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1° febbraio

Ultimo Aggiornamento: 01/02/2011 10:24
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01/02/2011 10:12

Sant' Agrippano Vescovo e martire

1 febbraio

Martirologio Romano: A Puy-en-Vélay in Aquitania, in Francia, sant’Agrippano, vescovo e martire, che tornando da Roma nel Vélay si dice sia stato ucciso dagli idolatri.


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Beato Andrea Conti (De Comitibus) Francescano

1 febbraio

Anagni, 1240 - Piglio, (monte Scalambra), 1° febbraio 1302

Martirologio Romano: A Piglio nel Lazio, beato Andrea dei Conti di Segni, sacerdote dell’Ordine dei Minori, che, rifiutata ogni più alta dignità, preferì servire Cristo in umiltà e semplicità.


Andrea De Comitibus dei Conti di Segni, nacque ad Anagni verso il 1240; fu parente stretto dei papi Innocenzo III, Gregorio IX, Alessandro IV e Bonifacio VIII, degli ultimi due fu rispettivamente nipote e zio.
Dalla città di Anagni, che fu sede pontificia di alcuni papi e in cui conobbe l’Ordine Francescano, facendone parte, venne trasferito per suo desiderio nel vicino convento eremitaggio di Piglio, alle pendici del monte Scalambra, dove rimase per tutta la vita.
In questo convento divenne modello perfetto di umiltà francescana e mortificazione, di modestia e di pietà.
Ancora oggi è visibile la grotta in cui trascorreva gran parte della sua giornata in preghiera e nella più dura povertà e penitenza.
Ma fu anche uno studioso, suo è il trattato “De partu Virginis” purtroppo andato perduto; ebbe doni carismatici da Dio nell’aiutare le anime, con consigli e miracoli, specie contro le insidie diaboliche.
Nel 1295 suo nipote il papa Bonifacio VIII, voleva nominarlo cardinale, ma egli rifiutò tale dignità, preferendo servire la Chiesa nella sua solitudine. A circa 62 anni, morì il 1° febbraio 1302 nello stesso convento romitorio del monte Scalambra, dove il suo corpo riposa tuttora nella chiesa di S. Lorenzo dei Frati Minori Conventuali.
Il suo culto fu riconosciuto ed approvato da papa Innocenzo XIII, l’11 dicembre 1724; durante l’ultima Guerra Mondiale, il suo sepolcro ricevé danni dal bombardamento alleato del 12 maggio 1944 e per ripararlo si fece una ricognizione delle reliquie, l’8 febbraio 1945.
Un’antica immagine del beato datata al secolo XIV, si può vedere in un affresco di Taddeo Gaddi nella Basilica di S. Croce a Firenze.
La sua celebrazione liturgica è al 1° febbraio a Piglio (Frosinone) e nella diocesi di Anagni, in altre chiese francescane al 3 febbraio.


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01/02/2011 10:14

Beata Anna (Giovanna Francesca) Michelotti Fondatrice

1 febbraio

Annecy, Savoia, 29 agosto 1843 - Torino, 1 febbraio 1888

Anna Michelotti nacque ad Annecy, in Savoia, appartenente in quel tempo politicamente agli Stati Sardi. Rimasta precocemente orfana di padre, conobbe un’infanzia assai disagiata. Se pure nella povertà, la famiglia Michelotti vive una intensa attività caritativa, soprattutto l’attenzione per i malati poveri. Ben presto questo segnò la sua vocazione alla consacrazione religiosa. Studiò a Lione, nell’Istituto delle Suore di S. Carlo, e il desiderio alla vita religiosa la spinse a chiedere di entrare nel loro noviziato. Ma la sua strada era altrove. Nel 1863 rimase sola a causa della morte della madre e del fratello Antonio. Le sembra così di coronare la sua vita entrando nelle Piccole Serve a Lione, dove prese il nome di Suor Giovanna Francesca della Visitazione, in omaggio dei suoi concittadini santi. Ma l’associazione si sciolse nel 1871 a seguito di problemi contingenti. Ritornando inizialmente ad Annecy, poi andò dai parenti paterni ad Almese, in Italia, ed infine, spinta dalla suo desiderio di consacrazione religiosa, a Torino. Qui, nel 1874, sotto la guida di alcuni sacerdoti intraprende la sua opera vestendo l’abito religioso con due postulanti. Nel 1875 viene approvato il nuovo istituto religioso delle Piccole Suore del S. Cuore di Gesù per gli ammalati poveri. L’attività e l’opera delle Piccole Suore subisce tristi eventi e lutti, anche se le fondazioni di case si moltiplicano. La Beata fondatrice morì il 1 febbraio 1888.

Martirologio Romano: A Torino, beata Giovanna Francesca della Visitazione (Anna) Michelotti, vergine, che fondò l’Istituto delle Piccole Suore del Sacro Cuore di Gesù per servire gratuitamente nel Signore gli ammalati poveri.


