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19 marzo

Ultimo Aggiornamento: 20/03/2011 12:15
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Sant' Alcmondo Martire

19 marzo

+ 819

Principe di Northumbrio

Figlio di Alredo (765-774) e fratello di Osredo (788-790), entrambi re di Northumbria, pur vivendo in mezzo agli splendori della corte, seppe santificarsi in virtù del suo profondo sentimento religioso, della sua umiltà e della sua pietà verso i poveri, ai quali distribuì tutte le sue ricchezze. Seguì in Scozia il padre cacciato in esilio, e, al suo ritorno in Inghilterra nell'800, pare che venisse fatto assassinare dall'usurpatore Eardulfo. Un'altra versione afferma, invece, che Alcmondo avrebbe preso parte, con uno dei governatori della Mercia, alla guerra contro i Sassoni e sarebbe caduto combattendo, o forse sarebbe stato ucciso a tradimento durante tale campagna. Secondo altri, infine, Alcmondo passò venti anni in Scozia e fu assassinato da traditori circa nell'819. Venerato comunque come martire e inu­mato a Lilleshall, nello Shropshire, le sue spoglie furono successivamente traslate a Derby, di cui è patrono, e il suo sepolcro divenne ben presto meta di devoti pellegrinaggi. La sua festa si celebra il 19 marzo.


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Beato Andrea Gallerani Laico

19 marzo

Siena, sec. XIII - Siena, 19 marzo 1251

Di nobile famiglia, sì macchiò in gioventù di un delitto per cui fu condannato l'esilio. Tornato in città, si dedicò completamente al servizio dei poveri e degli ammalati, meditandosi una fama di santità che aumentò dopo la sua morte. Con i suoi beni dette vita all'Ospedale della Misericordia, raccogliendo intorno a sé cittadini desiderosi di dedicarsi con abnegazione ai bisognosi. Essi conducevano vita di povertà e venivano chiamati Frati della Misericordia. In realtà, il loro non era un vero e proprio ordine religioso, come il Terz'Ordine Francescano o quello degli Umiliati, ma unicamente un'associazione caritativa in cui ogni "frate" seguiva un tipo di vita spirituale adatto alle proprie esigenze.

Etimologia: Andrea = virile, gagliardo, dal greco

Martirologio Romano: A Siena, beato Andrea Gallerani, che visitò e consolò con premura gli infermi e gli afflitti e radunò i Fratelli della Misericordia, perché, come laici senza voti, servissero i poveri e i malati.


Esistenze come quella del cappuccino Fra' Cristoforo nei ‘Promessi Sposi’ del Manzoni, si sono spesso ripetute nel corso dei secoli; proprio come quella del beato Andrea Gallerani di Siena, che anzi fu anche precedente nel tempo, ma soprattutto realmente esistito.
Andrea della nobile famiglia senese Gallerani, nacque appunto a Siena nel XIII secolo e da giovane, per ragioni che non si conoscono, uccise un uomo; la giustizia del ghibellino Comune senese, lo condannò all’esilio dalla città.
Non si sa quando, ma appena poté rientrare in Siena, pentito del suo forse impulsivo delitto, si dedicò completamente al servizio degli ammalati e dei bisognosi. Disponendo di proprietà e beni preziosi, li destinò alla fondazione, oppure rifinanziò un pubblico ospedale, detto della Misericordia, radunando intorno a sé un gruppo di concittadini, che sul suo esempio, si dedicavano alle opere caritatevoli e d’assistenza e nel contempo conducevano una vita di povertà.
Vennero chiamati “Frati della Misericordia”, che però non era un vero Ordine religioso, ma solo un’Associazione caritativa, i cui singoli membri seguivano un tenore di vita spirituale, secondo i propri desideri.
Era la caratteristica dei Terziari Francescani o Domenicani o degli Umiliati; dopo la morte del beato Andrea, il Terz’Ordine degli Umiliati, Associazione laica parzialmente trasformatosi in Ordine religioso nel 1201 e soppressa nel 1571, prese a Siena una valenza sugli altri, per cui si è affermato che il Gallerani appartenesse a quest’Ordine.
Già in vita egli godette della fama di santità, fama che aumentò notevolmente dopo la sua morte, avvenuta a Siena il 19 marzo 1251, tanto che il vescovo della città Bandini, nel 1274 concesse una speciale indulgenza a chi visitasse il suo sepolcro il lunedì santo, posto nella Chiesa dei Predicatori.
In seguito per disposizione di papa s. Pio V (1504-1572), questa indulgenza venne spostata al lunedì dopo Pasqua, com’è tuttora vigente. A Siena sorse anche una speciale Associazione a lui intitolata, che univa come membri i nobili della città.
Il suo culto fu confermato il 13 maggio 1798 da Papa Pio VI. La sua festa a Siena si celebra il 20 giugno.



