitario.
Così ricoperto appena da un rude panno, si rifugiò in un’antica tomba scavata nella roccia di una collina, intorno al villaggio di Coma, un amico gli portava ogni tanto un po’ di pane, per il resto si doveva arrangiare con frutti di bosco e le erbe dei campi.
In questo luogo, alle prime tentazioni subentrarono terrificanti visioni e frastuoni, in più attraversò un periodo di terribile oscurità spirituale, ma tutto superò perseverando nella fede in Dio, compiendo giorno per giorno la sua volontà, come gli avevano insegnato i suoi maestri.
Quando alla fine Cristo gli si rivelò illuminandolo, egli chiese: “Dov’eri? Perché non sei apparso fin da principio per far cessare le mie sofferenze?”. Si sentì rispondere: “Antonio, io ero qui con te e assistevo alla tua lotta…”.
Scoperto dai suoi concittadini, che come tutti i cristiani di quei tempi, affluivano presso gli anacoreti per riceverne consiglio, aiuto, consolazione, ma nello stesso tempo turbavano la loro solitudine e raccoglimento, allora Antonio si spostò più lontano verso il Mar Rosso.
Sulle montagne del Pispir c’era una fortezza abbandonata, infestata dai serpenti, ma con una fonte sorgiva e qui nel 285 Antonio si trasferì, rimanendovi per 20 anni.
Due volte all’anno gli calavano dall’alto del pane; seguì in questa nuova solitudine l’esempio di Gesù, che guidato dallo Spirito si ritirò nel deserto “per essere tentato dal demonio”; era comune convinzione che solo la solitudine, permettesse alla creatura umana di purificarsi da tutte le cattive tendenze, personificate nella figura biblica del demonio e diventare così uomo nuovo.
Certamente solo persone psichicamente sane potevano affrontare un’ascesi così austera come quella degli anacoreti; non tutti ci riuscivano e alcuni finivano per andare fuori di testa, scambiando le proprie fantasie per illuminazioni divine o tentazioni diaboliche.
Non era il caso di Antonio; attaccato dal demonio che lo svegliava con le tentazioni nel cuore della notte, dandogli consigli apparentemente di maggiore perfezione, spingendolo verso l’esaurimento fisico e psichico e per disgustarlo della vita solitaria; invece resistendo e acquistando con l’aiuto di Dio, il “discernimento degli spiriti”, Antonio poté riconoscere le apparizioni false, compreso quelle che simulavano le presenze angeliche.
E venne il tempo in cui molte persone che volevano dedicarsi alla vita eremitica, giunsero al fortino abbattendolo e Antonio uscì come ispirato dal soffio divino; cominciò a consolare gli afflitti ottenendo dal Signore guarigioni, liberando gli ossessi e istruendo i nuovi discepoli.
Si formarono due gruppi di monaci che diedero origine a due monasteri, uno ad oriente del Nilo e l’altro sulla riva sinistra del fiume, ogni monaco aveva la sua grotta solitaria, ubbidendo però ad un fratello più esperto nella vita spirituale; a tutti Antonio dava i suoi consigli nel cammino verso la perfezione dello spirito uniti a Dio.
Nel 307 venne a visitarlo il monaco eremita s. Ilarione (292-372), che fondò a Gaza in Palestina il primo monastero, scambiandosi le loro esperienze sulla vita eremitica; nel 311 Antonio non esitò a lasciare il suo eremo e si recò ad Alessandria, dove imperversava la persecuzione contro i cristiani, ordinata dall’imperatore romano Massimino Daia († 313), per sostenere e confortare i fratelli nella fede e desideroso lui stesso del martirio.
Forse perché incuteva rispetto e timore reverenziale anche ai Romani, fu risparmiato; le sue uscite dall’eremo si moltiplicarono per servire la comunità cristiana, sostenne con la sua influente presenza l’amico vescovo di Alessandria, s. Atanasio che combatteva l’eresia ariana, scrisse in sua difesa anche una lettera a Costantino imperatore, che non fu tenuta di gran conto, ma fu importante fra il popolo cristiano.
Tornata la pace nell’impero e per sfuggire ai troppi curiosi che si recavano nel fortilizio del Mar Rosso, decise di ritirarsi in un luogo più isolato e andò nel deserto della Tebaide, dove prese a coltivare un piccolo orto per il suo sostentamento e di quanti, discepoli e visitatori, si recavano da lui per aiuto e ricerca di perfezione.