"Ho pregato tanto e parmi sia questa la volontà di Dio: vi è in me un ardente desiderio di consacrarmi tutta a Gesù, nell’assistenza ai malati poveri". Questo pensiero, tra i pochi scritti che per umiltà ci ha trasmesso direttamente Anna Michelotti, indica una missione nata tra mille problemi, che proprio grazie ad una volontà straordinaria è ancora fiorente e feconda all’interno della Chiesa.
Anna nacque nell’Alta Savoia (all’epoca territorio del Regno di Sardegna), ad Annecy, il 29 agosto 1843. Il padre, originario di Almese (Torino), morì giovane, lasciando la famiglia nella completa miseria. La piissima madre trasmise ai due figli una grande fede: il giorno della prima comunione visitò con Annetta, a domicilio, un povero malato. Quel giorno nacque un carisma.
La famiglia si recò ad Almese per la prima volta quando la giovane aveva quattordici anni, ospite dello zio canonico Michelotti. Stabilitasi a Lione, qualche anno dopo, Anna entrò nell’Istituto delle Suore di S. Carlo prima come educanda, poi come novizia. Insegnare però non era la sua missione.
Nel giro di pochi anni morirono la madre e il fratello Antonio, novizio dei Fratelli delle Scuole Cristiane: restava sola al mondo. Per mantenersi fece da istitutrice alle figlie di un architetto, ma era già “la signorina dei malati poveri”, perché appena poteva li cercava e si metteva al loro servizio. Ad Annecy incontrò una certa Suor Caterina, ex-novizia dell'Istituto di S. Giuseppe, che nutriva i medesimi sentimenti: insieme diedero inizio, a Lione, a un’opera privata di assistenza dei malati poveri a domicilio. Col permesso dell'arcivescovo vestirono l'abito religioso e fecero la professione temporanea dei voti. La nascente congregazione ebbe però vita breve a causa della guerra tra Francia e Prussia e nel 1870 la beata, vestita da suora, ritornò ad Annecy e poi ad Almese, da cui si portava spesso a Torino. Passata la bufera Suor Caterina le chiese di tornare a Lione, obbligandola a ricominciare come postulante. Anna accettò umilmente, ma poi lasciò l’istituto per motivi di salute. In quei giorni, pregando sulle tombe di S. Francesco di Sales e S. Giovanna Francesca di Chantal, sentì che la sua opera sarebbe nata al di là delle Alpi.
Tornò ad Almese a dorso di un mulo, proseguendo poi per Torino (settembre 1871). Alloggiata a Moncalieri presso le signorine Lupis, per un anno, munita di scopa, si recò tutti i giorni a piedi in città alla ricerca di malati in difficoltà da servire. Affittò poi una cameretta, confezionando guanti per sostentarsi, mentre alcune ragazze cominciarono ad aiutarla nel suo apostolato. L’Arcivescovo Gastaldi, al principio del 1874, accordò che vestissero l’abito religioso nella chiesa di Santa Maria di Piazza: nasceva l'Istituto delle Piccole Serve del S. Cuore di Gesù che oltre ai tre voti ordinari prevedeva l’assistenza domiciliare gratuita agli ammalati poveri. La fondatrice prendeva il nome di Madre Giovanna Francesca in onore dei fondatori dell'Ordine della Visitazione.
Gli inizi furono difficilissimi, contraddistinti da estrema povertà, abbandoni e decessi frequenti di suore. Il superiore ecclesiastico e il medico della comunità consigliavano di chiudere l’istituto ma a incoraggiare la Madre ci fu l’oratoriano P. Felice Carpignano, di venerata memoria. La Madre più di una volta fu udita esclamare, tra le lacrime, nell’appartamento affittato in Piazza Corpus Domini, a pochi passi dal luogo in cui nacque l’opera del Cottolengo: "Sono disposta, o mio caro Signore, a ricominciare l'opera tua anche cinquanta volte se fa bisogno, ma aiutami!". Il Signore l’ascoltò. Nel 1879 Antonia Sismonda, venuta a conoscenza delle misere condizioni in cui vivevano le Piccole Serve, le ospitò in una villa della collina torinese. In seguito, nel 1882, riuscirono ad acquistarne una propria a Valsalice.
Madre Giovanna Francesca era la Regola vivente. Donna di intensa preghiera, mortificava il suo corpo dormendo a terra o sopra un sacco di paglia, mescolando cenere alla minestra. In congregazione voleva suore generose, diceva: "Se sbagliate, discendete di un gradino, se vi umiliate, ascendete di tre". Nel riprendere le religiose era a volte un po' forte ma queste l’amavano perché, anche in mezzo alle difficoltà, infondeva fiducia. Leggeva e meditava con loro la S. Scrittura, raccomandando di "essere prudenti, zelanti e piene di carità”, cercando nei poveri Gesù Cristo. Dovevano assisterli materialmente e spiritualmente, favorendo, se possibile, l’accostamento ai Sacramenti. Prima di prendere una decisione importante chiedeva consiglio ai confessori e tra questi vi era Don Bosco. La beata non si sottrasse alla questua, recandosi nei pubblici esercizi in cui, a volte, veniva insultata. Avrebbe voluto istituire un gruppo di suore adoratrici, ma poiché il superiore non lo permise, dispose che ogni suora facesse quotidiana e profonda adorazione al SS. Sacramento. Quando chiedeva una grazia particolare pregava con le braccia in croce, in ginocchio, allungando la mano verso il tabernacolo. Dalla Francia aveva portato una statuetta della Madonna che fece benedire da Mons. Gastaldi. Ogni tanto, tenendola tra le braccia, in processione per il giardino con le suore, pregava cantando le litanie. Esortava alla recita del rosario e dell'ufficio della Madonna. Trasmise una profonda devozione alla Passione del Signore: il Venerdì Santo pranzava in piedi o in ginocchio, baciava i piedi alle religiose, prima di sedersi a mensa con un tozzo di pane.
Negli ultimi anni di vita l’asma bronchiale costrinse sovente la Madre a letto. Ritenuta inadatta a governare l'Istituto, in costante sviluppo soprattutto in Lombardia, ma ancor più perché i suoi modi risoluti non piacevano a un gruppo di suore anziane, il 26 dicembre 1887 fu esonerata dalla carica di superiora generale. Accettò l'umiliazione, sottomettendosi per prima alla nuova superiora che lei stessa aveva suggerito. Da quel giorno i dolori aumentarono, ma sorridendo diceva: "Per Gesù ogni sacrificio è piccola cosa", "Io sto per morire, ma voi non temete. Io continuerò ad aiutare e a dirigere le Piccole Serve del S. Cuore di Gesù e degli infermi poveri".
Anna Michelotti morì il 1° febbraio 1888, il giorno dopo Don Bosco. Poche ore prima della morte permise, cedendo alle ripetute insistenze delle suore, di farsi fotografare. Colei che per tutta la vita, dimentica di se stessa, aveva servito i più indifesi, fu sepolta, con ai fianchi il cingolo francescano, in una poverissima bara, nella terra bagnata dalla pioggia di un piccolo cimitero. “Il chicco di grano” era morto ma una luce di amore avrebbe continuato a brillare attraverso le sue figlie, oggi attive anche in terra di missione.
Le sue reliquie sono venerate a Torino nella casa madre di Valsalice. Paolo VI l’ha beatificata nella solennità di Tutti i Santi del 1975.

PREGHIERA
Dio, Padre di tutti, nella vita di Anna Michelotti
ci hai dato un esempio di totale dedizione ai malati e ai poveri.
Donaci di saper riconoscere Cristo Signore
nei più deboli e più abbandonati,
e di servirli con cuore generoso.
Per Cristo nostro Signore. Amen.



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Beati Conor O' Devany e Patrizio O' Lougham Martiri

1 febbraio

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+ Dublino, Irlanda, 1 febbraio 1611

Conor O' Devany e Patrizio O' Lougham, rispettivamente vescovo di Down e Connor e sacerdote dell’arcidiocesi di Armagh, entrambi nativi di Ulster nell’Irlanda del Nord furono impiccati sotto il regno di Giacomo I per la loro fede cattolica. Papa Giovanni Paolo II li ha beatificati il 27 settembre 1992.

Martirologio Romano: A Dublino in Irlanda, beati martiri Conor O’Devany, vescovo di Down e di Connor, dell’Ordine dei Frati Minori, e Patrizio O’Lougham, sacerdote, che, sotto il re Giacomo I, condannati per la loro fede cattolica, subirono il supplizio dell’impiccagione.


Il martirio di questi due intrepidi testimoni della fede si colloca nel contesto delle persecuzione perpetrate in Gran Bretagna ed Irlanda verso quei cattolici che rifiutarono di firmare l’Atto di Supremazia, cioè il riconoscimento del sovrano inglese quale capo della Chiesa Anglicana in opposizione al Romano Pontefice.

Conor O' Devany [Conchubhar O Duibheanaigh] nacque a Raphoe, nella contea irlandese di Donegal. In giovane età divenne frate francescano nel 1550. Il 13 maggio 1582 il pontefice Gregorio XIII lo consacrò vescovo di Down e Connor nella chiesa di Santa Maria dell’Anima in Roma. Nel 1588, anno dell’Armada, fu arrestato ed imprigionato per alcuni anni. Una volta rilasciato continuò ad esercitare il suo ministero, ignorando le difficoltà che si moltiplicavano e rifiutando di essere coinvolto nella guerra dei Nove Anni con il grande Hugh O’Neill.

Patrick O’Loughran [Padraig Ó Lochrain] nacque a Donaghmore, nella contea irlandese di Tyrone, nel 1577. Divenuto presbitero, fu nominato cappellano di O’Neill. Nel 1607, dopo la fuga dei Conti, fu cappellano della contessa O’Neill presso Flanders. Tornato poi in Irlanda, venne immediatamente arrestato a Cork, insieme al vescovo Conor O' Devany.

Per i due compagni di prigionia fu celebrato un comune processo all’inizio del 1612. Da Londra era giunto alle autorità protestanti di Dublino l’ordine di giustiziare un vescovo e come compagno di quest’ultimo fu designato il cappellano di O’Neill. L’accusa nei loro confronti fu di tradimento ed il verdetto naturalemente di colpevolezza. Vennero dunque impiccati insieme a Dublino il 1° febbraio 1612. Papa Giovanni Paolo II li ha beatificati il 27 settembre 1992 insieme ad altre quindici vittime della medesima persecuzione.


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01/02/2011 10:15

Sant' Enrico Morse (Mowse) Sacerdote gesuita, martire

1 febbraio

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Brome, Inghilterra, 1595 – Tyburn, Londra, Inghilterra, 1 febbraio 1645

Martirologio Romano: A Londra in Inghilterra, sant’Enrico Morse, sacerdote della Compagnia di Gesù e martire: catturato a più riprese e scacciato per due volte in esilio, sotto il re Carlo I fu infine gettato in carcere a causa del suo sacerdozio e, dopo avervi celebrato la Messa, fu impiccato a Tyburn e rese lo spirito a Dio.