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San Giovanni Abate

19 marzo

sec. VI

Martirologio Romano: Presso Spoleto in Umbria, san Giovanni, abate di Parrano, che fu padre di molti servi di Dio.



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Beato Giovanni (Buralli) da Parma

19 marzo

Parma, 1208 circa - Camerino, 19 marzo 1289

Al secolo Giovanni Buralli, entrato nell’ordine verso il 1233, dopo gli studi a Parigi e l’insegnamento a Bisogna, Napoli e Parigi nel 1245, fu eletto ministro generale a Lione nel capitolo del 1247.

Martirologio Romano: A Camerino nelle Marche, beato Giovanni Buralli da Parma, sacerdote dell’Ordine dei Minori, che papa Innocenzo IV inviò come legato ai Greci, per tentare di ristabilire la loro comunione con i Latini.


Giovanni, figlio del nobile Alberto Buralli, fu avviato allo studio dallo zio, cappellano dell'ospizio di San Lazzaro, ed ebbe l'incarico di insegnare Logica nella Scuola cattedrale. A circa 25 anni entrò nell'ordine dei Minori, quando era ministro generale frate Elia. A Parigi, dove si era portato per perfezionarsi negli studi dopo la professione, fu ordinato sacerdote. Si diede da prima alla predicazione con successo per il contenuto dottrinale, per la forma piacevole della presentazione, per il felice timbro della voce: conosceva la musica ed era un buon cantore. In seguito insegnò allo Studium bolognese, a Napoli e a Parigi (1245), dove commentò la Bibbia e le Sentenze.
Nel 1247 nel capitolo generale di Lione fu eletto Ministro generale. Visse anni difficili, per i dissensi presenti nell'Ordine sull'osservanza pratica della povertà.
Decise perciò di visitare le varie comunità dei paesi europei, dando esempio di molta umiltà, di prudenza e di severa austerità. Nel 1250-51 fu incaricato da Innocenzo IV, che lo definì "angelo di pace", di condurre trattative con l'imperatore greco per l'unificazione delle chiese, senza raggiungere risultati positivi. La sua simpatia per gli Zelanti e l'adesione ad alcune tesi di Gioacchino da Fiore lo portarono alle dimissioni da Ministro generale (1257), dove fu sostituito da San Bonaventura. Si ritirò a Greggio dove visse per trent'anni in grande austerità.
La morte lo colse a Camerino, quando aveva intrapreso un nuovo viaggio di conciliazione verso la Grecia.
Il suo culto fu approvato da Pio VI nel 1777. L'ufficio fu concesso all'Ordine francescano nel 1780 ed esteso agli Stati ducali il 24 aprile 1781.


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San Giuseppe Sposo della Beata Vergine Maria

19 marzo

Questa celebrazione ha profonde radici bibliche; Giuseppe è l'ultimo patriarca che riceve le comunicazioni del Signore attraverso l'umile via dei sogni. Come l'antico Giuseppe, è l'uomo giusto e fedele (Mt 1,19) che Dio ha posto a custode della sua casa. Egli collega Gesù, re messianico, alla discendenza di Davide. Sposo di Maria e padre putativo, guida la Sacra Famiglia nella fuga e nel ritorno dall'Egitto, rifacendo il cammino dell'Esodo. Pio IX lo ha dichiarato patrono della Chiesa universale e Giovanni XXIII ha inserito il suo nome nel Canone romano. (Mess. Rom.)

Patronato: Padri, Carpentieri, Lavoratori, Moribondi, Economi, Procuratori Legali

Etimologia: Giuseppe = aggiunto (in famiglia), dall'ebraico

Emblema: Giglio

Martirologio Romano: Solennità di san Giuseppe, sposo della beata Vergine Maria: uomo giusto, nato dalla stirpe di Davide, fece da padre al Figlio di Dio Gesù Cristo, che volle essere chiamato figlio di Giuseppe ed essergli sottomesso come un figlio al padre. La Chiesa con speciale onore lo venera come patrono, posto dal Signore a custodia della sua famiglia.