Visse nella Tebaide fino al termine della sua lunghissima vita, poté seppellire il corpo dell’eremita s. Paolo di Tebe con l’aiuto di un leone, per questo è considerato patrono dei seppellitori.
Negli ultimi anni accolse presso di sé due monaci che l’accudirono nell’estrema vecchiaia; morì a 106 anni, il 17 gennaio del 356 e fu seppellito in un luogo segreto.
La sua presenza aveva attirato anche qui tante persone desiderose di vita spirituale e tanti scelsero di essere monaci; così fra i monti della Tebaide (Alto Egitto) sorsero monasteri e il deserto si popolò di monaci; primi di quella moltitudine di uomini consacrati che in Oriente e in Occidente, intrapresero quel cammino da lui iniziato, ampliandolo e adattandolo alle esigenze dei tempi.
I suoi discepoli tramandarono alla Chiesa la sua sapienza, raccolta in 120 detti e in 20 lettere; nella Lettera 8, s. Antonio scrisse ai suoi “Chiedete con cuore sincero quel grande Spirito di fuoco che io stesso ho ricevuto, ed esso vi sarà dato”.
Nel 561 fu scoperto il suo sepolcro e le reliquie cominciarono un lungo viaggiare nel tempo, da Alessandria a Costantinopoli, fino in Francia nell’XI secolo a Motte-Saint-Didier, dove fu costruita una chiesa in suo onore.
In questa chiesa a venerarne le reliquie, affluivano folle di malati, soprattutto di ergotismo canceroso, causato dall’avvelenamento di un fungo presente nella segala, usata per fare il pane.
Il morbo era conosciuto sin dall’antichità come ‘ignis sacer’ per il bruciore che provocava; per ospitare tutti gli ammalati che giungevano, si costruì un ospedale e una Confraternita di religiosi, l’antico Ordine ospedaliero degli ‘Antoniani’; il villaggio prese il nome di Saint-Antoine di Viennois.
Il papa accordò loro il privilegio di allevare maiali per uso proprio e a spese della comunità, per cui i porcellini potevano circolare liberamente fra cortili e strade, nessuno li toccava se portavano una campanella di riconoscimento.
Il loro grasso veniva usato per curare l’ergotismo, che venne chiamato “il male di s. Antonio” e poi “fuoco di s. Antonio” (herpes zoster); per questo nella religiosità popolare, il maiale cominciò ad essere associato al grande eremita egiziano, poi fu considerato il santo patrono dei maiali e per estensione di tutti gli animali domestici e della stalla.
Nella sua iconografia compare oltre al maialino con la campanella, anche il bastone degli eremiti a forma di T, la ‘tau’ ultima lettera dell’alfabeto ebraico e quindi allusione alle cose ultime e al destino.
Nel giorno della sua festa liturgica, si benedicono le stalle e si portano a benedire gli animali domestici; in alcuni paesi di origine celtica, s. Antonio assunse le funzioni della divinità della rinascita e della luce, LUG, il garante di nuova vita, a cui erano consacrati cinghiali e maiali, così s. Antonio venne rappresentato in varie opere d’arte con ai piedi un cinghiale.
Patrono di tutti gli addetti alla lavorazione del maiale, vivo o macellato; è anche il patrono di quanti lavorano con il fuoco, come i pompieri, perché guariva da quel fuoco metaforico che era l’herpes zoster, ma anche in base alla leggenda popolare che narra che s. Antonio si recò all’inferno, per contendere l’anima di alcuni morti al diavolo e mentre il suo maialino sgaiattolato dentro, creava scompiglio fra i demoni, lui accese col fuoco infernale il suo bastone a ‘tau’ e lo portò fuori insieme al maialino recuperato e lo donò all’umanità, accendendo una catasta di legna.
Per millenni e ancora oggi, si usa nei paesi accendere il giorno 17 gennaio, i cosiddetti “focarazzi” o “ceppi” o “falò di s. Antonio”, che avevano una funzione purificatrice e fecondatrice, come tutti i fuochi che segnavano il passaggio dall’inverno alla imminente primavera. Le ceneri poi raccolte nei bracieri casalinghi di una volta, servivano a riscaldare la casa e con apposita campana fatta con listelli di legni per asciugare i panni umidi.
È invocato contro tutte le malattie della pelle e contro gli incendi. Veneratissimo lungo i secoli, il suo nome è fra i più diffusi del cattolicesimo, anche se poi nella devozione onomastica è stato soppiantato dal XIII sec. dal grande omonimo santo taumaturgo di Padova.
Nell’Italia Meridionale per distinguerlo è chiamato “Sant’Antuono”.