Henry Morse, la cui vicenda terrene e soprattutto il suo tragico epilogo è assai simile a quella di parecchi altri sacerdoti gesuiti martirizzati in Inghilterra nel medesimo contesto storico, era nato a Brome nel Suffolk nel 1595, sesto dei nove figli di Roberth, proprietario terriero protestante proveniente da Tivetshall St Mary nel Norfolk, e di Margaret Collinson. Rimase orfano di padre nel 1612, che però gli lasciò una rendita annuale. Henry giunse alla decisione di convertirsi al cattolicesimo presumibilmente durante i suoi studi al collegio Bernard di Londra, anche se ad onor del vero non esistono prove scritte della sua ammissione ad alcun collegio di avvocati.
Dal giugno 1614 Henry intraprese gli studi ecclesiastici, ma dovette interromperli per tornare in patria, poichè infatti quando si scatenarono violente persecuzioni nei confronti di coloro che non accettarono di riconoscere ufficialmente il sovrano quale legittimo capo della Chiesa inglese il Morse si trovava imprigionato a Newgate in attesa dell’esilio. Era l’anno 1618. L’agosto successivo fece ritorno a Douai ed in dicembre entrò nel collegio inglese di Roma. Nel 1620 ricevette l’ordinazione diaconale, ma non vi è traccia della sua ascesa al sacerdozio.
A settembre di tale anno da Douai fu inviato in una missione inglese, ma venne arrestato non appena giunto a Newcastle. Imprigionato nel castello di York, fu compagno di prigionia del gesuita John Robinson. Siccome già a Roma aveva espresso il desiderio di entrare a far parte della Compagnia di Gesù, d’accordo con i suoi superiori dedicò i tre anni trascorsi in prigione a compiere il noviziato gesuita, al termine del quale poté emettere i voti semplici. Una volta rilasciato ed esiliato nelle Fiandre, ove esercitò il suo ministero quale cappellano dei mercenari cattolici inglesi intenti a combattere al fianco della Spagna. Nel maggio 1624 era sicuramente già sacerdote.
Sul finire del 1633 il Morse fece ritorno in Inghilterra sotto le spoglie di Cutberto Claxton, portando avanti la sua missione a Londra. Tra il 1636 ed il 1637 un’epidemia di peste colpì la città ed Henry, pur fra gravi rischi per la sua salute, non mancò mai di portare aiuto e conforto ai più bisognosi. Nel 1641 un decreto regio ordinò l’espulsione di tutti i preti cattolici ed il santo obbedì, per amore di coloro che avevano raccolto la cauzione per liberarlo. Tornò così a servire i soldati nelle Fiandre, finchè due anni dopo fu inviato nuovamente in Inghilterra e per diciotto mesi operò nel nord del paese.
Arrestato ai confini del Cumberland, fu però liberato da una donna cattolica, la moglie di colui che l’aveva catturato. Dopo circa sei settimane fu però nuovamente e per l’ultima volta arrestato, condotto nella prigione di Durham e poi trasferito a Londra per ricevere la condanna a morte in quanto dichiaratosi sacerdote. Henry Morse fu infine giustiziato il 1° febbraio 1645 presso Tyburn.
La Chiesa Cattolica non ha però dimenticato la fedeltà di questo suo insigne figlio: nel 1929 fu infatti dichiarato “beato”, insieme a numerosi altri martiri della medesima persecuzione, ed infine canonizzato da Papa Paolo VI il 25 ottobre 1970 con i Quaranta Martiri di Inghilterra e Galles.



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01/02/2011 10:16

San Giovanni della Graticola Vescovo

1 febbraio

Martirologio Romano: Nella cittadina di Saint-Malo in Bretagna, san Giovanni, vescovo: uomo di mirabile austerità e giustizia, trasferì in questo luogo la sede episcopale di Aleth; a lui san Bernardo raccomandò di comportarsi da vescovo povero, amico dei poveri e amante della povertà.



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Beato Luigi Variara Sacerdote salesiano

1 febbraio

Viarigi, Asti, 15 gennaio 1875 - Cucuta, Colombia, 1 febbraio1923

Sacerdote Salesiano e Fondatore dell'Istituto delle Suore Figlie dei sacri Cuori di Gesù e Maria.

Martirologio Romano: Nella città di Cúcuta in Colombia, beato Luigi Variara, sacerdote della Società di San Francesco di Sales, che si dedicò con ogni mezzo e premura ai lebbrosi, fondando le Suore Figlie dei Sacri Cuori di Gesù e di Maria.


Era il 1887 quando Luigi Variara, ancora ragazzino, incontrò per la prima volta l'instancabile don Bosco. «Eravamo nella stagione invernale - scrisse da adulto Variara - e un pomeriggio stavamo giocando nell'ampio cortile dell'Oratorio quando, all'improvviso, si intese gridare da una parte all'altra: don Bosco, don Bosco! Istintivamente ci lanciammo tutti verso il nostro buon padre, che facevano uscire per una passeggiata nella sua carrozza. Lo seguimmo fino al posto dove doveva salire sul veicolo; subito si vide don Bosco circondato dall'amata turba infantile. Mi avvicinai più che potei, e nel momento in cui lo aiutavano a salire sulla carrozza, mi rivolse un dolce sguardo, e i suoi occhi si posarono attentamente su di me. Quel giorno fu uno dei più felici per me; ero sicuro d'aver conosciuto un Santo, e che quel Santo aveva letto nella mia anima qualcosa che solo Dio e lui potevano sapere».
Nato a Viarigi (Asti) nel 1875 Luigi Variara fu condotto undicenne a Torino-Valdocco dal padre. Entrato in noviziato il 17 agosto 1891, lo concluse emettendo i voti perpetui. Dopo si trasferì a Torino-Valsalice per lo studio della filosofia. Qui conobbe il venerabile Andrea Beltrami. A lui si ispirerà don Variara quando in seguito, ad Agua de Dios (Colombia), alle sue Figlie dei Santissimi Cuori proporrà la «consacrazione vittimale». Nel 1894 don Michele Unia, il missionario salesiano che da poco aveva cominciato a lavorare tra i lebbrosi di Agua de Dios, passò da Valsalice e invitò il giovane Luigi a seguirlo nel suo lebbrosario: «Io dissi di sì e mi pareva un sogno». Giunse ad Agua de Dios il 6 agosto 1894. Il lazzaretto comprendeva due mila abitanti di cui 800 lebbrosi. Nel 1895 don Unia morì. Toccò a Variara raccoglierne l'eredità. E don Luigi fu ordinato sacerdote in quel paese: era il primo prete salesiano ad essere ordinato in Colombia.
In quegli anni incentivò la fondazione di una congregazione femminile. Presso le Suore della Presentazione, presenti ad Agua de Dios, era nata l'Associazione delle Figlie di Maria, un gruppo di circa 200 ragazze di cui molte lebbrose. Non gli fu difficile scoprire tra quelle giovani qualcuna idonea alla vita religiosa. Ma era una meta ardita. Nessuna congregazione avrebbe mai accettato una figlia di lebbrosi e tanto meno un'ammalata di lebbra. Allora don Luigi decise di formare una nuova congregazione, in modo da accogliere anche quelle vocazioni. Dopo solo due anni erano già ventidue le giovani che ne entrarono a far parte.
In seguito su don Variara e sulla nascente congregazione delle Figlie dei Santissimi cuori di Gesù e Maria furono avanzate forti perplessità. Anche l'arcivescovo, che pur ne aveva dato l'approvazione, cominciò a ritirare il suo sostegno. Così per qualche tempo il missionario italiano fu inviato a lavorare nelle chiese di Mosquera, Contratacion e Bogotà. Sospettato di essere ammalato di lebbra - diagnosi che poi risulterà errata - tornò ad Agua de Dios. Ma dopo pochi mesi fu trasferito a Baranquilla. Due anni dopo, nel 1921, in obbedienza, accettò di trasferirsi a Tariba, una cittadina venezuelana. Vi giunse fortemente malandato in salute. I medici consigliarono di fargli cambiare clima. Fu così ricondotto in Colombia, a Cùcuta. Ma la situazione precipitò rapidamente. Morì il 1° febbraio 1923, lontano dai suoi lebbrosi. Aveva 49 anni, di cui 24 di sacerdozio. Sepolto a Cùcuta, fu trasportato nel 1932 nella cappella delle sue suore ad Agua de Dios, dove oggi riposa. Attualmente le sue suore sono 375. sparse in 11 nazioni di America, Europa e Africa, dedite in particolar modo alla pastorale della salute.
Il Martyrologium Romanum pone il culto al 1° febbraio mentre la Famiglia Salesiana lo ricorda il 15 gennaio.