Ascolta da RadioVaticana:
  
Ascolta da RadioRai:
  
Ascolta da RadioMaria:
  

Sotto la sua protezione si sono posti Ordini e Congregazioni religiose, associazioni e pie unioni, sacerdoti e laici, dotti e ignoranti. Forse non tutti sanno che Papa Giovanni XXIII, di recente fatto Beato, nel salire al soglio pontificio aveva accarezzato l’idea di farsi chiamare Giuseppe, tanta era la devozione che lo legava al santo falegname di Nazareth. Nessun pontefice aveva mai scelto questo nome, che in verità non appartiene alla tradizione della Chiesa, ma il “papa buono” si sarebbe fatto chiamare volentieri Giuseppe I, se fosse stato possibile, proprio in virtù della profonda venerazione che nutriva per questo grande Santo. Grande, eppure ancor oggi piuttosto sconosciuto. Il nascondimento, nel corso della sua intera vita come dopo la sua morte, sembra quasi essere la “cifra”, il segno distintivo di san Giuseppe. Come giustamente ha osservato Vittorio Messori, “lo starsene celato ed emergere solo pian piano con il tempo sembra far parte dello straordinario ruolo che gli è stato attribuito nella storia della salvezza”. Il Nuovo Testamento non attribuisce a san Giuseppe neppure una parola. Quando comincia la vita pubblica di Gesù, egli è probabilmente già scomparso (alle nozze di Cana, infatti, non è menzionato), ma noi non sappiamo né dove nè quando sia morto; non conosciamo la sua tomba, mentre ci è nota quella di Abramo che è più vecchia di secoli. Il Vangelo gli conferisce l’appellativo di Giusto. Nel linguaggio biblico è detto “giusto” chi ama lo spirito e la lettera della Legge, come espressione della volontà di Dio. Giuseppe discende dalla casa di David, di lui sappiamo che era un artigiano che lavorava il legno. Non era affatto vecchio, come la tradizione agiografica e certa iconografia ce lo presentano, secondo il cliché del “buon vecchio Giuseppe” che prese in sposa la Vergine di Nazareth per fare da padre putativo al Figlio di Dio. Al contrario, egli era un uomo nel fiore degli anni, dal cuore generoso e ricco di fede, indubbiamente innamorato di Maria. Con lei si fidanzò secondo gli usi e i costumi del suo tempo. Il fidanzamento per gli ebrei equivaleva al matrimonio, durava un anno e non dava luogo a coabitazione né a vita coniugale tra i due; alla fine si teneva la festa durante la quale s’introduceva la fidanzata in casa del fidanzato ed iniziava così la vita coniugale. Se nel frattempo veniva concepito un figlio, lo sposo copriva del suo nome il neonato; se la sposa era ritenuta colpevole di infedeltà poteva essere denunciata al tribunale locale. La procedura da rispettare era a dir poco infamante: la morte all’adultera era comminata mediante la lapidazione. Ora appunto nel Vangelo di Matteo leggiamo che “Maria, essendo promessa sposa a Giuseppe, si trovò incinta per virtù dello Spirito Santo, prima di essere venuti ad abitare insieme. Giuseppe, suo sposo, che era un uomo giusto e non voleva esporla all’infamia, pensò di rimandarla in segreto”(Mt 18-19). Mentre era ancora incerto sul da farsi, ecco l’Angelo del Signore a rassicurarlo: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Ella partorirà un figlio, e tu lo chiamerai Gesù; egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati” (Mt 1,20-21). Giuseppe può accettare o no il progetto di Dio. In ogni vocazione che si rispetti, al mistero della chiamata fa sempre da contrappunto l’esercizio della libertà, giacché il Signore non violenta mai l’intimità delle sue creature né mai interferisce sul loro libero arbitrio. Giuseppe allora può accettare o no. Per amore di Maria accetta, nelle Scritture leggiamo che “fece come l’Angelo del Signore gli aveva ordinato, e prese sua moglie con sé”(Mt 1, 24). Egli ubbidì prontamente all’Angelo e in questo modo disse il suo sì all’opera della Redenzione. Perciò quando noi guardiamo al sì di Maria dobbiamo anche pensare al sì di Giuseppe al progetto di Dio. Forzando ogni prudenza terrena, e andando al di là delle convenzioni sociali e dei costumi del suo tempo, egli seppe far vincere l’amore, mostrandosi accogliente verso il mistero dell’Incarnazione del Verbo. Nella schiera dei suoi fedeli il primo in ordine di tempo oltre che di grandezza è lui: san Giuseppe è senz’ombra di dubbio il primo devoto di Maria. Una volta conosciuta la sua missione, si consacrò a lei con tutte le sue forze. Fu sposo, custode, discepolo, guida e sostegno: tutto di Maria. (…) Quello di Maria e Giuseppe fu un vero matrimonio? E’ la domanda che affiora più frequentemente sulle labbra sia di dotti che di semplici fedeli. Sappiamo che la loro fu una convivenza matrimoniale vissuta nella verginità (cfr. Mt 1, 18-25), ossia un matrimonio verginale, ma un matrimonio comunque vissuto nella comunione più piena e più vera: “una comunione di vita al di là dell’eros, una sponsalità implicante un amore profondo ma non orientato al sesso e alla generazione” (S. De Fiores). Se Maria vive di fede, Giuseppe non le è da meno. Se Maria è modello di umiltà, in questa umiltà si specchia anche quella del suo sposo. Maria amava il silenzio, Giuseppe anche: tra loro due esisteva, né poteva essere diversamente, una comunione sponsale che era vera comunione dei cuori, cementata da profonde affinità spirituali. “La coppia di Maria e Giuseppe costituisce il vertice – ha detto Giovanni Paolo II –, dal quale la santità si espande su tutta la terra” (Redemptoris Custos, n. 7). La coniugalità di Maria e Giuseppe, in cui è adombrata la prima “chiesa domestica” della storia, anticipa per così dire la condizione finale del Regno (cfr. Lc 20, 34-36 ; Mt 22, 30), divenendo in questo modo, già sulla terra, prefigurazione del Paradiso, dove Dio sarà tutto in tutti, e dove solo l’eterno esisterà, solo la dimensione verticale dell’esistenza, mentre l’umano sarà trasfigurato e assorbito nel divino. “Qualunque grazia si domanda a S. Giuseppe verrà certamente concessa, chi vuol credere faccia la prova affinché si persuada”, sosteneva S. Teresa d’Avila. “Io presi per mio avvocato e patrono il glorioso s. Giuseppe e mi raccomandai a lui con fervore. Questo mio padre e protettore mi aiutò nelle necessità in cui mi trovavo e in molte altre più gravi, in cui era in gioco il mio onore e la salute dell’anima. Ho visto che il suo aiuto fu sempre più grande di quello che avrei potuto sperare...”( cfr. cap. VI dell’Autobiografia). Difficile dubitarne, se pensiamo che fra tutti i santi l’umile falegname di Nazareth è quello più vicino a Gesù e Maria: lo fu sulla terra, a maggior ragione lo è in cielo. Perché di Gesù è stato il padre, sia pure adottivo, di Maria è stato lo sposo. Sono davvero senza numero le grazie che si ottengono da Dio, ricorrendo a san Giuseppe. Patrono universale della Chiesa per volere di Papa Pio IX, è conosciuto anche come patrono dei lavoratori nonché dei moribondi e delle anime purganti, ma il suo patrocinio si estende a tutte le necessità, sovviene a tutte le richieste. Giovanni Paolo II ha confessato di pregarlo ogni giorno. Additandolo alla devozione del popolo cristiano, in suo onore nel 1989 scrisse l’Esortazione apostolica Redemptoris Custos, aggiungendo il proprio nome a una lunga lista di devoti suoi predecessori: il beato Pio IX, S. Pio X, Pio XII, Giovanni XXIII, Paolo VI.