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Beato Enrico da Comentina Patriarca di Costantinopoli, martire

17 gennaio

+ Smirne, Turchia, 17 gennaio 1345

La famiglia Comentina (o dei Comentini) nei secoli XII-XIV possedeva ad Asti varie case ed un palazzo, di cui esiste ancora la torre, oggi detta di san Bernardino, in stile gotico con merlatura ghibellina a coda di rondine, forse la più alta torre del Piemonte.Enrico dapprima fu presso la corte papale di Avignone – residenza dei papi dal 1309 al 1376 - con l’incarico di “Uditore” pontificio, poi ebbe l’incarico di Legato papale in Asia Minore e Patriarca di Costantinopoli. Fu decapitato a Smirne dai Turchi il 17 gennaio 1345, mentre celebrava la santa messa.Il suo corpo fu traslato ad Asti nel 1392. Oggi riposa nella cattedrale, sotto l’altare del Santissimo Sacramento, dove fu traslato dalla chiesa di San Francesco nel 1801.Viene esposto alla pubblica venerazione nei tempi di calamità atmosferica (siccità o inondazioni), perché secondo la tradizione (che ha recepito elementi leggendari), l’urna con il suo corpo sarebbe stata salvata dalle acque in burrasca nel trasporto dall’Oriente nella città di Asti. Per questo è popolarmente invocato come il “santo dell’acqua”.




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Beata Eufemia Domitilla

17 gennaio

+ 17 gennaio 1359


Figlia del duca Przemislao di Ratibor (Slesia), entrò nel convento domenicano di questa città divenendone priora. Morì il 17 gennaio 1359 in fama di santità.
Dal popolo è venerata come beata. Il suo corpo, dal 1821, è nella chiesa parrocchiale di Liebfrauen.




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Beato Gamelberto

17 gennaio

Martirologio Romano: Nella Baviera, beato Gamelberto, sacerdote, che, per fondare il monastero di Metten, consegnò i propri beni a Utto, da lui stesso immerso nel sacro fonte battesimale.



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Beata Eufemia Domitilla

17 gennaio

+ 17 gennaio 1359


Figlia del duca Przemislao di Ratibor (Slesia), entrò nel convento domenicano di questa città divenendone priora. Morì il 17 gennaio 1359 in fama di santità.
Dal popolo è venerata come beata. Il suo corpo, dal 1821, è nella chiesa parrocchiale di Liebfrauen.




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San Giuliano Saba Eremita

17 gennaio

+ 377

Martirologio Romano: Nell’Osroene, nelle terre oggi divise tra Siria e Turchia, commemorazione di san Giuliano, asceta, soprannominato Saba, cioè vecchio; benché avesse rigettato il clamore cittadino, lasciò tuttavia per qualche tempo l’amata solitudine, allo scopo di confondere ad Antiochia i seguaci dell’eresia ariana.


La figura di San Giuliano Saba si colloca nel complesso periodo della disputa ariana sorta in Oriente. Eremita famoso per il suo grande ascetismo, gli ariani di Antiochia sostenettero che Giuliano aveva abbracciato la loro causa e nel 372 venne allora convocato dagli ortodossi per difendersi dall’accusa rivoltagli. La sua difesa si rivelò estremamente efficace, la sua presenza ed il suo prodigioso operato ebbero effetti assai incoraggianti per i fedeli antiocheni. Appena conclusasi la sua missione, non essendo amante del frastuono della città, tornò a ritirarsi nella sua grotta nei pressi dell’Eufrate, in Mesopotamia. Morì nel 377.