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Beate Maria Anna Vaillot e quarantasei compagne Martiri

1 febbraio

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+ Avrillé, Francia, 1 febbraio 1794

Marie-Anne Vaillot ed Odile Baumgarrten, religiose Figlie della Carità, nonchè altre 45 donne laiche della diocesi di Angres, nubili, coniugate e vedove, conseguirono la palma del martirio durante la Rivoluzione Francese. Il 19 febbraio 1984 Papa Giovanni Paolo II beatificò queste donne insieme con altri martiri della diocesi di Angers.

Martirologio Romano: Ad Avrillé presso Angers in Francia, passione delle beate Maria Vaillot e quarantasei compagne, martiri, che, nell’epoca del terrore durante la rivoluzione francese, conseguirono la corona del martirio.




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01/02/2011 10:19

Beati Martiri di Angers Martiri della Rivoluzione Francese

1 febbraio

Angers, Francia, † 30 ottobre 1793 – 16 aprile 1794


Si tratta di 99 martiri, vittime della Rivoluzione Francese dal 1793 al 1794, nella diocesi di Angers. Delle vittime in questa diocesi si conoscono almeno duemila nomi.
Nel 1791 fu richiesto il giuramento di fedeltà alla Costituzione Civile del Clero da parte degli ecclesiastici, alla quale non tutti aderirono, dando così la denominazione di “preti refrattari” a coloro che non aderivano, venendo anche perseguitati.
Dopodiché 1l 14 agosto 1792, la Convenzione Nazionale, richiese il giuramento “liberté - egalité” rendendolo obbligatorio per tutti i funzionari e poi il 2 settembre per tutti i cittadini francesi. Anche a questo nuovo giuramento non aderirono migliaia di persone, e fra loro molti sacerdoti e religiosi, magari sfuggiti alla persecuzione, dopo il rifiuto del precedente giuramento del clero.
Per il loro rifiuto, dal 30 ottobre 1793 al 14 ottobre 1794, furono ghigliottinati 177 vittime ad Angers, sulla piazza detta “du Ralliement” (=adesione dei cattolici alla Terza Repubblica). Mentre dal gennaio 1794 al 16 aprile 1794, circa 2.000 persone vennero fucilate al Campo dei Martiri d’Avraillé.
S’ignora dove furono sepolte tutte queste persone; successivamente si scoprirono delle fosse comuni, ma i resti ritrovati per le loro condizioni, non furono mai identificati. Gli studiosi in seguito esaminando i documenti ed i verbali degli interrogatori, conservati nell’archivio dipartimentale di Maine-et-Loire, poterono evidenziare per 99 persone, la motivazione religiosa della condanna da parte dei persecutori e la loro accettazione.
Tra di essi vi furono dodici preti del clero di Angers, che furono ghigliottinati, il primo della lista è padre Guglielmo Repin che era il più anziano con i suoi 85 anni; il gruppo comprende tre suore di cui due Figlie della Carità e 84 laici di cui ben 80 donne, in età compresa fra i 40 e 62 anni.
Quello che meraviglia e che tutte queste donne non costituivano certamente un pericolo per il nuovo governo; fra esse erano rappresentati tutti gli ambienti sociali; artigiani, operaie, contadine, negozianti, una educatrice, una donna chirurgo, tre nobildonne, dieci damigelle nobili, sei donne ‘borghesi’.
Comunque di tutti i 99, senza alcuna eccezione, si ha la prova che si opposero perché il nuovo potere rivoluzionario, voleva imporre con la forza un nuovo clero, incline alle loro direttive e non più ubbidiente alla Chiesa di Roma, instaurando così una religione scismatica, in lotta con il Dio della Redenzione, in nome della dea Ragione.
I 99 martiri furono identificati come tali, da una speciale Commissione, nominata nel 1905 dal vescovo di Angers Joseph Rumeau, per cui nel 1910 venne aperto il processo informativo, il quale fu sospeso a causa della guerra nel 1915 e ripreso poi nel 1918 e concluso nel 1919; trasmesso a Roma, terminò nel 1983 con il decreto sul martirio.
La loro solenne beatificazione è avvenuta il 19 febbraio 1984 con papa Giovanni Paolo II; per la maggior parte di essi la ricorrenza religiosa è al 1° febbraio, mentre per i 12 sacerdoti e le tre suore, oltre la festa comune del 1° febbraio, essi sono ricordati anche singolarmente, nel giorno della loro esecuzione.
Non potendo riportare tutti i 99 nomi, citiamo solo i martiri ghigliottinati, cioè i sacerdoti e le suore.
Laurent Batard, François-Louis Chartier, André Fardeau, Jacques Laigneau de Langellerie, Juan-Michel Langevin, Jacques Ledoyen, Jean-Baptiste Lego, René Lego, Joseph Moreau, François Peltier, Guillaume Repin, Pierre Tessier, Marie de la Dive, Rosalie du Verdier de la Sorinière, Renée-Marie Feillatreau.



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Sant' Orso di Aosta Sacerdote

1 febbraio

Aosta, V secolo – 1 febbraio 529 circa

Sembra fosse un presbitero di Aosta, che aveva il compito di custodire e celebrare, nella chiesa cimiteriale di san Pietro. Sant'Orso, uomo semplice, pacifico e altruista, viveva da eremita trascorrendo il tempo nella preghiera continua, sia di giorno che di notte, dedito al lavoro manuale per procurarsi il cibo per vivere, accogliendo e consolando e aiutando tutti quelli che a lui accorrevano. Il tutto costellato da miracoli e prodigi, testimonianza della sua santità. Se incerto è il periodo in cui visse (fra il V e l'VIII secolo), più sicuro è il giorno della morte, che poi è diventato il giorno della sua festa: 1 febbraio. Il suo culto, oltre che ad Aosta dove l'antica chiesa di san Pietro è diventata la Collegiata di san Pietro e sant'Orso, si estese anche nella diocesi di Vercelli, Ivrea e altre zone dell'Italia Nord- Occidentale. È invocato contro le inondazioni, le malattie del bestiame. A lui è dedicata la fiera che si tiene nel giorno della vigilia della sua festa ad Aosta. (Avv.)

Patronato: Aosta

Etimologia: Orso = orso, forte

Emblema: Bastone pastorale, Uccellino

Martirologio Romano: Ad Aosta, sant’Orso, sacerdote.