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Beato Isnardo da Chiampo Domenicano

19 marzo

Chiampo ? - Pavia, 19 marzo 1244

Ricevette giovanissimo l’Abito di Predicatore dalle mani del glorioso Patriarca Domenico. Fu un così grande e compito Predicatore, potente non solo in parole, ma anche in opere, grazie al dono fecondo che ebbe da Dio di fare miracoli. Attirò a Lui innumerevoli anime di peccatori e di eretici. Dal 1230 fu principalmente l’apostolo di Pavia. Questa città, in lotta contro il Papato per le malvagie influenze di Federico II, colpita anche da l’Interdetto, versava in uno stato pietoso: lo spirito religioso quasi spento e i costumi del tutto rilassati. La venuta di Isnardo fu come un soffio rinnovatore e lo spirito cristiano rifiorì meravigliosamente. Per la munificenza del santo Vescovo di Pavia, Rodobaldo, poté fondare un Convento che governò sapientemente fino alla morte.

Martirologio Romano: A Pavia, beato Isnardo da Chiampo, sacerdote dell’Ordine dei Predicatori, che in questa città fondò un convento del suo Ordine.


Nativo di Chiampo (Vicenza), entrò nell’Ordine Domenicano a Bologna verso il 1218. Un anno dopo fu inviato a Milano insieme al domenicano beato Guala che diventerà poi vescovo di Brescia.
Ancora nel 1230 fu trasferito a Pavia dove strinse amicizia con il vescovo Redobaldo II che a sua volta gli affidò la chiesa domenicana di S. Maria di Nazareth.
Isnardo era dedito ad una vita ascetica molto dura, questo comunque non gli impedì di avere una corporatura molto robusta, che suscitava sempre dei commenti ironici. Si racconta che una volta predicava in pubblico e un uomo che assisteva disse: “Come posso credere alla santità di un vecchio cetaceo come fra Isnardo, più di quanto possa credere che questo barile potrebbe saltare e rompermi una gamba”, ma alla fine delle sue parole il barile su cui era seduto, all’improvviso si mise a saltellare investendolo e rompendogli così una gamba nell’urto.
Isnardo morì il 19 marzo 1244 e fu sepolto nella chiesa domenicana di Pavia; attualmente i suoi resti riposano nella basilica dei ss. Gervasio e Protasio. La Santa Sede ne confermò il culto con la Messa in suo onore il 12 marzo 1919.
Il Martyrologium Romanum pone la sua festa 19 marzo.



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Beato Marcello Callo Laico, martire

19 marzo

Nato a Rennes (Francia) il 6 dicembre del 1921, il beato Marcel Callo morì neanche 24enne, il 19 marzo 1945 nel campo di concentramento di Mauthausen. Fa parte della schiera di martiri cattolici sotto la persecuzione hitleriana: sacerdoti, religiosi, religiose e laici, come era appunto Marcel. Assunto da apprendista in una tipografia a soli 13 anni, univa il lavoro con l'attività scoutistica. Poi entrò nella Joc (Gioventù operaia cristiana). A 22 anni, nel 1943, fu prelevato dagli occupanti tedeschi e spedito ai lavori forzati in Germania. Destinazione il campo di lavoro di Zelha-Malhis in Turingia. Qui si adoperò nell'apostolato cristiano tra i compagni di prigionia. Per questo motivo fu chiuso in prigione. Infine, fu inviato nel lager di Güssen, satellite del famigerato campo di Mauthausen. Qui morì per gli stenti e la salma fu bruciata nei forni crematori. E' stato innalzato agli onori degli altari nel 1987. (Avvenire)

Etimologia: Marcello, diminutivo di Marco = nato in marzo, sacro a Marte, dal latino

Emblema: Palma

Martirologio Romano: A Mauthausen in Austria, beato Marcello Callo, martire, che, giovane originario di Rennes in Francia, durante la guerra confortava con spirito cristiano nella fede i compagni di prigionia sfiniti dai lavori forzati e per questo fu ucciso nel campo di sterminio.