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San Jenaro (Gennaro) Sanchez Delgadillo Martire Messicano

17 gennaio

>>> Visualizza la Scheda del Gruppo cui appartiene

Nacque a Zapopan, Jalisco (arcidiocesi di Guadalajara) il 19 settembre 1876. Fu vicario di Tamazulita, della parrocchia di Tecolotlán, Jalisco (diocesi di Autlán): il suo parroco elogiava la sua obbedienza e i fedeli ammiravano la sua rettitudine, il suo fervore, la sua eloquenza nella predicazione, ed accettavano con piacere l'imagine del padre Jenaro quando chiedeva una buona preparazione per poter ricevere i sacramenti. I soldati ed alcuni coloni lo individuarono mentre insieme ad alcuni fedeli suoi amici andava per i campi. Vennero tutti lasciati liberi mentre il Padre Jenaro venne condotto su un colle vicino a Tecolotlán e su un albero prepararono la forca. Padre Jenaro posto di fronte del plotone, con eroica serenità proferì le seguenti parole: "Paesani, mi impiccheranno; Io li perdono, che anche mio Padre Iddio li perdoni e che sempre viva Cristo Re!". I carnefici tirarono la corda cosi forte che la testa del martire battè violentemente su un ramo dell'albero. Dopo poco morì in quella stessa notte del 17 gennaio 1927. L'astio dei soldati continuò e tornati all'alba fecero scendere il cadavere, gli spararono sulla spalla e una pugnalata quasi attraversò il corpo ormai inerte. (Avvenire)

Emblema: Palma

Martirologio Romano: Nella città di Tocolatlán in Messico, san Gennaro Sánchez Delgadillo, sacerdote e martire durante la persecuzione messicana.


Nacque a Zapopan, Jalisco (Arcidiocesi di Guadalajara) il 19 settembre 1876.Vicario di Tamazulita, della parrocchia di Tecolotlán, Jalisco (Diocesi di Autlán). Il suo parroco elogiava la sua obbedienza. I fedeli ammiravano la sua rettitudine, il suo fervore, la sua eloquenza nella predicazione, ed accettavano con piacere l'imagine del padre Jenaro quando chiedeva una buona preparazione per poter ricevere i sacramenti. I soldati ed alcuni coloni lo individuarono mentre insieme ad alcuni fedeli suoi amici andava per i campi. Vennero tutti lasciati liberi mentre il Padre Jenaro venne condotto su un colle vicino a Tecolotlán e su un albero prepararono la forca. Padre Jenaro posto di fronte del plotone, con eroica serenità proferì le seguenti parole: "Paesani, mi impiccheranno; Io li perdono, che anche mio Padre Iddio li perdoni e che sempre viva Cristo Re!". I carnefici tirarono la corda cosi forte che la testa del martire battè violentemente su un ramo dell'albero. Dopo poco morì in quella stessa notte del 17 gennaio 1927. L'astio dei soldati continuò e tornati all'alba fecero scendere il cadavere, gli spararono sulla spalla e una pugnalata quasi attraversò il corpo ormai inerte del testimone di Cristo.





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17/01/2011 14:22

San Marcello Vescovo di Die

17 gennaio

m. 510

Martirologio Romano: A Die nella Gallia lugdunense, nell’odierna Francia, san Marcello, vescovo, che, difensore della città, fu mandato in esilio dal re ariano Eurico per aver mantenuto la fede cattolica.




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17/01/2011 14:23

Santa Neosnadia Vergine

17 gennaio

sec. V


Nata nei pressi di Loudun, nella diocesi di poitiers, forse a Monterre-Silly, Neosnadia non ha lasciato della sua vita, conclusasi nel sec. V, altra traccia che la reputazione di una grande virtù e di una grande umiltà. Ella è oggetto di un culto locale e popolare nella regione di poitiers, dove numerose cappelle e una parrocchia le sono dedicate.
Un recente Proprio della diocesi ne fa memoria al 17 gennaio.





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17/01/2011 14:24

17 gennaio


90540 > Santa Roselina di Villeneuve Vergine e monaca certosina 17 gennaio MR

38165 >
Santi Speusippo, Elasippo, Melesippo e Leonilla Martiri 17 gennaio MR

38185 >
San Sulpizio il Pio Vescovo di Bourges 17 gennaio MR


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