Sul santo più popolare della Val d’Aosta, protettore contro le calamità naturali e molte malattie, tra cui i reumatismi e il mal di schiena, si posa nell’iconografia, un uccellino, a ricordare che destinava una parte del raccolto del suo campo ai passeri.
Le notizie pervenutaci sulla vita di sant’Orso, sono desunte oltre che dalle tradizioni orali, anche da una “Vita Beati Ursi” di autore sconosciuto, della quale esistono due redazioni, una più antica e breve, della fine dell’VIII secolo o inizio del IX e la seconda più ampia ed elaborata, della seconda metà del XIII secolo.
Così sappiamo che quasi certamente era un presbitero aostano, vissuto fra il V e l’VIII secolo; aveva il compito di custodire e celebrare, nella chiesa cimiteriale di San Pietro.
Questa figura di custode e celebrante di una determinata cappella o chiesa cimiteriale, era molto diffusa nei secoli passati e a volte, quando questi edifici si trovavano in zone più isolate, questi custodi-celebranti prendevano il nome di eremiti, ai quali si rivolgevano i fedeli per le loro necessità spirituali.
Lo sconosciuto autore della ‘Vita’, lo descrive come uomo semplice, dolce, umile, pacifico ed altruista; un “uomo di Dio” che coniugava la preghiera continua alle opere di carità, visitando i malati, sfamando i poveri, consolando gli afflitti e aiutando oppressi, vedove e orfani; dedito al lavoro del suo campicello per procurarsi il cibo necessario, Orso, di quanto riusciva a raccogliere dalla coltivazione, ne faceva tra parti, per sé, per i poveri, per gli uccellini, i quali dice la leggenda, riconoscenti si posavano affettuosamente sulla sua testa, sulle spalle, sulle mani; inoltre curava una piccola vigna, il cui vino aveva la virtù di guarire i malati.
Non si conosce l’anno della sua morte, ma alcuni studiosi la pongono nell’anno 529, mentre è sicuro il giorno della morte, il 1° febbraio, divenuto poi il giorno della sua festa liturgica.
Orso è un santo, che molti vorrebbero imitare, la sua vita richiama alla mente, un’esistenza arcaica, pastorale, agreste, in pace con Dio, con la natura, con sé stesso e di riflesso con gli altri, senza nemici da combattere, ma aiutando il prossimo nei bisogni sia materiali, sia fisici, sia spirituali.
Sant’Orso non si distinse per azioni eclatanti, perché la sua santità scaturiva dalla carità per il prossimo, la semplicità e l’umiltà, l’adempimento fedele del suo compito di custode, la testimonianza del suo ministero sacerdotale.
Anche gli stessi prodigi, che gli sono stati attribuiti, sia dalla “Vitae Beati Ursi”, sia dalla tradizione, sono atti semplici, ma sufficienti a capire la grandezza della sua intercessione, a favore dei singoli e delle popolazioni, segnatamente della Val d’Aosta, dove visse ed operò.
Ne riportiamo qualcuno dei tanti che la tradizione gli attribuisce; per mesi e mesi non aveva piovuto, la siccità devastava i campi, ma cominciava anche a scarseggiare l’acqua necessaria per i bisogni dei suoi fedeli; allora il santo preoccupato per loro, fece scaturire colpendo una roccia col suo bastone, una sorgente a Busséyaz; la sorgente, chiamata “Fontana di Sant’Orso”, continua ancora oggi ad offrire la sua acqua, una volta considerata miracolosa, sotto la cappella costruita nel 1649 e restaurata nell’Ottocento.
Un’altra volta, mentre dava da mangiare ai suoi uccellini, passò davanti alla chiesa di s. Pietro, un giovane cavaliere in atteggiamento disperato, si trattava di un palafreniere, che gli disse di aver smarrito il miglior cavallo del suo nobile padrone; preso dalla compassione, il santo sacerdote lo fece entrare in chiesa a pregare, poi gli disse di guardare meglio il cavallo che montava, sorprendentemente era quello che cercava, senza più riuscire a riconoscerlo.
La città di Aosta poté vedere la potenza della preghiera di s. Orso, quando fu minacciata da una terribile inondazione per lo straripamento del torrente Buthier; già le acque si erano innalzate lungo le mura, dopo aver alluvionata tutta la zona circostante, quando Orso dopo aver pregato, tracciò sulle acque un segno di croce e queste si fermarono risparmiando la città.
Ma non solo prodigi operò, ebbe anche il dono della profezia e seppe anche infuriarsi a difesa degli oppressi; un servo del vescovo-signore del tempo, Plocéan, si era comportato male nei suoi confronti; temendo un terribile castigo dal suo signore, che era un uomo crudele, sebbene fosse uomo di chiesa, il servo pentito si rivolse al santo chiedendogli di intercedere per lui.
Recatosi s. Orso dal vescovo Plocéan (Ploziano), ottenne da questi il perdono per il servo; in realtà era una finta, e quando il poveraccio uscì dalla chiesa, dove si era rifugiato, lo fece prendere dai suoi sgherri, poi flagellare, rasare a zero, infine gli fece versare sulla testa della pece bollente.
Più morto che vivo, il servo barcollando si recò dal sacerdote, rimproverandolo di averlo consegnato al vescovo. Orso indignato, rimandò il servo dal suo padrone, per riferire che sarebbe presto morto, prima dell’infelice servo.
La leggenda narra, che quella notte stessa, Plocéan fu strangolato nel suo letto da due diavoli; la scena è rappresentata scolpita su un capitello del chiostro della Collegiata, dov’è narrata la vita di sant’Orso.
Per tutti questi leggendari prodigi, sant’Orso è considerato protettore contro la siccità, le malattie del bestiame, le intemperie, le alluvioni, i soprusi dei potenti, i parti difficili, i reumatismi e il mal di schiena, per queste due malattie, i fedeli che ne erano afflitti o volevano essere preservati, si recavano nella cripta della Collegiata e camminando carponi attraversavano il “musset”, un breve cunicolo aperto nel basamento dell’altare, dove una volta vi erano deposte le reliquie di s. Orso e passavano da un lato all’altro.
Generalmente viene raffigurato con il bastone dei priori in mano, perché secondo la tradizione (non confermata), egli sarebbe stato il fondatore della Collegiata che porta il suo nome; infatti su un capitello è scolpito s. Orso che presenta a s. Agostino, il primo priore della nuova comunità, Arnolfo.
La prima Collegiata fu costruita fra il 994 e il 1025 dal vescovo Anselmo d’Aosta, inglobando al centro una chiesetta paleocristiana, dov’erano sepolti i primi martiri aostani, tanto che era detta “Concilia sanctorum”, successivamente dedicata a San Pietro e che fu la chiesa di cui era custode e celebrante il sacerdote Orso.
La collegiata rifatta più volte, ha conservato l’antica cripta, mentre le reliquie del santo, poste in una grande cassa reliquiario in argento sbalzato, fatta eseguire nel 1359 dal priore Guglielmo di Liddes, furono traslate a metà del XV secolo, dall’altare della cripta, all’altare maggiore della ricostruita Collegiata.
Sulla cassa vi sono raffigurati, Cristo tra i santi Orso e Grato, la Madonna tra i santi Pietro e Paolo e un santo diacono; grazie all’antica Collegiata e il chiostro annesso, due capolavori dell’arte romanica, a lui dedicati, a cui si aggiunge il poderoso campanile risalente al XII-XIII secolo, sant’Orso è il più noto fra i santi aostani.
Concorre alla sua fama, la millenaria Fiera che porta il suo nome e che si svolge il 30 e 31 gennaio, giorni che precedono la sua festa liturgica del 1° febbraio, affollando e trasformando Aosta; secondo la diffusa tradizione, l’origine del mercato va collegata a una delle forme di carità praticate da sant’Orso, consistente nel distribuire ai poveri degli zoccoli di legno.
La Fiera di S. Orso, presenta i prodotti artigianali della regione Valle d’Aosta, soprattutto quelli in legno, come le grolle, le coppe da vino valdostano, le culle, le posate, i mobili, gli attrezzi agricoli, ecc.
Il culto di sant’Orso, assai diffuso nella Vallée già attorno all’anno Mille, dal XII secolo raggiunse anche le vicine diocesi di Torino, Vercelli, Novara, Ivrea (dove sorse poi l’ospizio che porta il suo nome); il culto si diffuse poi anche in Savoia, ad Annecy e nel Vallese.