Esempio di fede cristiana vissuta eroicamente negli orrori della II Guerra Mondiale, quindi un laico vicino a noi, che si erge a monito contro le sciaguratezze di ideologie, portatrici di odio razziale, religioso, inumano.
Marcello Callo nacque il 6 dicembre 1921 a Rennes in Francia, secondo di nove fratelli, crebbe in una famiglia profondamente cristiana, ogni mattina per sette anni, si recava in chiesa per servire la s. Messa.
Il 1° ottobre 1934 a 13 anni, fu assunto come apprendista in una tipografia di Rennes e alternava il duro lavoro per la sua età, alla passione per lo scoutismo, che però lasciò verso la fine del 1935 per entrare nella IOC (movimento d’Azione Cattolica dell’ambiente operaio), dove lavorò nell’apostolato in modo entusiastico, fino a divenirne presidente della sua Sezione.
In piena guerra mondiale, nel marzo 1943 a 22 anni, fu arruolato dallo STO (Service du Travail Obligatorie) dai tedeschi occupanti e spedito in Germania, al campo di lavoro di Zelha-Melhis in Turingia; in questo campo sia pure clandestinamente, cercò di svolgere, armato di una grande fede, un apostolato di conforto religioso, atto a lenire per quanto poteva, le sofferenze e l’amarezza della deportazione dei suoi compagni di sventura.
Fu accusato di essere ‘troppo cattolico’ e quindi venne rinchiuso nelle prigioni di Gotha, il 19 aprile 1944, dove stette per cinque mesi, subendo indicibili sofferenze fisiche e morali, sopportandole con spirito eroico in una continua ascesa verso la santità.
Il 4 ottobre 1944, fu internato nel famigerato campo di concentramento a Mauthausen e destinato poi il 7 novembre al vicino campo di Güssen II, dove il 19 marzo 1945 morì, distrutto completamente dalle sofferenze fisiche subite, dalle privazioni di ogni genere, dal lavoro massacrante e dall’angoscia di non sapere più nulla dei suoi familiari.
Marcello Callo si va ad aggiungere a quella schiera di figure eroiche cattoliche e non, morte nei campi di sterminio tedeschi e che man mano stanno salendo agli onori degli altari, per aver dato testimonianza della loro fede cristiana, con il sacrificio della loro vita.
È stato beatificato da papa Giovanni Paolo II il 4 ottobre 1987.



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Beato Marco da Montegallo Francescano

19 marzo

Montegallo (Ascoli Piceno), 1425 - Vicenza, 19 marzo 1496

Martirologio Romano: A Vicenza, beato Marco de Marchio da Montegallo, sacerdote dell’Ordine dei Minori, che per sovvenire alle necessità dei poveri creò l’opera chiamata Monte di Pietà.


Questo grande francescano visse negli anni che videro le grandi navigazioni di Cristoforo Colombo e la scoperta dell’America. Marco figlio del feudatario Chiaro de Marchio, nacque nel 1425 a Montegallo nei pressi di Ascoli Piceno, dove la sua famiglia si era ritirata per sfuggire alle feroci lotte delle opposte fazioni, che imperversavano in Ascoli.
Il padre comunque volle ritornare in città, per dare la possibilità di studiare a Marco, che in seguito passò alle Università di Perugia e di Bologna, dove si addottorò in legge e in medicina.
Tornato ad Ascoli esercitò per un certo tempo la professione di medico; nel 1451 per assecondare i voleri del padre sposò Chiara de’ Tibaldeschi di nobile famiglia, ma con la quale convisse castamente; l’anno successivo morì il padre e gli sposi di comune intesa scelsero la vita religiosa, lei entrando tra le clarisse del convento di S. Maria “delle donne” in Ascoli e lui tra i Francescani Osservanti.
Questo fenomeno di sospensione del vincolo matrimoniale con successiva scelta di una vita consacrata per entrambi o a volte per uno solo dei coniugi, in quei secoli non era cosa rara e tante figure di eminente santità, furono il frutto di tale scelta.
Come Francescano Marco de Marchio, fece il noviziato a Fabriano, poi fu come superiore a San Severino, sotto la guida del confratello e corregionale s. Giacomo da Monteprandone detto ‘della Marca’ che insieme a s. Bernardino da Siena e s. Giovanni da Capestrano, costituivano gli alfieri dell’evangelizzazione del secolo XV e primi fautori dell’apostolato sociale.
Prese ad operare contro le due principali piaghe del secolo: le discordie civili e l’usura usata in prevalenza dagli ebrei; svolse la sua intensa attività dal 1458 al 1496, patrocinando la pace e il bene pubblico ad Ascoli, Camerino, Fabriano e combattendo l’usura, che condizionava pesantemente la vita delle famiglie, istituendo i Monti di Pietà.
Insieme con il beato Domenico da Leonessa costituì il Monte di Ascoli nel 1458; in seguito da solo istituì quelli di Fabriano (1470), Fano (1471), Arcevia (1483), Vicenza (1486) e non è certo, anche quelli di Ancona, Camerino, Ripatransone; restaurò quello di Fermo.
In un suo soggiorno a Venezia, si rese conto che la nuova tecnica della stampa, era un potente mezzo per diffondere il Vangelo, egli stesso diede alla stampa il suo primo trattato “Libro intitulato” e altri volumi successivamente.
Nel 1494 a Firenze stampò “La tabula della Salute”, nel 1495 a Siena per la predicazione quaresimale, decise la riedizione del “Libro intitulato”. Quattro capitoli de “La tabula della Salute” riguardano l’usura che Marco condanna come mezzo di perversione; egli associa però nella condanna sia chi chiede prestiti ad interesse, sia chi li concede, perché secondo lui entrambi violano il comandamento di Dio che ordina di amare il prossimo e vieta di provocarne la rovina materiale o spirituale.
Egli non era il solo fra i francescani dell’epoca a sostenere la tesi della gratuità del prestito, perché la carità è la regina di tutte le virtù cristiane e nell’ottica della carità non c’è posto per l’usura, ma nemmeno per il prestito ad interesse.
Comunque tale tesi non era condivisa da altri francescani prima fra tutti s. Bernardino da Feltre e nel Capitolo Generale tenuto a Firenze il 28 maggio 1493, fu deciso che i ‘Monti di Pietà’ dessero i prestiti con un minimo d’interesse; era anche l’epoca del sorgere degli Istituti di Credito, per il cui funzionamento occorrevano degli oneri.
Mentre era a Vicenza per predicare, fu colto da malore e morì il 19 marzo 1496; venne sepolto nella chiesa di S. Biagio Vecchio. Il culto sorto dopo la sua morte, ebbe una definitiva conferma da papa Gregorio XVI, il 20 settembre 1839.
La sua celebrazione ha varie date, ma il ‘Martyrologium Romanum’ lo elenca al 19 marzo.