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01/02/2011 10:20

San Paolo di Trois Chateaux Vescovo

1 febbraio

Martirologio Romano: A Saint-Paul-Trois-Châteaux nel territorio di Vienne in Francia, san Paolo, vescovo, dal quale poi la città ha preso il nome.


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01/02/2011 10:21

San Raimondo di Fitero Abate

1 febbraio

+ Ciruelos, Spagna, 1163

Martirologio Romano: Nella città di Ciruelos nella Nuova Castiglia in Spagna, san Raimondo, abate di Fitero, fondatore dell’Ordine di Calatráva e insigne sostenitore del cristianesimo.


San Raimondo è venerato in Spagna come eroe delle guerre di riconquista della penisola iberica sottratta agli arabi, nonché come fondatore dell’Ordine Militare di Calatrava. Il santo era l’abate cistercense di Fitero, nei pressi di Toledo, allora capitale della Spagna cristiana, quando verso il 1158 il re Sancio I di Castiglia si trovava proprio in tale città. Gli arabi stavano allora minacciando la città avamposto di Calatrava, difesa dai mitici Templari, che però fecero presente al re che disponevano di forze troppo esigue per proteggere la città, invocando dunque l’invio di rinforzi.
Il monaco Diego Velazquez, ex cavaliere al seguito di Raimondo, riuscì a convincere il re, contro il consiglio dei suoi ministri, ad affidare la città alla loro abbazia di Fitero. Pertanto la difesa di Calatrava divenne una questione ecclesiastica e Raimondo chiese sostegno all’arcivescovo di Toledo, il quale promise di provvedere ai rinforzi necessari indicendo una crociata. Tale fu la mobilitazione di uomini e materiali a Toledo, che i musulmani preferirono astenersi dall’attaccare Calatrava.
L’abate Raimondo colse comunque l’occasione di questo aumento di reclute a vantaggio del nuovo possesso della sua abbazia e mantenne il fior fiore di volontari come nucleo del costituendo nuovo Ordine Militare di Calatrava, che da allora si impegnò in azioni militari volte a difesa della Spagna e dell’Europa cristiane.
Il culto di San Raimondo, abate di Fitero e difensore della cristianità, fu approvato in Spagna nel 1719 e la sua commemorazione è riportata dal Martyrologium Romanum al 1° febbraio.



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01/02/2011 10:21

Beato Reginaldo di Orleans Domenicano

1 febbraio

Orléans, 1180 ca. – Parigi, 1 febbraio 1220

Fu canonico di Orléans e docente di diritto canonico all'Università di Parigi. A Roma venne accolto nell'Ordine da s. Domenico e fu miracolosamente guarito da una grave malattia per intercessione della b. v. Maria, la quale apparendogli gli mostrò l'abito completo dell'Ordine. Nel 1218, a Bologna, come grande predicatore infiammò gli animi dei suoi ascoltatori, inducendone molti ad entrare nell'Ordine, al punto che, divenuto angusto l'edificio della Mascarella, trasferì la comunità a s. Niccolò delle vigne. Visto il successo ottenuto a Bologna, s. Domenico verso al fine del 1219 lo inviò a Parigi per risollevare le sorti anche di quella comunità: anche lì 1a sua predicazione esercitò un fascino irresistibile. Ma poche settimane dopo il suo arrivo, verso il 12 febbraio, morì col sorriso sulle labbra, esprimendo la sua gioia di aver abbracciato la vita degli apostoli.

Etimologia: Reginaldo = che regna con intelligenza, dal tedesco

Martirologio Romano: A Parigi in Francia, beato Reginaldo di Orléans, sacerdote, che, di passaggio da Roma, conquistato nell’animo dalle parole di san Domenico, entrò nell’Ordine dei Predicatori, al quale attrasse molti con l’esempio delle sue virtù e la sua ardente eloquenza.


Il beato Giordano di Sassonia († 1237) domenicano e successore di San Domenico, scrisse del beato Reginaldo suo contemporaneo: “La sua eloquenza era infuocata e la sua parola, come fiaccola ardente, infiammava l’animo degli ascoltatori; ben pochi avevano il cuore così indurito da resistere al calore di quel fuoco. Pareva un secondo Elia”.
Reginaldo nacque probabilmente nella diocesi di Orléans, anche se non si conosce con esattezza il luogo di nascita, verso il 1180.
Fu professore di Diritto all’Università di Parigi e decano dei canonici di St-Aignan ad Orléans; nel 1218 si recò a Roma, per proseguire poi per la Terra Santa, al seguito del proprio vescovo mons. Manasse II di Seignelay.
A Roma conobbe il card. Ugolino (futuro papa Gregorio IX) e tramite di questi conobbe s. Domenico di Guzman, fondatore dell’Ordine dei Predicatori.
Il decano di St-Aignan era uomo d’intelligenza, aperto ai problemi religiosi del suo tempo e avvertiva con un certo rimorso il contrasto tra la sua vita agiata e raffinata, la sua attività amministrativa e l’appello accorato lanciato nel 1215 dal IV Concilio Lateranense, ad uno stile di vita più evangelico.
Il messaggio della povertà evangelica così integralmente realizzato nel nuovo Ordine Domenicano, fondato nello stesso 1215 a Tolosa, attrasse profondamente l’animo insoddisfatto del decano Reginaldo d’Orléans.
Durante la sua permanenza romana cadde ammalato abbastanza seriamente, s. Domenico nel fargli visita, lo invitò ad entrare nel suo Ordine per seguire la povertà di Cristo, poi accompagnata dalla sua guarigione, ebbe una miracolosa apparizione della Vergine, la quale gli mostrò l’abito completo del nuovo Ordine. Le sue resistenze caddero ed egli s’impegnò ad entrare fra i Predicatori al ritorno dalla Terra Santa.
Nel dicembre 1218, s. Domenico già lo inviò a Bologna come suo vicario, in questa città studentesca, Reginaldo si sentì a suo agio; trasferì la Comunità domenicana dalla Mascarella a S. Niccolò delle Vigne e con la sua irresistibile eloquenza, attrasse all’Ordine allievi e docenti universitari.
Un anno dopo, nel 1219 san Domenico lo inviò a St-Jacques di Parigi per rinvigorire quella comunità domenicana vacillante, anche qui affluirono all’Ordine studenti e professori dell’Università e intorno ai religiosi si formò un alone di cultura e spiritualità.
Ma poche settimane dopo il suo arrivo a Parigi, Reginaldo morì il 1° febbraio 1220; fu uno dei primi grandi dolori per il santo fondatore che ne fu affranto, lo consolò solo il sapere che Reginaldo era morto con il sorriso sulle labbra e dichiarando tutta la sua felicità per aver abbracciata la povertà degli Apostoli.
Fu sepolto a Parigi nel cimitero benedettino di Notre-Dame-des-Champs; gli fu tributato fin da subito il culto di beato, confermato poi da papa Pio IX l’8 luglio 1875.
La sua celebrazione è riportata dal Martirologio Romano al 1° febbraio.



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01/02/2011 10:22

San Severo di Ravenna Vescovo

1 febbraio

Ravenna, † 1° febbraio 344 ca.

Sul dodicesimo vescovo di Ravenna, Severo, sono scarse le notizie certe. Si sa che partecipò al Concilio di Sardica (l'odierna Sofia) nel 342-343. Fu sepolto nella zona di Classe. Testimonianze dell'antichità del suo culto sono le notizie di due traslazioni e i mosaici di Sant'Apollinare. Gli fu dedicata nel VI secolo una basilica, andata distrutta dopo il XV secolo. Per gli agiografi sarebbe stato un lanaiolo che, recatosi in chiesa dopo la morte del vescovo Marcellino, sarebbe stato eletto suo successore perché una colomba gli si posò sul capo. Secondo Liutolfo un monaco trafugò le reliquie per portarle in Germania. È infatti venerato " oltre che in Emilia-Romagna, Toscana e Marche " a Magonza ed Erfurt. I bassorilievi marmorei posti sul sepolcro trecentesco nella chiesa del santo ad Erfurt, lo raffigurano vestito degli abiti vescovili, in mezzo alle figure della moglie e della figlia, in devoto atto orante. Ma ben più numerose furono le chiese dedicatogli in tutta la provincia ravennate, nell'Emilia Romagna, in Toscana, nelle Marche. Solo a Faenza ve ne furono quattro. (Avvenire)

Etimologia: Severo = austero, rigido, signif. chiaro

Emblema: Bastone pastorale

Martirologio Romano: A Ravenna, san Severo, vescovo.

Ascolta da RadioRai:
  

Dall’antico ‘Catalogo Episcopale’ si ricava la notizia che s. Severo fu il 12° vescovo di Ravenna, dopo Marcellino e prima di Liberio; della sua vita purtroppo non si sa niente, tranne che il suo nome compare tra i partecipanti al Concilio di Sardica (antico nome di Sofia in Bulgaria), tenutosi nel 342-343, inoltre è fra i sottoscrittori dei canoni conciliari, della lettera sinodica a papa s. Giulio I (337-352) e di quella a tutti i vescovi.
Come riferiscono gli agiografi medioevali Agnello e Liutolfo, Severo morì un 1° febbraio in un anno dopo il 342 e in questo giorno venne ricordato nell’antico Calendario italico, inserito poi nel ‘Martirologio Geronimiano’; venne sepolto nella zona di Classe presso Ravenna, detta del ‘Vicus Salutaris’, in un sacello chiamato “monasterium S. Rophili” aderente al Sud della basilica del secolo VI.
Testimonianze dell’antico culto, sono le notizie di due traslazioni di reliquie del santo vescovo, una citata nel ‘Martirologio Geronimiano’ al 27 novembre, avvenuta a Milano, poco dopo l’episcopato di s. Ambrogio (340-397), insieme a quelle di altri quattro santi e un’altra celebrata al 3 settembre ad Aquileia, anche qui con quelle di altri quattro santi, fra cui s. Andrea apostolo.
Grande testimonianza del culto tributatogli a Ravenna, sono i mosaici di S. Apollinare in Classe (consacrata nel 549), situati nella parte inferiore dell’abside, rappresentanti i vescovi s. Severo, s. Orso, Ecclesio ed Ursicino, i primi due recano l’appellativo “Sanctus”, prova questa di sicuro culto.
E poi vi è la grande basilica di S. Severo, iniziata dal vescovo Pietro III nel 575 e condotta a termine da Giovanni Romano (578-95) e da lui consacrata il 17 maggio 582, collocandovi anche l’arca del santo.
Questa basilica abbinata ad un grande monastero benedettino, rimase integra fino al secolo XV, poi dopo varie vicende, venne definitivamente abbandonata e distrutta; era una grande basilica a tre navate divise da dodici colonne per parte; aveva l’abside poligonale all’esterno e semicircolare all’interno (tipo ravennate).
Per quanto riguarda i testi letterari che riguardano s. Severo, essi sono in buona parte leggendari, raccolti e trascritti dagli agiografi medioevali e da due sermoni di s. Pier Damiani (1072); la biografia che se ne ricava, dice che il santo, povero lanaiolo di Ravenna, si reca in chiesa dopo la morte del vescovo Marcellino, per assistere all’elezione del successore ed una colomba gli si posa più volte sulla testa, così che tutto il popolo riconosce che è lui l’eletto di Dio; poi racconta ancora che durante una celebrazione eucaristica, va in estasi e presenzia per un prodigio di bilocazione, alla morte dell’amico san Geminiano di Modena.
Gli muore la figlia Innocenza e dietro invito del santo, le ossa della defunta moglie Vincenza si spostano per lasciare alla figlia un posto nell’arca; infine sentendosi vicino alla morte, fa aprire l’arca che si era preparata, vi si distende e rende l’anima a Dio.
Tutti questi episodi si ritrovano, nella narrazione agiografica medioevale, nelle ‘Vite’ di altri santi.
Secondo l’agiografo Liutolfo, il corpo di s. Severo non rimase per molto tempo nella sua basilica di Classe; nell’842 un monaco franco di nome Felice, trafugò le reliquie di s. Severo, Vincenza e Innocenza e le trasferì prima a Magonza poi ad Erfurt, diffondendo così il culto in tutta la Germania, sorgendo chiese in suo onore.
Ma ben più numerose furono le chiese dedicatogli in tutta la provincia ravennate, nell’Emilia Romagna, in Toscana, le Marche, solo a Faenza ve ne furono ben quattro.
I bassorilievi marmorei posti sul sepolcro trecentesco nella chiesa del santo ad Erfurt, lo raffigurano vestito degli abiti vescovili, in mezzo alle figure della moglie e della figlia, in devoto atto orante.



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01/02/2011 10:23

San Sigiberto III il Giovane (Sigisberto) Re d’Austrasia

1 febbraio

Metz (Austrasia), 630 – 1 febbraio 656

Figlio del re Merovingio Dagoberto, fu battezzato da Sant'Amando. Saggio governante, costruì diversi monasteri, diede generose elemosine alla Chiesa e ai poveri.

Martirologio Romano: A Metz in Austrasia, oggi in Francia, san Sigisberto III, re, che costruì i monasteri di Stavelot, Malmédy e molti altri e distribuì con generosità elemosine alle chiese e ai poveri.


Sigiberto nacque verso il 630 dal re dei Franchi Dagoberto I (600-639) e dalla regina Ragintrude. Per motivi politici del tempo, Dagoberto I diede al figlio, bimbo di quasi quattro anni, la corona del regno d’Austrasia nel 634 a Metz la capitale, affidandone la custodia e l’educazione al vescovo s. Cuniberto di Colonia Agrippina († 663 ca.) e al duca Adalgiso.
Qualche decennio prima nel 613, il regno dei Merovingi, dinastia dei Franchi Salii, aveva iniziato la sua decadenza con la suddivisione nei regni di Burgundia, Neustria, Aquitania, e Austrasia (parte orientale con capitale Metz), che spesso combatterono fra loro.
Ad undici anni nel 641, Sigiberto III prese parte ad una sfortunata guerra contro la Turingia (regione storica della Germania orientale); mentre dal 643 egli vide accrescere il potere del maestro di palazzo Grimoaldo, figlio del ‘maggiordomo’ Pipino I il Vecchio († 639) e gli si affezionò talmente che ne adottò il figlio; particolarità politiche del tempo, difficili a comprendersi con la mentalità odierna.
I “maggiordomi” presso i Merovingi, erano maestri di palazzo con funzioni di primo ministro; divenne una carica ereditaria nei regni di Austrasia e Neustria e nel secolo VIII riuscirono a sostituirsi nel governo agli stessi re, che presero la definizione di “rois fainéants” (re fannulloni).
Infatti nonostante che dal matrimonio di Sigiberto III con Inechilde, nascesse oltre la figlia Blethilde, anche il figlio Dagoberto II, nominato suo successore, il maggiordomo Grimoaldo, dopo la morte di Sigiberto, tentò di far salire al trono il proprio figlio.
Alla luce di questo contesto storico, poco si sa di Sigiberto III, che sempre più appariva come un re ombra, senza potere effettivo, ma dedito soprattutto ad opere di beneficenza e di pietà.
Da documenti pervenutaci, si apprende con certezza che fondò i monasteri di Cugnon, Stavelot-Malmédy, e S. Martino presso Metz; la tradizione vuole invece che sia fondatore di ben dodici monasteri.
Sotto il suo regno, il Cristianesimo si diffuse profondamente nell’Austrasia, protesse e favorì l’attività dei santi vescovi Amando e Remaclo; in una sua lettera scritta al vescovo di Cahors, Desiderio, Sigiberto diceva che la pace era stabile nel regno e che i suoi scopi erano una vita vissuta nella grazia di Dio, in pace con il suo popolo e la beatitudine.
Papa Martino I (649-655) gli chiese, tramite il vescovo s. Amando, il suo aiuto contro i “monoteliti” (seguaci di una teoria religiosa elaborata proprio nel VII secolo in seno alla Chiesa bizantina; essi riconoscevano le due nature di Cristo, ma affermavano che in lui la volontà divina predominava su quella umana).
Sigiberto III il Giovane, morì ad appena 26 anni, il 1° febbraio 656 a Metz e fu sepolto nel monastero di San Martino da lui fondato.
Il culto per il santo re sorse casualmente, quando nel 1063 le reliquie furono spostate nello stesso monastero, a causa del crollo della cripta; fu proclamato santo nel 1170, quando fu effettuata la cosiddetta “elevatio” delle reliquie, atto di proclamazione in uso nel passato prima del 1500.
Dopo le varie distruzioni del monastero, nel 1552 quella definitiva, le reliquie furono portate al convento di S. Giorgio a Nancy.
In seguito i duchi di Lorena, che si ritenevano successori del santo re, alimentarono il suo culto, nominandolo nel 1742 patrono del Ducato e le reliquie furono traslate nella cattedrale di Nancy, città di cui è tuttora il santo patrono.
Buona parte delle reliquie furono bruciate nel 1797 durante la Rivoluzione, quelle recuperate si trovano in varie città francesi; è invocato nella risoluzione dei problemi politici e dal 1663 anche contro il maltempo.
La sua festa si celebra il 1° febbraio, anche se nel tempo passato era ricordato a Metz, Strasburgo e St-Dié in altre date.