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Beato Narciso Giovanni (Narcyz Jan) Turchan Sacerdote e martire

19 marzo

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Biskupice, Polonia, 19 settembre 1879 – Dachau, Germania, 19 marzo 1942

Il beato Narcyz Jan Turchan, sacerdote professo dell’Ordine dei Frati Minori, nacque a Biskupice (Kraków), Polonia, il 19 settembre 1879. Deportato a causa della sua fede nel campo di prigionia di Dachau, vi trovò la morte dopo innumerevoli patimenti 19 marzo 1942. Fu beatificato da Giovanni Paolo II il 13 giugno 1999.

Martirologio Romano: Vicino a Monaco di Baviera in Germania, beato Narciso Turchan, sacerdote dell’Ordine dei Frati Minori e martire, che dalla Polonia, oppressa da un nefasto regime, fu deportato per la sua fede nel campo di detenzione di Dachau, dove morì sotto le torture.


Jan Turchan nacque a Biskupice, diocesi di Cracovia, il 19 settembre 1879. Fu accolto nel 1899 dai Frati Minori nella Provincia di Santa Maria degli Angeli, emise la Professione temporanea il 13 settembre 1900 e quella solenne il 24 dicembre 1903, assumendo il nome di Narcyz. Ordinato sacerdote a Leopoli il 1° giugno 1906, fu guardiano in varie fraternità. Arrestato per ben due volte e rilasciato per mancanza di prove contro di lui, fu definitivamente arrestato il 6 ottobre 1941.
Internato dunque senza processo nel campo di concentramento di Dachau, nei pressi di Monaco di Baviera, nonostante le sue precarie condizioni di salute non cessò di prendersi cura dei suoi compagni di prigionia. Morì, a seguito degli stenti subiti in carcere, il 19 marzo 1942.
Giovanni Paolo II lo beatificò a Varsavia (Polonia) il 13 giugno 1999 con altri 107 martiri polacchi, tra i quali figurano quattro altri suoi confratelli. In data odierna è commemorato dal nuovo Martyrologium Romanum nell’anniversario del suo glorioso martirio.



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San Quinto e compagni Martiri

19 marzo

Sorrento?, II secolo?