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San Trifone Martire

1 febbraio

Camposede, 232 - Nicea, 250

Patronato: Giardinieri

Emblema: Palma

Martirologio Romano: In Frigia, commemorazione di san Trifone, martire.


Nacque a Camposede, borgata sull'Ellesponto, vicino a Nicea nella Frigia, nell'anno 232 d.C. Sin da bambino Trifone si consacrò con diligenza allo studio delle Sacre Scritture ed alla conoscenza del Santo Vangelo. Gli vengono attribuiti molti miracoli anche da vivo. Nell'anno 250, imperatore Decio,vi fu una delle più crudeli ed atroci persecuzioni contro i cristiani.Trifone, conosciuto per la sua fede indomita, venne fatto arrestare dal prefetto Aquilino. Ancora diciottenne fu condotto a Nicea ed ivi dopo tremende torture subì il martirio più atroce.
Le povere spoglie furono riportate a Camposede dove furono custodite fino al 809, quando una nave veneziana, mentre ne stava traslando i resti a Venezia, sorpresa da una tempesta al largo di Cattaro in Montenegro, trovava quì riparo. Detta nave non ha potuto più riprendere la rotta, mentre per intercessione del Santo si susseguivano miracoli. Ben presto fu eretta una maestosa basilica in suo onore ed elevato a patrono della città dalmata. Ben presto il culto di detto Santo si espanse lungo tutta la costa orientale dell'Adriatico.
Nei primi anni del X secolo, il corpo del Santo senza la testa, veniva traslata a Roma in una chiesetta di Campo Marzio, diventata poi Basilica di Sant'Agostino.
Neanche quì le rimanenti e sante reliquie hanno potuto trovare la pace definitiva :
- Alcune furono portate a Ravello-Sa e da quì a Tramonti-Sa
- Diverse furono portate ad Onano-Vt, durante la peste del XVI secolo.
- Altre furono traslate c.o l'abbazia di Altilia - santaseverina-Kr
- Diverse altre furono portate a Cerignola-Fg
- Alcune sono rimaste presso la Basilica di Sant'Agostino di Roma.
- Altre piccole reliquie sono sparse in diversi posti, fra cui Adelfia-Ba.
La chiesa locale festeggia San Trifone il 10 novembre, che è la data della traslazione delle ossa da Cattaro a Roma." Il Martyrologium Romanum lo pone al primo febbraio.



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01/02/2011 10:24

Santa Verdiana Vergine e reclusa

1 febbraio

Castelfiorentino, 1182 - Castelfiorentino, 1° febbraio 1242

Verdiana nacque a Castelfiorentino da nobile famiglia, per quanto decaduta, nel 1182 ed è coetanea di san Francesco d'Assisi che, secondo la tradizione, le fece visita nel 1221 ammettendola al Terz'ordine francescano. Dopo un pellegrinaggio a Compostela, tornata a Castelfiorentino i suoi concittadini le fecero erigere una piccola cella nella quale Verdiana trascorse 34 anni. Da una piccola finestra assisteva alla Messa dell'attiguo oratorio di Sant'Antonio e parlava con i visitatori. Si racconta che nel giorno della sua scomparsa, il 1° febbraio 1242, la morte venne annunciata dall'improvviso e simultaneo suono delle campane del paese che erano azionate da nessuno. (Avvenire)

Emblema: Giglio

Martirologio Romano: Presso Castelfiorentino in Toscana, santa Verdiana, vergine, che visse in clausura dalla fanciullezza fino alla vecchiaia.

Ascolta da RadioMaria:
  

S. Verdiana (o Veridiana e Viridiana) è personaggio ben diverso da quello immortalato da Luis Bunuel in uno dei suoi film più caratteristici. La santa nacque a Castelfiorentino nel 1182, ed è perciò coetanea di S. Francesco d'Assisi, che secondo la tradizione le fece visita nel 1221, ammettendola al Terz'ordine Francescano. Benchè decaduta, la nobile famiglia degli Attavanti da cui ella nacque a Castelfiorentino godeva ancora di un certo prestigio. Un ricco parente la volle perciò accanto come amministratrice. Dedita però fin dall'infanzia all'orazione e all'astinenza, ella non poteva concepire questo suo incarico che come un'accresciuta possibilità di esercitare la carità.
Qualche volta la Provvidenza dovette intervenire con dei prodigi. Si racconta che un giorno suo zio aveva accumulato e rivenduto una certa quantità di derrate, il cui prezzo era salito alle stelle a causa di una grave carestia. Ma quando il compratore si presentò a ritirare il materiale acquistato, il magazzino risultò vuoto, perché nel frattempo Verdiana aveva donato tutto ai poveri. L'irritata reazione dello zio ebbe come unica risposta l'invito ad attendere ventiquattr'ore: effettivamente il giorno dopo Dio premiava la carità e la confidenza della fanciulla facendo ritrovare intatto il raccolto così generosamente donato.
Verdiana si recò poi in pellegrinaggio a Compostella, presso la tomba di S. Giacomo, che insieme a Roma era la grande meta dei pellegrini, specie dopo la perdita definitiva della Terrasanta. Ritornata a Castelfiorentino e sentendo vivo desiderio di solitudine e di penitenza, i suoi paesani, per trattenerla vicino, le edificarono in riva all'Elsa, attigua all'oratorio di S. Antonio, una celletta nella quale S. Verdiana rimase reclusa per 34 anni. Da una finestrella assisteva alla Messa, parlava con i visitatori e riceveva lo scarso cibo di cui si nutriva. Attraverso questo spiraglio, secondo una tradizione raccolta pure dai pittori, penetrarono negli ultimi anni della sua vita due serpenti, che tormentarono la santa, la quale, ad accrescimento delle sue mortificazioni, mai ne rivelò la presenza.
Si racconta che la sua pia morte, avvenuta il 1° febbraio 1242, venne annunciata dal suono improvviso e simultaneo delle campane di Castelfiorentino non mosse da mano umana. Il culto di S. Verdiana, rappresentata con gli abiti della congregazione Vallombrosana, venne approvato da Clemente VII nel 1533 ed è tuttora popolare in Toscana.



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