Etimologia: Quinto = il quinto figlio nato, dal latino

Emblema: Palma

Vi sono ben sette martiri con questo nome, vissuti in Africa e nell’Italia Meridionale. Il nome era abbastanza diffuso nel periodo romano e con un po’ di mancanza di fantasia, veniva imposto al quinto figlio, come Primo, Secondo, Terzio, Quarto lo era per i primi quattro.
Alcuni hanno mantenuto la loro diffusione come Primo e Secondo, anche Quinto con la variante Quintino è arrivato fino a noi.
Il santo Quinto di cui parliamo, è associato ad un gruppo di altri martiri, di cui si conoscono i nomi di alcuni, come Quintilla, Quartilla e Marco. Essi sono denominati con qualche dubbio, come martiri di Sorrento e vengono ricordati il 19 marzo nel ‘Martirologio Geronimiano’ e altri Martirologi storici, come pure nel ‘Martirologio Romano’ compilato nel XVI secolo da Cesare Baronio.
I dubbi degli studiosi riguardano l’indicazione di Sorrento, come città del loro martirio o della loro origine; si pensa che alcuni di loro, essendo un numeroso gruppo, siano invece di Corinto, compagni di santa Basilia, onorata lo stesso 19 marzo.
Per il resto non si può dire altro, che se sono di Sorrento o qui pervenute le loro reliquie da altro luogo, essi sono sempre dei cristiani, delle più svariate condizioni sociali, età, sesso, che hanno donato la loro vita, morendo in modo atroce, per l’affermazione del cristianesimo nel mondo pagano di allora.
Bisogna aggiungere che la recente edizione del ‘Martirologio Romano’, non riporta più il gruppo dei martiri citati.


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Post: 8.705
Città: CENTO
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Sesso: Femminile
20/03/2011 12:15

Beata Sibillina Biscossi Domenicana

19 marzo

Pavia 1287 - 1367

La Beata Sibillina Biscossi, nata a Pavia nel 1287 e morta nel 1367, era orfana di padre e di madre. Appena ebbe la forza di sfaccendare, venne messa a servizio. Ma a 12 anni divenne cieca. Fu allora raccolta dalle Terziarie domenicane di Pavia. Nei primi anni la bambina infelice pregò a lungo, con la speranza che san Domenico le concedesse il miracolo della vista. Poi capì che la sua cecità poteva essere luce e orientamento per gli altri. Accettò la privazione e si fece reclusa in una celletta attigua alla chiesa, dove restò dai 15 agli 80 anni, nella più severa penitenza, vestita d'estate e d'inverno col medesimo saio, mangiando scarsamente e dormendo sopra una tavola di legno, senza né pagliericcio né copertura. Visitata da prelati e da potenti, da devoti e da dubbiosi, ella fu la Sibilla cristiana, che rispondeva a tutte le richieste di consiglio e di conforto. Era l'occhio luminoso di tutta la città di Pavia, che riconosceva nella cieca veggente una maestra di spirito. (Avvenire)

Etimologia: Sibillina (diminut. di Sibilla) = che fa conoscere la volontà di Dio, dal greco

Martirologio Romano: A Pavia, beata Sibillina Biscossi, vergine, che, rimasta cieca dall’età di dodici anni, visse per sessantacinque anni in clausura presso la chiesa dell’Ordine dei Predicatori, illuminando con la sua luce interiore i molti che ricorrevano a lei.


Sibillina nacque dalla onorata famiglia Biscossi, e fin dai primissimi anni mostrò grande inclinazione alla pietà. A dodici anni, colpita da una dolorosa infermità, rimase del tutto cieca. Sebbene la santa fanciulla accettasse con rassegnazione la dolorosa prova, non cessò però di chiedere a Dio di volerle ridare la vista, tanto necessaria a lei che doveva trarre dal lavoro delle mani il pane d’ogni giorno. Un giorno, mentre così pregava, le apparve il Santo Patriarca Domenico, il quale le mostrò una luce tanto meravigliosa, che le tolse per sempre il desiderio della luce e d’ogni altra cosa di questo mondo. E così, a quindici anni, vestita dell’Abito del Terz’Ordine, e accesa da cosi santo amore, si ritirò in un angusto romitorio, accanto alla chiesa dei Frati Predicatori, iniziando una vita che possiamo definire eroica. Più eroico ancora fu il perseverarvi per 67 anni, senza mai abbandonare la sua cella. Con cuore di martire sopportò le tenebre della cecità, la solitudine completa, i rigori di una severa penitenza. Ma il segreto di tanto coraggio essa l’attinse nell’amorosa contemplazione del Crocifisso. Qui attinse anche la celeste sapienza che la rese maestra e consolatrice di innumerevoli anime che accorrevano a lei, riportandone luce e conforto. Le fu rivelata l’ora della sua morte, avvenuta il 19 marzo 1367, alla veneranda età di ottant'anni, attorniata dai religiosi dell’Ordine, che l’assistettero nell’ora suprema. Fu illustre per miracoli. Il suo corpo è sepolto nella cattedrale di Pavia. Papa Pio IX il 17 agosto 1854 ha confermato il culto.
L'Ordine Domenicano la ricorda il 18 aprile.


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